Galatea - 11

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sollecitudine. Ma perchè a me? Perchè son io il personaggio più
importante della colonia, l'amico più vecchio di Corsenna, il primo
capitato tra questi monti; e finalmente, "vegnendo a dir el merito"
son io che ho fatto tutto. Benissimo; sta a vedere che uno di questi
giorni mi conferiscono la cittadinanza. Son io, veramente io, che ho
fatto tutto, e non ho male che non mi sia meritato! Al diavolo! non ne
posso più. Sento che schiatto, se sto ancora cinque minuti qua dentro.

_28 agosto 18.._ (sera).
Volevo levarmi una spina dal cuore. Dove sarà andato il Ferri, che m'è
uscito di casa attillato, spalmato, ripicchiato come uno sposo? Dalla
contessa, non credo; dalle Berti, meno che mai; dalle Wilson, dunque?
Potrebbe darsi; a buon conto, andiamo a vedere. Evitando le strade,
per altro; girando dai campi, strisciando tra i boschi. Ho il
territorio di Corsenna sulla punta delle dita. E giungo in vista della
casina dove stanno le Wilson, e do un'occhiata intorno, prima di
uscire dalla macchia. Ho fatto bene a non fidarmi troppo; ecco
Filippo, eccolo là che sale dalla strada maestra, avviato per
l'appunto alla casina di color rosa, per la quale io diventerò verde,
pur troppo! Eccolo là; _o, my prophetic soul!_ presaga anima mia! Come
è vero che la gelosia dà sempre nel segno!
Ed ora ch'egli è entrato, andrò io? Bella figura ci vorrei fare! Mi
atterrò all'altra, peggiore, più brutta, ma almeno solitaria e non
vista, di starmene in sentinella. Per quante ore? Le Wilson fanno la
prima colazione, il _breakfast_, alle otto, e oramai sono le nove
suonate; la seconda, il _lunch_, al tocco, e ce ne avremo ancora per
quattr'ore. Poveri noi, se il signor Ferri s'incanta laggiù fino al
_lunch_! Vorrei vedere anche questa, che non sarebbe poi di buon
genere. Sediamo. Ma per che fare? Non posso leggere; non vedo neanche
le parole. Ah gelosia, brutto male! Che cosa le dirà ora il signor
Filippo degnissimo? Parleranno della gran giornata di ieri, della sua
valentia, delle sue botte diritte, segnatamente dell'ultima, che
m'avrebbe passato fuor fuori come un ranocchio, se il fioretto non
avesse avuto il bottone. E lui "tutto umile in tanta gloria"; non è
così che va fatto? Un colpo di fortuna, debolezze; parliamo d'altro.
Lei, signorina, era bellissima, ieri, con quella sua marinara.
Semplicissima, e brillava più di tutte. Ah briccone! gliene dirai
tante, che qualcheduna le toccherà il cuore. Ma tu non potrai dirle la
meglio, non la potrai chiamar Galatea; non lo sai, tu, il nome arcano
della signorina Kathleen.
Che novità è mai questa? Sono passati appena venti minuti, e Filippo
ricomparisce nel viale. Se ne va? Certo, e non di gamba malata. Visita
breve; perchè? Son curioso di saperlo. Essere al fianco di Galatea, ed
alzarsi per prender congedo; ecco due termini contradditorii, strani,
insociabili. Ah, non ci reggo più. Filippo è già in fondo al viale;
gira il canto, sparisce. Avanti dunque, usciamo dalla macchia, andiamo
noi a vedere come ci accoglie Galatea.
--È permesso?
--Avanti. Oh, signor Morelli! che buon vento?...--
È la signora Wilson madre, che mi accoglie con tanta cortesia, levando
gli occhi e la mano dal suo telaio da ricamo. Stringo quella mano che
ella mi offre, e prendo la sedia che mi addita vicino a lei; una sedia
ancor calda delle fiamme di Filippo Ferri. Egli stesso vien subito in
ballo.
--Se fosse arrivato cinque minuti prima,--soggiunge la
signora,--avrebbe trovato qui il suo amico.
--Oh, davvero? che peccato!
--È stato così gentile,--ripiglia la signora,--da venir da noi, per
ringraziarci di ieri. Non c'è veramente di che; noi non abbiam fatto
nulla, o al più quello che han Tatto le altre signore, che non
prendevano parte all'accademia. Ma che bella festa, non è vero, signor
Morelli? e come è bene riuscito in ogni parte il programma! Una
giornata indimenticabile; e indimenticabili, prima d'ogni altra cosa,
i suoi versi.
--Troppo buona, signora mia, troppo buona. Erano versi tirati un po'
giù, per l'urgenza, e certamente avevano bisogno di lima. Ah, perchè
la signorina Kitty non ha voluto recitarli?
--Lei sa come è poco sicura di sè, quella cara figliuola. Per
giuocare, per camminare, per ridere, non la passa nessuno; ma recitare
dei versi, salire sul palco scenico, fosse pure in Corsenna, non è il
fatto suo. Del resto, di che cosa si lagna? i suoi versi sono stati
recitati benissimo.
--Le pare?
--Sì, con una grazia adorabile.--
Ho capito; la consegna è di trovar tutto bene. E frattanto Galatea non
si vede spuntare.
--Ma con un po' di cantilena, non è parso anche a Lei?--ripiglio, non
volendo adattarmi.
--Non me ne sono avveduta; e mia figlia nemmeno, che anzi ne è rimasta
incantata al pari di me. Ma gli autori sono incontentabili, se lo
lascia dire? Ed hanno ragione, vagheggiando essi un ideale, che forse
non è possibile raggiungere in terra. Ma Lei, signor Morelli, si lasci
anche far complimenti per la sua valentia di schermitore. Il signor
Terenzio Spazzòli, che di queste cose se ne intende benissimo, l'ha
proclamato uno spadaccino di prima forza.
--Ahimè, non di primissima.
--Ebbene, che vuol dire? C'è sempre qualcuno che in una cosa sola ci
può superare: ma è già bello esser forti in molte, non Le pare? Quanto
alla scherma, pare che il suo amico Ferri sia il _non plus ultra_. Ma
che persona a modo! che perfetto cavaliere! e niente superbo, niente
millantatore! Ecco gli uomini come li intendo io, che in verità ne
avevo trovato, non meritandolo, uno stupendo esemplare. Ma non
parliamo di ciò;--soggiunse la signora Wilson, mandando un sospiro
alla buona memoria del padre di Kitty.--È solo, di casa sua, il
signor Ferri? Che idea si fa della vita? che disegni vagheggia per il
suo avvenire? Gli uomini come lui interessano sempre. Son creature
nobili; si vorrebbe saperle egualmente felici.--
To', sarebbe questo il momento buono per dirle.... Ah sì, che idea
buffa ci ha avuta il signor Filippo Ferri! Io.... io? fossi matto!
--Chi sa dove veda egli la propria felicità?--rispondo alla signora
Wilson.--Alla sua età, che non è più giovanissima, e non è per contro
matura abbastanza, idee ne vengono molte, e si dileguano ancora.
--Amore di libertà, intendo benissimo;--conchiuse la signora.--E forse
hanno ragione. È così difficile indovinarla!--
Oh sì, molto difficile, vorrei rispondere; ma parli al singolare, e
per lui. Quanto a me, l'avrei indovinata benissimo. E frattanto,
Galatea non si vede.
--La signorina Kitty studia sempre?--domando.
--Oh no, siamo in campagna, e la mia figliuola in campagna fa sempre
il meno che può; sempre in giro, come una libellula, a far provvista
d'aria e di sole.
--Buona usanza!--esclamo.--Inglese od americana che sia, è una buona
usanza davvero. Le nostre italiane....
--Eccole qui;--disse ridendo la signora Wilson, che è nata per
l'appunto italiana, e di Firenze;--le italiane al telaio, nell'angolo
più riposto del salottino.--
Si fanno ancora quattro minuti di chiacchiere, e finisco di
persuadermi che la signorina non è in casa. Si può egli credere che ci
sia, e non voglia farsi vedere da me? In questo caso avrebbe dovuto
dir troppe cose a sua madre. Del resto, se ci fosse, sarebbe comparsa
prima all'amico Filippo; e Filippo non avrebbe fatto quella sua visita
da medico. Egli se n'è cavato colla scusa dei ringraziamenti da
presentare alle signore; come se fosse lui.... che ha fatto tutto; ed
ora è andato sicuramente dalle Berti, o dalla Quarneri, per passarle
in rassegna.... sperando di trovare in un luogo o nell'altro la
signorina Wilson. Prendo commiato ancor io, ma non per imitare
Filippo. Son sicuro che Galatea non è dalla contessa, nè dalle Berti,
nè da alcun'altra delle signore di Corsenna. La compagnia è per l'ora
del _lawn-tennis_, se mai. Ma potrebb'essere andata con le ragazze
Berti a passeggio, come altre volte ha già fatto. Sia; ma in questo
caso bisogna andarla a cercare all'aperto. Laggiù all'Acqua Ascosa,
per esempio? Sì, andiamo da quella parte; ma non prendendo la strada
bassa del mulino, che poi, se non la trovassi laggiù, dovrei fare una
pettata per risalire a Santa Giustina. Come mi è venuta in mente Santa
Giustina? Non so; forse allo stesso modo che m'è venuto in mente di
andare dalle Wilson, anzichè dalle Berti, o dalla Quarneri.
Mi avvio, tagliando il monte a mezza costiera, e via via risalendo
fino ad afferrarne la vetta, donde mi faccio a guardare d'ogni banda,
e a porger l'orecchio. Nessun rumore; il luogo è deserto; deserte le
valli all'intorno. Fo il giro del santuario, non aspirando a
guadagnare nessuna indulgenza, e non vedo anima nata. È stato dunque
un vano presentimento il mio? Scendo, un po' avvilito, giù dalla ripa
alta, in mezzo al bosco dei castagni; e di là, fatti un cento di
passi, sento un cane che abbaia. Ma è Buci, quello; oh caro Buci! vien
qua, Bucino dell'anima mia! Il cane non sente la forza della mia
giaculatoria, forse per non essere al vento, mentre io sento benissimo
i suoi latrati lontani. Egli abbaia al rumore di qualche sasso in cui
ho inciampato io, facendolo ruzzolare dall'alto; abbaia come un cane
che sa l'obbligo suo, e conosce il prezzo del tesoro affidato alla sua
vigilanza. Scendo ancora un centinaio di passi, e lo vedo finalmente,
ritto e fermo sulle quattro zampe, col muso in alto e la gola
spalancata. Mi vede ancor egli, mi riconosce, tralascia d'abbaiare e
prende il galoppo per venire alla volta del suo legittimo e negletto
padrone. Ma io non voglio che si scomodi tanto per me; corro verso di
lui come posso, ci avviciniamo, e per poco non caschiamo l'uno nelle
braccia o nelle zampe dell'altro. Buci scodinzola, alza le froge, per
mostrarmi i suoi denti, più candidi della sua coscienza di cane; e
subito, quasi sapesse di aver qualche cosa da farsi perdonare, si
avvia per insegnarmi la strada. Ti comprendo, o Buci; a buon
intenditor poche parole, e pochissimi gesti.
Riconosco il sentiero dei casali, quello stesso sentiero che ho già
fatto una volta, ma risalendo, in compagnia della contessa Adriana.
Maledetta passeggiata, donde son nati tutti i miei guai! Laggiù, dove
il sentiero si allarga e pianeggia in forma d'aia da batterci il
grano, seduta davanti all'uscio d'una casupola, è lei, Galatea, che
leva gli occhi curiosi a guardare. Ah, non era dunque vano il mio
presentimento! Dovevo trovarla, un po' più in alto, un po' più in
basso, ma sempre in quei luoghi, all'ombra di Santa Giustina? Ma che
cosa faceva là, seduta, davanti a quella casupola? Cuciva; rammendava
una camicia di tela grossolana, per far risparmiare la fatica ad una
povera vecchia, che stava seduta accanto a lei, e la guardava cogli
occhi istupiditi.
--Lei!--esclamò, ravvisandomi.
--Io, signorina;--risposi.--Venivo a cercarla.... per commissione
della mamma.
--Commissione! per me?
--Sì, la mamma ha bisogno di Lei. Non si turbi, la prego. Dev'essere
per un consiglio, dovendo scrivere una lettera, da impostare
quest'oggi.
--C'era tempo, allora.
--E forse sarà per un'altra ragione. Che ne so io?
--Vengo;--diss'ella, rassegnandosi.--Addio, buona Nunziata. Ritornerò
presto.--
Ha proferite le ultime parole a voce bassa, quasi bisbigliandole
all'orecchio della contadina. Ma io le ho udite egualmente. Ah, dunque
è di qua, a mezza costa, che venite a rimpiattarvi, mentre i poveri
cristiani vi vanno cercando per monti e per valli? È bene saperlo,
signorina.
È molto impacciata negli atti, venendo con me frettolosa a cercar
l'uscita del sentieruolo sulla strada di Santa Giustina. Ella non sa
che dire, ed io meno di lei; perciò si va silenziosi, seguendo i passi
di Buci. Zitti e buci, si potrebbe ripetere col proverbio.
E ora, come dirle che ho usato d'uno stratagemma per levarla di là?
che la mamma non c'entra per niente, ma solo un mio capriccio, una mia
follia temeraria? Se la signorina Kitty non ride, se ella non ritorna
Galatea, la scherzosa Galatea, capace di fare una burla e di
soffrirla, io sono perduto. A mezza strada sento rumoreggiare la
cascata del mulino; tra poco saremo in luogo meno solitario, dove
potremo imbatterci in qualche persona di conoscenza, ed io non avrò
più modo di spiegarle l'arcano, lo stupido arcano. Mi faccio un
coraggio da leone; mi fermo in mezzo alla strada, costringendola a
voltarsi per lo stupore dell'atto improvviso, e le dico:
--Signorina Kathleen, perdoni il mio ardimento; io l'ho ingannata
poc'anzi.
--Che cosa dice?
--Che l'ho ingannata, che non le ho detta la verità. La mamma non
aveva punto bisogno di lei.
--Ah, volevo ben dire!--
E in queste parole, la signorina Wilson si voltò risoluta, per
ritornare ai casali di Santa Giustina. Bel frutto della mia alzata
d'ingegno! bel premio alla sincerità della mia confessione!
--Ah, no;--gridai, attraversandole il passo;--non sarebbe degna di
Lei, questa fuga. Che cosa penserebbe la vecchia contadina di me, che
faccio di queste burle, e di Lei che può tollerarle?
--Ammette dunque che siano intollerabili?--ribattè ella, severa.
--Sì, e ne porterò quella pena che a Lei piacerà d'infliggermi. Ma ho
bisogno di parlarle; ho bisogno ch'ella mi ascolti, e non mi tratti
più da nemico, come ha preso a fare da tanti giorni, senza che negli
atti miei ci sia stato mai niente da meritarmelo. Mi risponda
schietto, com'io Le parlerò, signorina; con durezza, quanto Le
piacerà, dovessi pure morirne, ma con altrettanta sincerità. Che cosa
pensa Lei.... di Filippo Ferri?--
La signorina Wilson molto probabilmente s'aspettava tutt'altra
domanda. Appariva seccata dalla mia insistenza, ma quasi rassegnata a
starmi a sentire. Com'ebbi proferito quel nome, e la domanda a cui
s'accompagnava quel nome, andò in collera senz'altro. Senza dubbio le
ero parso brutale.
--Signor Morelli!--gridò ella con voce alterata.
Capii allora, di aver domandato troppo: ma era tardi per mutar
domanda, ad anche per attenuarla.
--Scusi,--ripigliai, inginocchiandomi quasi,--io perdo la testa, non
lo vede? Ho bisogno ch'Ella non trovi un'offesa in ciò ch'io Le ho
detto, in ciò che sono ancora per dirle. Vorrei cader qui. Le giuro
sull'onor mio, cader qui fulminato, in questo momento; e sarebbe
fortuna per me, tanto soffro. Risponda alla mia domanda, come se
gliela facesse un fratello maggiore. Ama Ella forse il signor Ferri?--
La signorina Wilson fece un gesto di noia suprema, quasi volesse dire:
si va di male in peggio, con costui. Ma il gesto non mutava la
condizione delle cose. Ella stette un po' dura, sopra di sè, muovendo
convulsamente le labbra. Voleva dire di sì? voleva dire di no? Certo,
riuscì a non dire nè una cosa nè l'altra, poichè mi guizzò via con
questa bottata:
--Come Lei la contessa Adriana. Le son serva.--
E faceva da capo per andarsene; ond'io fui costretto a trattenerla.
--Ma non è vero....--gridai, singhiozzando,--non è vero ciò ch'Ella
dice. Le giuro....
--Eh, faccia un piacere a me, per compenso dell'essere stata a
sentirla;--rispose ella, mozzandomi le parole in bocca;--non giuri, e
non dica bugie. Che cosa ne importa a me, dopo tutto? S'è scherzato un
poco, e male. Non tutti gli scherzi son belli; e il suo non merita
certo d'essere portato ad esempio. Ma ci vorrà pazienza, non è vero? e
un'altra volta farà meglio. Intanto, io ho celiato con Lei, come Lei
aveva celiato con me; botta e risposta, come ieri facevano loro sul
tavolato, e tutti pari. Buon giorno.
--Ancora una parola, di grazia! S'è celiato, Lei dice? Non vada in
collera, allora, e non mi congedi così bruscamente.
--Non La congedo; mi congedo.
--Distinzioni troppo sottili! Le paiono degne di noi? Mi senta,
signorina, voglio convincerla, voglio persuaderla. Son sicuro di
riuscirvi, solo che si degni d'ascoltarmi. Vuole che scendiamo da
questa parte, verso il fiume? È tutta strada per ritornare a casa, ed
altre volte l'ha fatta nella medesima compagnia che oggi Le spiace
tanto. Si passa dalla prateria e dal viale dei pioppi. Io La precedo a
volo, fino al Giardinetto, prendo un libro, un taccuino, e glielo
porto da leggere. Da un pezzo ci scrivo tutto quel che mi accade,
giorno per giorno, tutto quello che dico. È il mio memoriale; sono
effigiato là dentro; e non Le parrà bello, ne sono sicuro, ma Le parrà
tanto più vero, ne ho la certezza. Leggerà tutto, vedrà tutto, e mi
renderà la sua stima.--
Credevo di averla persuasa, almeno scossa, e di farla scendere verso
il viale dei pioppi. Ma Ella non si distolse affatto dalla sua via, e
rise d'un riso sardonico, che non avevo mai veduto sulle sue labbra.
--Ella mi propone una cosa, signor Morelli.... una cosa di cui non
vede la sconvenienza suprema. E forse in questa ignoranza è la sua
scusa. Ma io non ne avrei nessuna, se m'arrendessi al suo desiderio.
Posso esserle parsa un po' sventata e leggera; ma ciò non giustifica
punto il suo ardimento, o la puerilità della sua trovata, che le par
così bella e così vittoriosa. Via, signor Morelli, sia cavaliere, e
non domandi ad una ragazza ciò ch'ella non può fare nè dire.--
Ero rimasto atterrato. La signorina Wilson colse il buon momento per
andarsene via, non più trattenuta da me, non più leggera e snella come
una ninfa birichina; ma diritta e solenne, come una regina sdegnata.
Son venuto io, solo soletto, per il viale dei pioppi; son venuto a
rinchiudermi nella mia stanza, ed ho scritto questa dolorosissima
istoria. Molto male, perchè la testa mi arde ed ho perso il lume degli
occhi.
--Che cos'hai?--mi ha detto Filippo, quando è rientrato per l'ora di
desinare.--Sempre stanco?
--Stanchissimo. Ho voluto escire a prender aria, e non m'ha fatto
bene.
--Ripòsati, che diamine!--conchiude il signor Ferri, col suo piglio
autorevole.
La sera, si capisce, non esco di casa; lo lascio andar solo, dove gli
pare. Ma non vado io a riposarmi, tutt'altro. Ho un diavolo per
occhio; e non so quale dei due mi faccia nascere un'idea. Ma certo è
luminosa, e l'afferro con giubilo, se non è piuttosto da dire ch'ella
s'impadronisce di me. Scrivo, scrivo una letteraccia per lui. Quando
l'ho scritta, la rileggo, e mi pare che vada; la chiudo nella sua
busta, e vado a deporla nella camera del signor Ferri, sul marmo del
comodino, accanto al suo candeliere.
Il dado è tratto, e non si torna più indietro. Sarei libero di dormire
a mia posta; ma non mi riesce. Ho gli occhi spalancati, che paiono due
lanterne. Suonano le undici, e il mio ospite ritorna a casa. Lo sento
salire la scala interna, entrare nella sua camera e chiudersi dentro.
Ora leggerà.... legge sicuramente.... ha letto.... verrà a bussare al
mio uscio. No, niente di ciò; sento in quella vece lo scroscio della
poltrona su cui si adagia per ispogliarsi; sento il tonfo dei suoi
borzacchini, che saltano sul pavimento, e buona notte, ci siam visti.
Cinque minuti dopo, lavora rumorosamente e saporitamente di mantice.
Beato lui! Solamente i felici sanno russare così.


XVII.
A tu per tu.

_15 settembre 18..._
"Scrivo giorno per giorno tutto quello che mi accade, nel mio
memoriale." Ah sì, davvero, me ne sono vantato a tempo, colla
signorina Wilson. Ecco qua diciassette giorni che il memoriale non
riceve nessuna delle mie confidenze. Pure, la materia c'era, e come!
Ne sono ancora tutto intronato; me ne dolgono tutte le giunture; la
penna mi sta male tra le dita. Ma voglio, comunque sia, ripigliare. È
necessario; farò come potrò; quando la mano ricuserà l'uffizio, mi
fermerò, per ricominciare più tardi. Ecco intanto la letteraccia. Non
ne avevo tenuto copia, scrivendo confusamente tutto quello che mi
veniva alla mente, e dalla mente alla penna. Ma è qui l'originale, che
Filippo Ferri non ha voluto conservare, e che mi ha restituito in malo
modo, mostrando per giunta di non essere un appassionato raccoglitore
d'autografi:
"_Amico, nemico, qual più mi vorrai,_
"Non ti maravigliare di questo cominciamento, nè di quello che verrà
dopo. È del savio non maravigliarsi di nulla. Batti ma ascolta, disse
Temistocle ad Euribiade, se crediamo a Plutarco; leggi e poi fa quel
che ti pare, dirò io a te. Mi hai messo l'inferno nell'anima: non ne
posso più; ho bisogno di sfogarmi, e mi sfogo. Tu sei venuto per mia
disgrazia in Corsenna: sotto veste d'amico eri un traditore, e non
saprei che altro dirti di peggio. Così si viene a turbar la pace della
gente? a profanar l'amicizia?
"Intendi già che io voglio parlare delle tue idee stravaganti,
intollerabili, a proposito della signorina Wilson. Non ti ho detto
iersera quello che ti meritavi, tanto mi avevi fatto trasecolare colla
tua alzata d'ingegno. Io parlare in tuo favore alla mamma di Lei?
chiederle la mano di sua figlia per te, io che la voglio per me, ed
ho, per volerla, il diritto di precedenza? Lèvati di testa il pensiero
che io possa dare un passo per utile tuo; lèvati di testa quell'altro
che ella possa mai esser tua. La signorina Wilson l'amo io, e da un
pezzo. Chiederai perchè non te l'ho detto prima. Per due ragioni, ti
rispondo; la prima è che non ho l'uso di confidare i miei segreti a
nessuno; la seconda è che io mi fidavo di veder volgere ad altra parte
il tuo cuore infiammato e i tuoi omaggi cavallereschi. È stato un
errore di giudizio, il mio; un altro errore il tuo; ma gli errori si
voglion correggere, e non è bello che li lasciamo durare.
"Senti, ora; io non so che effetto ti farà questa lettera. Pazza, ti
farà ridere di compassione; amara, ti farà torcer la bocca. Amara o
pazza che sia, non posso ritenermi di scriverla. Andiamo diritti al
fine. Non mi conviene questa tua aria di padronanza in Corsenna. Ti
avevo pregato di venirci, per darmi una mano, come mio futuro padrino
possibile. L'occasione si è dileguata, ed io dovevo prevedere che non
fosse neanche per nascere, avendo da fare con una triade di sciocchi.
È stato un altro errore; ma tu vuoi farmelo pagar troppo caro. Non mi
conviene, ti ripeto, non mi conviene.
"Ora, io non ho che una cosa a fare; ringraziarti delle tue cure
fraterne, e pregarti di andartene. Sei _sunctus munere_. Ti è duro il
latino? Hai adempito l'ufficio, e non c'è più bisogno dell'opera tua.
Il discorso non ti parrà da ospite, e non è certamente; per contro, è
da uomo che non gradisce di sentirsi vogare sul remo. Quella fanciulla
è mia, capisci? mia; l'ho sposata io, con un atto della mia volontà,
davanti all'altare del mio cuore, dov'io son parroco e scaccino, in un
municipio dove son io il sindaco, il segretario e l'usciere; non la
sposerà altri fino a tanto che io viva, fino a tanto che io possa far
riconoscere l'autenticità de' miei atti. Pel tuo meglio, va, e non se
ne parli più.
"Ho fatto un sogno; che tu iersera avessi parlato per celia. Brutta
celia, in verità, e che mi ha fatto perdere quel po' di cervello che
ancora mi rimaneva. Ma se è così, vieni a dirmelo, e mi parrà di
rinascere. Se non puoi darmi questa notizia consolante, se metti il
tuo amor proprio in luogo dell'antica amicizia, sai quello che ti
resta a fare. Io sarò a tua disposizione. E bada, non per giuocare il
possesso di una bella mano su d'un colpo di spada o di pistola. Questo
io l'ho fatto una volta sola in vita mia; ma non per la donna, che,
poveraccia, poteva forse valere di più, come di meno, ma per la mia
dignità, che doveva e voleva avere il di sopra. Qui non mi giuoco
nulla, perchè è la mia passione in causa; fino all'ultimo soffio di
vita difenderò quello che mi appartiene.
"Pensaci. Se ami quella donna come l'amo io, son sicuro di quello che
avverrà. Se non l'ami come l'amo io, non far questione d'amor proprio;
vattene.
"RINALDO."

Inutile raccontar qui la mia notte; nè, volendo, potrei. Facevo e
disfacevo continuamente peripezie e catastrofi, intrecci e
scioglimenti di una sola tragedia. Mi addormentai, seguitando ad
almanaccare nel sogno; mi destai la mattina scontento di me, ma niente
pentito di aver scritta la mia letteraccia. Su quel punto ero fermo, e
più inviperito che mai.
Erano le otto, ed io stavo misurando per la centesima volta i nove
palmi di spazio libero della mia camera da letto, quando mi venne
davanti Filippo. Grave nell'aspetto, ma tranquillo, il mio corazziere;
certamente più padrone di sè, che io non fossi di me. Aveva in mano la
mia lettera; me la fece vedere, e mi chiese:
--Sei tu che hai scritto ciò?
--Io;--risposi.--Non conosci più il mio carattere?
--Lo conosco ancora;--replicò;--ma non ci ho veduto il tuo senno.
Questa lettera; mi pare d'un matto.
--Se credi di offendermi!...
--No, dico quello che ne penso, secondo il mio costume. E dirò ancora
che per la forma non sarà da mettere tra gli esempi di bello scrivere.
--Certo.... non credo che sia da annoverarsi tra le mie cose migliori.
Ma è così, e non si muta.
--Vuol dunque essere una lettera insolente?
--Se tu vuoi sposare la signorina Wilson, sì, vuol essere
insolentissima.--
Filippo Ferri si buttò a sedere sulla mia poltrona, e ci rimase un
tratto in silenzio, ruotando gli occhi, tormentandosi i baffi.
--Oh, perdio!---esclamò finalmente.--Non la vuoi capire, che questo è
uno sciocco litigio, e mi secca?
--E tu,--replicai,--non la vuoi capire che c'è una donna di mezzo, e
che su questo capitolo non si scherza e non si transige? Toccami qui,
e sarò una bestia feroce. L'antico uomo non muore.
--Complimenti all'atavismo! Ma io, per tua norma, non dò il passo
agl'istinti, e per ragion di donne non mi sono battuto mai.
--Bene! Se ti sentisse quella!...
--E vorrei che mi sentisse; darebbe ragione a me e torto a te. Alle
donne, rispetto ed ossequio in ogni occasione; non è ossequio nè
rispetto tirarle in questi balli sanguinosi, dove non c'è altro
guadagno per loro che di scivolare. Ti rammenti ch'io abbia mai dato
indietro d'un passo, e davanti a chicchessia? Sei stato tre volte
padrino mio in questioni d'onore; sai che in simili giostre ho toccata
la dozzina.
--Non ti dispiaccia troppo di passare al brutto numero;--diss'io di
rimando.--E non mi fare il saccente, volendo dimostrarmi il non si può
e il non si deve di certe cose, dove ognuno vede e si governa a suo
modo. Del resto, senti; con poca letteratura, anzi con nessuna, ti
ripeto da amico: lasciala stare.
--Non posso.
--Ah, vedi?
--E se potessi,--ripigliò Filippo,--ti direi ancora: non voglio; tanto
m'offende il modo di domandarmi un sacrifizio.
--Ti offende!--esclamai.--Ti offende, e stai qui a disputare? Ma io da
nemico ti dirò: voglio il tuo sangue, e non patisco rivali.
--Il che significa,--diss'egli,--che non hai sicurezza dell'amore di
lei.
--Non l'ho, e tu me ne darai soddisfazione.--
Filippo si alzò da sedere. Rideva, gli lampeggiavano gli occhi, ed io
mi avvidi d'aver commesso un errore.
--Ah!--gridò egli.--E proprio dopo questa tua confessione dovrei far
le valigie? Sarei un bel cavaliere, se mi appigliassi al partito della
viltà; e per i tuoi belli occhi, ancora! Va là, Rinaldo, va là! Tu hai
ancora da studiare un pochino il cuore umano, prima di rimetterti al
tuo _Don Giovanni_. Per intanto, ti consiglierei di far colazione, e
di meditare un po' meglio su questa faccenda, che non va trattata con
leggerezza. Pensaci; me ne riparlerai dopo mezzogiorno.
--Una proroga!
--Di poche ore.
--E che cosa ne speri?
--Che tu verrai dopo mezzogiorno a dirmi: Filippo, amico mio, avevo
fatta ieri una cattiva digestione; ho dimenticata l'amicizia,
l'ospitalità, ogni cosa. Ero diventato matto; che ci vuoi fare? Alla
passione non sempre si può comandare. Ma ora ho pensato meglio; ho
avuto un lucido intervallo, ed ho capito che non è in noi di voltar
sempre le cose a nostro beneplacito, quando da noi non dipendono,
quando ci sono delle sacre volontà da rispettare. Lasciamo dunque che
la signorina abbia la sua volontà e ne usi liberamente. Sceglierà lei,
e chi sarà il disgraziato chinerà da galantuomo la testa.
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