Amelia Calani ed altri scritti - 01

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AMELIA CALANI
ED
ALTRI SCRITTI

DI
F. D. GUERRAZZI
VOLUME UNICO.

CASA EDITRICE ITALIANA DI M. GUIGONI

=MILANO= | =TORINO=
Corso di Porta Nuova, | Via Carlo Alberto,
num. 5. | num. 42.
1862.

Proprietà letteraria di M. Guigoni.
Tip. già Boniotti diretta da "F. Gareffi"


AMELIA CALANI

Ottimamente, secondo la opinione mia, certo filosofo antico rassomigliò
la buona memoria della vita passata al profumo che lascia nella casa
degli Dei il grano dello incenso arso nel turibolo; e come quanto più
dura la soavità del profumo, tanto maggiore si conosce essere stata la
eccellenza dell'olibano, così non senza ragione misurano la bontà dei
defunti dal desiderio che nei superstiti si conserva di quelli: per la
quale cosa, anzichè riuscirmi argomento di pudore giungere tardo a
scrivere della Signora Contessa Amelia Calani Carletti, nè meno lode,
parendo a me, che questo indugio abbia a ridondare in massima onoranza
di lei.
Entrando pertanto senz'altro proemio a favellare della donna egregia,
meco stesso delibero di non ricordare i natali illustri, nè gli anni
primi del vivere, e di quanta venustà di forme le fosse liberale natura;
molto meno dirò (chè sarebbe indiscreto) del padre suo, e quanto
scapestrato egli fosse; le angustie domestiche, i giorni pieni di
affanno, e l'arcano scomparire di punto in bianco di lui: rifuggirò dal
raccontare come la donzella gentile non vivesse, ma logorasse gli anni
dentro uno di cotesti ergastoli volontarii, che nome hanno di Conventi,
dove dai genitori o spietati, o ignoranti, e spesso amendue, si buttano
le care intelligenze, ed i corpi leggiadri; onde quelle corrompendo
corrompansi, questi miseramente si guastino; alla rovescia degli
Spartani, i quali gettavano nell'Apotete i parti sconci, affinchè
crescendo non venisse per essi ad alterarsi la gagliarda leggiadria dei
cittadini: tacerò chi prima ella condusse a marito, e quali e quanti da
quel connubio a lei ne venissero figliuoli; e come rimasta vedova
piegasse l'animo alle seconde nozze con Mario Conte Carletti, ed altri
di cotale guisa particolari. In questo proponimento mi hanno fermo due
ragioni, che paionmi buone; la prima è, che potrei dirne troppo o troppo
poco, e nell'un modo e nell'altro allo scopo del mio discorso non
farebbe caso, divisando io tenere proposito della parte che sopravviverà
unicamente nei posteri ai funerali della inclita donna; l'altra sta nel
considerare come molti scrittori di queste cose così partitamente e con
sì bel garbo ragionarono, che a me non avanzerebbe su quel campo nè
anche lo infelice mestiere dello spigolatore.
E nè gli affetti levino querimonia in queste carte, ch'essi pure non
sono punto nostri, ma estrinseci a noi, ed in balía della fortuna: ad
ogni modo, comecchè meritati, in capo ad una generazione o due cessano,
chè natura ordinò, che l'uomo senta per sè, non per via di
fideicommisso; ed ogni generazione ha il suo cómpito di lacrime pur
troppo!
Quello che importa e giova ai posteri, sta nel conoscere le opere
dell'ingegno del defunto scrittore: queste durano sempre vive dinanzi
alla mente di loro: non supplicano ricordo, bensì lo impongono; non
accattano ossequio, ma discrete consigliano, che a spregiarle se ne
acquista ignominia. Quindi i futuri venerano ed osservano i dettati
degl'ingegni divini, perchè conoscono, che ciò non facendo, oltre alla
vergogna, ne avrebbero il danno.
La egregia donna, che da noi si è partita, sacrificò nella primavera dei
suoi giorni alle Muse, e non poteva fare a meno, donzella tenera ed
italiana, venuta a noi, per dirla con un suo concetto,
« . . . . . . . . . come di stella
Raggio, che scenda tremolando a sera;»
e la poesia insomma altro non è, che un'onda di sangue giovenilmente
generoso spinta dal cuore contro il cervello, donde poi si riversa su le
carte in mille rivi fantastici, eppure appassionati, discordi, e non
pertanto armoniosi, splendidi sempre; ma indi a breve baciata la sua
Musa in fronte le disse: — vatti con Dio, i fati avversi dalle donne
italiane chiedono ben altro che canto.
E senza ambage interrogò il suo spirito con le solenni domande: Qual è
l'ufficio della donna nel mondo? Quali le impongono doveri la famiglia,
e la patria? La donna italiana di presente pensa e vive, può, vuole, o
sa satisfare a questo suo dovere? Ed ora, per quanto le basterà la vita,
irrequieto l'agiterà il pensiero di chiarire questi argomenti: se fie
che per colpa di malattia interrompa la indagine, state sicuri, che,
rimessa appena, la riassumerà più alacre che mai, nè la cesserà finchè
con le forze non le sia venuto meno lo spirito.
Alla recisa ella bandisce: le femmine adesso nulla sono; animali di
lusso, e neanche dei primi; arnesi di voluttà, messi su gli altari, o
imbrodolati nel pantano, meno per merito o per demerito proprio, che per
insana voltabilità dell'uzzolo altrui: e quando anche non la vada così
alla trista per loro, la donna o per difetto di educazione o per
educazione guasta, o per frivolezza di costume, o per agonía di lusso
stupido e corruttore, si mostrerà incapace di consiglio, di alti sensi,
e forse di affetti. E sì che le donne nascendo formano la metà del
genere umano, e vivendo la superano; imperciocchè, o sia che le
passioni, o le cure, o le fatiche logorino più gli uomini, o per
qualsivoglia altra causa, eglino vivono meno delle donne assai; onde non
avrebbe a parere strano che in parte almanco le cose di questo mondo si
governassero da coloro, che oltre alla metà lo popolano. Anzi fa conto,
che, o lo consentano o lo contrastino gli uomini, le donne arrivano
sempre a reggere non parte, ma la massima parte delle faccende mondiali,
ed eziandio di quelle nelle quali non dovrebbero entrare, così porgendo
o la necessità, o la superba scioperatezza degli uomini. Al punto in che
ne siamo, ognuno conosce a prova come la donna se per ordinario non fa
la roba, ella o la conserva lunga pezza in famiglia, o presto la manda a
male: però la buona massaia fu giudicata sempre in casa una vera
benedizione di Dio. Questa comunella poi partorita dal matrimonio gli è
mestiero che si distenda fuori di casa; imperciocchè le faccende possano
durare tra l'uomo e la donna divise fino al punto in cui l'uomo si
mantenga sano e stia presente; ma laddove egli caschi infermo, o i
negozii lo tengano in viaggio, o la patria richieda l'opera sua,
bisognerà pure, che allora gli sottentri la donna: in simili casi l'uomo
di consueto fida in qualche suo fattore o commesso; ma se questo sia
savio partito, e riesca sempre a bene, lascio che altri giudichi: ad
ogni modo rimarrà sempre vero, che di rado troverai fede pari a quella
di colei, che si giurò compagna alle tue fortune, ed ha da pascersi del
tuo pane, bevere del tuo vino, e posare il capo sul tuo medesimo
guanciale. Tuttavolta, anche ciò messo da un lato, l'uomo in ogni tempo
ed in ogni maniera di civiltà, appena uscito alla vita, si abbandona in
balía della donna, e da questa riceve le impressioni così morali come
intellettuali: quindi prime maestre le madri, e più dei padri assai;
conciossiachè i padri, ai figliuoli adulti, insieme con gli altri, che
con esso loro conversano, insegneranno morale; professori, deputati a
ciò, gli ammaestreranno nelle scolastiche discipline; mentre, finchè la
infanzia dura, la madre si trovi ad essere maestra di tutto sola. Certo,
le prime impressioni non si vogliono sostenere indelebili: può la
educazione successiva cancellarle; ma oltrechè riesce difficile sempre,
e i primi abiti quando meno te lo aspetti tornano a galla, il meglio che
vada gli è di rifare i passi con perdita di tempo, e sovente con perdita
della ingenua serenità dell'animo.
Se le belle donne procreano i bei garzoni senza saperlo, virtuosi non li
possono fare ignorandone l'arte. Di qui il bisogno di allevare bene le
donne, se pure vogliamo che a posta loro sappiano educare i nostri
figliuoli. Afferma la nostra filosofia le donne non avere ricevuto
convenevole educazione nè presso le civiltà antiche, e nè durante il
tempo che sogliamo appellare medio; e questa, a vero dire, parmi ricerca
ardua; anzi dubito forte, se, mettendocisi di proposito, si venisse a
capo di rinvenire la sua sentenza vera; infatti torna ostico a credere
che Lucrezia, Cornelia, e la vedova del magno Pompeo, ed Arria, ed
Eponima, e la moglie di Marco Bruto non fossero educate, nè capaci ad
educare presso i Romani. Rispetto a Cornelia, Plutarco, nella vita dei
Gracchi, racconta come dimorando ella nella sua vecchia età presso il
Miseno soleva mettere tavola, e trattenersi in quistioni convivali, dove
qualora cascava il taglio di favellare dei suoi figliuoli Tiberio e
Caio, sì il faceva come se parlato avesse di uomini e di cose di altra
età a lei remotissima; per lo che alcuni la giudicavano, a cagione degli
anni o della grandezza dei mali, svanita; ma Plutarco dice, e dice bene,
che insensati erano quei cotali, non sapendo quanto ai colpi di rea
fortuna giovi la educazione magnanima, e come la virtù, troppo spesso in
ogni altra cosa vinta, non può essere superata mai nella costanza. E a
cui basterebbe il cuore di negare, che bene educata fosse Arria, Arria
dico, la quale insegnò allo esitante marito come con morte si fugga
servaggio, sicchè cacciatosi nelle viscere il pugnale, ne lo cavava
fumante, e porgendolo al marito gli diceva: — _Pete, non dolet?_[1]
[1] Pete, non dolet. — _Svet._, in _Cl. Nerone_.
Nè inculte riputerò io nè altri le Lacedemonie, se consegnando ai
figliuoli lo scudo in procinto di combattere, superato ogni senso
imbelle, poterono ordinare: — Con questo torna, o dentro questo. — Rozza
a mio parere non fu la madre di Cleomene, la quale a verun patto
sofferse che, per francarla dalla servitù di Tolomeo, il figliuolo
stringesse lega con gli Achei; e meno di ogni altra quel fiore eterno di
gentilezza Cleonida, che, prevalendo il consorte Cleombroto nella
contenzione del regno, figlia pietosa seguitò consolando il padre
Leonida nello esilio; e quando poi i nemici di Cleombroto richiamato
Leonida da Tagea lo restituirono nel dominio e l'altro riparò nel tempio
di Nettuno sfidato, la valorosa donna mutando animo con la fortuna
conteneva il furore del padre cercante il genero a morte: alfine
ottenuto a Cleombroto lo esilio, pose nelle braccia di lui il figlio
primogenito, e l'altro pargoletto recatosi ella medesima in collo, dopo
adorato il Dio, tenne dietro ai passi del marito, invano il padre colle
braccia tese e singhiozzoso supplicando, che non lo abbandonasse. Narra
la fama lontana, che la divina donna a blandire l'ansio genitore non ci
adoperasse parole altre che queste: — _la parte della donna è quella dei
miseri._ — Plutarco, insegnatore stupendo di sensi magnanimi, questa
avventura raccontando considera, che se Cleombroto non fosse stato del
tutto guasto dalla superbia avrebbe creduto lo esilio, in compagnia di
tanta donna, fortuna troppo migliore del regno. Presso gli Ebrei doveva
farsi stima maravigliosa delle femmine, se Salomone, re di quella
sapienza che tutto il mondo conosce, ebbe a dire la donna valorosa
essere la corona della vita; e così pure tra gli Egizii, porgendo le
storie che un re dei loro, volendo mostrare ad un altro re le sue
ricchezze, ultimamente per la cosa più nobile che possedesse gli additò
la moglie, con assai acconci ragionamenti persuadendolo non potersi
trovare al mondo gemma, per quanto preziosa ella sia, che superi in
pregio la donna prudente. Nè fra gli antichi si reputi già che le
femmine di alto affare soltanto ci somministrino indizio di ammiranda
coltura, imperciocchè credendo questo andremmo errati: all'opposto per
quanto scenderai tra persone umili ed anco abiette non ti verranno meno
gli esempii; così troverai Frine cortigiana profferire la pecunia turpe
a rimettere in piede le mura di Tebe, e il collegio amplissimo delle
meretrici greche condursi a supplicare Diana in Corinto, affinchè la
patria invasa dai barbari liberasse, e liberata poi magnifici tempii in
Efeso e sul territorio di Abido le votarono.
In altre età, presso altra gente, io non temerei obiezione; ma qui
dubito, che non mi si opponga trattarsi negli esempii allegati piuttosto
di amore di patria che di coltura; al che risoluto rispondo, come il
fine di ogni disciplina, e di qualsivoglia istituto, anzi pure della
stessa famiglia, sia l'amore di patria, anzi pensiero e palpito di
questa umana creta finchè le si concede argomentare e sentire.
Neppure apparisce puntuale, che nei tempi mezzani fossero stimate le
donne materia pretta, e forse sembrerà piuttosto vera la contraria
sentenza, che le non ricevessero mai culto più fervente d'allora; e non
fie arduo chiarirsene pensando come, gli ordini del vivere civile
obliati od offesi, a contenere i feroci appetiti non avanzasse altro
freno che la mente della donna. Le virtù e le scienze più sante furono
simboleggiate con simulacri femminei; e Dante, che per lo Inferno e il
Purgatorio si contenta di Virgilio e di Stazio, in Cielo poi non patisce
altra scorta che di donna, la Beatrice sua, per la ragione espressa nei
dolci versi che incominciano:
«Donne che avete intelletto di amore.»
Vanno per le storie famose le Corti di amore di Guascogna, Narbona,
Fiandra, Sciampagna, e della regina Eleonora, dove un collegio di
femmine non giudicava solo i piati della gaia scienza, bensì quistioni
coniugali scabrosissime, quali appena ai dì nostri attenterebbonsi
decifrare dottori solenni _in jure_, come a mo' di esempio la sarebbe
questa. Sottoposto alla decisione della contessa di Sciampagna il
quesito se vero amore potesse fra marito e moglie durare, rispose: —
«Col tenore delle presenti facciamo sapere a cui spetta, che amore fra
gente maritata non regge, e ciò per causa che gli amanti l'uno l'altro
largisconsi quanto possiedono liberi e sciolti da qualsivoglia obbligo,
necessità, patto, e condizione, mentre all'opposto gli sposi sono
costretti a sopportarsi a vicenda e a darsi scambievolmente quello di
cui vengono richiesti. Questo giudizio da noi profferito con molta
ponderazione, e dietro avviso di molte e sapute gentildonne, di ora in
poi intendiamo e vogliamo che sia considerato come cosa ferma e non
soggetta a dubbio. Così deciso l'anno 1174, il terzo calen di maggio,
indizione VII». — E correndo la temperie propizia le donne non si
chiamarono contente alla parte di giudice, chè vollero altresì
sperimentare la dolcezza di comporre leggi; e le composero, chiudendole
dentro un codice di 33 ordinanze, le quali se te ne piglia talento
potrai leggere nelle opere di Andrea cappellano del re di Francia, e più
destramente nel libro di Enrico Beyle intorno all'amore. Il Don Chisotto
di Michele Cervantes non esagera punto la sperticata reverenza, che un
dì gli uomini professarono per le donne, e ce ne persuaderemo alla prima
quante volte pongasi mente a Santo Ignazio lojolita, il quale incominciò
la vita beata dichiarandosi cavaliere della Madonna, e facendo la veglia
d'avanti al suo altare con sacramento espresso di sostenere con lancia e
spada, a piedi e a cavallo, a primo transito, o a tutta oltranza l'onore
della sua dama contro qualunque
«Ebreo, Turco o Cristian rinnegato.»
Certo, non vuolsi mettere in oblio come Santo Ignazio, prima di
diventare quel gran santo che tutti sanno, avesse dato nei gerundii, ma
ciò non toglie niente alla verità del fatto, che le donne durante l'età
mezzane furono reputate assaissimo e forse d'avanzo.
Anzi, cosa non vista più mai prima nè dopo, Roma sacerdotale in cotesti
tempi ebbe viscere davanti lo spettacolo dello amore infinito di due
donne, e disse santo per loro quello che aveva predicato fin lì e
continuò poi a predicare per gli altri misfatto. Narra il reverendo
dottore Lorenzo Sterne come il conte di Gleichen, combattendo in Giudea,
venisse preso e mandato a lavorare nei giardini del Sultano: ora piacque
a Dio, che la figliuola di questo principe infedele avendo posto gli
occhi addosso al cavaliere, e parendole, come veramente egli era, di
signorili sembianze, e bello, si sentisse accesa forte di lui, sicchè
certo giorno, capitatole il destro, messo da parte ogni ritegno, gli
aperse il conceputo ardore, dandogli ad intendere sè essere disposta,
amante e sposa, a seguitarlo libero dalla catena a casa sua. Al conte
sembrò divino ricuperare la cara libertà; ma dall'altra parte riputando
diabolico tradire la fiduciosa trasse un lungo sospiro, e poi la chiarì
aspettarlo nel paterno castello una moglie amantissima e amata. La
Saracina sopra sè stette alquanto; poi rispose, che non faceva ostacolo,
come quella che per sua legge era assueta vedere più femmine mogli di
uno stesso marito. Allora senza porre tempo fra mezzo entrati in nave
dopo molte fortune arrivarono a salvamento a Venezia, dove ristoratisi
dei patiti travagli mossero uniti al castello di Gleichen. La Castellana
(tanto in lei poteva lo sviscerato affetto pel marito!) di leggeri
sofferse riacquistarlo a qualsivoglia patto, non rifinando di
abbracciare e baciare la Saracina, professandole grazie maravigliose pel
benefizio ricevuto. In seguito, essendo ella non meno religiosa che
magnanima, considerò che a rimanere insieme legittimamente uniti si
opponevano i sacri canoni; e a starsi in casa in tutto altro aspetto che
moglie dissuadeva la Saracina il senso di donnesca dignità destosi
alfine sotto lo influsso degli esempii gentili, e dei santi
comandamenti. Per la qual cosa la Castellana propose, e l'assentirono
gli altri, di recarsi a Roma di conserva, e quivi supplicare il Papa,
affinchè nella sua plenipotenza il duplice matrimonio al conte
acconsentisse. Sedeva allora su la cattedra di San Pietro Gregorio IX,
al quale parve da prima quella del conte una faccenda imbrogliata, ad
assettarsi impossibile; ma preso tempo a meditare, si sentì commosso
dalla fede della Saracina, dall'alto spirito della contessa, dalla bontà
del marito, dallo affetto di tutti; e poi bilanciò da un lato l'acquisto
di un'anima se concedeva, e dall'altro la perdita sicurissima di quella
se ricusava; onde in virtù della sua potestà permise il doppio vincolo,
a condizione che la Saracina si rendesse cristiana: il che fu fatto.
Così rimasero uniti: e la storia aggiunge, che la Saracina non avendo
generato figliuoli amò di amore materno quelli della rivale. Per molto
secolo si mostrava, a cui volle vederlo, il letto dove riposavano il
capo questi tre avventurati; e, come il letto, ebbero comune la tomba
nella chiesa dei Benedettini a Petersburgo di Allemagna. Il conte
superstite alle amate donne, prima di raggiungerle nel sepolcro, ci fece
scolpire sopra questo epitaffio di sua composizione:
«Qui dormono in pace due donne le quali si amarono come sorelle, e me
amarono del pari. Una abbandonò la legge di Maometto per seguitare il
suo sposo; l'altra tutta amore si strinse al seno colei che glielo
restituì. Uniti col vincolo dell'affezione e del matrimonio, avemmo
comune il letto in vita, e morti ci copre la medesima pietra.»
Qui però non giace il nodo; chè se in antiquo le femmine o no
ricevessero convenevole educazione, se poco se ne facesse conto o molto,
importa mediocremente indagare; di troppo maggiore portata è conoscere
se ai tempi che corrono l'abbiano o non l'abbiano, se meritino
reverenza, o vituperio. Se dovessi giudicare proprio di mio, ci penserei
due volte, e poi me ne asterrei; ma dacchè femmine di alto intendimento
lo confessano, ripeterò con loro, che la più parte delle nostre donne
compaiono d'ingegno ottuse, frivole di mortale fatuità, infaticate
cicale di cose inani, di cuore stupide, corrompitrici e corrotte, alla
patria danno, alla famiglia disdoro, maledizione ai figliuoli, delle
stesse discipline gentili maleaugurose guastatrici, avendo ridotto a
scusa d'imbelli ozii, ed arnese di turpitudine, ciò che una volta fu
carissimo ornato del vivere urbano, e quindi con lieve trapasso
diventano argute fabbre di servaggio, confederate di ogni maniera di
tirannide, fomentatrici di viltà; morte insomma della italiana virtù.
Gravi carichi questi, e meritati, se non da tutte le donne, chè saría
temerario affermarlo, da molta parte di loro; e questo egli è doloroso
come vero pur troppo! L'anima spaventata raccapriccia a pensare come
parecchie femmine, nè tutte grossiere, ma talune di natali illustri, il
commercio degli abborriti oppressori nostri sofferissero, nè soltanto
soffersero, ma lo cercarono, e ambirono, e — lo dico, o lo taccio? — (Io
pur dirò, onde sia chiarito a prova, che il secolo vile ha vinto il
paragone col più vile metallo) — seco loro si mescolarono in
abbracciamenti, i quali non so se benedicessero i preti, usi sempre a
benedire chi gli atterrisce o li paga; questo altro ben so, che gli
maledissero tutti: anzi una perduta la casa disertata e il figliuolo, si
cacciò dietro ustolando al tedesco lurco, il quale indi a poco ristucco
la buttò via come calzare sdrucito, ed ella tornò per fare la gente
dubbia se fosse maggiore o la sfrontatezza sua riparando dentro le
religiose mura della Patria o la viltà dei cittadini patendo
ch'entrasse, ed entrata sopportandola. — Che se taluno statuisse
contrappormi essere stati cotesti accidenti radissimi, io vorrei pure
potere rispondergli: — Dio volesse! — Ma poche non furono per avventura
coteste matte e crudeli, che nulla memori del recente oltraggio della
occupazione straniera, nulla della perduta libertà affannose, nulla
curando l'angoscia di chi si consuma negli squallidi esilii, nulla la
strage menata di tante vite dal morbo asiatico, nulla l'altro flagello
della fame minacciante; nulla sbigottite o irate dal pensiero, che i
nomi stessi dei magnanimi morti in difesa della Patria svelti dalla
vista dei pietosi fossero posti in disonesta carcere; niente sospettando
di sdrucciolare sul sangue sparso per le pubbliche vie dagli assassini
tedeschi,... con piè irrequieto, la cervice alta, larvata la faccia come
chi commette misfatto, su per coteste vie menavano balli! La storia
piangerà nel registrare questa infamia nelle sue pagine, ma nè lacrime
nè sangue varranno a cancellarle giammai. Mercè vostra, o gentilissime
donne toscane, i posteri sputeranno in faccia a questo tempo come al
ladro esposto alla gogna!
E che presumete voi dire con cotesti labbri irrequieti, che mordendo
contenete appena? Lo so: tacete: infamia partecipata non iscema; e se
nel fallire vostro aveste complici gli uomini, io non mi rimuovo da
considerare la vostra colpa principale, però che a voi sopra ogni altra
creatura Dio commise la santa custodia degli affetti, il pudore nello
infortunio, ed il pio blandimento alle ferite dell'anima. Dove corre
maggiore obbligo, quivi eziandio la mancanza è più grave; e ragione
vuole, che ne conseguitino esasperati la rampogna, e il castigo.
Però qui cade in acconcio notare, che ogni educazione femminile verrà
manco se innanzi tratto gli uomini non attendono ad emendarsi, ed
educarsi davvero: se quali sono mantengonsi, egli è negozio spacciato,
chè qual coltello tal guaina si rimarranno pur sempre; e in ciò sta
tutto.
Inoltre considera, che il guaio della educazione parziale pareggia, se
pure non vince, quello del difetto assoluto di educazione. La prima
radice dei mali diuturni così intrinseci come estrinseci, che
travagliano i popoli, secondo il mio parere, deve cercarsi nella
disparità di scienza, d'istituti, di civiltà, e di possanza fra loro. Se
il male del precipitare innanzi di un popolo, o di un ordine di
cittadini, stesse unicamente nell'obbligo dei precorsi di attendere i
serotini, non meriterebbe la spesa di rammaricarcene troppo. Ma la non
va così: i precursori reputandosi da più degli altri retrogradano
riottosi per la dominazione, di che i serotini sbigottiti stornano a
posta loro, e a fine del conto per civanzo della classe o stirpe che
volle stracorrere tu trovi come le sieno andate tutte a ritroso.
Urge però, che la educazione sia universale, cioè compartita a tutti:
questo di prima côlta apparisce, non pure difficile, impossibile; attesa
la repugnanza delle generazioni, che sembrano benedette dalla natura con
un pugno sul capo; ma non ci si vede proprio motivo come la Tirannide
riesca a fare tante cose per forza a fine di male, mentre la Libertà o
non sa, o non vuole fare anch'ella qualche cosa per forza a fine di
bene; chè se per avventura fosse questo ch'io vado a dire, non
tornerebbe in onore agli uomini, che godono fama di liberi; tuttavolta
va detta. Il tiranno non dubita di mettersi allo sbaraglio in qualunque
cimento, perchè sa che guadagnando non partisce; mentre i liberali non
operando per sè, bensì per tutti, repugnano avventurare la posta grossa
sopra una carta di cui non possono mettersi in tasca la vincita. Di qui
nasce, che vediamo procedere gli ordinamenti per la Libertà dei popoli
ranchettando come i rachitici, mentre i tirannici vanno via di galoppo,
e dove mettono piè stampano l'orma. I governi assoluti hanno potuto
imporre, che la gente s'inocchiasse il vaiolo, e ciò perchè premesse
loro assaissimo avere uomini sani e gagliardi per trasformarli in
mastini, fidati e mordaci custodi del trono: importava ai governi liberi
inocchiare la ignoranza, affinchè i cittadini crescendo nella notizia
della dignità umana non potessero essere plasticati mai più in arnesi di
servitù, e non si attentarono a comandarlo. Base prima della educazione
sia pertanto la universalità, e dove non ti venga conseguita per amore,
tu conquistala a forza. Si capisce benissimo che di questa sorte
spedienti non si possono pigliare senzachè si scateni un remolino di
querele, di presagi sinistri, e di minaccie, che l'odierno vivere civile
tracollando giù sul lastrone empirà il mondo di ruine: non vi affannate,
di grazia; bene altri edifizii, che non è la bicocca della civiltà
nostra, cascarono, e le moriccie di quelli servirono a nuove fabbriche
più adattate ai gusti di cui le murò; e poi, che vale chiudersi le
orecchie? Tanto, la voce dei tempi si fa sentire ad ogni modo, la quale
avverte, che nonstante l'aborrimento degl'interessati nella immobilità,
e malgrado i rimedii proposti talora peggiori del male, l'attuale
civiltà ci traballa sotto i piedi: forse qualche subitaneo accidente
potrebbe accelerarne il moto già rapido; e se ciò fosse bene, Dio sa; ma
dove questo non avvenga, considera arguto e vedrai, che succederà
negl'istituti nostri quello che accade nel pregio dell'oro, voglio dire,
che ogni anno scapita l'uno circa per cento, sicchè andando innanzi di
questo passo nel volgere di un secolo gli scudi tanto svisceratamente
amati non avranno più valore. Ma sì! credere che ai tempi che corrono di
qui a cento anni non capiti una rivoluzione, egli è come sperare le more
a mezzo gennaio. Su via, giuochiamo a carte scoperte: senza dilungarci
dall'argomento delle donne, vi par egli che meriti andare conservato
questo consorzio dove il giudice stasera saluterà una femmina
prudentissima, e savissima, di dentro e di fuori divina, e non ardirà
contradirle, e domani le decreterà il curatore che l'assista a cagione
del _sesso imbecille_ nella vendita di un fienile? Bugiarde le leggi,
falsità nei costumi, magistrati ipocriti; e non si dice il peggio.
Queste forme sociali pur troppo hanno da cascare; e più presto sarà, fie
il meglio. Ad eccezione di pochi, mi pare sentire bociare dietro di loro
quello che disse la botta all'erpice.
Lo so per esperienza, che quando si tratta di rifare i panni ad un
popolo non è dato mica tagliare dalla pezza, bensì fa mestiere ire
innanzi a suono di toppe, e rabberciare alla meglio; però nel concetto
della educazione universale apparécchiati ad incontrare di molte maniere
inciampi, e prima di ogni altro questo, se la dovrà essere gratuita o
pagata: se pagata, il povero non potrà pagare per sè; e se gratuita,
l'avrà a pagare per sè e per altrui. Contradizione apparente, non vera,
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