Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 02

Total number of words is 4475
Total number of unique words is 1420
36.6 of words are in the 2000 most common words
51.5 of words are in the 5000 most common words
59.7 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
catuno con otto scudieri il meno vestiti d’assisa, a dì 17 di maggio,
il dì dell’Ascensione, si partirono di Firenze. E partiti loro,
molti cittadini pensando che quello ch’era ordinato dovesse venire
fatto, perocchè tra gli ambasciadori erano i più reputati caporali
di cittadina setta, temettono, che essendo costoro al continuo con
l’imperadore, e di suo consiglio, che pericolo si commettesse contro
al comune e pubblica libertà de’ cittadini, e però si mosse questione
di limitare il loro tempo, e strignerli con certe leggi, e di questo
fu gara e lunga tira nel nostro comune; in fine si vinse, e fecesi
per riformagione di comune, che niuno cittadino di Firenze potesse
stare in quel servigio appresso all’imperadore più che quattro mesi, e
che alcuna grazia, uficio, o beneficio reale o personale per i detti
ambasciadori o per loro successori si dovesse ricevere o impetrare,
sotto gravi pene, acciocchè la speranza si troncasse a tutti della
propria utilità. E incontanente elessono e insaccarono molti cittadini
per succedere di quattro mesi in quattro mesi a’ detti ambasciadori in
quello servigio.

CAP. XIV.
_Di disusati tempi stati._
Non è da lasciare in silenzio quello che del mese di giugno del
detto anno avvenne, perocchè fu notabile caso di tempo con diverse
considerazioni, che essendo ne’ campi seminati cresciute le biade
e’ grani d’aspetto d’ubertosa ricolta vicina alla falce, in diverse
contrade di Toscana, e massimamente nel contado di Firenze, vennono
diluvi d’acque, i quali guastarono molto grano e biade, e feciono
de’ dificii, e d’altro singolari danni a molti. E a dì 14 del detto
mese cominciò un vento austro spodestato e impetuoso con tanta
furiosa tempesta, che ogni cosa parea che dovesse abbattere e mettere
per terra, e tutte le granora e biade che trovò mature, ove il suo
impetuoso spirito potè percuotere, battè per modo, che alla terra diede
nuova sementa, e nelle spighe lasciò poco altro che l’aride reste, e
quelle che ancora non erano granate percosse e inaridì; facendo nelle
montagne in diverse parti sformate grandini e diverse tempeste, e molte
vigne guastò, e abbattè alberi molti, e di grandi dificii in diverse
parti di Toscana e di Romagna; e in Firenze fece rovinare il campanile
del monastero delle donne degli Scalzi, e uccise la badessa con sei
monache. Nella sommità delle montagne di Pistoia levò gli uomini di
su’ poggi, traboccandoli dove l’impeto gli portava. E pubblica fama
fu, che quarantatrè masnadieri ch’andavano in preda trovandosi in sul
giogo, senza potersi ritenere furono portati dal vento per modo, che
di loro non si seppe novelle. E restato lo strabocchevole vento, ivi a
pochi dì fu un caldo sformato senza aiuto d’alcuno spiramento, che il
residuo de’ grani e de’ biadi in molti paesi, singolarmente nel contado
di Firenze, fece ristrignere e invanire per modo, che ov’era stata
speranza d’ubertosa ricolta generò sformata carestia anzi l’avvenimento
dell’altra ricolta, come appresso dimostreremo. Alcuni diedono questo
singulare accidente agli effetti della congiunzione, già narrata al
principio del nostro primo libro, de’ tre superiori pianeti onde
Saturno fu signore: perocchè gli astrolaghi tengono che l’influenza di
cotale congiunzione duri per diciannove anni, e altri tengono infino
in ventitrè. Arbitrò altri, che questo procedesse dall’influenza
della cometa ch’apparve in quest’anno, e quella fu saturnina, sicchè
catuno trasse agli effetti saturnali. Altri tennono che ciò fosse
dimostramento d’assoluto giudicio divino per i disordinati peccati de’
popoli non domati da tante tribolazioni di guerre, quante dimostrate
abbiamo in poco tempo dopo la miserabile mortalità.

CAP. XV.
_Dell’inganno ricevette il comune di Firenze del braccio di santa
Reparata._
Essendo stati certi ambasciadori del comune di Firenze alla coronazione
del re Luigi per lo detto comune, domandarono di grazia al re e alla
reina alcuna parte del corpo della vergine santa Reparata ch’è in
Teano, per onorare la sua reliquia nella nobile chiesa cattedrale
della nostra città ch’è edificata a suo nome. La loro petizione dal
re e dalla reina fu accettata; ma perocchè la città di Teano era del
conte Francesco da Montescheggioso, figliuolo che fu del conte Novello
amicissimo del nostro comune, convenne che con sua industria il
braccio destro di quella santa si procacciasse d’avere per modo, che i
terrazzani non se n’avvedessono, che si mostrava loro, ed era nel paese
in grande devozione, e questo si mostrò di fornire con industria, e
con grande sollicitudine. Gli ambasciadori credendosi avere la santa
reliquia il significarono a’ priori, acciocchè all’entrata della città
l’onorassono. I rettori del comune ordinata solennissima processione
di tutti i prelati cherici e religiosi della città di Firenze, con
grandissimo popolo d’uomini e di femmine, con molti torchi accesi
comandati per l’arti e forniti per lo comune, e il vescovo di Firenze
ricevuto colle sue mani il santo braccio, colla mano segnando la gente
molto divota e lieta, credendosi avere quella santa reliquia, fu
portata e collocata nella nostra chiesa, a dì 22 di giugno 1352.

CAP. XVI.
_Di quello medesimo._
Avendo narrata la fede, la reverenza e la divozione che i nostri
cittadini ebbono alla santa vergine, benchè l’inganno ricevuto fosse
durato in fede del detto comune quattro anni e mesi, infine si scoperse
il sacrilegio e l’inganno ricevuto per la femminile astuzia della
badessa del monastero di Teano, ov’era il corpo della detta santa,
che vedendo che quello braccio le conveniva dare per volontà del re,
e della reina e del conte, dissimulando gran pianto colle sue suore
per lo partimento della reliquia, lo sostennero di assegnare alcuno
dì. E in questo tempo feciono fare un simulacro di legno e di gesso,
che propriamente pareva quella santa reliquia, e dando questa con
grande pianto, fece credere agli ambasciadori che avesse assegnata
loro la santa reliquia, e a Firenze fece onorare come santuaria quello
simulacro per cotanto tempo, essendo cagione di cotanto male, non
manifestando la sua falsa religione. Avvenne che il comune del mese
d’ottobre 1356, volendo d’oro e d’argento e di pietre preziose fare
adornare quella reliquia, i maestri la trovarono di legno e di gesso: e
segatala per mezzo, furono certi che niuna reliquia v’era nascosa, e il
comune fu certo del ricevuto inganno. Noi, non ostante che cinquantadue
mesi fosse questo ritrovato appresso alla sopraddetta venuta, contro
all’ordine del nostro annuale trattato l’abbiamo congiunto insieme,
acciocchè avendo alcuno letto la venuta del santo braccio, non fosse
ingannato dalla simulazione di quello, e dalla malizia della sacrilega
badessa.

CAP. XVII.
_Come la gente del Biscione cavalcarono i Perugini._
Del mese di giugno del detto anno, accolti duemila cavalieri
dell’arcivescovo di Milano alla città di Cortona e popolo assai,
cavalcarono per la valle di Chio, e strinsonsi alla città di Perugia
predando e ardendo il suo contado. Per la qual cavalcata così
bandalzosa i cittadini presono sospetto dentro, e però non ebbono
ardire di fare uscire fuori alcuna loro gente contro a’ nimici.
Conducitori di questa gente erano il conte Nolfo da Urbino, il signore
di Cortona, e Gisello degli Ubaldini, i quali avevano trattato con
messer Crespoldo di Bettona. Questo messer Crespoldo era guelfo,
ma perocch’era male trattato da’ Perugini ricevette costoro in
Bettona, e cacciarono coloro che v’erano alla guardia per lo comune
di Perugia. Questa terra era presso a Perugia a otto miglia e nella
loro vista, e sentendo la gente che dentro v’era, e la potenza
dell’arcivescovo, furono in gran tremore; e non senza cagione, che
quella terra era forte, e in frontiera ad Ascesi e all’altre terre
de’ Perugini, le quali non amavano troppo la loro signoria, e però
cominciarono incontanente a dare il mercato a’ nimici, e molto erano
di presso a fare le comandamenta del tiranno, e ciò che gli ritenne
fu, ch’aspettavano quello che in questa novità facesse il comune di
Firenze. Stando i Perugini in questo pericolo, incontanente il comune
di Firenze li mandò confortando per loro ambasciadori, promettendo loro
aiuto quanto il comune potesse fare; e seguitando col fatto, di subito
vi mandarono ottocento cavalieri di buona gente, promettendo d’arrogere
quanti bisognasse infino a tanto che Bettona fosse racquistata.
Avvenne che come Ascesi e l’altre terre circostanti de’ Perugini
intesono l’aiuto e il conforto che i Fiorentini davano al comune di
Perugia, ove stavano sospesi e non rispondeano al comune di Perugia,
e davano il mercato a’ nimici, di presente levarono il mercato, e
acconciarsi alla difesa, e mandarono a offerirsi a’ Perugini, e
cominciarono a guerreggiare quelli di Bettona. Onde convenne per
necessità delle cose da vivere che la cavalleria ch’era in Bettona
s’alleggiasse, e lasciaronvi a guardia della terra seicento cavalieri e
più d’altrettanti masnadieri, e l’altra gente tornò a Cortona. Rimasi
in Bettona i sopraddetti capitani e’ riposono l’assedio a Montecchio,
e ordinaronsi per accrescere loro forza e soccorrere Bettona, se il
bisogno occorresse. Lasceremo alquanto de’ fatti di Bettona per seguire
dell’altre cose, ch’avvennono innanzi ch’ella si racquistasse.

CAP. XVIII.
_Come i Romani andarono per guastare Viterbo._
Di questo mese di giugno del detto anno, vedendo il popolo romano che
il prefetto da Vico cresceva in forza e ad acquisto occupando le terre
del Patrimonio, feciono in fretta Giordano del Monte degli Orsini
capitano di guerra, e accolsono tutta la gente d’arme che fatta aveano
col loro rettore a piè e a cavallo e accozzaronli col capitano del
Patrimonio messer Niccola delle Serre cittadino d’Agobbio, e in pochi
dì accolsono milledugento cavalieri e dodicimila pedoni in arme, e
con gran furia se n’andarono sopra la città di Viterbo per guastarla
d’intorno e porvi l’assedio, e starvi tanto che tratta l’avessono
delle mani del prefetto. Avvenne in su la giunta che a messer Niccola
capitano del Patrimonio cadde il suo cavallo addosso, e per la percossa
e per lo disordinato caldo per spasimo morì di presente. Morto il
capitano, l’oste senza fare alcuna cosa notevole, con poco onore del
capitano de’ Romani, si partì da Viterbo, e catuno si tornò a casa sua.

CAP. XIX.
_Come il re Luigi ebbe Nocera._
In questi dì messer Currado Lupo ch’era per addietro stato vicario
del re d’Ungheria nel Regno, sapendo che la pace era fatta dal re
d’Ungheria a’ reali di Puglia, e che di volontà del suo signore era
ch’egli rendesse le terre che tenea al re Luigi, già coronato per la
Chiesa del reame, con l’astuzia tedesca pensò di trarre suo vantaggio,
e accolse tutti i Tedeschi ch’erano nel Regno, e con settecento
barbute fece testa a Nocera de’ Saracini, e levò un’insegna imperiale,
mostrando che a stanza dell’imperadore volesse rimanere nel Regno; e
per alquanti si disse che alcuni baroni del reame il favoreggiavano.
Temendo il re che questi non avesse appoggio d’altro signore, o che
non l’acquistasse stando, per lo meno reo prese di patteggiar con lui,
e diedegli contanti trentacinque mila fiorini d’oro, e rendè Nocera e
la contea di Giuglionese, e uscissi del Regno con tutta la sua gente,
con patto fermato per suo saramento, che da ivi a due anni non dovesse
per alcuno modo tornare nel Regno, ma valicati i due anni vi potesse
tornare come barone del re per le terre della moglie, facendogli il
debito saramento e omaggio.

CAP. XX.
_Come fu sconfitto il conte di Caserta._
Seguitando i rivolgimenti dello sviato Regno, ci occorre in questi dì
come il duca d’Atene conte di Brenna, il quale altra volta per la sua
incostante tirannia meritò a furore essere cacciato della signoria
di Firenze, essendo tratto di Francia all’odore dello sviato Regno
non con intera fede, con sue masnade di cavalieri franceschi fece in
Puglia spontanea guerra contro al conte di Caserta, figliuolo che fu
di messer Diego della Ratta conte camarlingo, il quale era con gente
d’arme a Taranto, e con assentimento del re Luigi guerreggiava le terre
del detto duca, secondo la comune voce; l’infermità del Regno non
consentiva nè in guerra nè in pace cose aperte nè chiari movimenti. Il
detto duca accolti de’ paesani, co’ suoi Franceschi combattè col conte
e sconfisselo, facendo alla sua gente grave danno. E rifuggito il detto
conte in Taranto per sua sicurtà, del detto anno, del mese di Maggio,
per lo detto duca fu lungamente senza frutto assediato.

CAP. XXI.
_La novità in Casole di Volterra._
I figliuoli di messer Ranieri da Casole di Volterra cacciati per
lungo tempo da’ loro nimici del castello, come giovani coraggiosi,
accolsono segretamente masnadieri e amici, e a dì 15 luglio del detto
anno entrarono nella terra di Casole, che si guardava per lo comune
di Siena, e improvviso corsono a casa i loro nimici, e quanti ve ne
trovarono misono al taglio delle spade, e rubarono le case loro, e
appresso l’arsono, e gli altri che non furono morti cacciarono della
terra, e la podestà che v’era pe’ Sanesi riguardarono: la terra tennono
tanto per loro, che co’ Sanesi presono accordo di tenervi podestà dal
comune di Siena; e fecionsi ribandire, e rimasono i maggiori nella
terra.

CAP. XXII.
_Come furono decapitati degli Ardinghelli di Sangimignano._
Seguita in questi medesimi dì, come Benedetto di messer Giovanni
degli Strozzi di Firenze, essendo capitano della guardia per lo
nostro comune di Sangimignano, con ingiusto sospetto prese il Rosso
e Primerano di messer Gualtieri degli Ardinghelli, giovani di grande
aspetto e seguito, d’animo e di nazione guelfi, e tenendoli senza
trovare vera cagione perchè presi gli aveva, per accidente v’occorse
caso, che gittarono una lettera a’ loro amici fuori della carcere,
pregandoli che li venissono ad atare liberare di prigione. Il capitano
avendo questa lettera, quale che fosse la cagione, o per zelo del suo
uficio, o per inzigamento de’ Sanucci loro nimici, deliberò di farli
morire. Il comune di Firenze sapendo che non erano colpevoli, volea
che campassono; e mandandovi in fretta ambasciadori con espresso
comandamento al capitano che non gli dovesse fare morire, la fortuna
impedì i messaggi per disordinata grandezza dell’Elsa, che non li
lasciò passare in quella notte. Il capitano temendo non sopravvenisse
il comandamento, s’affrettò di farli morire; e la vilia di san Lorenzo,
a dì 9 d’agosto, con un altro terrazzano a cui aveano scritto che fosse
a loro scampo, in sulla piazza li fece dicollare, onde fu riputato
grande danno, e il capitano ne fu molto biasimato. Questa decollazione
si tirò dietro materia di grande scandalo e rivoltura di quella terra,
come al suo tempo racconteremo.

CAP. XXIII.
_Come gente del re di Francia fu sconfitta a Guinisi._
Essendo il re di Francia in singolare sollecitudine di racquistare la
contea di Guinisi che sotto le triegue gli era stata furata, vi mandò
millecinquecento cavalieri e tremila pedoni, tra i quali ebbe gran
parte di masnadieri lombardi e avendovi posto l’assedio, difendendosi
lungamente que’ del castello, i Franceschi vi feciono bastite intorno,
per tenerlo stretto con meno gente. Il re d’Inghilterra mettea con
due barche di notte gente in Calese per modo, che i Franceschi non se
n’accorgevano; e avendovi per questo modo accolta quella gente che a
lui parve, forniti di capitani avvisati delle bastite e della guardia
de’ Franceschi, una notte chetamente uscirono di Calese, e improvviso
da più parti assalirono i Franceschi, i quali impauriti del non pensato
assalto intesono a fuggire e a campare, senza mettersi alla difesa;
e così in poca d’ora furono rotti e sbarattati dagl’Inghilesi, e i
battifolli arsi, con più vergogna che danno de’ Franceschi per la
grazia della notte. E liberato il castello dall’assedio, e rifornito di
nuovo, del mese di luglio del detto anno gl’Inghilesi si ritornarono
nell’isola senza fare altra guerra. Poco appresso il re di Francia
scoperse che certi baroni il doveano uccidere per trattato del re
d’Inghilterra, per la qual cosa a certi ne fu tagliata la testa: e il
re a modo di tiranno si faceva guardare a gente armata, dentro e fuori
di suo ostiere reale, a cavallo e a piè, di dì e di notte nella città
di Parigi, cosa strana e disusata alla maestà reale e a’ paesani.

CAP. XXIV.
_Come i Perugini assediarono Bettona._
Tornando alle vicine materie, avendo il comune di Perugia da’
Fiorentini ottocento cavalieri di buona gente d’arme, con loro
sforzo valicarono le Giaci per porre l’assedio a Bettona, e con
grande popolo l’assediarono. E volendosi partire de’ cavalieri
dell’arcivescovo della terra, ovvero per andare in foraggio, otto
bandiere furono sorprese dalla gente dell’oste per modo, che la maggior
parte rimasono presi, e d’allora innanzi si ritennono dentro alla
guardia del castello. E procacciando d’avere soccorso da’ cavalieri
e dagli amici dell’arcivescovo ch’erano per lo paese di qua, e per
fare migliore guardia, si misono a campo fuori della terra nella
piaggia a petto al campo de’ Perugini. I Perugini aggiungevano al
continovo gente d’arme nel campo per soldo e per amistà, e mandaronvi
la maggior parte de’ loro cittadini, e dall’altra parte della terra
formarono due battifolli, perchè nè vittuaglia nè soccorso nella terra
potesse entrare. E così assediata la terra, procuravano d’afforzare
e d’impedire i passi, per riparare dalla lungi al campo che nimici
non potessono sopravvenire. E per questo modo durò l’assedio infino
all’agosto vegnente, come appresso diviseremo, e posto vi fu del mese
di giugno del detto anno.

CAP. XXV.
_Come fu liberato Montecchio dall’assedio per soccorrere Bettona._
Era in questo tempo stato assediato lungamente il piccolo castello di
Montecchio presso a Castiglionaretino da’ Tarlati e dal signore di
Cortona colla cavalleria dell’arcivescovo, e recato a partito, che i
maggiori di quelli che ’l teneano erano venuti nel campo per volerlo
dare. Temendo i Tarlati che avuto il castello per la vicinanza non
rimanesse al signore di Cortona, per consiglio aggiunte minacce a
coloro ch’erano venuti per darlo, si ritornarono dentro alla difesa.
E l’oste sollecitata del soccorso dagli assediati di Bettona, se ne
levarono, e accozzaronsi i cavalieri dell’arcivescovo con gli altri
cavalieri loro compagni ch’erano in Agobbio e nelle circostanze, e
trovaronsi millecinquecento barbute e masnadieri assai, e per fare
levare i Perugini da Bettona si misono a oste alla Città di Castello. E
stativi alquanti dì, feciono provvedere i passi come potessono andare
a soccorrere Bettona, e trovarono che i Perugini erano alla difesa
de’ passi molto bene provveduti e forniti alla guardia; tornaronsi al
Borgo per accogliere maggiore gente e forza, e farlo per altra più
lunga via. In questo medesimo tempo gli assediati per la speranza
del soccorso presono ardire, e assalirono l’uno de’ battifolli de’
Perugini, e vinsonlo e arsonlo, e mostrarne per segni di luminaria
gran festa; e con quella baldanza presa andarono ad assalire l’altro,
e furono occupati per modo da’ cavalieri dell’oste che tornarono in
rotta, presa parte della loro gente da cavallo e da piè; gli altri
si fuggirono tutti nella terra, levandosi da campo per stare alla
difesa delle mura, e da’ Perugini furono più stretti. I capitani della
gente dell’arcivescovo feciono capitano generale il conte Nolfo da
Urbino, e misonsi per la valle di Chiusi, e andarono a Orvieto; e
tratti i cavalieri ch’aveano in quella città, si trovarono con duemila
barbute; e volendo soccorrere gli assediati, trovarono in catuno passo
sì provveduti i Perugini e sì forti alla difesa, che per niuno modo
vidono di poterlo fornire. Ed essendo disperati dell’impresa, vollono
rimettere in Orvieto i loro cavalieri che n’aveano tratti, e non furono
voluti ricevere, e con gli altri insieme se ne tornarono al Borgo, e
gli assediati furono fuori d’ogni speranza d’avere soccorso.

CAP. XXVI.
_Come i Perugini ebbono Bettona e arsonla, e disfeciono affatto._
Vedendo i caporali ch’erano rinchiusi in Bettona che a loro era mancata
ogni speranza di soccorso, e che la vittuaglia era mancata, e mangiata
gran parte de’ loro cavalli, vedendosi a mal partito, con industria e
con danari pensarono allo scampo delle loro persone molto segretamente,
perchè sapeano bene che i Perugini avrebbono maggiore gloria d’avere
le loro persone che la terra di Bettona; e però strettisi insieme, e
prestato la fede l’uno all’altro, il signore di Cortona, e il conte di
Montefeltro, e Ghisello degli Ubaldini avendo procacciato per danari
il nome di quella notte, vestiti a modo di ribaldi per mezzo il campo
passarono a salvamento: onde poi fu incolpato alcuno de’ rettori di
Perugia. I soldati sentendo campati i loro capitani, incontanente
presono messer Crespoldo signore di Bettona, e uno de’ Baglioni di
Perugia ch’aveano loro data la terra, e patteggiarono co’ Perugini
di dare costoro prigioni, e rendere la terra salve le persone loro
solamente, lasciando l’arme e’ cavalli, e giurando di non venire mai
contro a quello comune nè a quello di Firenze, e così fu fatto; e
avendo mangiati centocinquanta cavalli de’ loro per fame, s’uscirono
della terra, e i Perugini la presono; e trattine tutti gli abitanti, e
tutte le masserizie e ogni altra sostanza, e condotta a Perugia, arsono
la terra; e dopo l’arsione abbatterono le mura dentro e di fuori,
acciocchè non avesse mai più cagione di rubellarsi a’ Perugini; e a
messer Crespoldo e a quello de’ Baglioni feciono tagliare le teste. E
questa fu la fine dell’antica terra di Bettona, ripresa a dì 19 del
mese d’agosto gli anni _Domini_ 1352, in gran vituperio de’ Visconti di
Milano, e a onore del comune di Firenze, per lo cui aiuto e conforto
infino alla fine i Perugini ebbono questa vittoria.

CAP. XXVII.
_Come la città d’Agobbio s’accordò co’ Perugini._
Giovanni di Cantuccio signore d’Agobbio, avendo veduto come le cose non
succedevano prospere all’imprese fatte per lo tiranno di Milano, e che
Bettona non era potuta soccorrere, ed era disfatta, diffidandosi della
sua difesa se la piena gli si volgesse addosso, sapendo che i suoi
cittadini non erano in fede con lui, con astuta malizia si provvide
e mandò a trattare pace co’ Perugini. E fu fatto che gli usciti vi
tornassono, salvo messer Iacopo Gabbrielli, e tutti avessono frutti de’
loro beni, e che due anni il detto Giovanni vi potesse eleggere podestà
d’Agobbio cui e’ volesse, e valicati i due anni, la città rimanesse
al comune, e i Perugini avessono la guardia della terra senza altra
giurisdizione: ma poco durò l’accordo, come seguendo si potrà vedere.

CAP. XXVIII.
_Come ser Lallo s’accordò con il re Luigi dell’Aquila._
Avemo addietro contato come la città dell’Aquila si reggeva sotto
il governamento di ser Lallo suo piccolo cittadino, il quale avea
dimostrato più volte di tenerla quando per lo re d’Ungheria, e quando
per lo re Luigi, come bene gli mettea; ma poichè il re Luigi fu
coronato, e i Tedeschi e gli Ungheri partiti del Regno, vedendo che
mantenere non la potrebbe contro alla corona, trasse suo vantaggio, e
fecesi fare conte di Montorio, ed ebbe altre due castella in Abruzzi,
e nell’Aquila ricevette capitano per lo re e per la reina. Nondimeno i
cittadini ubbidivano più ser Lallo che il re o suo capitano, e convenne
al re dissimulare la sua offesa per lo minore male.

CAP. XXIX.
_Come i Perugini e’ Fiorentini tornarono a guastare Cortona._
I Perugini avuta la vittoria di Bettona, colle masnade del comune di
Firenze ritornarono sopra la città di Cortona essendo messer Currado
Lupo uscito del Regno all’Orsaia con cinquecento barbute, il quale
si stette di mezzo senza pigliare arme; e i Perugini guastarono le
ville intorno a Cortona come seppono il peggio. In questi medesimi dì,
all’uscita d’agosto del detto anno, de’ cavalieri dell’arcivescovo
ch’erano tornati al Borgo a san Sepolcro si partirono milledugento
barbute, e andarono su quello d’Arezzo, e posonsi in sulla Chiassa,
e afforzarono di steccati certo poggio sopra il campo per più loro
salvezza: e quivi si misono per vernare in luogo dovizioso e grasso. E
per ingannare gli Aretini cominciarono a comperare e a pagare derrata
per danaio, non facendo vista d’alcuna violenza. E quando si vidono
forniti, cominciarono a cavalcare per lo contado, e fare preda di
bestiame e d’uomini e di ciò che trovavano senza avere contasto. E
questo avvenne, che alquanti cittadini, meno di sette, avendo occupato
il reggimento di quella città, per tema di loro stato presono gelosia
de’ Fiorentini, e innanzi soffersono il danno da’ nemici, che volessono
l’aiuto dagli amici. I Fiorentini nondimeno tennoro ottocento cavalieri
alle frontiere di Valdarno, e raffrenavano alquanto le loro gualdane,
e salvarono il loro distretto. Gli Aretini lungamente furono tribolati
da quella gente, per la singolare non debita paura di pochi loro
cittadini, come detto abbiamo.

CAP. XXX.
_Come gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana tornarono
dall’imperadore senza accordo._
In questi dì gli ambasciadori de’ tre comuni di Toscana ch’erano stati
con l’eletto imperadore tornarono, avendo assai praticato sopra i patti
e convenenze promesse per lo suo vececancelliere, non trovando con
lui concordia per la brevità del termine, e per la povertà del detto
eletto, tempellato dal consiglio de’ ghibellini che non si fidasse
de’ guelfi; ma questa parte non ebbe in lui podere, che conoscea che
la necessità lo strignea, volendo pervenire al suo onore, d’avere
l’amore e la confidenza de’ guelfi d’Italia, e però non si rompeva e
non riusciva a niuno effetto. In questo avvenne che ragionando con gli
ambasciadori, l’uno de’ Fiorentini per corrotto parlare, tenendosi più
savio che gli altri perchè avea maggiore stato in comune, riprendendo
l’eletto imperadore, disse: voi filate molto sottile; l’imperadore
che sapea la lingua latina conobbe l’indiscreta parola, e turbato
temperò se medesimo, parendoli che l’imperiale maestà ricevesse
ingiuria dall’indiscreta e vile parola; ma d’allora innanzi poco volle
udire quel savio ambasciadore. E venuto il termine diputato a’ detti
ambasciadori convenne che tornassono, lasciando la cosa sospesa da ogni
parte.

CAP. XXXI.
_Come l’arcivescovo cercava pace co’ Toscani._
In questa sospensione, gli animi de’ Toscani e principalmente de’
Fiorentini si cominciarono a cambiare, veggendo ch’erano a nulla del
loro proponimento; e in questo l’arcivescovo conoscendo che questi
comuni di Toscana intendeano a muovere contro a lui gran cose, e
veggendosi ributtato da’ Fiorentini e da’ Perugini, grave gli sarebbe a
mantenere guerra in Toscana, e già sentiva che i suoi vicini Lombardi
non si contentavano di vederlo troppo grande, pensò che per lui facea
d’avere pace co’ Fiorentini e Toscani; e confidandosi molto in Lotto
Gambacorti da Pisa che allora era amico de’ Fiorentini, fece muovere
le parole e insistere in quelle. Il nostro comune conoscendo che della
pace del tiranno poco si poteano confidare, nondimeno vedendo che colla
Chiesa nè coll’imperadore non aveano potuto far quello che procuravano,
diede a intendersi a questo trattato. E avendo l’arcivescovo a questa
fine mandati suoi ambasciadori a Serezzana, il comune vi mandò prima
religiosi per suoi ambasciadori, per sentire se la sposizione fosse con
speranza d’alcuno frutto. E nondimeno ordinarono e mandarono gli altri
ambasciadori a Trevigi, ov’era venuto il patriarca d’Aquilea fratello
dell’eletto e altri ambasciadori dell’imperadore futuro per trattare
le cose cominciate co’ comuni di Toscana. Lasceremo al presente
l’ambasciate tanto che torni il loro frutto, e seguiteremo nell’altre
cose la nostra materia.

CAP. XXXII.
_Come il prefetto da Vico fu fatto signore d’Orvieto._
I cittadini d’Orvieto rotti divisi e insanguinati per le cittadine
discordie, e caduti nella forza de’ ghibellini, essendo naturali
guelfi, voltandosi come l’infermo palpando, voltandosi ora da una parte
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 03
  • Parts
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 01
    Total number of words is 4457
    Total number of unique words is 1421
    40.3 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    60.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 02
    Total number of words is 4475
    Total number of unique words is 1420
    36.6 of words are in the 2000 most common words
    51.5 of words are in the 5000 most common words
    59.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 03
    Total number of words is 4604
    Total number of unique words is 1461
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    50.6 of words are in the 5000 most common words
    57.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 04
    Total number of words is 4645
    Total number of unique words is 1497
    37.1 of words are in the 2000 most common words
    52.2 of words are in the 5000 most common words
    59.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 05
    Total number of words is 4573
    Total number of unique words is 1468
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    51.3 of words are in the 5000 most common words
    58.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 06
    Total number of words is 4651
    Total number of unique words is 1456
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    55.3 of words are in the 5000 most common words
    62.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 07
    Total number of words is 4585
    Total number of unique words is 1429
    38.7 of words are in the 2000 most common words
    53.8 of words are in the 5000 most common words
    60.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 08
    Total number of words is 4689
    Total number of unique words is 1441
    40.5 of words are in the 2000 most common words
    56.0 of words are in the 5000 most common words
    62.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 09
    Total number of words is 4655
    Total number of unique words is 1439
    37.9 of words are in the 2000 most common words
    52.0 of words are in the 5000 most common words
    59.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 10
    Total number of words is 4661
    Total number of unique words is 1454
    39.7 of words are in the 2000 most common words
    55.3 of words are in the 5000 most common words
    62.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 11
    Total number of words is 4527
    Total number of unique words is 1407
    39.7 of words are in the 2000 most common words
    54.9 of words are in the 5000 most common words
    61.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 12
    Total number of words is 4474
    Total number of unique words is 1368
    38.2 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 13
    Total number of words is 4521
    Total number of unique words is 1337
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    60.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 14
    Total number of words is 4584
    Total number of unique words is 1392
    37.2 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Cronica di Matteo Villani, vol. 2 - 15
    Total number of words is 740
    Total number of unique words is 359
    53.6 of words are in the 2000 most common words
    65.2 of words are in the 5000 most common words
    70.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.