Viaggio al Capo Nord - 05

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In estate ha diverso aspetto. Veramente essa non conta più di 600
anime: le case sono quasi tutte di un solo piano, alto però da non
soffrire la umidità. I mercanti abitano al mezzodì; e l’hanno abbellita
con viali d’alberi, con un passeggio pubblico, con orti e giardini.
Le lunghe tenebre dell’inverno sono compensate dalla quasi continua
presenza del sole durante l’estate; e i 40 gradi di freddo dai 27
gradi di calore. Magnifico è il fiume che dà il nome alla città, e
che quasi affatto la cinge; e superbo è l’aspetto delle sue sponde,
sulle cui alture si veggono varii mulini da vento; e la chiesa col
suo campanile, e con varie case si specchia vagamente sull’acque del
fiume. Sopra alcuno di que’ mulini si va a vedere il sole a mezza notte
nel mese di giugno. Meglio però si gode questo spettacolo alla chiesa
di Bassa-Tornea nella vicina isola di Biorkon. I vascelli mercantili
che battono le acque del golfo di Botnia possono abbordare presso la
città: essa anticamente avea un buon porto; oggi è interrito. Burro,
sevo, carni salate, o seccate, sermoni affumicati, o messi in sale,
piccole aringhe, legnami da fabbrica, catrame, pelli di renne, di
orsi, di lupi, di armellini, e d’altri animali del paese, ed una
gran quantità di uccelli, sono le merci che se n’estraggono. Vi
s’introducono frumento, sale, farina, canepa, cera, panni, tele grosse,
tabacco, e spezierie. In inverno i mercanti vanno colle loro slitte
a diverse fiere, ove comprano dai Laponi belle pelliccerie, dando in
cambio pesce, farina, sale, tabacco, ed acquavite. Alcuni vanno fino ad
Arcangelo, ed altri ad Alten.
[Illustrazione: _Tav. II._ — VEDUTA DELLA CITTÀ DI TORNEA A
MEZZANOTTE PRECISA]
Le più distinte persone di Tornea ci hanno fatta un’accoglienza
gentilissima. Tra queste più intimamente vivemmo col dottor _Deutsch_,
giovine mollo istrutto, e grande amatore di storia naturale. Egli
si aggiunse compagno a noi, ma solamente sino a Kengis-bruk, atteso
che non poteva allontanarsi da Tornea più di 15 giorni. Avremmo
facilmente avuto per altro compagno il segretario _Swamberg_, mandato
in Laponia dall’Accademia delle scienze di Stockholm per verificare
le operazioni di _Maupertuis_, se il ritardo del vascello, che portava
i suoi istromenti astronomici non lo avesse obbligato ad arrestarsi a
Tornea. Rimanemmo dunque in cinque, cioè il sig. _Castrein_, eccellente
botanico, _Julin_ minerologo, il colonnello _Skioldebrand_, pittore di
paesaggi, _Bellotti_ bresciano, ed io, che c’incaricammo degli articoli
di ornitologia, e della compilazione di quanto a giorno per giorno
i nostri compagni avrebbero potuto osservare. _Deutsch_ non sarebbe
stato con noi che per un tratto di strada; ma non ci sarebbe per quel
tratto mancata l’utile sua opera come entomologista. Partimmo adunque
prendendo la direzione pel paese detto l’Alta-Tornea.
Ivi termina il mondo incivilito: non più cavalli, non più strade, non
più alloggi pe’ viaggiatori, salvo una baracca stabilita dai mercanti
di Tornea per loro uso ne’ viaggi che, come ho detto, fanno l’inverno
per le varie fiere che frequentano. Però prima di giungere colà da
Tornea, varii villaggi s’incontrano. Kukko è il primo, distante 7
miglia: 9 miglia oltre è Frankila, le cui donne ci parvero di fisonomia
gradevole. Otto miglia più oltre è Kerpicula, ove il fiume fa un
bacino d’acqua quieta e nera, proveniente da una strepitosa cascata;
ed altrettante più oltre ancora è la chiesa di Kirkomeki, ove vedemmo
l’industria, colla quale i pescatori di sermone ivi sanno piantar
palizzate attraverso del fiume per assicurarsi pesca copiosa. Una
forte pioggia ci obbligò a cercar ricovero in una casa, che vedevasi
sopra un’altura. Vi andammo: in quella casa era una camera pel bagno;
e noi ci divertimmo a vedere gli uomini e le donne a mano a mano che
vi entravano. I primi si spogliavano nella casa, e correvano al bagno
situato 20 passi più oltre: le donne si spogliavano nella camera del
bagno; ma perchè le loro gonnelle non prendessero umidità, le gittavano
fuori; ed erano poi obbligate ad ire a pigliarsele affatto nude. Io
volli entrare in quella camera per misurare il grado di calore, e mi
si toglieva il respiro. Il nostro interprete potè sostenere sì alta
temperatura; e seppe dirmi sulla osservazione del termometro, che
saliva a 65 gradi. Di là da Kirkomeki 6 miglia è Niemis, 8 miglia
distante dal quale è l’Alta-Tornea, ove giungemmo ai 18 di giugno.
Quest’Alta-Tornea è una parrocchia, il cui curato invigila sopra
tutte le altre chiese di questa parte della Laponia. Quello che ivi
trovammo, era uomo compitissimo. Volle che tutti otto (di tanti era la
nostra brigata) alloggiassimo da lui. E ciò fu bene perchè troppo per
noi sarebbe stato angusto il piccolo albergo pubblico di Mattarange.
Bisogna poi sapere, che fuori che sulle grandi strade, l’uso in Isvezia
porta, che il viaggiatore volgasi alla casa del curato, e vi domandi
una camera, giacchè le case de’ paesani sono assai miserabili per
ogni verso; ed al curato, persona comoda, in generale non pare vero
di veder qualche persona di garbo, che rompa la monotonia della vita
triste ed uniforme, ch’egli è obbligato a menare sequestrato in codeste
regioni remote da ogni società. Codesti curati parlano quasi tutti il
latino, parecchi il tedesco, alcuni il francese. Con queste lingue ogni
viaggiatore può farsi facilmente intendere. Aggiungasi che assai spesso
in casa di questi ministri trovansi giovani belle e garbate, state
in educazione nella capitale; e che mal si affanno alla solitudine,
a cui nel seno della loro famiglia sono costrette ad accomodarsi. Se
capita qualche giovine viaggiatore di buona maniera, non v’è cortesia
che non gli si usi, nè cura, o pensiero che non s’impieghi per far che
prolunghi il suo soggiorno; e il momento in cui egli dee partire, è un
momento di tristezza per tutta la famiglia; poichè la cordialità de’
padroni si estende sino alla servitù. Così accadde a noi in casa del
sig. _Sandberg_, le cui amabili figlie, giovinette vive di carattere, e
per natura spiritose, nulla omisero per renderci gradevole il soggiorno
che in casa loro facemmo.
Il sig. _Sandberg_ ci condusse al monte Avasaxa, di cui parla
_Maupertuis_, e sul quale questi fece le sue operazioni per l’oggetto,
a cui mirava la sua spedizione. Noi tenemmo per andarvi la stessa
strada, e trovammo dappertutto vera la descrizione, ch’egli ne
ha lasciata. I nostri naturalisti e botanici fecero osservazioni
e raccolte. Ritornammo a casa morti di fatica, e di fame; e mad.
_Sandberg_ ci avea preparata una cena sontuosa, ove mangiai un arrosto
di renna, la quale era stata tenuta otto mesi nella dispensa. Era stata
ammazzata nel novembre del 1798, e la mangiavamo ai 19 di giugno del
1799. Ciò dimostra la lunghezza dell’inverno in quel paese; e come il
gelo vi conserva bella e fresca la carne.


CAPO IX.
_Faticoso viaggio dall’Alta-Tornea a Kardis. Kassila-Koski
sul punto, su cui passa il circolo polare. Più faticoso è il
viaggio da Kardis a Kengis. Graziosa accoglienza avuta in Kengis
dall’ispettore delle miniere di quel luogo. Ragazze del contorno;
e particolarità di una di Kollare. Separazione de’ viaggiatori.
L’autore rimane solo con un compagno._

Ai 20 di giugno abbandonammo l’Alta Tornea non senza rincrescimento; e
ce lo accrebbe la risoluzione dell’ottimo sig. _Castrein_, obbligato
per urgenti motivi a lasciarci per ritornare alla propria famiglia.
Nel paese, in cui entravamo, può viaggiarsi per cento miglia senza
trovare un sentiero. Noi andavamo per acqua, e in un angusto battello,
che doveva rompere la resistenza dell’acqua con molta forza scendente
da cataratte: un venticello assai vivo in ciò ajutò i nostri rematori,
e noi. Kaulimpe è il primo villaggio che incontrammo sulla sponda
sinistra del fiume; ed ivi vedemmo una di quelle palizzate che ho detto
usarsi nel paese per la pesca del sermone. Comprammo il più grosso
di que’ pesci; e in quella occasione imparai come si mangia crudo.
Si taglia in piccole fette transversali; si pongono queste in sale
umettato con un poco d’acqua, e vi si lascia tre giorni: così preparato
si mangia con delizia.
Mutammo battello e rematori per la seconda volta a Toullis, otto miglia
al di sopra di Kaulimpe. Il viaggio fu più faticoso, e di maggior
pericolo, dovendo passare tra scogli e cascate. A Kassila-Koski, che
è una lunga sequela di cascate, formata dal letto pietroso del fiume,
e da grossi scogli, che s’alzano al di sopra dell’acqua, i nostri
rematori ci fecero vedere tutta la loro bravura in risalire contro
la corrente rapidissima delle cataratte. Queste cataratte poi sono
famose sulle carte geografiche per essere il punto, che corrisponde
alla divisione del globo, nota sotto il nome di circolo polare. Non
vorrebbevi che il sangue freddo, e la imperturbabilità de’ Laponi
finlandesi per azzardare con un battello sì fragile una navigazione
di sì manifesto pericolo. Ebbero però i nostri la precauzione di
farci smontare a terra; e noi fummo contentissimi di potere seguire a
piedi la riva del fiume. Ma con che fatica! tutto è pieno di boschi,
di ceppaje, e di un ruvido musco alto verso due piedi, ed in fondi
pantanosi. Noi tirammo di lungo per acqua sino a Pello. Pello è un
piccolo villaggio di quattro, o cinque case di paesani dal quale si
vede la montagna di Kittis, ove _Maupertuis_ terminò le sue operazioni
trigonometriche. Il dotto sig. _Swamberg_ era venuto in queste parti
della Laponia per esaminare, siccome ho già detto, le operazioni
degli accademici francesi nel 1736. Le eccezioni ch’egli ha creduto di
opporre, tendenti a dimostrare la necessità di nuove misure, furono
lette da lui nella pubblica adunanza dell’Accademia di Stockholm nel
1799; e trovansi nel rapporto sul suo viaggio in Laponia.
Da Pello a Kardis v’ha 18 miglia; e bisogna farle sempre contr’acqua,
e contr’acqua corrente da alto. Lungo il fiume vedemmo come si
possono avere le uova dell’_harle_, uccello dal Linneo detto _mergus
mergunser_, delle quali i nativi di questo paese sono assai ghiotti.
Quest’uccello, sia per indolenza, sia per sottrarre le sue uova agli
uccelli di rapina, invece di fare un piccol nido come le anitre sulle
sponde dell’acqua, o tra i giunchi, o alle radici de’ cespugli, mette
le sue uova ne’ vuoti tronchi d’alberi vecchi. Ora chi vuol godersene
le uova, mette un tronco vuoto di un vecchio albero in mezzo ad uno
di abete, o di pino, e comunemente in riva al fiume: l’uccello ne
approfitta, e vi depone le uova; ma il paesano gliele porta via,
lasciandone però una, o due, e se le mangia. L’uccello ritorna, e
non trovando che un uovo, o due, ne lascia due o tre di più, che sono
portate via come le prime. L’uccello ritorna un’altra volta; e come
se si fosse dimenticato del numero delle uova, che avea ivi deposte,
continua a deporvene delle altre; e il paesano continua a portargliene
via: cosicchè dopo averne goduto una ventina, finalmente ne lascia
le ultime, onde la razza non si perda. Appena poi i piccoli escon
dall’uovo, la madre li prende a un per uno nel suo becco, e li porta
a piedi dell’albero per insegnar loro la maniera di correre all’acqua,
ov’essi la sieguono con sorprendente agilità.
Da Kardis a Kengis corrono 15 miglia: viaggio sempre più faticoso,
e pieno di pericoli. Qui i nostri servitori perdettero la pazienza,
atterriti anche più dalla considerazione, che avevamo ancora 400 buone
miglia da fare verso il Nord. Si calmarono però alquanto giunti che
fummo a Kengis, ove trovammo un ispettore delle miniere, che ci trattò
molto amichevolmente dandoci viveri ed alloggio. Era egli un bravo e
buon uomo, che in quella solitudine avea formata una specie di colonia,
dando valore a miniere prima di lui neglette, e per esse aprendo un
nuovo ramo di commercio utile alla Laponia. Quando _Maupertuis_ volle
inoltrarsi nel cuore della Laponia per vedere certi sfregi sopra una
pietra, ch’egli chiamò caratteri, e disse la più antica scrittura del
mondo, considerò Kengis come un luogo miserabile, non distinto da altri
simili se non per avere qualche fucina di ferro; e come alloggiò in
casa del parroco, convien dire che allora non vi fosse ispettore. Noi
di quello, che vi trovammo, fummo ben contenti: del resto ci era venuta
voglia di andare a vedere quella pietra; ma essa ci andò via udendo
dagli abitanti di Kengis, ch’essi non ne hanno veruna cognizione.
Dubitammo della fervida immaginazione dell’Accademico francese. Nel
corso di questo viaggio raccogliemmo molte piante in fioritura.
Non vi fu cosa fattibile che l’ospite nostro non facesse per nostro
piacere. Egli raccolse i paesani del luogo per farci conoscere il
_ballo dell’orso_, e la loro musica. Tra i varii loro balli fissò la
nostr’attenzione appunto quello che chiamano dell’_orso_. Fa da orso un
paesano, che si mette a terra con quattro gambe, e fa salti e capriole,
come fa l’orso, studiandosi di seguire il tempo della musica, la quale
è interamente gotica. Codesto ballo è faticosissimo, e continuato per
soli tre o quattro minuti costa un immenso sudore. Ma un tale esercizio
conforta mirabilmente i muscoli delle braccia; e l’abituarvisi
giova, a chi ha da risalire le cataratte. Mentre godevamo di questo
divertimento, vennero sul luogo, attratte dalla curiosità di vederci,
parecchie ragazze del paese, le più belle delle quali invitammo
ad avvicinarsi al nostro circolo, essendo noi sotto una tenda, che
l’ispettore avea fatto alzare sopra una bella eminenza coronata di
pioppi d’Italia. Offrimmo loro del vino, che ricusarono, non amandolo;
del punch, che non mostrarono di gustar molto: della birra, che appena
l’assaggiarono. Erano accostumate troppo a ber acqua e latte. Tra
quelle ragazze una ve n’era nativa di Kollare che si distingueva dalle
altre per l’alta statura, per l’umor lieto, per la risolutezza del
suo contegno. Colei avea nelle braccia una tale forza, che quando vi
ci accostavamo con qualche famigliarità, respingevasi a modo da farci
fare quattro, o cinque passi indietro. Era insieme flessibile, ed agile
in ogni suo membro, e poteva passare dappertutto per bellina. Siccome
andavamo folleggiando intorno a codeste ragazze, il nostro interprete
ci avvertì di guardarci dal far cosa che potesse disgustare la giovine
di Kollare, poichè essa dovea darci alloggio in casa sua nel nostro
passaggio colà. Il che avendo essa inteso, ci promise che farebbe di
tutto per riceverci alla meglio.
Partimmo infatti la mattina seguente da Kengis, e quanto eravamo stati
lieti il dì precedente, altrettanto fummo tristi il susseguente, non
solo per lasciare sì cordiale ospite, ma per dover perdere la compagnia
del _Bellotti_, del _Julin_, e del _Deutsch_, i quali per particolari
loro ragioni non poterono esporsi ai pericoli, che ci minacciavano
in regioni più elevate. Quella loro risoluzione ci fece esitare sulla
nostra. Ma un certo orgoglio la vinse: il colonnello _Skioldebrand_, e
il suo domestico mi restarono fedeli. Eccomi dunque in viaggio per la
Laponia.


CAPO X.
_Primo trattamento di ospitalità in Kollare far piangere chi
entra in casa, e perchè. Descrizione di questo villaggio, e de’
contorni. Simon, l’eroe delle cataratte. Pericoli sotto la sua
direzione evitati. Digressione._

Da Kengis a Kollare, che vi è distante 22 miglia, non cambiammo
battello. Impiegammo dodici ore nel viaggio; e i nostri rematori non
ne presero di riposo che cinque. Avemmo per istrada una pioggia, simile
alla quale, tanto era grossa e fitta, io non ne avea mai veduta alcuna
dacchè n’era partito d’Italia. Non credeva che se ne desse di tale in
sì elevate regioni; e fu anche l’unica volta, che colà udimmo il tuono.
Navigando a Kollare incontrammo molte cataratte, che prima ci avrebbero
messo terrore, e che allora ci erano cosa indifferente; ma però
una volta andammo a dare sopra uno scoglio; e il caso solo ci salvò
dall’annegarci.
La erculea ragazza, di cui ho parlato, ci avea preceduto; ed avea
preparati buoni letti, e buon pasto di latte, di burro, e di carne di
renna. Noi la trovammo in casa con sua madre, e con una figlia di una
sua vicina: gli uomini erano andati alla pesca. Il primo trattamento
che codeste donne ci fecero, fu empier di fumo le camere a tanto
da farci continuamente lagrimare. L’intenzione era buona, volendoci
liberare dall’incomodo delle zenzale, che ivi è veramente orribile;
ma il rimedio era molto penoso. Il fumo impediva che quegl’insetti
entrassero in casa; e fuori un gran fuoco li cacciava a migliaja
lontani. In questi paesi il conservare continuamente nelle camere il
fumo è una specie di lusso; e noi nol considerammo che come un oggetto
di prima necessità. Che terribil flagello per gli Europei sono in
questo paese codesti insetti! Ci coprivano in ogni parte della persona;
e se ci riparavamo dalle loro beccate, niun mezzo poi avevamo per
liberarci dal loro continuo ronzìo, che non ci lasciava dormire. Fummo
parecchie volte tentati a non andare più oltre.
Il villaggio di Kollare è abitato da paesani finlandesi, che ci parvero
passabilmente comodi. Esso sta sopra una isoletta formata dal fiume
Muonio: vi si coltiva dell’orzo; e v’hanno pascoli abbondanti di fieno
eccellente. Il paese all’intorno dà belle viste, massime per le due
rive del fiume coronate di betulle, albero in più maniere utilissimo a
questi popoli settentrionali. Della sua scorza si fanno calzari, corde,
piatti, sporte, secchi, e vasi, ed utensili diversi, e per fino un
certo manto, o copertojo per difendersi dalla pioggia. Del legno si fa
tutto quello che vuolsi.
Noi per nostra buona fortuna trovammo in Kollare quattro rematori
più esperimentati di quanti n’avessimo avuti mai; ed uno di questi
fu da noi salutato per l’_eroe delle cataratte_, appunto perchè colla
meravigliosa sua destrezza fece che il nostro viaggio non finisse tra
Kollare e Muonionisca.
Del rimanente da Kollare a quest’ultimo luogo, che è di 66 miglia,
si va sempre in mezzo alle cataratte; ed è inesprimibile la
fatica, che i Finlandesi fanno per condurre il battello, vuoto de’
viaggiatori, tirandolo dalla riva per mezzo di corde, e cercando di
liberarlo dalle strette degli scogli, e dall’impeto violento della
corrente. Noi intanto, non potendo essere di nissun ajuto a’ nostri
rematori, facevamo cammino lungo la riva come potevamo, seguendola,
o dilungandocene conforme volevano le boscaglie, e i siti paludosi,
che la contornano. Avevamo camminato di questa maniera un buon
tratto, quando ci si disse che non era possibile condurre più oltre
il battello. Per lo che andar più innanzi senza di esso, non era cosa
da pensarvi; nè potevamo arrivare a Muonionisca senza attraversare il
fiume; ed in quel luogo la cosa era impossibile. L’unico ripiego era
di chiamare e il battello, su cui stavamo noi, e l’altro, che portava
il nostro convoglio, a terra, e strascinarli per circa due miglia
attraverso delle boscaglie, onde guadagnare una parte del fiume, che
fosse più facile a salire. Il nostro eroe delle cataratte non trovava
niuna difficoltà insuperabile. Volle spingere la magnanimità sua sino
a proporre che noi montassimo sul battello, ch’egli, e i suoi compagni
l’avrebbero strascinato per lo spazio occorrente. Noi scegliemmo di
fare le due miglia a piedi, domandando solamente di riposarci mentre
la nostra gente andava a cercare il nostro bagaglio, e il battello,
che n’era carico. Nel corso di questo viaggio, invitati dal rumore
straordinario del fiume, vi ci accostammo per vedere la famosa
cataratta di Muonio-Koski, la cui corrente rapidissima sopra ogni
credere, quantunque ci paresse impossibile a sostenere volendo scendere
per essa, pure al ritorno nostro avemmo la temerità di affrontare; e
vi riuscimmo. Dirò qui il come, per non aver più da parlare di siffatto
argomento.
Bisogna figurarsi prima di tutto il fiume chiuso entro un letto
estremamente stretto, ed imbarazzato da roccie, e massi a modo, che
per superarli la corrente è forzata a raddoppiare la sua rapidità. Il
canale intanto è per un miglio tutto pieno di scogli, le cui cime acute
frangono l’acqua, e l’alzano in forma di bianca spuma. Come sperare
che un piccol battello, portato attraverso di tanti ostacoli con una
rapidità, per la quale in tre o quattro minuti fa un miglio, non abbia
da andare in mille pezzi? E notisi che il battello non può passare per
codeste strette seguendo semplicemente la corrente: bisogna che vada
con una velocità accelerata per lo meno del doppio. A tal fine due
rematori de’ più svelti e robusti hanno da vogare senza intermissione,
mentre un altro uomo sta al timone per regolare la direzione secondo
le circostanze; e quest’uomo intanto può appena vedere gli scogli e
le rupi che deve evitare. Egli dirige la prora del battello verso la
rupe che dee oltrepassare, e quando sta per toccarla dà un colpo al
timone, con ciò facendo un angolo acuto per allontanarsene, e muovere
al largo. Il passeggiero freme all’aspetto della manovra, che non si
aspettava; crede che il battello vada a spezzarsi in mille schegge;
ed un momento appresso rimane attonito vedendosi salvo; e vedendo
quella rupe di dietro a sè per una distanza prodigiosa. Ma non istà qui
tutto l’imbarazzo e tutto il pericolo. I flutti bollenti, e accumolati
intorno al battello, ora entrano dentro il medesimo, e lo riempiono;
ora lo trapassano da una sponda all’altra quasi senza toccare i
rematori; e in tante forme si presenta la morte, che si stenta ad
aprir gli occhi, qualunque cosa dicano per darvi conforto e sicurezza
le persone, che la sperienza ha addomesticate con questi pericoli.
Parecchi uomini del contorno erano periti; e due soli del villaggio di
Muonio rimanevano, nella capacità de’ quali si potesse confidare: erano
questi un vecchio di 67 anni, e suo figlio di 26. Non saprei esprimere
la impassibilità di quel vecchio nel corso di quel tragitto. Quando
eravamo in un momento de’ più critici di codesti passaggi, ci bastava
gittar gli occhi sopra di lui; e la nostra paura dileguavasi. — Chi
legge s’immaginerà la contentezza nostra quando avemmo superato quel
mal passo; ed allora finirono le fatiche, e i pericoli, che una vanità
temeraria ci avea fatto incontrare. Ma noi dobbiamo ritornare, secondo
il naturale ordine delle cose, al nostro primo racconto.


CAPO XI.
_Povera colonia di Finlandesi. Muonionisca. Ministro di questa
parrocchia, e suo singolare carattere. Costumi de’ paesani di
questo villaggio, e de’ contorni._

Prima di giungere a Muonionisca ci fermammo ad una piccola colonia
di Finlandesi, che ci parve estremamente povera, e la cui situazione
vivamente c’interessò. Due sole famiglie la componevano, consistenti
in tutto in sette persone, comprendendovi due donne, e un ragazzo.
Il paese all’intorno era superbamente ridente. Un pittore non lo
potrebbe disegnare più vago, ed ameno. Ma questa piccola comunità per
cinque mesi dell’anno non poteva comunicare con nissun altro luogo:
vivea, si può dire, solitaria anche il rimanente dell’anno, essendo
caso fortuito, che colà capitasse qualcheduno, come vi capitammo noi.
Essi dispongono di un territorio di sei miglia all’intorno, fiumi,
peschiere, boschi, prati, sono loro: ma sì grande e ricco possedimento
faceva un gran contrasto colla loro indigenza. Non aveano che quattro
vacche, non seminavano che un barile d’orzo, il quale nelle annate
buone non ne dava che sette: in alcune cattive non dava nemmeno la
semenza; ed era un anno, che sarebbero morti di fame, se non fosse
capitato colà un mercante di Tornea, che provvide al loro bisogno.
Queste due famiglie trovandosi per mala fortuna entrambe disperate,
erano venute d’accordo a questo luogo, e vi si erano stabilite
giovandosi dell’uso che in Laponia corre; ed è che chi vuole fissarvisi
non ha che da scegliersi un cantone a piacimento, purchè sia discosto
dal più vicino villaggio sei miglia; e quando vi ha piantata la sua
baracca, tutto il terreno circondante per sei miglia all’intorno è cosa
sua.
Muonionisca è un villaggio di 16, o 18 fuochi, posto sulla riva
sinistra del fiume Muonio, che qui ha il suo principio. V’è una
chiesa, e un ministro, come a Kengis: e questo ministro è suffraganeo
del curato dell’Alta-Tornea. La sua parrocchia, come ho detto, non è
estesa meno di 200 miglia quadrate; ed in lui non vedevasi segno alcuno
che lo distinguesse dai suoi paesani, salvo un pajo di calzoni neri.
Avea avuta la disgrazia di vedere abbruciarsi in un incendio tutti i
suoi mobili, e tutti i suoi libri, compresa fin anco la bibbia. Forse
codesta disgrazia avea contribuito a dargli una certa rusticità,
che lo metteva a livello de’ suoi parrocchiani. Però avea una gran
dose di buon senso, ragionava con sagacità e giustezza in materie
politiche: masticava male il latino; ma sapeva la lingua svedese, e
finlandese e ci spiegò assai bene molte etimologie, che desideravamo
intendere. Del rimanente com’egli era povero, declamava violentemente
contro la maniera, colla quale l’alto clero usava delle ricchezze. Era
dichiarato nemico d’ogni potere dispotico; e badando a’ suoi discorsi
sarebbesi detto ch’egli avesse ferma speranza di vedere che il giovine
Conquistatore giugnesse un giorno a Muonionisca, e lo facesse patriarca
della Laponia. Egli odiava altissimamente la Russia, e il suo governo,
dicendo che avviliva il popolo, e per ragione di Stato lo teneva
nella più brutale ignoranza. Qualche volta discorreva sugli abusi
della nascita, e della successione ereditaria di un tuono sicuramente
notabile in un uomo, che nulla aveva al mondo salvo una camicia, un
pajo di calzoni, e le scarpe che portava ai piedi. Udendolo ragionare
così, congetturai che gli fosse capitato per le mani qualche libro
moderno; ma quando mi fece il catalogo de’ libri della sua biblioteca
abbruciata intesi che non avea posseduto che trattati di teologia,
e libri su materie di controversia, aggiungendo però che poco avea
studiato gli uni, e gli altri. Non era poi uno di que’ Ministri, presso
i quali i viaggiatori potessero trovare alloggio; ma egli avea piacere
di vederne, perchè ne traeva qualche bicchiere di acquavite; e fece
molto elogio di quella, che noi gli davamo ogni volta che veniva a
trovarci.
Ecco le notizie che io mi procurai intorno a questo villaggio, e
ai costumi de’ suoi abitanti. Tutta la parrocchia conta circa 400
anime, disperse sopra una superficie, siccome ho detto, di 200
miglia quadrate: gli abitanti sono tutti finlandesi emigrati. Tutti
i viaggiatori venuti in queste contrade li chiamano Laponi, perchè è
Laponia il paese, ove sono venuti a stabilirsi. I costumi e il modo
di vivere sono gli stessi che quelli de’ nativi finlandesi, colla
differenza però dell’alterazione prodotta dal clima, e dalla situazione
topografica. Questi Laponi finlandesi, come i pastori laponi, nulla
sanno nè di poesia, nè di musica; nè hanno veruno strumento musicale.
Circondati da laghi e da fiumi, abbondanti di pesce, poco coltivano la
terra, e vivono principalmente della pesca. Hanno comuni colle nazioni
selvaggie la forza, e l’attività: conoscono l’amore, ma non le grazie
che lo accompagnano presso i popoli più inciviliti: hanno tutti i segni
di una tristezza abituale: nè qui ho veduto mai un giovine lanciare
uno sguardo d’interessamento sopra una ragazza. È uso generale che i
due sessi dormano insieme, senza che tale intimità abbia alcuna delle
conseguenze, che potrebbe avere, se fosse sofferta in un paese più
meridionale. Il padre è quegli che trova la sposa al figlio; e le sole
convenienze di famiglia dirigono il contratto. Il figlio è indifferente
a prendere per moglie questa, o quella ragazza. Conviene però dire, che
anche tra questo freddissimo popolo si sono dati tristissimi esempi di
gelosia feroce; ed un caso veramente pietoso ne narrò il ministro. Nè
furti, nè omicidii in questa alta regione d’Europa si odono; ma bensì
suicidii, che non possono attribuirsi se non se a qualche genere di
follia, o ad eccesso di abbattimento di spirito.
In estate il nudrimento principale di questi popoli è il pesce seccato
al sole, se la pesca è buona: vendono il superfluo per aver farina,
sale, e ferro, di cui abbisognano pei loro usi domestici. D’agricoltura
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