Viaggio al Capo Nord - 11

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pietre, offrono ad esse un sacrifizio; e vi si veggono sempre messe
all’intorno parecchie corna di renne. — I Laponi hanno tra le loro mani
molte monete, che usano seppellire sotto terra: ond’è che centinaja di
risdalleri vanno perdute quando chi le ha sepolte, sorpreso da malattie
gravi ed acute muore prima d’aver potuto significare ad alcuno il luogo
del suo tesoro.
In quanto al vestito de’ Laponi, il manoscritto diceva, che appena v’è
qualche differenza tra quello de’ Laponi erranti, e quello de’ Laponi
che hanno domicilio stabile: eccetto che questi usano in estate di
vestirsi con stoffe di lana in vece di pelli di renna, e che portano
camicie; laddove i Laponi erranti di queste non ne hanno.
Il manoscritto parlava di una specie di mucilaggine, o colla, fatta
col corno della renna, che ben preparata possiede grandi virtù. Vi si
leggeva pure che la malattia più comune tra le renne era quella che
attacca l’epiploon, contro della quale non v’ha rimedio che valga; e
che l’animale che ne sia attaccato, forza è che muoja nello spazio di
un anno. I mali di testa, di fegato, di cuore, e de’ piedi erano fra
questi animali frequentissimi. Il manoscritto si estendeva ancora sul
numero spaventoso dei lupi, i quali nel corso del 1798 aveano fatto un
esterminio nelle renne: particolarità che il ministro attribuiva alla
guerra di Finlandia.
Quanto a produzioni naturali vi si leggeva, che i pomi di terra
riuscivano assai bene ne’ contorni; ma che con grande difficoltà le
radiche, ed altre piante di cucina crescevano nella loro stagione; che
l’orzo e l’avena potevano essere seminate con utilità. Del rimanente
qui per lavorare la terra si usa un aratro particolare al paese, ed
appropriato a questo suolo, ove bisogna evitare nell’arare le grosse
pietre.
Parlava in oltre il manoscritto del lampone artico, che ivi cresce
naturalmente, ma non sì bene come quello che dà il così dai botanici
detto _rubus chamaemorus_. Faceva pur menzione degli uccelli; ma non
diceva nulla degli insetti, come sarebbe stato il desiderio nostro.
Ne avea però il buon ministro fatta una raccolta, che avea mandata a
Stockholm ad uno de’ suoi corrispondenti, come pure all’Accademia,
dalla quale riceveva una pensione annua di sessanta risdalleri per
ajutarlo a proseguire le sue ricerche statistiche, e scientifiche, a
continuare le sue osservazioni, e ad occuparsi con buona riuscita delle
cose appartenenti alla storia naturale.
Il nostro viaggio da Enontékis a Tornea si continuò lungo il fiume:
arrivammo a Muonionisca, dove vedemmo il nostro amico, il curato,
e l’eccellente nostro piloto, _Simone_. Facemmo visita a tutte le
persone che avevamo conosciute ne’ diversi luoghi, ne’ quali eravamo
stati accolti tanto bene; e spezialmente a Kengis, e ad Uper-Tornea,
ove salutammo il ministro della parrocchia, e le sue amabili figlie.
A Tornea non lasciammo di rivedere i nostri amici, il rettore, e
il mercante, che ci riguardarono con venerazione, meravigliati del
viaggio, che avevamo fatto; e finalmente entrammo trionfanti in
Uleaborg, dove esponemmo alla vista degl’increduli amici le conchiglie,
gli uccelli, le spugne, e gli altri oggetti di storia naturale proprii
del Mar-gelato: cose tutte raccolte da noi come prove autentiche del
viaggio fatto al Capo-Nord, ultima e più remota estremità dell’Europa,
a’ 71 gradi, e 10 minuti di latitudine settentrionale.


CAPO XXI.
_Costituzione fisica de’ Laponi. Loro origine e loro lingua.
Robustezza ed agilità de’ Laponi, e lavori. Loro religione e
moralità; e cause di corruzione. Vestito: incombenze dei due
sessi. Abitazioni, letti, cibi, cucina, e mobili di casa. Caccia
delle renne selvaggie: caccia d’altri animali del paese. Alcuni
particolari usi de’ Laponi. Loro nozze, e loro giuochi._

Molte cose nel decorso di questa relazione sono state dette riguardo ai
Laponi; ma non quante possano interessare la curiosità di un lettore,
che ami istruirsi. Si darà qui un compendio delle più importanti
notizie, che finora hannosi di questa razza d’uomini.
Il complesso de’ tratti, che nella sua persona il Lapone presenta, lo
fa vedere di una razza veramente particolare. Egli nasce, e nella sua
prima età si mostra grosso, grasso, e direbbesi gonfio in tutto il
corpo: cresciuto poi, rimane piccolo di corpo, e magro, con capelli
neri, distesi, e corti, e coll’iride degli occhi tendente al nero.
Bronzino n’è il color della pelle e tendente al nero: larga è la sua
bocca, scavate le gote, il mento alquanto lungo ed aguzzo. I suoi
occhi sono deboli, e sgocciolano continuamente: il che facilmente
può attribuirsi tanto al fumo, che ne riempie l’abitazione, quanto
al riverbero della neve, che copre tutto il paese. Alcuni scrissero
d’aver veduto Laponi coperti di pelo come gli animali: ne avrebbero
avuto bisogno; ma egli è molto probabile che chi disse pelosi i Laponi
confondesse coll’abito, di che erano vestiti, la loro pelle. Altri
dissero che i Laponi aveano un occhio solo. Questi non videro mai
Laponi; e si contentarono di ripetere favole udite.
Chi abbia dato il nome di Laponi a questa generazione d’uomini, è
cosa da nissuno indicata; nè è indicato da qual tempo in qua tale
denominazione si usi. Solo si nota che il nome di _Lapone_ comprende
tre etimologie della lingua svedese: _lapp_ è la prima, che vuol dire
_lusso_; la seconda è _lappa_, che significa _pipistrello_; la terza
è _lapa_ che significa _correre_. Si è creduto giustificata la prima
dall’abito, la seconda dal brutto aspetto; e la terza dalla vita
errante. Se ciò è, hanno ragione i popolani della Norvegia e della
Finlandia, abitanti sui confini della Laponia, di sdegnarsi quando si
sentono chiamare col nome di Laponi.
Ma quale è l’origine di questo popolo? La storia anteriore per tre
e più mil’anni all’era nostra volgare lo direbbe, s’essa fosse stata
scritta ne’ debiti tempi. Tutto ciò, che la sana critica può permettere
di credere, si è che per la famosa irruzione degl’_Hiong-nu_ ne’ paesi
meridionali della Siberia e Tartaria, tra le generazioni, che dovettero
dar luogo a quella bellicosa moltitudine, vi fosse pur quella, da
cui sono derivati i Laponi. Nel primo loro concetto adunque essi
sono a modo nostro di dire Sciti o Tartari. I popoli per tale motivo
profughi si spinsero avanti, accomodandosi come poterono; ma non è
credibile, che scegliessero spontaneamente gli aspri climi, ne’ quali
li vediamo stabiliti: nè uno fu l’urto, nè di un’epoca sola. Le stesse
cagioni produssero gli stessi effetti più volte; e le orde più deboli
furono costrette a ripararsi come poterono; e la necessità le portò
a contentarsi del ricovero, che trovarono nella più settentrionale
striscia del continente. Il tempo e il clima hanno poi operati in que’
popoli i caratteri, che ora li distinguono. Chi sapesse a fondo le
lingue tartare, e coi debiti sussidii le potesse paragonare con quelle
che parlansi dai Finlandesi, Norvegii, Samojedi, Laponi ed altri,
troverebbe forse non poche traccie della origine comune. È poi fuori
di ogni dubbio, che i costumi e gli usi de’ Laponi conservano profondi
indizii della loro provenienza scitica, o tartara che vogliam dire; e
che le aspre contrade situate verso l’Oceano-glaciale dal Kamtschatka
in qua, sono abitate da razze d’uomini simili in tutto ai Laponi.
Del rimanente parlando della lingua particolare de’ Laponi, essa è
interamente distinta da qualunque altra, eccettuatane la finlandese,
colla quale sembra avere qualche analogia, minore però di quella che si
noti tra la lingua danese e la tedesca. Anzi è da dire, che quantunque
la lingua lapona contenga molti termini somigliantissimi alla lingua
della Finlandia e della Danimarca, o per dir meglio di quella di
Norvegia, essa differisce tanto da queste lingue nella maniera generale
di parlare, che pronunciando certi termini il Lapone, il Finlandese
e il Danese o Norvegio non potrebbero intendersi, sempre che ciascuno
usasse il proprio dialetto. La comunione poi di tali vocaboli presso
codesti popoli altro infine non proverebbe che una origine comune.
Questa induzione però cesserebbe d’essere giusta, se si applicasse
a que’ termini notati nella lingua lapona che sanno di somiglianza
a voci ebraiche. Tutto rispetto agli Ebrei è nuovo, se si confronti
coll’epoche precedentemente da noi indicate; e in meno remoti tempi che
relazione si può egli sognare tra Laponi ed Ebrei? E coloro i quali si
arrischiarono di pensare che i Laponi possono avere avuta origine dagli
Ebrei, perchè hanno in quelli notati alcuni usi proprii di questi, non
hanno fatto che abusare del senso comune.
La lingua lapona per attestazione del missionario _Leemens_, che ne
ha scritta una gramatica, è commendabile per una elegante concisione,
poichè esprime con una sola parola ciò che in altre lingue ne richiede
parecchie. Una proprietà di questa lingua si è l’abbondanza di
diminutivi: il che le dà grazia ed espressione. Un’altra proprietà sua
è di annunciare in plurale i nomi de’ fluidi, de’ metalli, de’ grani,
dell’erbe e de’ frutti.
Il Lapone, piccolo com’è di corpo, secondo che abbiamo notato,
non è meno robusto e gagliardo di forza: il che deve e alla sua
naturale costituzione, e al costante esercizio. Egli in ogni suo
intraprendimento ha pazienza e coraggio meraviglioso. Ma quantunque
dotato d’organi vigorosi e di membra esercitate alla fatica, non è
meno degli altri Europei viventi in migliori climi esposto a malattie.
Però in essolui codeste malattie hanno un certo carattere di benignità,
così che i rimedii più semplici le dissipano, e loro rendono la salute
quando almeno la causa non sia acuta. Ciò è un gran compenso nella
impossibilità, in cui sono di procurarsi grandi soccorsi. Per questo il
più prezioso regalo, che possa farsi ad un Lapone è quello di pepe, di
zenzero, di cannella, di noce moscata, di tabacco e di droghe simili,
per quanto piccola ne sia la dose.
Uno de’ loro caratteri fisici assai notabile è la somma loro agilità.
Le loro membra hanno una flessibilità stupenda. È sorprendente cosa
il vedere in che numero sanno ammucchiarsi insieme in un luogo, che
non potrebbe capirne che la metà, od un terzo. A questa loro agilità
può riferirsi la maniera, con cui quando le montagne sono coperte di
neve, discendono dalla cima delle medesime giù per un fianco scosceso e
dirupato, armati di una specie di scivolatojo fatto di legno, e di una
certa lunghezza, curvato in forma di un quarto di circolo, in mezzo del
quale piantano il piede. Coll’ajuto di questo scivolatojo scansano di
profondarsi nella neve, ed agevolano il cammino, venendo giù con tale
velocità, che l’aria fischia nelle loro orecchie, e i loro capegli si
sparpagliano al di dietro della testa. E sono sì valenti in conservar
l’equilibrio, che per quanto forte sia l’impulsione che hannosi
data, possono senza fermarsi levare da terra il loro berretto, se per
caso sia caduto, o tutt’altra cosa che trovino sul loro passaggio.
Incominciano ad esercitarsi in questa facenda sin da fanciulli.
Quando i Laponi viaggiano sulle loro renne, la celerità del marciare
di codeste bestie non può concepirsi, se non se n’è stati testimoni.
Le renne giungono con tanta prestezza sia alla cima, sia a’ piedi
delle montagne, che il moto delle reni del cavalcante può appena
distinguersi. I Laponi della costa sono singolarmente svelti nel
maneggio de’ loro battelli.
Alcuni Laponi sanno scolpire il legno e il corno, quantunque non
abbiano altro stromento che un piccolo coltello ordinario; e con
esso fanno piccoli mobili, come tavole, cucchiai e cose simili, come
dirò qui appresso. Le loro slitte, nella maniera colla quale sono
costruite, provano in essi sagacità e antiveggenza. Anche le donne sono
industriosissime; e ne fanno una prova i begli ornamenti delle loro
cinture. Questo popolo sì abile alla caccia in addietro non usava che
l’arco e le freccie: oggi conosce l’uso delle armi da fuoco; e sono
divenuti eccellenti nel tirare.
Tutto fa presumere, che fin verso la metà del Seicento i Laponi
vivessero nelle tenebre del paganesimo, e senza alcuna cognizione di
lettere. _Federico IV_, re di Danimarca, salito al trono nel 1619,
stabilì una missione religiosa, continuata poi da _Cristiano VI_, da
_Federico V_ e da _Cristiano VII_. Molti Laponi sanno a memoria non
solamente il catechismo, ma parecchi salmi e parte degli Evangelii.
Hanno poi in grande venerazione i loro missionarii e curati; e spesso
li regalano di latte gelato, di lingue e di grasso delle loro renne.
Sono attentissimi ad osservare le feste; e allora si guardano dallo
spergiurare e dal maledire, vizii ordinarii tra i Norvegii; ed in
generale è giusto dire che menano una vita veramente pia e regolata:
raro è che commettano fornicazione ed adulterio; e il furto è un
delitto poco o nulla cognito presso di loro: perciò sono per essi
inutili spranghe, catenacci e serrature. In Norvegia v’ha qualche
mendicante: in Laponia non ve n’ha; e quando per caso si trovi uno,
che l’età, o la infermità riduca alla indigenza, egli è abbondantemente
soccorso: ma non ha nulla, se la sua povertà non sia scusabile.
Il commercio, che i mercanti danesi, svedesi, olandesi hanno aperto,
gli uni sulla costa, gli altri nell’interno, ha portata qualche
corruzione in alcuni Laponi. L’acquavite li ha talora indotti ad
ubbriacarsi; e tante volte ingannati da chi viene a trafficare con
loro, hanno imparato a diventare ingannatori. Per esempio: le pelli di
renne valgono più, o meno, secondo che gli animali sieno stati uccisi
piuttosto in una stagione, che in un’altra; ed alcuni, se non hanno
paura d’essere scoperti, danno la scadente per l’ottima. Così, la pelle
di primavera viene guasta da un insetto, che vi depone le uova; e il
Lapone cerca di chiudere il buco; e dà questa pelle per buona, con
aggiunte di quelle bugie, che usano tutti i merciai da noi.
Molte esagerazioni sono state scritte sui vestiti de’ Laponi. La verità
si riduce a questi termini. Portano in testa un berretto della forma
di un pane di zucchero, fatto di grosso panno per lo più rosso, con
un fiocco alla punta, e con un orlo di pelliccia; i Laponi russi vi
mettono l’armellino. Però v’ha famiglie che vanno a testa scoperta; e
v’hanno altre che non usano se non se una calotta. Alla caccia, o alla
guardia delle renne nella cattiva stagione adoperano un cappuccio, che
vien giù sino al petto, coprendo le spalle; questo cappuccio ha una
piccola apertura corrispondente agli occhi. I più tengono sempre il
collo scoperto, e se lo coprono, adoprano a tal effetto una stretta
striscia di grosso panno con un giro solo intorno al collo. L’abito
principale è una tunica, o camiciotto di pelle di montone, colla lana
di dentro: questo camiciotto non ha altra apertura che al basso, e
sul petto; e secondo la condizione, o il gusto della persona: ha
qualche ornamento in alto, fatto di panno, ed una guarnizione di
pelliccia. Un’altra guarnizione di panno, o di pelliccia, consistente
in una piccola striscia, è apposta sul lato sinistro; e sul destro,
spezialmente nella tunica delle donne, v’ha una piccola specie
di nastro con qualche piastrella di stagno, o di argento. Simile
guarnizione orna le maniche, e il petto. Il vestito sopra posto è
fatto di un grosso panno, e qualche volta di una pelle di renna di un
color grigio. Questo vestito ha un colletto duro, che s’alza sino al
mento, ed abbraccia il collo. Anche questo ha ornamenti di ricamo;
ed altri ornamenti sono sopra ambe le spalle, fatti di pezzetti di
panno tagliati in diverse figure, e scelti di varii colori. Il basso
dell’abito è pure ornato anch’esso con liste di diversi colori. I
Laponi non hanno ai loro abiti scarselle: invece portano un sacchetto,
che pende loro sul petto, e contiene il battifuoco, ed altre cosucce
d’uso.
Il gran freddo, che fa nel paese, freddo sì forte, che i fiumi, e i
laghi gelano fino a sei, e sette piedi, obbliga i Laponi a ben coprirsi
per ogni verso di pelliccie, e ad usare molte provvidenze per tenersi
calde tutte le parti del corpo. Così non solo si fanno guanti, e
stivaletti, e scarpe di pelli con pelo; ma mettono di più nelle scarpe
e ne’ guanti uno stoppaccio molle al pari del cotone, fatto da una
pianta, che raccolgono l’estate, detta dai botanici _cavax vesicuria_,
la quale fanno con istropicciamento divenir morbida, ed in appresso
cardano.
Nè uomini, nè donne usano calzette, ma pantaloni stretti alle cosce ed
alle gambe, fatti di grosso panno, o di cuojo concio; e alcuna volta
della pelle delle gambe delle renne.
Le scarpe de’ Laponi non hanno che una suola; per ordinario lasciano
il pelo di fuori, con che le rendono più sdrucciolevoli, massime sul
ghiaccio, finchè il pelo non sia consunto. Per questa, od altra maniera
ridotte a superficie ineguale servono principalmente ai ragazzi, i
quali altrimenti correrebbero pericolo di cadute funeste.
Gli uomini portano cinture guernite di ornamenti di stagno; e vi
attaccano una borsa pel tabacco che masticano: d’altra parte a questa
cintura per mezzo di striscie di corame ornate di perlette di stagno,
appendono il coltello. Le donne sono quelle che fanno ed adornano
queste cinture.
In quanto al vestito delle donne, primieramente diremo ch’esse portano
un berretto di stoffa di lana, e più spesso ancora di tela, orlato di
stoffa di varii colori, e di laminette di stagno; talora vi attaccano
un nastro di tela di colore d’oro, o di argento. Prima di mettersi il
suo berretto la donna lapona vi aggiusta sulla cima un fiocco rotondo
in figura di bottone; e messo che se l’ha in testa, lo assicura con una
specie di fettuccia attaccata a quel fiocco. Se hanno bisogno di meglio
garantire la testa, a tal uopo usano un berretto più grande, simile
ad una corona più larga nella parte superiore, e restrignentesi al
basso. Alla parte sinistra vi appongono un pezzo di panno di differenti
colori, e qualche volta una correggia, la cui estremità è guernita di
talco, e di una piccola palla di argento dorato. L’abito è di poco
diverso da quello degli uomini, tunica cioè, e vestito soprapposto.
Differisce la tunica delle donne da quella degli uomini in quanto ha
delle pieghe d’avanti e di dietro, ed è più lunga, e serrata di più sul
petto. In oltre ha un colletto, che s’alza dritto coprendo il collo,
e le orecchie, e trapassa l’abito sopra posto. Questo poi, che è di
pelle di renna, simile in tutto a quello degli uomini, in ciò solo n’è
diverso, che gli uomini lo hanno lungo sino al tallone, e le donne lo
portano corto a segno, che appena arriva loro al ginocchio. Per gli
ornamenti, poco più, poco meno, questo vestito è del pari simile; e
poche sono le differenze sì de’ guanti, che de’ pantaloni, e delle
cinture: solo che ognuno dee figurarsi, che le donne nelle cose loro
mettono un poco più di eleganza alla loro maniera; ed usano nelle
cinture, oltre le laminette di stagno, o di talco, degli anelli di
rame, o d’argento, se sono ricche. In fine usano una specie di mantello
di tela russa, o di cotone qualche volta bianco, e qualche volta
stampato. Usano pure di piccoli grembiali di tela russa: i bianchi sono
sempre guarniti di una frangia. Le lapone russe portano alle orecchie
anelli, e qualche volta collane d’argento, che cingendone il collo
sono con de’ cordoni attaccate alle orecchie. Non rimane da aggiungere
se non che quando le donne lapone sono in viaggio, o quando vegliano
di notte alla custodia delle loro renne, portano un doppio vestito,
il primo de’ quali protegge loro la testa, il collo, le spalle, e il
mento; e che in generale è sì poca la differenza degli abiti degli
uomini, e delle donne, che spesso è accaduto che un uomo ed una donna
per errore avendoli cambiati, li hanno conservati ciascheduno tutta la
giornata.
Del rimanente a cura delle donne è abbandonato quanto riguarda
gli abiti, le pelliccie, le pelli, i guanti, le scarpe, ed ogni
altr’oggetto di questo genere. Gli uomini badano al governo della casa,
alla cucina, e a tutt’altro, che in altri paesi è commesso alle donne.
Le donne fanno ancora diversi mobili; e sono opera loro le più belle
scolture, di cui i mobili sono ornati.
Questo discorso ci conduce a parlare delle abitazioni de’ Laponi. Le
capanne di quelli che abitano la costa sono fatte con quattro lunghi
pali, che si uniscono curvati alquanto alla cima, ove si lascia
un’apertura per la uscita del fumo. Scorze di betulla, e masse di terra
la ricoprono. Bassissima è la porta, per la quale s’entra dentro, e
bassa è la capanna medesima, in cui non si può star ritto in piedi, se
non nel punto di mezzo, in cui però sta il focolare. La famiglia tutta
siede all’intorno di quel focolare, su cui si mantiene vivo il fuoco,
e che è formato di due massi di pietra paralleli l’un l’altro. Al di
sopra del focolare per un palo messo attraverso pende la marmitta.
I Laponi prima di mettersi a dormire estinguono il fuoco, e cessato
il fumo chiudono l’apertura superiore con una tavola. Varii piccoli
compartimenti ha quella capanna per se stessa già piccola, i quali
possono chiamarsi camerette, quali destinate a contenere le masserizie,
e quali a dormitorio. Ed ecco come si preparano per dormire. Se nella
capanna non istà che una famiglia, il marito e la moglie mettonsi in
una di quelle camerette, e i figli e i domestici stanno nelle altre.
Se capita un missionario, che abbia a dormire presso questa famiglia,
se gli dà per onorarlo la cameretta de’ conjugi. Se nella stessa
capanna abitano due famiglie, il focolare diventa comune, ed una delle
famiglie sta da una parte, l’altra dall’altra, secondo i compartimenti
accennati; nè mai succede contrasto, o querela tra quelle due famiglie,
chè anzi sono un esempio di cordialità, e di fraternità. I montoni, e
l’altro bestiame hanno un luogo espressamente ad essi assegnato accanto
alla capanna, e vi entrano per la porta medesima, per la quale entra la
famiglia, di cui fanno parte. I Laponi della costa hanno un altro luogo
per conservare il fieno. Costruiscono questo luogo in modo, che sotto
il tavolato, su cui posa il fieno, hanno la comodità di conservare i
loro vestiti, le pelli di renne, e molti loro utensili. Se finiscono
presto il fieno, vanno a levare la scorza agli alberi per darla
in pasto al loro bestiame; e se tanto è il freddo, che per la neve
fortemente gelata le renne non possano procacciarsi il musco sepolto
sotto la medesima, i Laponi vanno a tagliare grossi abeti, ed altri
alberi per prenderne i licheni, e i muschi, che crescono sotto quelle
piante. Con che si vede che esterminio essi fanno delle più belle
piante così ridotte a imputridirsi. Spesso danno ai loro animali delle
radici, e spesso pure fanno bollire teste, ossa, e viscere di pesci
insieme con paglia, e con qualche pugno di varec (_fucus serratus_); e
questa miscela è gustata eccellentemente dalle loro vacche.
Poco da codesta mentovata capanna differiscono le tende d’inverno de’
Laponi montanari, salvo che questi dispongono diversamente il luogo
della cucina. Essi andando a dormire lasciano acceso il fuoco, che fa
loro le veci di lampada. Questi Laponi usano costruire alcune tende
ne’ boschi, ove ogni giorno vanno a cercar legna da scaldarsi. A poca
distanza poi dalla tenda principale erigono una capannuccia, che serve
di magazzino per tutte le loro robe e provvigioni. La tenda che usano
in estate, è simile a quella dell’inverno, con questo che l’alzano
sulle montagne alla portata delle alture fredde, ove le renne possano
andare al pascolo: essa non è coperta che con un pezzo di grossa
saglia. Piccolissima è la tenda de’ cacciatori che vanno in cerca delle
renne selvatiche. Per alzarla il Lapone leva dal suolo tutta la neve; e
d’essa si fa intorno una specie di muraglia: raccoglie poi le pietre,
che ivi trova, per farne il suo focolare; e si prepara il mangiare
con una specie di pignatta, che si porta dietro con altri arnesi. Una
tenda simile usa il Lapone della costa quando si mette in mare sul suo
battello, di quella servendosi abbordando a terra, secondo che ne ha
occasione.
Rimane a dire de’ letti de’ Laponi. Questi letti consistono in
una pelle di renna stesa sul suolo sopra uno strato di foglie. Per
capezzale usano il loro soprabito: per coperta hanno una pelle di
montone, la cui lana tengono dalla parte della persona; e a quella
coperta altra ne soprappongono di lana che ha lungo pelo. I letti non
sono separati gli uni dagli altri che per un pezzo di legno posto
da ciascun lato. L’uomo e la donna dormono alla estremità: i figli
nella divisione seguente; e i domestici presso la porta, secondo
i compartimenti già accennati, e che impropriamente abbiamo detti
camerette. Sono poi gli uni sì vicini agli altri, che l’uomo e la donna
possono colle loro mani toccare i figli, e quasi i domestici. V’è però
qualche eccezione da notarsi. In estate le zenzale, ed altri insetti
volanti infestano orribilmente i Laponi montanari. Per difendersi
da quel flagello, e non crepare di caldo sotto una coperta, che li
soffocherebbe, hanno trovato il modo di tener alzata la coperta nel
mezzo del letto mediante una corda, o cosa simile che da un capo è
attaccata nel centro alla coperta, e dall’altro ad un legno della tenda
perpendicolare al letto; e la coperta anche così elevata giugnendo
colle sue tre estremità a terra, salva chi dorme dalle beccate di
quegl’insetti. Essi sono di varie specie; ma una ve n’ha fra le altre
più fiera di tutte, perchè penetra per le cuciture p. e. de’ guanti,
e lascia tante beccate quanti ne sono i punti. La beccata produce un
pizzicore incomodo, una leggiera gonfiezza, e tante piccole ulceri
bianche, per le quali, quando una persona ritorna da di fuori, e
ch’essa è stata attaccata da uno sciame di questi insetti, si stenta
a riconoscerla: tanto il suo volto è pieno di pustole. Fuggono questi
crudeli nemici di ogni vivente, se un vento viene a soffiare con forza;
ma cessato appena, ritornano con un ronzìo fastidiosissimo esso solo.
Assaltano al pari degli uomini i bestiami tutti, e le renne; e lasciano
la pelle di queste povere bestie tutte insanguinate per le tante
morsicature. Finora non si è trovato altro rimedio che quello del fumo.
Ed è crudele disgrazia de’ poveri Laponi, che mentre sono per ripigliar
vita dopo il lungo inverno, che ha durato dal s. Michele sino al s.
Pietro, incontrino colla bella luce di un giorno di tre mesi continui
un sì desolante flagello. Ma passiamo a parlare de’ cibi de’ Laponi, e
della loro cucina.
Il latte delle renne è la base del loro nudrimento. In due maniere
i Laponi lo preparano secondo la stagione. In estate fanno bollire
col loro latte finchè si quagli una specie d’uva spina che cresce
nelle praterie interposte alle loro più alte montagne: agitandolo
continuamente mentre bolle, ne separano il siero, e cuocono di nuovo
il quagliato, che poi mettono entro vesciche, e queste seppelliscono
sotto terra, usandone nella breve stagione corrente. In inverno tengono
altro modo; essi mettono il latte in barili, o vasi simili: il freddo
lo fa gelare; e con ciò si conserva più facilmente. Il latte munto
in appresso si mesce a bacche dell’uva spina, detta de’ cervi, che
sono nere; e lo ripongono in ventricoli di renna: il latte si congela
subito, e volendone far uso lo spezzano in fette con una scure. Non
esponendosi al fuoco nel mangiarlo assidera i denti. L’ultimo latte
munto l’inverno, che si ripone in piccoli vasi fatti con legni di
betulla, si congela anch’esso subito, ma passa pel più delicato.
Per usarne si mette appresso al fuoco, ed a misura che si fonde, si
mangia col cucchiajo: ma bisogna tenerlo coperto; altrimente per poco
che l’aria sia fredda ingiallisce e irrancidisce. — Il formaggio di
renna si fa come siegue. Si mesce acqua col latte, perchè essendo
questo troppo denso, stenterebbe a quagliarsi: e scaldato quindi
sufficientemente vi si mette il presame: e separatone il siero, il
latte quagliato si avviluppa in un pezzo di tela; e premuto gli si
fa prendere una forma rotonda. Allora si mangia tanto freddo, quanto
lessato, od arrostito: ma se si appressa troppo al fuoco, a cagione del
molto burro che contiene, corre pericolo d’infiammarsi.
I Laponi della montagna fanno del burro col latte di renna, ma riesce
meno buono di quello che i Laponi della costa fanno col latte di vacca,
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