Galatea - 06

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purchè ci sia l'essenziale, secondo il parer mio. E l'essenziale è di
dire ai satelliti: "Signori miei, perchè non pensate ad accasarvi? È
un ottimo stato, il matrimoniale. Io l'ho scelto, e me ne trovo
felicissima. Imitate l'esempio mio, e sarà una prova di bella
amicizia. Anzi, vedete, avevo stanotte pensato anche a trovarvi la
sposa. Ci sono tre Berti, in Corsenna, una per uno, e tutte e tre
molto carine, tanto carine, che io veramente non so qual sia la più
carina delle tre. Volete? Faccio io la domanda per voi."
--Ah, bello, bello, magnifico, stupendo! ed anche romantico, sì, molto
romantico!--gridò la contessa, arrovesciando le spalle sull'argine e
ridendo a più non posso.--Ma se non accettano?
--Oh Dio! se non accettano, tanto peggio per loro;--risposi.--Del
resto, io faccio un dilemma: O sono giovani di cuore e di spirito, o
solamente di spirito. Mi ripugna di aggiungere un corno
all'argomentazione, e di crederli sciocchi. Se hanno spirito e cuore,
accetteranno il vostro consiglio, perchè in verità le tre Berti sono
molto carine, e possono far la felicità di altrettanti figli d'Adamo
in questa valle di lacrime. Se sono solamente o niente affatto di
spirito, tutti e tre prendono ventiquattr'ore di tempo a rispondervi;
ma in quelle ventiquattr'ore fanno le valigie, prendono un biglietto
alla prima stazione di strada ferrata, e vanno a farsi impiccare
altrove. Vi torna?
--Sì, sì, ottima idea; quantunque io non voglia fare l'esperienza
precisamente nella forma che voi proponete, e per cui ci vorreste voi,
signor Rinaldo, col vostro modo curioso di farvi vento. Ma vi son
grata, sapete? vi sono gratissima, e qualche cosa di simile a ciò che
voi avete immaginato, certamente farò.--
Mi stese la mano, così dicendo, e strinse forte la mia. Era contenta
di me; ed io incominciavo ad esser contento di lei, tanto che
dimenticavo perfino la storia del povero Leopardi a Recanati.
Quand'ecco (il quand'ecco è di rito in questi casi) si sente un
fruscio tra i rami bassi delle carpinelle, e un cane mi sbuca di là,
Buci, l'eterno Buci, il mio satellite, che ride e mi fa impallidire e
tremare.
Quella mattina non avevo badato a lui, che non era in casa, ed io non
mi ero dato il pensiero di cercarlo. Buci aveva saltata la siepe
dell'orto, secondo l'uso suo e dei suoi pari. Benedetti cani! Prima
era sempre con me, e per venire con me, per essermi alle calcagna
dovunque andassi, risicava le busse del suo padrone ogni sera: adesso
che sta con me, va sempre con gli altri, e quando è con gli altri, non
ha pace finchè non li guida sulle mie tracce. Da tanti giorni non
venivo al rifugio dell'Acqua Ascosa; ed ecco, proprio la prima volta
che ci torno, Buci mi viene a scovare, e sicuramente porta qualcheduno
con sè.
Tutte queste cose pensai, o piuttosto vidi in un attimo; e il pensarle
e il vederle mi alterarono in faccia.
--Che c'è!--disse lei.
--Nulla; vi prego, alzatevi e venite via.
--Perchè?
--Ve lo dirò poi; venite via.
--Dove?
--Lo saprete; ma venite, senza perdere un minuto secondo.
--Ma che debbo temere? che mi trovino qui?--diss'ella, avviandosi.
--Ebbene, non sarebbe già bello;--risposi, trascinandola.
--Ma io non ho paura, ad esser trovata con voi, con un gentiluomo, con
un cavaliere.
--Grazie; ma venite più svelta, vi supplico.
--Comandate, obbedisco.--
E prese il mio braccio, per correre più spedita. Io avevo fatto un
gesto a Buci, come per dirgli che andasse all'inferno; ma egli non lo
capì. Gliene feci un altro per accennargli che mi precedesse; ed egli
capì quello, finalmente!
La contessa muoveva frettolosa al mio braccio. Si giunse ad un punto
del sentiero, donde, o pel fogliame degli alberi, o per la piega del
monte, non si vedeva più il posto dove eravamo stati a sedere. Laggiù
incominciai a riprendere il fiato.
--Che uomo siete voi!--mormorò la luminosa contessa.--Un altro al
vostro posto....
--Un altro,--interruppi,--sarebbe uno sciocco, o un mascalzone; io non
sono nè l'uno nè l'altro. Venite; ancora pochi passi, e saremo fuori
del tiro.--
Si costeggiava la sponda del canale, sempre in mezzo alle piante. Ad
un certo punto incontrammo l'ostacolo che io già conoscevo, una casa
di contadini che cavalcava il ruscello. E qui, una delle due: o passar
l'acqua, inerpicandoci tosto per un orto a scaglioni, risalire di là
ai casali di Santa Giustina, e sparire di là, per riapparire al
bisogno donde ci paresse meglio, con aria di persone a diporto su
d'una strada scoperta; o scendere dall'altra parte della pescaia e
arrivare al greto del fiume, dove ci avrebbero veduti, indovinando
anche come e perchè ci trovassimo là. No, niente al fiume; piuttosto
ai casali di Santa Giustina.
--Vi sentite,--dissi alla contessa,--di saltare quest'acqua?--
Ella guardò un poco il ruscello, misurandone a occhio l'ampiezza.
--No, vi confesso;--rispose.--Coll'impiccio della gonna!
--Permettete, allora; qui non c'è tempo da perdere; vi rapisco
senz'altro.--
Le prendo ventaglio e ombrellino, e getto i due arnesi sull'altra
sponda, ma un po' lontani, che non m'impaccino il passo. Poi prendo
lei nelle braccia, mi assicuro di averla bene in equilibrio sul petto,
e spicco il salto. Il rivo non era largo più di sei palmi, e non
facevo poi un miracolo di destrezza; ma il peso che avevo sulle
braccia, e la cura che richiedeva, non mi lasciarono veder bene
davanti a me, nò pensare che la sponda di là era in un certo punto
assai molle per l'avanzarsi dell'acqua sotto l'erba traditrice. Così
immollai un piede fino alla caviglia; ma la contessa era in salvo. La
deposi sul sodo terreno, raccolsi l'ombrellino e il ventaglio, feci un
altro gesto rabbioso a Buci, che si era fermato davanti a me, non
intendendo una saetta di tutte quelle novità; e su per la salita a
gran passi.
--Siete forte come un Turco;--mi diss'ella, ridendo.--Ecco un ratto in
piena forma.
--Zitta, con quella voce, per carità!--
E via, senza posarci un minuto. Si passa davanti ad un casale, e per
fortuna non si vede anima viva, nè alle finestre nè agli usci. Avevo
pensato di far sosta ad una di quelle casupole, fingendo di esser
capitati là dalla strada alta; ma il non esser visti da nessuno e il
trovar lì, sotto la mano, anzi meglio, sotto il piede, un sentiero che
mette nel bosco dei castagni, mi fa cambiare d'idea. La conduco da
quella banda, ed ho il conforto di vedere che il sentiero pianeggia
abbastanza. Così ella non si affaticherà troppo a salire.
--Sentite?--dice ella ad un certo punto, tendendo l'orecchio.--Ci
chiamano.--
Avevo sentito ancor io, anzi prima di lei. Di laggiù commettevano a
tutti gli echi, a tutti i punti cardinali, i nomi di Adriana e di
Rinaldo. Riconoscevo la voce delle giovani Berti, di Terenzio
Spazzòli, di Enrico Dal Ciotto, uno dei satelliti; il che mi lasciava
supporre che ci fossero anche gli altri due. Ma il guaio più grosso, e
che mi metteva le ali alle calcagna, era quello di aver riconosciuta
fra l'altre la voce della signorina Wilson. Fortunatamente la comitiva
si era fermata al punto dove noi eravamo stati a sedere, e di là si
sentivano venire le voci; mentre noi, avviati nel sentiero alto a
mezza costa, eravamo celati a tutti dallo sprone del monte, che già
avevamo oltrepassato, per muovere verso il mulino. Per poco che
fossero rimasti a cercare di noi laggiù, e ad invocare i nostri nomi
invano, saremmo arrivati a salvamento, e sempre benissimo nascosti tra
i castagni, fino al punto della strada battuta, dove ci eravamo due
ore prima incontrati.
La contessa avrebbe voluto fermarsi al mulino. Secondo lei, si doveva
restarci fino a tanto ritornasse indietro la comitiva, e aver l'aria
di essere entrati là dentro a vedere le macchine; donde la possibilità
del non esserci incontrati prima coi nostri cercatori importuni.
--Sì;--risposi;--ma se anch'essi, venendo, fossero entrati al mulino?
o solo avessero attaccato discorso con qualcheduno della casa?
--Ebbene,--replicò lei,--tanto peggio per loro. Poichè tra quei
curiosi ci ho i miei tre satelliti, sarebbe il terzo modo, non
classico nè romantico, ma egualmente sbrigativo, per liberarmi di
loro.--
La ringraziai con un inchino della bellissima idea, che poteva
lusingare benissimo la mia vanità mascolina, ma che non conferiva
punto alla mia quiete. La voce di Galatea, udita laggiù dall'Acqua
Ascosa, mi aveva dato un gran rimescolo al sangue.
--Sentite, signora;--le dissi gravemente;--il meglio è di non dover
dare spiegazioni, siano esse trovate buone o cattive. Son venuti a
cercare di noi, e non ci hanno trovato; segno che non c'eravamo, o che
essi non hanno saputo scovarci. A buon conto, non eravamo là, dove
sono andati a far capo. Voi a casa vostra, quest'oggi, non avete da
dar ragione dei vostri passi, e nessuno sarà tanto ineducato da farvi
domande in proposito. Con me nessuno ha tanta confidenza da entrare in
simili inchieste. Pensino quel che vorranno; dal canto nostro, come
saremo laggiù al crocicchio, in vicinanza della nobil Corsenna, ci
divideremo da buoni amici, per rivederci più tardi.
--Avete ragione;--rispose la contessa.--Poichè siamo fuggiti, tanto
vale approfittar della fuga.--
Quella sera ci fu un pochettino di musoneria nella colonia
villeggiante di Corsenna. I satelliti avevano le facce scure; Terenzio
Spazzòli non si degnò di mostrare i denti più d'una volta. Le Berti,
amabili innocenti, accennarono soltanto di essere andate il mattino a
passeggio di là dal mulino, avendo sentito che Adriana era andata a
passeggio anche lei, traversando il paese e girando da quella parte;
ma certamente s'erano ingannati gl'informatori, poichè non l'avevano
trovata.
--No,--rispose la contessa, con la sua bella tranquillità di signora
accorta,--non s'erano ingannati. Ero uscita fuor d'ora, avendo
l'emicrania e non potendo star ferma in casa; ero anche andata di là
dal ponte, coll'idea di salire a Santa Giustina; ma ad un certo punto,
vedendo due strade, ho temuto di smarrirmi, e son ritornata.--
A me non si disse nulla, che avrei saputo rispondere; a Buci nemmeno,
che avrebbe potuto cavarsela ridendo. Per me, soltanto, ci fu a
quattr'occhi una bottata di Galatea.
--Che odore, questa mattina, all'Acqua Ascosa! un odore acuto... come
di pelle di Spagna.
--Ah sì?--risposi, colpito in pieno petto, ma non volendo parere.--È
poi l'odore delle rose canine e dei fiori di rovo. Ce n'è tanti
laggiù!--


XI.
Marlborough s'en va-t en guerre...

_13 luglio 18..._
Questa mattina ero stato un po' in forse dell'andare o del non andare
in visita al Roccolo. È debito, dicevo tra me, debito di galantuomo,
dopo l'impresa del mulino. Sì, mi rispondevo, ma che cosa ne penserà
Galatea? Orbene, che male ci sarà? Son io infeudato alla signorina
Kitty? Le ho mai detto una parola più calda di tutte le altre, e mie e
di coloro che vede ogni giorno? Con lei, con sua madre, colle Berti,
colla Quarneri, perfino colla signora segretaria comunale e colla
signora sindachessa di Corsenna, ci ho i miei doveri di galateo. Così
è; una volta imbarcati per questa vita da negri, che è la vita di
società, bisogna bene curvar le spalle e adattarsi a coltivar canne da
zucchero. Che cosa penserebbe dei fatti miei la contessa, se io non
andassi a riverirla, a sentire da lei com'è finita, se ha avuto code o
no, piccole noie per lei, la matta impresa di ieri? E che cosa
direbbero i signori satelliti, se non mi vedessero comparire al
Roccolo quest'oggi? Farei senza dubbio la figura del can bastonato,
bastonato da lei, e pauroso di loro. Ah no, perdincibacco, non sarà
mai.
L'idea di ciò che potevano dire i satelliti, mi ha messo di cattivo
umore: il cattivo umore mi ha fatto mettere in armi. Siamo in guerra,
combattiamo. E tanto per cominciare, esploriamo il terreno. Ieri
mattina la contessa Adriana era uscita di casa alle otto, ora insolita
per lei, bruciata per i suoi assedianti, che dovevano immaginarla non
uscita ancora dalle sue camere. Essi, di certo, non usano andare che
verso le undici alle loro batterie; infatti, a quell'ora, non avendola
trovata al Roccolo, si son dati alla campagna, raccogliendo per via
tutta la colonia villeggiante, come a dire tutto l'esercito di
Corsenna; han preso lingua, han saputo che la contessa Adriana aveva
preso il sentiero del mulino, hanno sospettato che fossi ancor io da
quelle parti, e tutti sull'orma, che hanno perduta, fortunatamente per
noi. Dunque, ricapitoliamo; la contessa è sola fino alle undici; se ci
vado tra le nove e le dieci, sono sicuro di trovarla, di aver tempo a
discorrere, a sentire da lei tutto quello che sarà utile di sapere.
Rimarrò quanto ella vorrà; e se dovrò rimaner tanto che arrivino i
satelliti, niente di male; potrò andarmene in loro presenza,
insegnando a chi non lo sapesse ancora, che non è di buon genere star
nei salotti in sentinella come all'ingresso d'una caserma, d'un parco
d'artiglieria, d'una polveriera.
Alle nove del mattino, indossato il mio tutto vestito grigio
d'autentica stoffa inglese (così almeno assicura il mio sarto, che è
di Biella), raso accuratamente, ravviato, ripicchiato a dovere, con un
bel garofano bianco all'occhiello, mi mossi alla volta del Roccolo;
evitando l'abitato di Corsenna, per altro, tanto che ci arrivai alle
nove e quaranta minuti. Troppo presto, forse? Eh, dopo tutto, avrei
lasciato un biglietto di visita. Ma non ci fu bisogno di questo mezzo
termine. Ero a mezzo il viale, quando ella si mostrò nel vano di una
finestra, al primo piano della sua palazzina; mi vide, mi riconobbe,
mi gettò con la sua vocina insidiosa un buon giorno di sirena, e
sparì, ma per avvicinarsi. Compariva di fatto nell'atrio, quando io
mettevo il piede sulla soglia del tempio.
--Ah bene!--gridò, stendendomi tutt'e due le mani.--Questo è un bel
tratto, veramente degno di voi. E di me,--soggiunse, dopo un istante
di pausa,--perchè io v'aspettavo.--
Risposi non so che cosa, ma balbettando assai più che parlando. Ella,
intanto, preso il mio braccio, mi conduceva in un salottino accanto al
vestibolo, indicandomi una poltroncina, sulla quale mi posi a sedere,
ammirando un pochino l'addobbo della stanza e più quello della padrona
di casa, che indossava un grazioso abito da camera. Dovrei chiamarlo
_déshabillé_, alla francese; ma in verità non mi pare che il nome vada
a capello. Come chiamare _déshabillé_ un abito, sia pur sciolto
intorno alla vita e largo di maniche, tutto ricami, trafori e
passamani, colla giunta d'una guarnizione di merletti? Del resto,
abbia il nome che si vuole; sian parecchi i _déshabillés_ delle
signore, come gli abiti di mattina, da passeggio, da ricevimento,
accollati, scollati, a mezzo scollo, e ne mutino due, tre, quattro
volte in un giorno; saranno belle in due; tre, quattro maniere. La
bellezza è cosa di cielo; ammiriamola, perchè narra anch'essa la
gloria di Dio.
--Come siete stato gentile!--ripiglia la contessa Adriana, dopo aver
concesso qualche minuto secondo alle mie ammirazioni.
--Che dite, contessa? Era il mio dovere. Volevo informarmi di ieri.
Tutto è andato bene, non è vero?
--Sì, quantunque, sarebbe stato meglio rimanere al nostro posto.
Eravamo a discorrere al fresco; ci avrebbero trovati, e ci avrebbero
fatto compagnia, se fosse loro piaciuto. Ma infine, io non andrò
indagando tutte le ragioni che vi hanno persuaso a volere altrimenti.
Forse ci perdevate un tanto a farvi vedere con una donna brutta; e
allora....
--Signora!...
--Scherzo, sapete? So bene di non essere il diavolo. E non mi fate
complimenti, vi supplico. Non ho parlato così colla intenzione di
averne uno da voi. Li gradisco, ma quando non li ho provocati, e sopra
tutto quando vengono spontanei, nella sincerità del momento; come
accade a voi, che siete poeta. Ieri, per esempio, ne avete trovato uno
bellissimo.
--Io? quando? come?
--Sì, quando avete parlato dei quattro satelliti di Giove; donde così
naturalmente, senza pensarci, vi è venuto di accennare ai tre che si
potrebbero concedere... ad un altro corpo celeste.
--A Venere, infatti.
--Scusate, non volevo proferirne io il nome. Vi sarei parsa vanitosa.
Ma era tanto carino, il vostro complimento, a proposito dei miei
satelliti. Che noiosi, quelli! e se sapeste che musi lunghi, iersera!
--Questo appunto mi premeva di sapere. Avete già fatto il famoso
discorso?
--No, non ancora; non mi pareva il momento. Erano anche così poco
trattabili! Se, Dio guardi, mi fanno oggi la seconda di cambio, vi
assicuro che non ricorro neanche al consiglio di ammogliarli. Ma
veniamo al fatto. Iersera, quando ci siamo lasciati sul ponte, mi
hanno accompagnato tutti e tre, secondo l'uso, che a quell'ora tarda
non mi dispiace nemmeno. Saliti al Roccolo, sono entrati, si sono
seduti qui, muti, accigliati, come un terzetto di giudici. Non
volevano il tè; ma lo volevo prender io, e l'ho preparato; si son
rassegnati a sorbirlo, ma trovandolo amaro. Nessuna allusione alle
indagini del mattino; solo uno, il Martorana, mi chiese di punto in
bianco: "vi è passata l'emicrania?"--Non ancora del tutto; risposi.
Quindici minuti dopo, si congedarono. Ma se erano stati muti nel mio
salotto, diventarono loquaci all'aperto, specie in fondo alla villa,
dove Clarina li ha uditi. Clarina è la mia cameriera; ed è fuori
spesso e volentieri, quando io non ho bisogno di lei. Credo, tra
parentesi, che ci abbia l'innamorato, un giovane muratore di qui.
Vorrà diventarci bianca, di bruna che è; ma passiamo, che questo non è
affar mio. Clarina adunque li ha sentiti; parlavano di una gita che
avevano fatta quella mattina, di due persone che andavano cercando e
che non avevano trovate.--Ma sicuramente erano là,--diceva uno, il
signor Dal Ciotto, che era il più arrabbiato dei tre,--il cane li ha
messi in sospetto e li ha fatti fuggire; bisognava guardare dal
fiume.--Se è vero...--diceva un altro, il signor Cerinelli,--se è
vero, abbiam fatta una bella figura, e c'è qualcuno che riderà di
noi.--Il signor qualcuno la pagherà salata;--replicò Enrico Dal
Ciotto. Tutte queste cose è venuta a riferirmi Clarina; e vi confesso
che sulle prime mi avevano un po' turbata. Ma siccome i miei tre
satelliti non sapevano niente, tanto che iersera immaginavano ancora
una mia fuga dalla parte del fiume, e siccome ne sapranno anche meno
domani o doman l'altro, e siccome, finalmente, sono tre sciocchi, mi
sono subito tranquillata sul conto delle loro vendette. Spero bene che
non ne tremerete neppur voi.
--Io? no davvero; mi ci diverto mezzo mondo. E non dico un mondo
intiero, perchè già un mezzo mondo m'annoiano.
--Li manderò via, non dubitate, farò quel tal discorso.
--Sarà sempre bene,--conchiusi.--Ho visto degli sciocchi diventar
mariti eccellenti; e la signora Berti sarà la più felice delle
madri.--
Ci fu un momento di sosta nel dialogo, ed io reputai conveniente di
dare un'altra occhiata dintorno.
--Come siete bene qui! Opera vostra?...
--Povero addobbo!--diss'ella.--Mi mancavano tante cose, quando ci sono
arrivata! Ho fatto quel che ho potuto, adattando al mio gusto una casa
d'altri. Sapete bene com'è venuta a noi, per pagamento d'un credito
che aveva mio marito, e che non si sarebbe potuto ricuperare
altrimenti. A lui da princìpio pareva una gran cosa, avendo appunto
bisogno d'aria di montagna; a me invece non piaceva affatto. Ora a lui
non va più, perchè gli hanno ordinate le acque di San Pellegrino, e
piace a me poichè ho dovuto adattarmici per una stagione. Se potrò
aggiustarla del tutto a modo mio, mi ci troverò meglio un altr'anno. E
voi, Morelli, venite tutti gli anni in Corsenna?
--È il prim'anno, questo. Anzi, non sapevo che fosse un luogo tanto
frequentato. Ero venuto per istudiarci, figuratevi!
--Oh, ci studierete, dando agli amici appena appena quel po' di tempo
che potrete. Scegliendo bene, si possono risparmiare molte ore. E voi,
con tanto ingegno che avete, non potete sottrarvi al lavoro. Sarebbe
un delitto. Che cosa avete pubblicato, fin qui?
--Niente, signora, o quasi niente. Già, per far numero tra i mediocri,
è inutile stampare.
--Che cosa dite voi mai? Parlano tutti di voi con tanta ammirazione!
--Già, perchè non fo nulla. Se facessi, mi giudicherebbero
diversamente. Così va il mondo, signora. Ma noi c'inganniamo
volentieri l'un l'altro, esso prodigandomi una stima che è tutta
fondata sulla certezza della mia pigrizia invincibile, io godendone
senza risparmio, e pensando che quella stima io la perderei senza
fallo, se mai mi decidessi ad uscir dalla nuvola.
--Che pessimismo! Ma voi dite per celia, non è vero? e non avete una
così brutta opinione di tante persone gentili che aspettano luce e
conforto da voi.
--Un po' tardi, se mai! Non sapete che ho già trentacinque anni?
--Trentacinque!--esclamò la contessa.--In verità, vi credevo a mala pena
sui trenta. Ma che cosa son poi trentacinque anni?--soggiunse.--La
virilità della gioventù, per un uomo. Io ne ho ventisei, e come donna
posso dirmi vicina alla maturità. Che differenza tra noi! Ma gli anni,
con le rughe che portano a noi donne, non mi toglieranno di seguirvi nei
vostri trionfi. Mi leggerete quello che fate, non è vero?--
Non so che cosa fossi per risponderle. In quel momento si udiva un
fruscio sulla ghiaia del giardino, e Clarina appariva sull'uscio del
salotto per annunziare una visita, anzi due in un punto.
--Già?--mormorò la contessa Adriana, volgendo un'occhiata all'orologio
del caminetto, che segnava allora le dieci e tre quarti.--Beviamo
quest'amarissimo calice;--soggiunse, volgendosi a me con un mesto
sorriso.
Entrarono due satelliti, Maurizio Cerinelli e Giovanni Martorana;
entrarono, e vedendo l'intruso, fecero il muso lungo un palmo.
--Soli?--esclamò la contessa.--E il signor Dal Ciotto?
---È andato per la carrozza. Sarà qui fra due minuti.
--La carrozza! Per che farne?
--Non rammentate, signora?--disse il Martorana.
--Avevate manifestato il desiderio di visitare il convento di
Dusiana;--soggiunse il Cerinelli.
--È vero, è vero;--rispose la contessa, con aria di cader dalle
nuvole.--Ma si era detto per oggi? Questo m'era passato di mente. A
quest'ora, poi!
--Il cielo è coperto;--disse il Martorana.
--E potrà piovere, allora;--ripigliò la contessa.--Anch'io, con
quest'emicrania che non mi vuole dar tregua!...--
Qui la luminosa contessa fece un gesto di persona seccata, e non
aggiunse parola. Capitò il Dal Ciotto, anche lui con tanto di muso, a
mala pena mi vide. Ma era più padrone di sè, forse essendo stato
avvertito della mia presenza colà. Più padrone di sè, ripeto; ma mi
fece anche un saluto che non mi piacque. Se non fossimo stati in casa
d'altri e in presenza di signore, a quel saluto breve e sarcastico
avrei risposto con un ceffone, tanto per cominciare. Già, posso
ammettere ed anche gradire che uno non mi saluti; ma che mi saluti
male, mi annoia. Ho già pensato, del resto, a ciò che mi conviene di
fare. Le lettere qui s'impostano alle sei di sera. Scriverò prima
delle sei a Filippo.
La signora non vorrebbe andare, a Dusiana. Le occorrerebbe un'ora
almeno per vestirsi. Inoltre, è un brutto giorno; un tredici. Lo dice
ridendo, ma lo dice.
Io rido con lei, e la conforto ad andare. Il tredici secondo me non è
altro che un numero il quale ha il torto di venire dopo il dodici e
prima del quattordici. Del resto, non a tutti dispiace, non a tutti
porta sfortuna. Io posso assicurare per mia esperienza che è un numero
eccellente, un numero aureo. Tutte le cose che ho fatte in un giorno
tredici mi sono andate benissimo.
--Ah sì?--esclama Enrico Dal Ciotto, strascicando anche la frase, come
se la tirasse con l'argano.
--Certamente;--gli rispondo io, senza scompormi, e sul medesimo tono.
La contessa Adriana nota le pause e le inflessioni di voce; aggrotta
le ciglia, per mostrare a qualcheduno che ha capito e che non è
contenta per nulla. Poi, con sembiante mutato rivolgendosi a me, vuol
farmi sentire che la padrona di casa non rileva le piccole
impertinenze, e che io posso far come lei.
--Voi inventate a buon fine, signor Rinaldo;--mi dice;--e il numero
tredici vi dovrebbe esser grato di questo servizio che gli rendete. Ma
io sono ancora molto dubbiosa. Aggiungete che debbo scrivere parecchie
lettere; a mio marito, per esempio, che oggi avrà aspettato
inutilmente i miei uncinetti. Se sto due giorni senza scrivergli, è
capace d'inquietarsi, e di piantare San Pellegrino, per venire in
Corsenna. Ne avrei piacere, per un lato; per l'altro mi
rincrescerebbe, temendo che la sua cura ne soffrisse.
--Se non fosse per questo,--risposi,--sarei lietissimo di avere la
parte mia nel fargli mancare una lettera; tanto ho desiderio di
essergli presentato. È, a detta di tutti, un gran gentiluomo.
--Ma sì, fa questo effetto su quanti lo avvicinano;--replicò la
contessa.--Sono una moglie fortunata, e sfortunata ad un tempo. Sapete
che le belle signore se lo contendono? L'anno scorso a Roncegno faceva
lui tutte le carte; ed io, che non avevo patito mai del brutto male,
mi capite, mi son ritrovata ad esser gelosa. Ed egli rideva, delle mie
collere; rideva saporitamente, come fate voi, signori uomini, che poi,
se Dio vuole, sarete peggio di noi.--
Fatte poche altre ciance su questo tono più allegro, mi alzo, la
riverisco e me ne vado, senza saper bene se andrà o non andrà a vedere
il convento di Dasiana. Quanto ai tre satelliti, li saluto appena
quanto basta per la decenza. E me ne torno a casa, dove butto giù le
mie note. Ora poi, scriviamo a Filippo.
La lettera è fatta. Mi par utile di ricopiarla qui:

_"My Dear,
"A friend in need is a friend indeed, says the proverb. Now it happens
that I have, at this moment, very great need of a friend,_ _and I am
resolved to make the trial...._ sopra di te, mio dolce e fiero
Filippo. Tu non hai niente che ti trattenga in città, salvo
l'abitudine, o la pigrizia, mentre io ho bisogno qui d'un amico, _an
uncommon want_, come lord Byron aveva bisogno di un eroe. Lascia
dunque i tuoi affari inutili, e vieni a confortare l'amico tuo; il
quale non ti ha scritto da tanti giorni per la semplicissima ragione
che ha speso il suo tempo a commettere un certo numero di sciocchezze,
e ti vorrebbe qui per dargli una mano. In altri termini, temo (senza
sgomenti, però) di avere ai fianchi una piccola tribù di scioperati.
Dipenderà forse da me, di causarne gli attacchi; ma se proprio
dipendesse da me, non vorrei causarli davvero, e mi metterei
volentieri in guerra, come Marlborough. Qui non ho persona amica,
seria ed armigera quanto bisogna, a cui commetter tutto me stesso. Hai
capito? Vieni dunque tu, vola, e porta per ogni buon fine una coppia
di tutte le armi cavallerescamente possibili. Per dar colore alla
spedizione potresti portare un arsenale di sciabole, fioretti e
pistole, da esercitarci tra noi. Saresti nella tua beva, non ti pare?
"Non ti ho mai chiesto nulla; non mi ricusare la prima. Credi pure che
questa volta ho somma necessità d'essere raffidato dalla tua presenza.
Ti aspetto, e preceduto da un telegramma, per venirti a prendere alla
stazione, ch'è un po' lontanetta da qui. Grazie, anticipate, e un
amplesso spirituale per giunta.
"_Il tuo_
"RINALDO".

Ho impostata la lettera in tempo, e più tranquillo me ne sono andato a
desinare. Questa sera, passeggiando in paese, ho incontrata mezza la
colonia, che ritornava dal suo eterno _lawn-tennis_. Si è fatto sosta
all'unico ma infame caffè di Corsenna, in grazia del suo "Qui si gela"
che promette alle signore la dolce voluttà del sorbetto. Poi diranno
che Corsenna è un villaggio. Conosco delle città, dove si gela, sì, ma
solamente e naturalmente d'inverno.
Ho potuto sapere che la contessa Quarneri non è andata a Dusiana. I
tre satelliti devono esser furenti; imbronciati li vedo, ma quieti, in
atto di rodere il freno. Che abbiano avuto una correzione salutare? Mi
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