Amelia Calani ed altri scritti - 05

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quali benefizii se ne possano sperare.
Educazione considerata rispetto alla economia: educazione universale
efficace; la parziale nociva; deve imporsi però che la vaccinazione
della ignoranza prema per lo meno quanto quella del vaiolo. Errore della
educazione gratuita; vuolsi pagare e da cui. Come hassi a compartire ai
figliuoli del popolo perchè approdi. La libertà dello insegnamento giova
nei governi novelli costituiti con forme opposte al governo vecchio? La
uniformità della educazione nuoce al fine ch'ella deve proporsi? Ragioni
per le quali si chiarisce come, almeno nei primordii, ella ha da
ritenere del monastico e del soldatesco. La educazione primaria come sia
spada a due tagli; necessità che la educazione sia congegnata in guisa
che le parti stieno bene insieme e disgiunte, così che ognuna sia in sè
completa, e non dimanco porga l'addentellato alle altre. Chi più sa, più
può; per questo la educazione da un lato cresce il capitale, dall'altro
ne impedisce lo sperpero; si dimostra la verità della regola per via di
esempii ricavati dallo esercizio di arti e mestieri.
Della guerra, e perchè, dopo avere figurato fra le scienze fisiche,
ripongasi fra le morali. Se ambiziosa pretensione sia la _filosofia_
della guerra, ed in che consista quanto alla indole della impresa che
combatti, alla qualità delle genti che capitani, e delle altre contro
cui ti muovi, ai popoli amici o avversi in mezzo ai quali ti avvolgi,
alla disciplina, al modo di campeggiare, all'annona, alla notizia dello
ingegno del capitano avversario. Della pace universale; e si dimostra
possibile con ragioni ed esempii. Se ad uomini che non fanno professione
di soldato si addica trattare di cose militari. Del Macchiavello e del
Clerk d'Eldin. Dignità del soldato e sue lodi: temerarie parole del
gesuita Curci contro la virtù militare.
Scuole di politica quante. Dei metafisici, degli eclettici e degli
empirici. Se i partiti buoni emendino il cattivo indirizzo, o se il
buono indirizzo giustifichi i partiti rei, e fatti storici esaminati.
Difficoltà della politica; quali e quanti gli scopi di lei. Si discute
sotto parecchi aspetti la quistione della unità: considerazioni intorno
alla forma tellurica della Italia, alle origini dei popoli che
l'abitano, ai reggimenti diversi; anco il dispotismo, non essendo
raccolto in una mano sola, ebbe andatura ed effetti varii. Dei
municipii, e beni e mali di questi. Repugnanze dei popoli a mescolarsi.
Partiti per la unità d'Italia. Se possa attuarsi il suffragio
universale, e, potendosi, se tornerebbe favorevole alla unità. La forza
interna spegne la libertà, se esterna la indipendenza, durando poco, se
molto anco la naturalità. Fatti storici esaminati. Del concetto di Dante
Alighieri su la unità d'Italia. Ostacoli per unire in fascio i popoli
membri della stessa famiglia. Indagini intorno alla unità della Francia.
Se possa accettarsi lo Stato federativo come forma transitoria, e se
pregiudichi irreparabilmente le ragioni dell'avvenire: ostacoli
incontrati per lo addietro da questo partito, e se sarebbero da temersi
adesso sì dentro che fuori. Principi quanto sieno più previdenti dei
popoli. Qual corra obbligo alla Francia di riparare ai danni recati alla
Italia. Francia ed Inghilterra poco amiche fin qui alla unità d'Italia,
e perchè; a partirla in tre Stati le proveremmo forse benevole.
Condizioni della politica italiana. Quanto sia magnifico scopo la unità,
e nondimanco il maggiore impedimento verrebbe dagl'Italiani, eziandio a
partirla in tre Stati. Digressione su la Sicilia ed i Siciliani. Teoria
del Gioberti, che la nazionalità non patisce discussione; s'illustra
questa dottrina, e si chiarisce come la si abbia ad intendere.
Ragionamento intorno ai gravami messi in campo dai Siciliani in odio
dell'amministrazione di terraferma.
Della libertà; come sia definirla malagevole: in quante guise siasi
intesa ed in quante fatta consistere, così appresso gli antichi, come
appo i moderni; si esamina la indole della libertà nelle repubbliche
greche, nella romana, in quelle dei tempi mezzani. Dove la esperienza
insegna potere consistere la libertà. Se possano proporsi sistemi
compiti di governo: inanità dei programmi ministeriali, ed insania di
cui li pretende; se ne adducono le ragioni. Quello che ai ministri si
deve chiedere, e del come e' si abbiano a badare. Della opposizione
parlamentaria, e del sindacato. A cui spetti mettere fuori gli schemi di
legge, e come li deva proporre. Necessità del fidarsi, e pericoli che
l'accompagnano. Che giova più, leggi buone con uomini tristi, o
viceversa? Delle forze politiche a cui bisogna che i governi si
accomodino; indole, intenti e fini della politica quali. Parallelo del
Guicciardino col Macchiavello. Se la libertà possa precedere i buoni
costumi. Dei vizii, e del modo di giovarsene negli ordinamenti politici.
I partiti estremi donde nascano, e perchè durino. Dottrina del fare ad
ogni costo, anco male; parole gravi contro i fautori di quella.
Statuto quale abbia da essere, e modi di attuarlo: quali sieno le
riforme che più durano, e che cosa si propongano. Gli statuti nacquero
con la necessità di morire presto, o riformare quotidianamente: essi
tolsero il còmpito di condurre con ordine la opera della rivoluzione.
Querimonie di Carlo Botta sopra la libertà imposta alla Italia dai
Francesi, e in che paiono giuste, ed in che no. Necessità che i governi
dei varii popoli europei non discordino troppo fra loro, affinchè la
libertà metta piede stabile in Europa. Quale forma di governo si addica
adesso alla Italia. Se possa torsi via dagli Stati l'elemento
aristocratico ora, e poi. Democrazia a cui giovi, ed a che nuoccia:
Aristocrazia dove fa buona prova. Le democrazie pendono più che non si
dubita alle monarchie, e vivono d'accordo: esempi della proposta. Quale
forma di governo appaia più idonea a sostenere la guerra, scopo massimo
degl'Italiani. Opinione del Palmerston erronea; quanto più liberi i
popoli, tanto più pugnaci. Milizie delle repubbliche del medio evo, ed
in che si rassomiglino alle moderne inglesi: eserciti di Stati liberi
confrontati con quelli dei dispotici. Necessità di conservare gli
elementi monarchico ed aristocratico forse lungo tempo; l'aristocratico
sempre. Parlasi dello elemento monarchico nelle antiche repubbliche, ed
anco nelle moderne. Assurdo di popolo chiamato una volta a farsi il re,
e poi servire sempre. Logica della dottrina della legittimità: pericoli
delle monarchie ereditarie. Quale possano avere durata le monarchie
miste: _sempre_ parola scritta dalla Follia nel dizionario delle lingue
umane, e cancellata dal Senno.
Delle cautele da prendersi nei governi rappresentativi, e necessità di
studiare le provvidenze adoperate dagli antichi Stati italiani. Queste
cautele nel 1848 o non si seppero, o non si presero. Si cerca e si
chiarisce la ragione per la quale i ministri della Corona, da qualunque
partito si cavino, eletti appena pendano allo stringato. Proponesi nuova
e più razionale maniera di eleggere i ministri. Legge intorno ai reati
ministeriali; difficoltà di farla eseguire. Sindacato perchè sia
efficace come deva istituirsi, e da cui praticarsi: facile azione del
sindacato, come quella che non implica accusa nè colpa, mentre l'accusa
suppone sempre il delitto.
Ragioni con le quali si dimostra la breve durata dei ministeri
profittevole alla cosa pubblica: obiezioni e repliche.
Se lo esercito nei governi costituzionali deva commettersi al potere
esecutivo; massime educato nella dottrina della obbedienza cieca e
passiva. Dissertazione intorno alla natura della obbedienza del soldato.
L'esercito per lo scopo dell'azione deve dipendere dal Parlamento;
quanto al modo di operare, dal potere esecutivo. Chi dispone a suo senno
delle armi quegli è tiranno. Sentenza del Foglietta sopra Andrea Doria,
che predicava avere restituito Genova alla libertà, e riteneva il
dominio delle galere.
Obbligo imposto ai soldati di ammazzare i commilitoni colpevoli quanto
ingiurioso alla onorata milizia. Obietto della necessità di valerci
dello esercito nei casi subitanei senza consultare il Parlamento
confutato.
Non si potendo abolire l'aristocrazia, in qual modo la si abbia ad
accettare. Emulazione dentro certi confini mantiene vivaci le forze
dello Stato, trasmodando le sperpera. Confronto della ingratitudine dei
popoli con quella dei principi: si dimostra con gli esempii come
talvolta sia necessaria, e non pertanto partorisce la rovina degli
Stati. Ordine senatorio opportuno ad ovviare i mali della ingratitudine,
ed esame di un concetto del Sieyes. Prerogative ed importanza del
Senato.
Deputati come si devano eleggere: fallace fondamento elettorale su cui
si basarono gli statuti italiani, ma non si poteva fare a meno sul
principio: chi ebbe modo di riformarlo in processo di tempo e se ne
astenne o non sa che cosa sia governo, o fu ignavo, forse anche peggio.
Come si voglia chiamare la democrazia a prendere parte alle elezioni.
Dei brogli dannosi alla libertà, e partiti per prevenirli. Della plebe,
e perchè ributtata dagli uffici pubblici, e mantenuta ignorante
favorisca la tirannide. Opinioni contrarie intorno al pregio della
plebe; fatto sta ch'è piaga, e piaga dura perchè così si vuole. Partiti
per immegliare le plebi persuasi dalla ragione di Stato del pari che
dalla carità cristiana: intanto che le plebi si srugginiscono come le
dovrebbero essere rappresentate nei Parlamenti. Degli avogadori nella
repubblica veneziana, e degli abati del popolo in quella di Genova.
Dimostrasi la suprema necessità che i deputati ricevano stipendio dai
Comuni che rappresentano; cause che informarono lo Statuto toscano in
proposito. Mandato gratuito dannoso alla bene ordinata democrazia:
quello che sentisse e quello che disponesse su questo particolare il
generale Paoli, uomo copioso di senno pratico sopra ogni altro italiano.
Della opposizione parlamentaria, e di quante specie ella sia: quale non
debba patirsi; però dove cessi il governo rappresentativo intisichisce.
Deputazione è ufficio solenne; il deputato che senza congedo ottenuto e
senza causa chiarita non risponde tre volte all'appello deve
irremissibilmente cassarsi.
Deputazione a mo' dei benefizii curati esclude il cumulo; si espongono
le cause per le quali sembra non pure logico ma onesto che i salariati
dal governo devano rimanere esclusi. Governo che non attende con ogni
diligenza a procurare sincere elezioni crea il paese _legale_ diverso, e
talora anche contrario al paese _regale_ con manifesto pericolo della
libertà. Il governo che vizia l'elezioni è pari al pilota il quale
incomincia la navigazione buttando in mare la bussola.
Legge che sia. Cicerone la definisce meglio degli altri; tuttavolta si
mette avanti una nuova definizione e si spiega. Parlasi dei fini a cui
mirano le leggi. Ragione di agire delle forze fisiche e morali dell'uomo
di fronte al soggetto sopra il quale si versano. Distinzione prima delle
leggi in due sorti; a cui spetti proporne sì le une che le altre. Modi
pessimi di discutere le leggi, e quali parrebbero ad usarsi più
dicevoli; che ne pensasse il generale Paoli, e come provvedesse.
Del sorteggio adoperato dagli antichi, e se possa praticarsi dai
moderni.
Se si abbiano a desiderare leggi stabili, o se considerare ponti da
muratori, che levansi dal muro, e si fissano più in alto di mano in mano
che la fabbrica avanza.
Da capo dei vizii, e come possano adoperarsi per argomento di leggi: in
qual modo abbiano saputo approfittarsene gli antichi.
Considerazioni sopra il concentramento degli ordini amministrativi.
Parlasi di Federigo re di Prussia e di Napoleone I; differenza del
principio e delle conseguenze dei sistemi loro. Il primo spinse la
necessità dello Stato, e bene si mosse, meglio andò, sapientemente
stette, sè ed i popoli avanzando mentre visse, felicitandoli nello
avvenire: non così Napoleone, spinto più che altro da indomata
improntitudine. Il concentramento comecchè in certe occasioni utile
partorisce sempre la rovina della libertà: si chiarisce falsa la
opinione, che sopra ogni altro ordine esso basti a governare
gagliardamente; dove arriva taglia, ma a tutto non arriva; anzi troppo
più che non si pensa lascia di fuori. Ciò che nocque massimamente al
governo degl'Inglesi nell'India fu l'amministrazione di soverchio
concentrata: moniti di Enrico Russell con superbia molta e consiglio
poco respinti. Governi concentrati in Italia esosi allo universale;
prosperità mirabile dei nostri Comuni italiani donde muovesse. I governi
concentrati nuocono alla libertà, ma i larghi disordinati apparecchiano
la tirannide: assunto supremo sta nel dare buono assetto ai governi
larghi purgandoli da' vizii che gli rovinano. Come si possano condurre
due Stati ad accordarsi di formarne un solo. Statuti nostrani antichi
non consultati nella composizione dei nuovi. Statuto del generale Paoli.
Statuto di Leopoldo I. Ricercasi se lo Statuto Leopoldino sia stato,
come Carlo Botta spaccia, _una spiritosa invenzione_; prove della sua
verità somministrate dal senatore Gianni e dal granduca Leopoldo II.
Ricercansi le cagioni del primo Statuto toscano, e di quello del Paoli,
e come dovrebbero adattarsi agli Stati italiani. — A che cosa Leopoldo I
i beni della religione di Santo Stefano destinasse; quello che egli
sentisse degli eserciti stanziali, e come volesse possedere le milizie.
Distinzione tra milizie civiche e soldati volontarii; con le milizie
civiche possono ottimamente vincersi le guerre, e se ne adducono esempi.
Ordini egregi di Leopoldo I intorno alle fortezze dello Stato. Del
castello di San Giovambattista, del duca Alessandro, e di Filippo
Strozzi. Provvidenze dell'inclito principe circa alle cariche pubbliche,
ai benefizii ecclesiastici, alle pensioni, alle promozioni, ed alle
esclusioni, le quali apparvero tali, che nè anco i repubblicani
saprebbero immaginarle nè maggiori, nè più libere: per ultimo Leopoldo
I, volendo accertarsi che le assemblee rappresentassero il paese
davvero, prescrisse avessero a rimanerne esclusi gl'impiegati, gli
ufficiali di corte, ed anco i semplici pensionati.
Trattasi della prima rivoluzione di Francia, e delle cause che la
spinsero a commettersi in balìa di un soldato. Quale fosse l'animo di
Napoleone giovane, e come indi a breve mutasse consigli. Ragioni della
comparsa e della durata del primo impero: ragioni della sua decadenza.
Napoleone presentendole si appiglia a più maniere partiti per ovviarle.
Delle pratiche di Erfurt, e cagioni per le quali si possono credere
vere: riscontri storici diligentemente raccolti: s'indagano le cause che
secondo la verosimiglianza fecero capitare male coteste pratiche col
Russo. Napoleone le aveva tentate innanzi con la Inghilterra, e del pari
senza pro. Concetto napoleonico in che cosa pari, ed in che disforme a
quello di Alessandro Macedonio, di Carlomagno, Carlo V, e di parecchi
altri conquistatori. Fine della guerra russa, il quale avrebbe sortito
Napoleone, se non gli ostava la Provvidenza.
Trovati dei dottori politici per ritemperare la monarchia di diritto
divino con certe arguzie di libertà annacquata, che non attecchiscono.
Cortigiani e clericali imbaldanziti presumono restituire gli ordini
vecchi; mettendosi al cimento delle ultime prove se perdono, e con esso
loro la monarchia di diritto divino.
I dottori accaparrano la monarchia popolesca, e la circondano di nuovi
arzigogoli idonei a spingerla verso il precipizio, e presto: inettezza
suprema dei pretesi moderati a reggere gli Stati chiarita a prova. Il
pessimo dei concetti nei governi sta nel non averne alcuno, e dondolarsi
su tutti. Quello che puoi fare procura che torni in benefizio de' più,
poi fallo fino in fondo e presto; altrimenti i popoli si disamorano
della libertà, e ricascano sul vecchio, e talora anco peggio.
Mette capo la seconda repubblica in Francia, ma bacata dalle dottrine
dei perpetui dottori che l'entrano in corpo. Si dimostra come non fosse
Luigi Napoleone quegli che spense la repubblica: ogni partito tirando ai
proprii interessi, non si sa perchè dovesse egli astenersi di fare i
suoi. Esame degl'intendimenti del popolo di Francia, e se meritino
biasimo o piuttosto lode. Quello che il popolo francese restituendo lo
impero si proponesse. Indagasi con pacata disamina se lo eletto del
popolo all'aspettativa di lui abbia corrisposto; suoi concetti e sue
opere così dentro come fuori, e quali razionalmente argomentando
sarebbero le seguenze del suo operato per la Francia, per la Italia e
per la Germania.
Se i presunti concetti dello imperatore di Francia offrano probabilità
di riuscire, e riusciti se di durare; quali i fatti che avranno virtù di
attraversarli.
Delle storie ed importanza loro; come le si abbiano, e da cui si abbiano
a scrivere. Quello che gli scrittori italiani dovevano fare e non hanno
fatto: abbietti scartafacci dei tempi nostri, che la vergogna vieta di
appellare storie. Dei libri dei moderati, e di quelli dei repubblicani.
Se la verità, la decenza e la reputazione del paese, che pure si compone
di quella dei suoi uomini, sia rimasta offesa più dalle sfrontatezze dei
nostrani o da quelle dei forestieri. Se la storia deva ingolfarsi nei
gineprai di trattare per minuto delle guerre, delle paci, dei trattati e
simili, ovvero chiarire qual popolo nel cammino dei secoli stornò e per
quali cause, e quale altro progredì sempre retto, ed in grazia di quali
sussidii: chi fu più fecondo di opere grandi, e chi ebbe copia maggiore
di cuori generosi e d'intelletti divini. Conoscere la virtù alma
generatrice di quanto sublima la nostra natura, dimostrarla, promoverla,
alla venerazione del secolo additarla, e con essa le sue divine compagne
la Risoluzione e la Speranza compiono l'assunto massimo dello scrittore
di Storie.
Dei giornali: _apotete_ degli ingegni gobbi, ed anco dei fatti bene pur
troppo: scuole di errore e di arroganza: rovina ultima della favella
italica; i libri sotto questa pianta parassita prima di nascere muoiono.
Questi a un di presso sono gli argomenti che ci studiammo trattare nel
nostro scrittore italiano. Chiunque legge comprenderà agevolmente come
non potrebbe desiderarne altri i quali fossero o più gravi per la
materia, o più opportuni per la necessità, o più palpitanti[11]
d'importanza a cagione delle fortune nelle quali versiamo; certo egli
dubiterà del nostro valore ad esporli in guisa che la patria se ne
approfitti, e a parlare schietto questo timore travaglia noi quanto lui,
e forse anco più: ad ogni modo è forza dire prendendo consolazione nel
riflettere che una di queste tre cose non ci può venire meno: o qualche
utile verità troveranno chiarita, e tale da avvantaggiarne la Patria, e
tanto ci tornerà a premio oltre la speranza: o tutto lo scritto
apparendo erroneo ecciterà altri a indagare le cagioni del vero, e per
benefizio universale dichiararle, ed anco questo fie che a noi piaccia:
o per ultimo quando il libro ad altro non fosse buono che a porgere
testimonianza come l'ultimo pensiero che prima di pigliare sonno
lasciamo sul capezzale è la Italia, e il primo che ci troviamo
svegliandoci sia parimente la Italia, giudicheremo avere dato esempio
buono alle generazioni che crescono, e procurato a noi desiderabile
incremento di fama.
[11] Rassicurinsi i pedanti, che si sono gittati su la bella
Firenze come su bestia morta, e colà parlano di lingua a mo' che
i dannati ragionano delle glorie del paradiso: per giustificare
il _palpitante_ per siffatta guisa adoperato, ci sovviene
l'autorità del Bembo negli _Asolani_.

I.
Pietro Giordani fu scrittore pei modi forbiti del dire preclaro, e per
concetti eziandio commendevole assai: veramente gli nocque non poco alla
facile eleganza del dettato quel suo volere ormare la favella italica
sopra la greca, come recò pregiudizio al Boccaccio, e a quasi tutti i
suoi alunni, massime cinquecentisti, la imitazione soverchia delle forme
latine; imperciocchè dovrebbe pure capirsi, che la lingua nostra non ha
da essere latina o greca bensì italiana, e ritenere, quantunque derivata
in parte da quelle, indole propria; sentenza, che vale per il nostro
come per ogni altro idioma. Ancora, alla copia del sapere il quale
possedeva diverso e moltiplice il valentuomo, fecero impedimento due
cose secondochè sembra potersi giudicare: primieramente il cervello
educato a pascersi ogni dì con letture eccessive; per la quale usanza
pessima osserviamo gli spiriti spossarsi nel digerire, così che quante
volte presumano poi mettersi alla opera della meditazione vengono meno
al prefazio: secondamente lo spesso e troppo lungo starsi a crocchio. Ed
in vero se da una parte sarebbe peggio che inurbano, negare, che dalle
veglie piacevoli nasca seguenza stupenda di beni come a modo di esempio
sarebbero gentilezza di tratto, cortesia di espressioni, avvicendamento
di uffici benevoli, rettitudine di giudizi, copia di notizie, ed altre
più cose tutte care e gioconde, che troppo menerebbe in lungo riferire,
dall'altra poi bisogna confessare, che abitua gli animi al dissipamento,
e ad una certa compiacenza infeconda di vincere l'avversario nella
disputa, piuttostochè a cercare e a rinvenire la verità, alla lusinga
della lode casereccia, anzichè provvedere ad acquistarsi la pubblica, e
per ultimo a versarsi per entro cerchio ristretto di pensieri ed anco di
affetti.
Però se vorremo giudicare dirittamente dalle opere che egli ne lasciò,
ci è dato conoscere quale e quanto fosse lo ingegno di lui:
conciossiachè se da piccola materia egli seppe cavare scritti notabili
per erudizione, per filosofia e per politica, o come non gli sarebbe
riuscito di poggiare più in alto trattando materia di polso maggiore? In
cosiffatte discipline proviamo come gli argomenti più gravi spesso non
sieno i più ardui: all'opposto i leggeri spiombano, i solenni prestano
ala allo ingegno: i miseri è d'uopo levare da terra, e con prodigii
d'industria renderli notabili. E tanto intorno alle qualità di Pietro
Giordano basti; del quale parve bene favellare nel modo con che e' fu
fatto per reprimere (se pure fie possibile mai) la temeraria parlantina
di parecchi sciagurati, che reputano bello levarne i pezzi adesso ch'è
morto. — Pietro Giordani vivendo fece a molti il viso dell'arme, e si
mostrò stizzoso troppo più che a filosofo vero non convenga, ma ciò
invece di somministrare motivo per procedere ingiusti contro la memoria
di lui deve persuadere i discreti a compassionare e sfuggire le
debolezze umane.
Chiunque si affatica con coscienza intorno all'arte ardua di dettare non
ingenerose scritture, quegli apprende a rispettare coloro che lo hanno
preceduto: certissimi segni d'ignoranza la prosunzione e lo sprezzo; nè
qui si arrestano i suoi rei portati, chè per ultimo, e di tutti peggiore
la ignoranza mette al mondo la ingratitudine: famiglia infame, che la
eletta gioventù italiana torrà, come merita, in abbominio.
Pietro Giordani pertanto scrivendo lettera nobilissima al signore
marchese Gino Capponi intorno alle ragioni dello scrittore italiano
parecchie cose gli viene esponendo degne certo di molta lode, comecchè
congiunte insieme non paia che formino quella pienezza di facoltà
necessaria a tanto ufficio, nè taluna sembra, che faccia al caso: tutte
poi non si presentano meditate convenientemente al soggetto: così vero
questo, ch'egli stesso le propone per via di sommario di trattato il
quale si augurava svolgere in un libro che stava per dettare, e non
compose mai, piuttostochè materia ordinata e digesta.
E poichè l'argomento apparisce di suprema importanza, vale il pregio che
ogni uomo ci eserciti sopra lo ingegno meno come prova di sapienza, che
per debito cittadino; e di tanto sembra, che egli debba andare sicuro,
che offerendo l'obolo alla santissima opera se non gli si potrà tenere
conto dell'utile, ad ogni modo sarà accetta l'ottima mente.
Donde nasca e da cui venga lo scrittore italiano poco rileva: fra le
domande che a diritto gli si possono volgere non pare che deva avere
luogo quella che fece Farinata a Dante nostro: «chi fur gli maggior
tui?» Solo sarebbe desiderabile che possedesse roba non tanta da
generare superbia ed ignavia, nè tanta poca che lo costringesse a
sottomettersi altrui; estremo danno la servitù antica per la quale
l'uomo veniva a forza ridotto in potestà di altro uomo, e tuttavolta più
trista la odierna assai, come quella che lo induce a compiacere in
grazia del salario le voglie del padrone. Quella vinceva il corpo,
questa il corpo, e l'anima per giunta: la prima dava di tratto in tratto
qualche Spartaco, il quale convertite le catene in ispada periva in
battaglia, la seconda partorisce, ed anco di rado, Seneca, che muore
svenato dentro un bagno caldo: quegli finisce col ferro in mano, questi
con ciancie di filosofia su la bocca. Non vuolsi affermare tutte, che
non sarebbe vero, ma quasi tutte le laide o scellerate cose derivano dal
bisogno; però laddove lo scrittore cammini scusso della molta roba, e
della poca metta principalmente ogni suo onesto studio a farla. Ai
consigli dissennati non badi, chè se turpe si deve reputare l'agonia
della incontentabilità, e miseria degna più di compassione che di
ribrezzo l'avarizia, trovasi onore nel procacciarsi sostanza. Quali i
concetti e le opere di Catone Censore in proposito nessuno ignora: da
lui stimasi atto da figliuolo di donna vedova sminuire il censo paterno,
e disdoro espresso non lasciarlo, dopo lunga vita, cresciuto agli eredi;
nè diverso da Catone adoperò Marco Bruto, ultimo dei Romani, il quale si
dette con molta alacrità a ragunare pecunia per sopperire alle imminenti
distrette della Patria. Intendimento disperato, e quasi sempre infelice,
imperciocchè spente le virtù prische, male si presuma restaurare le
fortune pericolanti della Patria co' vizii e le loro sequele: così ai dì
nostri argomentano co' guadagni avanzati ai convegni della vanità e
della corruzione alimentare gl'istituti di carità, e si risolvono in
maschere di decenza che la ipocrisia fabbrica sul peccato, e la carità
non se ne avvantaggia o poco. Vezzo plebeo e volgarissimo intento è
trarre a dileggio quanto esperimentiamo nella vita degno di esempio, e
però non mancheranno di proverbiare lo ammaestramento, che primo
s'indirizza allo scrittore italiano, e che consiste nel procacciarsi
civanzo; ma tu, giovane, pon mente a questo: nessuno scoglio al mondo
più del bisogno è pauroso per miserabili naufragi di coscienze umane, e
se colui che impropera lasciò il bisogno annidarsi in casa senza tentare
gli estremi conati per cacciarnelo via, tieni per ferma di queste due
cose l'una, o ch'egli è un vile, o che già si trova sul cammino per
diventarlo. Nei libri dei Latini si legge avere la necessità comune
l'epiteto con le Furie, e questo era _diro_, che suona _empio, crudele_:
adesso chi fie che presuma vincere i Romani nel senso dello indomato
decoro?
La miseria rende contennendo l'uomo, e con esso le discipline ch'egli
esercita, nè a torto, imperciocchè paiano inette a fargli le onorevoli
spese; donde avvenne che lettere e letterati caddero presso a molti in
dispregio; il che quanto avanzasse la civiltà consideri chi ha senno.
Leggendo le sventure dei letterati del Valeriano riesce oltre ogni
credere amaro considerare come uomini meccanici arrivassero a stato
onorevole, e i letterati no, quasi le lettere tolgano il volere e il
sapere di governarsi decentemente nelle faccende ordinarie della vita;
la quale sentenza per antichi e moderni esempii si chiarisce falsissima.
Lasciando delle altre parti d'Italia per favellare soltanto di quella
che ci è patria, i tre Villani, il Davanzati, il Sassetti, ed altri non
pochi mercadanti furono, il Buonarotti, il Vinci, il Vasari, il Lippi
pittori, scultori e tutto quanto piacque loro essere, imperciocchè a
volere mettere qui tutto quello che seppero fare cotesti ingegni divini
verrebbero manco il tempo e la lena. Il Dante si versò nelle bisogne
pubbliche; il Petrarca altresì, nè fu alieno il Boccaccio dai traffici e
dalle ambascerie. Ai tempi nostri vedemmo Roscoe, Lewis, Campbell,
comecchè tenessero banca o fondaco, dettare nobili prose e versi di
eletta gentilezza. Gualtiero Scott uomo di toga assunse l'arduo carico
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