Amelia Calani ed altri scritti - 03

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come corredo necessario alla perfetta creanza femminile: e così vero si
chiarisce a prova il suo giudizio, che tu ti trovi guidato quasi
spontaneo a considerare che simili delicature dalle donne diventate
mogli o continuansi, o tralasciansi: se bene esperte elleno le
metteranno da parte, il meno che se ne possa dire sarà, che avranno
buttato dalle finestre tempo e quattrini; e se all'opposto dureranno a
esercitarle, comecchè a taluna sia per sapere di ostico, io lo vo' dire
senza barbazzale, la strada che mena al bordello apparisce pavimentata
più assai di tasti di ebano e di avorio, che di macigni di Montemorello.
In verità io vi assicuro le tastiere dei cembali superare in infamia di
naufragi gli scogli acrocerauni: per chi ce gli sa vedere, esse
compaiono ingombre di frantumi di virginei pudori, e di fedi coniugali.
Gli antichi così barbari come gli altri che salutiamo civili, ebbero in
dispregio la musica e i musicanti, narrandosi che i Persi e gli Assirii
gli annoverassero addirittura fra i parasiti: gli Egizii vietarono
affatto lo studio della musica come allettatrice e quasi mezzana di
viltà. Fra gli Ateniesi Antistene giudicò uomo di male affare Ismenia,
solo perchè teneva in delizia certo trombettiere famoso; e Filippo, il
quale di rei costumi non sembra che patisse penuria, udendo Alessandro
cantare, e notando com'ei se ne compiacesse, lo garrì aspramente
dicendogli: — vergognatene! Presso i Romani Scipione Emiliano e Catone
bandirono i musicanti dannosi alla gravità dei costumi; servile arte la
musica, e di uomini ingenui indegnissima: in seguito contaminate le
pubbliche virtù, e volgendo ormai gli animi al servaggio, Augusto si
attenta cantare; ripreso, cessa. Nerone solo ardì vantarsene; anzi
presso a morte, di una cosa sola fu sentito rammaricarsi, ed era, che
stesse _per perire un artista pari suo_[2]: ma sotto Nerone non si ha a
cercare quale virtù se ne fosse ita via da Roma, bensì quale vizio non
ci avesse diluviato dentro; e a petto delle altre immanità il vezzo di
Nerone di volere passare per citarista poteva dirsi galanteria. Certo, i
Pagani conobbero le Muse sonatrici, cantatrici, ballerine e mime, ma le
si tenevano come fantesche in casa Giove; Pallade all'opposto, ch'era
Dea della sapienza, si provò un giorno a sonare la tibia, senonchè presa
da subita confusione la buttò via; nè in luogo alcuno di poeti, o in
monumento qualunque, tu troverai, che Giove padre degli Dei sonasse o
cantasse, comecchè troppo più spesso che non bisogni questo benedetto
figliuolo di Saturno occorra intricato in certi bertovelli, che io passo
sotto silenzio per due ragioni: la prima a causa di onestà, e poi perchè
tutti gli sanno. La Chiesa cristiana, finchè ritenne angelica natura,
nella sua santa purità maestosa aborrì ogni meretricio ornamento, sicchè
apparve davvero discepolo di Cristo santo Atanasio, che ebbe in orrore i
canti e i suoni peggio che il diavolo l'acqua benedetta; per converso
santo Ambrogio li predilesse a braccia quadre: quegli li cacciò via dal
santuario, questi ce gl'immise, ed ancora ci stanno: santi furono
ambedue; per la qual cosa santo Agostino, ch'era un terzo santo, non
sapendo che pesci pigliare, secondo il solito ciondola, e non dà in
tinche nè in ceci. In quanto a me s'io avessi a dire la mia, urlerei
tanto che mi sentissero: non pure scandalo, ma vituperio espresso
essere, che oggi canti in chiesa su l'organo la sequenza della _Stabat
Mater_, o il _Miserere_, quel desso, che cantò ieri sul Teatro la
cavatina lasciva, e la cabaletta procace: mandarci poi fanciulli
castrati, abbominazione romana. Anche la _Stabat Mater_ aveva a
diventare truculenta in mano ai preti! Avendo i Romani in uggia il
canto, immaginate un po' voi in qual parte dovessero avere i ballerini;
laonde leggesi nelle storie come Sallustio, il quale non fu uno stinco
di santo, rinfacciasse a Sempronia la perizia nella danza troppo più che
ad onorata matrona si convenisse[3]. Gabinio e Marco Celio per la
medesima causa ne rilevarono dai Censori un cappellaccio, che Dio ve lo
dica per me, e quell'agro Catone fra gli altri misfatti apposti a Lucio
Morena non dubitò accusarlo di avere ballato in Asia; e che la dovesse
essere faccenda seria s'inferisce anco da questo, che Marco Tullio, il
quale difese Murena, non trovando discolpa che valesse, abbracciò il
partito di tirare giù buffa negando il fatto addirittura.
[2] Qualis artifex pereo. — _Svet._ in _Cl. Neron._
[3] Ecco il passo, che volgarizzo dalla Catilinaria: «In ballare
e saltare perita più che si convenisse ad onesta, ed in altri
esercizii parecchi per lei arnesi di lascivie, e però da lei
oltre la fama e la pudicizia amatissimi: se più del decoro fosse
prodiga o del danaro, pendeva incerto; libidinosa così, che non
pure ricercata facile acconsentiva, ma ella stessa gli uomini
ricercava.»
A me scrittore accadde essere testimone di un caso, che chiedo licenza
di raccontare per edificazione delle anime buone. Convitato da
personaggio che andava per la maggiore a certa sua veglia proprio coi
fiocchi, ecco di repente comparirmi davanti una coppia di giovani, uno
femmina, di salute potentissima e di bellezza, che venuta dal Brasile
pareva avesse portato buona parte del tropico nel seno copioso; il suo
colore era di olio lampante; gli occhi, le palpebre, i sopraccigli, e i
capelli, neri lustri come bitume giudaico; nelle labbra tumide,
semiaperte, e accese aveva il polso, e ci si vedeva battere; l'altro
maschio, inglese e biondo fulvo come incoronato di sole; marino alle
vesti e più alle sembianze; altro di singolare io non conobbi in lui, se
togli l'irrequieto sospingere e ritrarre del piè sinistro, il quale
rammentava l'onda che lambendo la riva ti ammonisce come da un punto
all'altro può divenire cavallone, epperò ti badi. Ad un tratto scoppia
la musica come la frusta del Diavolo; dove sono iti i miei giovani?
Velli! velli! paiono comete, che scapigliate imperversino di giù di su a
scavezzacollo nel firmamento; questo urtano e fannolo girare come
vecchio arcolaio, quell'altro pestano sopra gl'incliti lupini, e
cacciano via con la gamba levata soffiando in un canto; un terzo
scaraventano a dare di picchio con le spalle nel muro; cotesto è un
remolino, un mulinello, un vero turbinío; bada davanti! ed essi pur
sempre avvolgevansi, volavano, ora apparivano, ora sparivano, naufraghi
per mezzo ad un mare di piacere: non udivano nè vedevano più nulla; uno
nella bocca dell'altro spingeva l'anelito grosso e fumoso: braccia
aggroppate a braccia, dita incatricchiate a dita, capelli neri framessi
a capelli fulvi, seno sopra seno palpitante:
«Ellera abbarbicata mai non fue
Ad alber sì come l'orribil fiera
Per le altrui membra avviticchiò le sue.
Poi si appiccar come di calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore,
Nè l'un nè l'altro già parea qual era.»[4]
[4] Dante, — _Inferno_.
Ormai taceva l'orchestra, e quanti erano quivi danzatori per bene
avevano già depositato con le consuete clausole notarili, voleva dire
civili, nelle mani dei rispettivi babbi, mamme, o mariti, le
rispettabili compagne loro: già l'onda della limonea più che mezzo aveva
spento i discreti ardori, e cotesti due insatanassati giravano, giravano
da sbrizzarne in minuzzoli, finchè all'ultimo ansimando trafelati
cascarono di sfascio giù sur un lettuccio. Quello, che i babbi, le
mamme, e i mariti convenuti là dentro pensassero, io non lo posso
sapere, chè nei cervelli loro non ci entrai: in quanto a me, tutte le
mie considerazioni, che non furono poche, andarono a mettere capo in
questo proverbio contadinesco, il quale allora mi parve vangelo:
«Tre nebbie fanno una pioggia,
Tre piogge una fiumana,
E tre feste da ballo una.......[5].
[5] Nella raccolta dei Proverbi toscani del Giusti ampliata ed
ordinata per cura del marchese Gino Capponi questo proverbio
viene riportato in due altre diverse maniere; «Chi mena la sua
moglie ad ogni festa, e dà bere al cavallo a ogni fontana, in
capo all'anno il cavallo è bolso, e la moglie p.....» Si accosta
meglio al riferito da me il secondo, ch'è veneziano, e predica
così: «Tre calighi fa una piova, tre piove una brentana, e tre
festin una p.....» Ma io l'ho inteso dire come l'ho contato.
Una che? Avendolo notato Dante nel poema sacro, e non credeste mica
nello Inferno, bensì nel Purgatorio, parrebbe a me che lo potessi
dichiarare anch'io, che non iscrivo niente di sacro; ma no signore, io
non lo voglio dire, confidando che le mie ingenue leggitrici ci
peneranno intorno a indovinarlo, ma poi lo troveranno; piuttosto io
voglio dire quest'altra cosa, che i tre festini mi parvero troppi; e a
mio giudizio, anche di un solo per fare l'effetto ce n'è di avanzo.
Se adesso qualche anima pietosa mi avvertisse: frate, tu predicasti ai
porri: _Sapevamcelo, dissono quei di Capraia_, risponderei; chè già ho
antiveduto come uomini e donne, in specie donne, per una ragione ch'io
adduca sapranno contrapporne mille: così (mi pare di sentirle!)
allegheranno il giudizio dei medici universale accordarsi ad assicurare
come il ballo massimamente conferisca alla sanità del corpo,
assottigliando il sangue, purgando gli umori, e sciogliendo le membra;
anzi siccome sana non può mantenersi la mente, se sane non si conservano
le membra, se ne inferisce che qualunque intenda riuscire buon
matematico, buon principe, ed anche buon teologo, ha da ballare, e se
più ne hai più ne metti. E' non ci è caso da perfidiare, io ve la dò per
vinta: i medici giudicano da quei valentuomini che tutto il mondo
conosce; e su le vostre labbra, donne, sta il vero; ma sentite, voi
avete a fare una cosa; vi si concede saltare, correre, ballare, a patto
però che ve ne andiate lungo le sponde romite del fiume, o in mezzo alle
riposte ombre dei boschi: colà su i tappeti delle folte erbe, al casto
raggio di colei che fu guidatrice di ninfe formose come voi, ninfa con
ninfa menerete i lieti rigoletti, e procaccerete salute, bellezza, e
gagliardia ai vostri corpi quanto la Natura vi consiglia; però i luoghi
chiusi fuggite, avvegnadio colà l'afa della gente stipata, la vampa dei
lumi, il calore e il sudore fruttino troppo più scapito, che guadagno:
inoltre dalle vesti scollate esporre, lasciamo stare alla vista, ma al
trapasso repentino dal caldo al freddo tanta carne ignuda, la quale cosa
il Parini direbbe in poesia:
«...... e sì dannosa copia
Svelar di gigli e rose;»[6].
[6] Ode a Silvia.
parvi ella da persone cui prema la salute sul serio? O che i reumi, i
catarri, le flussioni, le tossi, e le corizze non usano più? O forse la
punta e la scarmana considerando cotesto vostro seno (poniamo
candidissimo) si periteranno d'infiammarvelo spietatamente a morte? Dite
su, egli è per amore dell'ortopedia che stringete la vita e i piedi con
tali arnesi, che il grande Inquisitore di Spagna si sarebbe, sto per
dire, recato a scrupolo adoperarne altrettali in un estro di zelo
cattolico, apostolico, romano? Sentiamo via, che cosa saprete contarmi
in proposito. —
E le donne di rimando: voi dite il vero, magari lo potessimo fare! Ma
sapete voi, quando ci triboliamo a presentarci ai vostri balli, qual
passione ci muova? Animo deliberato al sagrifizio; però che amore del
prossimo ci persuada a rammendare i vostri strappi, recando come per noi
si può rimedio ai mali partoriti allo umano consorzio dalla insigne
melonaggine, o dalla stupida cupidità vostra. Invero se non istessimo
noi mai sempre all'erta fantasticando senza requie nuove bizzarrie per
_consumare_, o come potrebbe vivere quel mostro insaziabile creato dalle
vostre mani, e si chiama _produrre_? Chi scavò l'abisso della industria?
La frivolezza nostra o l'avarizia vostra? Senza la febbre di andare
ornate con foggie inconsuete, e vi concedo strane, gli _operai_ a
migliaia morirebbero d'inedia; e voi _capitale_ con che vi saziereste
voi? Per avventura col pane fatto di farina di scudi? Quando pertanto
noi altre donne ci rassegniamo a comparire nelle veglie e ai teatri
coperte di stoffe sfoggiate, di piume, di fiori, e di brillanti: quando
spingiamo la carità fino a spiantare le famiglie, e struggere i mariti,
voi avreste a decretarci la corona civica. Curzio che si buttò nella
voragine per salvare Roma, in petto a quello che patiamo noi per amore
del prossimo, bebbe una cioccolata. —
Eh! bisogna confessare pur troppo, che queste diavolerie di lusso,
capitale, operai, e lavoro sono negozii serii, ma serii davvero; e la
difficoltà, anzi di' pure la crescente impossibilità di assettarli con
gl'istituti che ci reggono adesso; per modo che se vuoi, che le faccende
camminino ti conviene dare un colpo al cerchio, ed un altro alla botte.
I governi, la più parte almeno, non ci pensano: arte unica loro
stringere e spremere: quando poi capitano i tempi grossi, non rifinano
mai di maledire all'anarchia, alla demagogia e a tutte le altre
tregende, che finiscono in _ia_, e pure non è così. Non vo' che paia
strano, se l'umanità formando un complesso di uomini, io la paragoni
all'uomo: ella cresce di mole, e, con la mole, di pensieri e di voglie,
nè più nè meno come l'uomo costuma; ora che ti sembrerebbe di quel nuovo
pesce, che s'incaponisse a volere mandare fuori il suo figliuolo giovine
di venti anni vestito col cercine, e il guarnello, come quando era
infante, e co' giocattoli stessi presumesse trastullarlo? Fa il tuo
conto che molto non si discostino da cosiffatte gagliofferie quei
rettori di popoli, i quali rifiutano allargare, e conferire le leggi e
le istituzioni al procedere forse, e certo poi al mutare della umanità;
donde avviene che questa crescendo dentro le leggi viete, come dentro
vestiti vecchi, dapprima ella quanto più può stira su le costure, ed
alla fine le scoppia.
La gente di contado, da gran tempo, ha preso a fluire verso le città,
condotta o da impazienza delle fatiche rusticane, o da agonia dei súbiti
guadagni: s'ella considerasse bene, conoscerebbe come per uno che si
arrampica, mila stramazzano: diventa, per la più parte di questi nuovi
arrivati, la città, un palio, che oggi chiamano _a campanile_, verso il
camposanto, dove arrivano per la trafila del bordello, dell'ospedale, e
del bagno; tuttavolta prima che la morte pensi a saldarne il conto nelle
città ristagnano, e mandano malaria: molto più, che tu in coscienza li
puoi reputare come altrettanti apostoli Bartolomei in mano al
_capitale_. Ora questi santi Bartolomei del _capitale_ starieno anche
peggio (conciossiachè all'uomo accada di potersi trovare peggio che
scorticato, ed io lo so, che lo provai); laddove il lusso non si
prendesse il carico di logorare tutto quanto i poveri scorticati
quotidianamente producono. Parrebbe che i governi ci avessero a
provvedere ordinando emissarii capaci a farli scolare o con le marine, o
con le colonie, o rivomitandoli nelle campagne; dacchè la terra sia
proprio la porta del Vangelo dove basta che tu picchi forte perchè ti
venga aperto: adesso, qualunque sia la causa, che qui non fa caso
ricercare, le campagne in parte appaiono deserte, mentre in altra parte
hanno ingombro di soverchio; là i frutti non nascono, qui gli rubano.
Corre il costume, che il capoccia, Romolo della famiglia dei contadini,
ne sbandisca dal seno quei membri, i quali, lui invano opponente, menano
moglie: ora questi banditi privi di podere moltiplicansi, lebbra delle
campagne: se trovano, vanno ad opera, donde ricavano un salario, il
quale in coscienza non si può dire che basti loro per vivere; piuttosto
sarà vero affermare, per morire mezzo; se non trovano, diventano prima
per necessità scarpatori, poi per usanza continuano, chè il mestiero del
ladro, finchè glielo lasciano fare, loro par pasqua. Arte buona di Stato
dovrebbe però giudicarsi quella, che attendesse a spartire meglio i
villani per le campagne, allettandoli altrove con più maniere di
eccitamenti onesti e di sussidii: forse anco la mezzaria incomincia a
farsi vieta, e il podere che una sola e scarsa famiglia lavora
basterebbe a nudrire più gente assai, se ci fossero condotte sopra
migliorie con più sapienti pratiche, e spese maggiori: per modo, che se
il podere non frutta quanto e' potrebbe, ciò deriva dalla repugnanza, se
non si ha a dire aborrimento addirittura, del colono per le novità; al
quale guaio aggiungi questo altro, che il contadino anche dopo avere
spartito col padrone _metà della metà_ del raccolto trova sempre il
verso d'incastrarci il debito, ed ogni anno aumentarlo, sia arte, o
necessità; sicchè di farlo contribuire alla spesa non ci si raccapezza
il bandolo. Quindi non mi arriverebbe inopinato se il Capitale _Briareo_
si pigliasse in mano le industrie agricole come ha fatto le
manifatturiere, e adoperando nuovi modi di coltura, trovando partiti da
cavarci migliore costrutto, sciogliesse il groppo o col produrre
alimenti in copia maggiore e a prezzi più comportabili, e col ricondurci
parte dei forviati nelle industrie urbane, o col nudrire sul medesimo
spazio di terra più numero di contadini. Il tempo mena seco mutazioni
mirabili, a cui la gente trascurata non bada: ma chi ci attende lo vede
come dipinto davanti agli occhi. Così distratto dal fracasso delle opere
diurne degli uomini tu nulla senti; nella notte poi quando il silenzio
impera, ti molesta aspro gli orecchi l'indefesso rodere del tarlo, il
quale ti fa manifesto come nel medesimo letto su cui giaci si consuma un
lavoro di distruzione inevitabile.
Le querimonie che mandano i popoli intorno alle maledizioni della
tirannide ormai hanno ristucco Dio e il Diavolo, per la quale cosa
bisogna non ristarci un momento da ricantare loro le dieci volte, e le
mille finchè non l'abbiano intesa, la tirannide insomma niente altro
essere tranne una fungosità nata dal fracidume del servaggio. Il
servaggio che ricava il quotidiano sostentamento dai vizii codardi, o
ladri, dalle abiezioni tutte e in ispecial modo dal lusso:
«_Questo_ è la fiera con la coda aguzza
Che passa i monti, e rompe mura ed armi;
Ecco colui, che tutto il mondo appuzza»[7].
[7] Dante, — _Inferno_, C. XVII.
Nonchè possa sperarsi di vedere allignare repubbliche là dove questa
mala pianta aduggia, nè manco si ha da credere che si possa reggere
alcuno di codesti istituti nei quali s'immette dose più o meno larga di
Libertà. Che Dio ci aiuti, o che vuoi tu stillare con un popolo presso
il quale la povertà onorata reca vergogna troppo più del delitto? Fra
noi come sei ricco non curano sapere, solo se sei, e di quanto, la
rettitudine hanno in pregio di manto coi lustrini, buono a vestirsi dai
regii ciurmatori quando saliscono le scene per recitarvi la parte di
Agamennone. Qui il ladro, cui Fortuna sbagliando invece di agguantare
pel collo acciuffò pei capelli, passa, e con le ruote della sua carrozza
imbratta di fango il magistrato, il filosofo, e il poeta; più oltre un
mercante scemo della forza di cinquanta cavalli, a cui cascò addosso
l'opulenza come l'embrice sul capo di Pirro, passa, ed insulta col lusso
di servi e di corsieri il soldato, che zoppo, per aver perduto una gamba
combattendo per la Patria, pure va pedestre: breve; che montano esempi?
La storia da tutte le sue pagine grida essere i popoli cresciuti in
gloria e conservati liberi finchè le perverse arti del lusso ignorarono;
all'opposto perduta l'antica parsimonia fatti prima mancipio della
tirannide domestica, poco dopo della straniera; entrambe dolenti, e
vergognose invero, ma la seconda fuori di misura dolentissima, e
vergognosissima.
Le conquiste asiatiche, e il testamento di Attalo ferirono a morte la
virtù romana, e parve provvidenza, che le spoglie di Re facessero alla
Repubblica oppressora l'ufficio della camicia di Nesso. Valerio Massimo
consentendo la ruina di Roma essere stato il lusso, discorda sul tempo,
e in quanto a sè opina, che i costumi principiassero a contaminarsi dopo
la disfatta di Filippo re di Macedonia: di vero allora furono viste le
femmine romane spasimare a mettere in pezzi la legge Oppia, la quale
vietava loro vesti polimite, e gli ornamenti che superassero la mezza
oncia di oro: e dacchè come nei moderni ai tempi antichi accadeva, che
quel che femmina vuole, Dio vuole, così riuscirono a sovvertire l'odiata
legge; onde (mirabile a dirsi!) per modo irruppe disonesto il lusso, che
trascorso breve spazio di tempo Lollia Paolina potè comparire a certa
veglia domestica carica di perle e di smeraldi pel valore di settanta
milioni di lire fiorentine, tenuto a calcolo il ragguaglio della moneta.
Ora immaginate un po' voi se dopo questi esempii, e dopo che le donne
non più contente del mondo muliebre, quantunque sfoggiato, pretendono
nientemeno che sedere presidi nei Parlamenti, e capitanare eserciti, ci
sia verso di ricondurre i giorni nei quali un Egnazio Mecenio potè
finire a legnate sul capo la moglie che bebbe vino alla botte, e averne
non mica castigo, bensì loda, e stragrande, comecchè il fatto anche agli
amici della virtù latina paresse un tantinello abbrivato: in quanto a me
credo, che si debba appiccare all'arpione la voglia di rivedere le
cugine dei re a veglia con le fantesche filare la lana come Lucrezia, e
le gentildonne di casa Nerli e del Vecchio _starsi contente al fuso, ed
al pennecchio_. Non è più tempo che Berta filava.
Narrasi di certa isola dove i malfattori per estremo supplizio
dannavansi alla pena di portare campanelle di oro alle orecchie, e al
naso... ahimè! cotesta isola si chiamava _Utopia_, e la immaginò la
bell'anima di Tomaso Moro gran cancelliere d'Inghilterra, il quale per
mantenersi giusto perse la testa.
Pericoli in mare, pericoli in terra, esclamava l'apostolo San Paolo, e
noi con lui; male se stiamo fermi, peggio se camminiamo; e non pertanto
molto può farsi di bene, o almeno sperarsi, parte mutando e parte
vietando. Così, a modo di esempio, le donne romane non potevano entrare
in Roma sedute su carra: questo concedevasi agli uomini di alto affare,
vecchi, ed infermi, nella medesima guisa noi, non dico che dovremmo
vietare le carrozze, bensì gravarle con isconci balzelli, gratuitamente
concederle ai meritevoli soltanto; il lusso nei cavalli non pure
permesso, ma promosso, e nelle armi, dacchè la gioventù senza
distinzione avrebbe ad esercitare la milizia; e in pari guisa
costumavano i Galli, e se ne trovavano bene, quantunque barbari, avendo
sperimentato come il timore di perdere l'armatura di molto valsente
rendesse i guerrieri più pertinaci a difenderla, epperò a sostenere la
puntaglia. Nè io credo si farebbe manco guadagno se potessersi
persuadere le donne ad usare vesti sontuose sì, ma ferme in una foggia,
e di stoffe nostrali, imperciocchè quella gara, che vediamo conquidere
le donne tra classe e classe, verrebbe per necessità a cascare: niente
servendo meglio a mantenere viva questa agonia del comparire quanto la
facilità di appagarla con la ostentazione di robe, che di per sè non
sono di gravissimo pregio, ma che, rinnovate le ventine di volte in capo
all'anno, spiantano. Avrebbe un bell'arrotarvisi sopra la bottegaia,
tanto non le verrebbe fatto di procacciarsi una vesta di broccatello di
oro, con rabeschi ricamati di perle e di gemme, come anticamente le
gentildonne nostre adoperavano pei dì delle feste; e caso mai le
avessero avute avrebbero loro pianto addosso: quelle vesti poi così
doviziose passavan di madre in figliuole, e quando dopo parecchie
generazioni si disfacevano, se ne ricattava oltre alla metà del
valsente. Ma per avventura questo non saría buon consiglio; gioverebbe
piuttosto mutare scopo al lusso, e screditato lo esterno su la persona,
e i ninnoli in casa, mercè i quali i Francesi, che ce gli mandano, hanno
l'aria di trattarci da bamboli eterni, rimettere in fiore, se ci fosse,
un altro Luca Giordano che venisse a dipingere le volte delle nostre
case, un Cellino a cisellarci i vasellami di argento, un Caparra a
batterci i ferramenti, un Cervelliera a intarsiarci gli stipi, un
Palladio ad architettarci i palazzi, un Buontalenti a disegnarci i
giardini: meglio ancora suscitare il fasto, che per questa guisa
s'imparenterebbe con la virtù di decorare la città con ginnasii, musei,
basiliche, istituti benefici per educare la gioventù, ed ospitare la
infermità, la sventura, e la vecchiezza: ma qui fo punto, imperciocchè
io dubiti, che i partiti, i quali ho messo davanti, con altri più assai
dei quali mi passo, non abbiano a parere pannicelli caldi, chè troppo
più fuoco brucia nell'orcio: arrogi a questo, che essendomi riuscite
così male le parti di consigliere, sarà prudente renunziarci per sempre.
Conchiudendo dico, e questo abbiatevi per sicuro, che lusso e Libertà
non possono accordare insieme: scempiezza contendere intorno alle forme
del governo, chè Agide e Cleomene principi erano, e pure adoperandosi a
spartire con tutti i cittadini le terre laconie soggiacquero all'avara
crudeltà dei patrizii: parchi siate, temperati e modesti; non amate più
la vita infame, che la morte con onore; bandite il sagrifizio, e fatelo;
persuadete a benvolere, e adoperate benevolenza voi stessi, ed allora,
così disposto il campo, voi vi potrete spargere la sementa che meglio vi
garbi, e voi le vedrete venire su tutte a bene.
Côlta da infermità la contessa Amelia, non potè, come pure avrebbe
voluto, dare forma a quanto aveva raccolto intorno alla educazione, e fu
danno: nondimeno quanto ci avanza dei suoi Saggi, e delle sue lettere,
basta ad avviare la mente degli speculatori verso lo svolgimento dei
problemi, che importano la suprema materia della educazione.
Ci avanza adesso a discorrere degli altri scritti dalla donna egregia
dettati, i quali comecchè di mole più lieve non appariranno di minore
importanza come quelli che intesero sempre lodevolmente a promuovere
qualche virtù, o a sopprimere qualche vizio. Primi tra gli altri vengono
_i racconti del Parroco di campagna_, i quali si proponevano purgare le
menti villerecce di molti errori di cui camminano ingombre: e più che
altri per avventura non crede, ce n'è di bisogno, imperciocchè se non
possono accagionarsi i Governi di fomentarli, nè anche si sbracciano a
svellerli: inoltre, se in una parte diminuirono, in quell'altra
crebbero, laonde nel sottosopra non possiamo rallegrarci di troppi
avanzi: più presto si nota, che se illanguidirono quelli che si versano
sopra credenze religiose pervertite, gli altri che si fondano sopra
passioni cupide e avare rinverzicarono. Così quando il cappellano, o
curato che sia, di Trequanda, per rincappellare su la Madonna di
Arimino, che piangeva soltanto, si avvisò dare ad intendere, che quella
della parrocchia sua ghignava, e piangeva, i villani a venti miglia
dintorno dissero, che la cosa non poteva stare, perchè su questa terra
donna che pianga e rida è giudicata matta; figuriamo in paradiso! laonde
il gingillo, trovato appena, cagliò: per lo contrario il collegio
onorevole dei vetturini empolesi per aizzare subbuglio in danno delle
ferrovie saltano su a sobillare la gente, che il vapore gli è proprio
quello che fa nascere la crittogama su l'uva, e i beoni sel credono, ma
questi non bastano; allora i vetturini immaginano la Madonna volare di
pruno in pruno per le siepi, a quella guisa che i beccafichi costumano,
predicando la portentosa scoperta; e se non l'universale dei coloni,
molti almeno ci credono: ancora, per ottenere numeri buoni al giuoco del
lotto i contadini violeranno i sepolcri, complice un prete, e spiccato
il capo ad un morto lo metteranno nel paiolo a farlo bollire recitando
non so quali incantesimi. Che più? Oggi ventisette agosto 1856
interrompendo lo scrivere per leggere i diarii trovo nella Gazzetta di
Ginevra riferito come un villano savoiardo travagliato da dolori
reumatici, fatto sicuro che l'unzione di grasso umano gli avrebbe reso
la salute, poichè gli venne manco la facoltà di procacciarselo altrove,
presa una sua figliuolina la mise in tocchi dentro una pentola al fuoco,
per cavarne il grasso desiderato[8]. Però gli uomini esperti di queste
nostre miserie non poseranno un momento di guerreggiare lo errore
quantunque faccia il morto: in vero guardate mo' le volpi, e guardate i
gesuiti; all'occasione sdraiansi in terra a pancia all'aria, incrociano
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