Viaggio al Capo Nord - 13

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la quale avea cura de’ bambini, che a lei erano votati fino dal momento
della loro nascita.
I pericoli, a cui potevano essere esposti spezialmente i Laponi
montanari nello scorrere co’ loro armenti vastità di paese pieno di
precipizii, e d’acqua d’ogni maniera, fecero loro considerare per
divinità _Saiwo_, e _Saiwo-Olmak_, invocati appunto in circostanze
critiche; essi davano a chi li consultava le risposte in sogno.
Un’altra divinità, che chiamavasi _Saiwo-Guelle_, era incaricata di
guidare le anime in mezzo alle tenebre inferiori.
I Laponi facevansi un dio della Morte, chiamata da essi _Jabme-Aikko_;
e regione di _Jabme-Abimo_ dicevasi la terra, in cui questo dio
soggiornava; ed ivi le anime dei defunti vestivansi di nuovi corpi in
luogo di quelli ch’erano rimasti ne’ sepolcri; e godevano di nuovo,
e più ampiamente delle dignità e dei diritti, de’ quali erano stati
distinti sulla terra. Anche l’inferno avea il suo dio; e le regioni
soggette al suo impero chiamavansi _Rota-Abimo_: ivi erano mandate le
anime de’ perversi per istarvi senza alcuna speranza; laddove i mandati
a _Jabme-Abimo_ avrebbero un giorno veduto _Radien_, e sarebbero stati
con esso lui in luoghi beati. Ma quando dal raccomandarsi a tutte le
altre divinità non aveano tratto alcun soccorso, volgevano l’ultima
loro speranza a _Rota_. Lo aveano per un dio cattivo e potente insieme
quanto gli altri: onde credendo che da lui venissero le malattie loro e
de’ loro armenti, tentavano di placarne il mal talento.
Questa mitologia, qualunque sia il carattere, sotto il quale essa
apparisce a noi, non può essere la creazione di uomini rozzi, come i
Laponi a noi si presentano. Gli uomini rozzi possono soltanto averla
in qualche parte alterata. Sembra adunque che siamo abilitati a
supporne altrove l’origine, la quale non può essere stata che in un
paese ben lontano dalla Laponia, e presso una nazione, dalla quale
gravi calamità e violenza insuperabile distaccarono i padri degli
attuali Laponi. Nell’esame delle varie religioni, che o per intero o
per rottami possono riscontrarsi ne’ paesi dell’Asia, s’avrebbe forse
qualche elemento per meglio conoscere l’origine vera di questo popolo.
Giusto è intanto osservare che le tenebre, in cui per sì lunga porzione
dell’anno i Laponi vivono, e gli orrori del sì rigido loro clima, non
hanno punto comunicato alla loro religione quel carattere di tristezza
e di abbattimento, che in secoli di errori d’ogni genere accompagnò la
più pura e santa delle credenze. Similmente i sacrifizii che facevano
alle loro divinità, non erano punto dissimili da quelli, che usaronsi
dai popoli più civili. Anzi tra questi qualche volta la divinità fu
oltraggiata coll’offerta di sangue umano; nè di tale infamia i Laponi
macchiarono mai il loro culto. Una renna, un montone, e qualche volta
una foca, erano le vittime de’ loro sacrifizii; e più spesso non
usarono che libazioni di siero e di latte, a cui si aggiungeva talora
l’offerta di un formaggio.
I Laponi aveano anche i loro dei penati, che collocavano sotto il
focolare: aveano montagne riguardate come luoghi santi; ed erano delle
più difficili da salire, e dove nondimeno andavano ad esercitare
qualche atto religioso. Anche oggi giorno v’ha chi visita codesti
luoghi vestito de’ migliori suoi abiti; e se non vi si offrono
più sacrifizii, se n’ha però tanta venerazione, che per niun conto
si ardirebbe piantarne in vicinanza le tende, nè in que’ contorni
attaccare un orso, una volpe, un animale qualunque; e la donna, che
viaggia, volta dall’altra parte la testa, e si copre la faccia colle
mani così mostrando il suo rispetto alla santità del luogo.
Fenomeni, di cui rimaneva ignota la causa, poterono facilmente far
nascere l’idea di potenze invisibili; e forse fatti che non doveansi
che al caso, indussero uomini semplici a credere che qualche mezzo vi
fosse per far muovere secondo il bisogno a pro nostro quelle potenze.
Che il caso ancora, o la buona fede sostenuta da una immaginazione
esaltata, abbia dato valore ad un’applicazione nulla in tutt’altre
circostanze, questa non è cosa impossibile. Che qualche ardito ingegno,
o ingannato da proprie prevenzioni, o da vanità, o d’altro interesse
spinto a farsi impostore, abbia preteso di fondare una scienza
occulta; questa è cosa possibile. La magia non ha dominato, siccome la
superstizione, che presso nazioni e uomini ignoranti. Che meraviglia
se ciò sia seguito anche presso i Laponi? Si dice che _Odino_ portò
questa scienza nel nostro settentrione; i più antichi annali della
Norvegia parlano di mirabili cose operate da alcuni re di quel paese.
Strumento dell’arte è il tamburo runico, fatto come un cembalo con
tanti anelli e sonagli intorno, che al più piccolo movimento fanno
grande strepito, e pieno di figure e di emblemi misteriosi. Il tamburo
runico gode tuttora presso i Laponi dell’antico credito; e più si
stima quello che è più vecchio; e inapprezzabili sono quelli, i quali
può provarsi che passarono di padre in figlio in una lunga serie di
professori dell’arte. Si dissero dai Laponi questi maghi _Noaaids_, e
naturalmente godevano di molta riputazione: ma oggi stannosi nascosti,
perchè i curati li tengono troppo d’occhio. In generale le grandi
famiglie hanno uno de’ tamburi runici, che tengono nella più segreta
parte dell’abitazione, e se ne servono nelle circostanze più gravi,
come di malattie, di mortalità del bestiame, e d’altre calamità: nè
mancano di cercare l’opera di qualche _Noaaid_, poichè si suppone che
questi abbiano la scienza e le tradizioni de’ loro antichi. Chiamato
adunque uno di costoro incomincia dal fare un mondo di sberleffi e di
contorsioni spaventevoli, bevendo acquavite e fumando tabacco, quanto
mai può. Ridotto per tali mezzi ad una specie di ubbriachezza cade
in un profondo sonno, che tutti gli astanti prendono per estasi; e
quando si sveglia, dice che la sua anima è stata trasportata in qualche
montagna santa, di cui indica il nome; e prende a rivelare il discorso
che ha avuto colla divinità, aggiungendo che ad onore della medesima si
dee fare un sacrifizio; che per ordinario è di una delle più grosse e
più grasse renne. Il sacrifizio si fa, di cui il _Noaaid_ gode la parte
migliore. Non succedendo quanto si vorrebbe, se ne chiama un altro, e
poi un altro ancora; e molti consumano il fiore del loro armento senza
costrutto. Oltre il tamburo runico in queste operazioni entrano le così
dette _mosche ganiche_, sotto il qual nome s’intendono maligni spiriti,
i quali sono interamente nella dipendenza del _Noaaid_, che si presume
averne ereditato il comando per lunga successione da’ suoi maggiori.
Questi spiriti, come ragion vuole, sono invisibili a tutti fuorchè
al mago che li tiene chiusi in una scatola finchè abbia occasione di
servirsene. Non debbesi poi tacere, che il _Noaaid_ canta una certa
sua canzone in mezzo alle sue operazioni, la quale i Laponi chiamano
_Juvige_; ma anzi che cantata dee dirsi urlata: chè di armonia non v’ha
nulla.
Del rimanente più che ad altri propositi l’impostura di questi maghi
può riuscire nel fatto di trovare cose perdute, o derubate. Ed ecco
come il _Noaaid_ procede quando possa immaginare il luogo ove trovare
il detentore della cosa perduta, o il ladro. Egli va colà; versa
dell’aceto in un piatto, d’onde vien riflessa la fisonomia della
persona che vi si guarda. Ed è chiamata a guardarvisi la persona caduta
sospetta; ed intanto il _Noaaid_ le fa contro mille sberleffi, e mostra
di fissarla e contemplarla ben bene: poscia chiaramente l’accusa del
furto commesso; dice di averne la prova sul volto di lui ben figurato
sul piatto, e la minaccia di farla coprire da uno sciame di mosche
ganiche, le quali la tormenteranno finchè abbia restituito ciò che non
le appartiene. Ognuno qui vede come la riuscita del _Noaaid_ dipende
tutta dalla paura della persona sospetta, la quale, se veramente è
colpevole, non manca mai di rimettere quanto ritiene d’altrui, od
ha rubato, ponendo però nel restituire la segretezza stessa, che
avea usata nel furto. Del resto i _Noaaids_ de’ Laponi hanno molta
somiglianza cogli Angelochi de’ Groelandesi.
Terminiamo col dire, sempre sulla scorta del missionario _Leemens_,
dell’attaccamento, che i Laponi hanno pel loro paese. _Cristiano VI_,
re di Danimarca, incaricò quel missionario a mandargli un qualche
giovine Lapone: a cento, con cento proposizioni vantaggiosissime
il missionario fece la proposta inutilmente: infine ne trovò uno
che accettava il partito, ma la madre guastò tutto, la quale disse
apertamente al missionario, che la maledizione di Dio, e la sua
sarebbero cadute sulla testa di lui, se avesse continuato a volere
separarla da quanto essa avea di più caro al mondo; aggiungendo, che se
nel prossimo suo parto le fosse accaduta qualche disgrazia, l’avrebbe
attribuita a lui come autore di tanto suo affanno. Questa espressione
toccò il cuore al missionario, il quale non insistette di più.
Non ci si dice, come poi ciò non ostante quei giovine andasse a
Copenaghen: bensì lo stesso missionario racconta, che quantunque
eccellentemente per ogni verso trattato colà, nell’autunno seguente
cadde ammalato, languì sino alla fine dell’anno, e poi morì: nè
_Leemens_ esita ad attribuirne la morte al subitaneo cangiamento
d’aria, ed alla nuova maniera di vivere. Che può mai un Lapone
sostituire in Copenaghen alle abitudini contratte nel suo paese?
Fuori di questo per lui tutto il mondo è una prigione; e fuori de’
suoi compatrioti e delle sue renne, tutto per lui è un complesso di
barbarie. La Danimarca non ha potuto avvezzare al suo clima, a’ suoi
modi, a’ suoi piaceri nè Laponi, nè Groelandesi.


CONCLUSIONE

«Così, dice _Regnard_, terminando la sua relazione del viaggio da lui
fatto in Laponia, finì il penoso nostro viaggio, il più curioso che mai
fosse intrapreso, il quale io non vorrei aver fatto per nessuna somma
di denaro, e che però per nissun guadagno vorrei ricominciare».
Egli è a presumere, che al tempo di _Regnard_ questo viaggio dovesse
presentare maggiori difficoltà che al presente. Tuttavolta io credo
di dover notare qualmente anche al presente non solo è difficile, ma
eziandio in certe circostanze riesce impossibile. Se, p. e., avvenisse
che l’estate fosse umida, che le pioggie fossero abbondanti, e per
conseguenza che le paludi non avessero tempo di asciugarsi, non so
vedere in che modo si potessero attraversare. Bisogna badare però che
quando io parlo d’impossibilità presunta di questo viaggio, s’ha il
mio discorso da intendere rispetto alla strada che noi abbiamo voluto
tenere, e non a quella che seguì _Regnard_. In quanto a questa, essa è
sempre praticabile, ed anche facile. Il fiume Tornea, se si eccettuino
alcune cataratte, è costantemente navigabile sino alla sua sorgente a
Tornea-Treske.
Sono ben lontano dal cercare, esagerando le nostre fatiche, e gli
ostacoli da noi superati, di distogliere gli altri dal seguire il
nostro esempio per riservare a noi soli il merito straordinario della
esecuzione di tale impresa. Al contrario debbo piuttosto temere che il
poco interesse che i lettori avranno trovato nella mia opera, non sia
il più efficace motivo di allontanarli dal fare un viaggio, che sembra
prometter loro sì pochi mezzi di accrescere le loro cognizioni.
La Laponia non pertanto presenta all’osservatore un vastissimo campo
d’istruzione. La mediocrità de’ miei talenti, e la rapidità colla quale
mi è convenuto percorrere una tanto immensa estensione di paese, non
mi hanno permesso, che di sfiorare le cose. Dico però, e lo dico con
fondata persuasione, che in codeste regioni tutto è ancora vergine; i
fiumi, i laghi hanno i loro popoli particolari; le montagne nascondono
nelle loro viscere miniere sfuggite tuttora alla cupidigia dell’uomo,
del pari che al suo studio. La renna, il ghiottone, specie d’orso
appartenente a codeste zone, il lemningo, razza di sorcio, sono animali
incogniti nelle altre parti d’Europa. Gli Ornitologisti troveranno ivi
uccelli particolari a quelle elevate regioni; e l’Entomologista, ad
ogni passo che farà, potrà arricchire le sue raccolte d’insetti più
rari e più preziosi. Per quanto numerosi sieno i luoghi, sui quali il
_Linneo_ portò le sue ricerche, e per quanto grandi sieno state le
sue scoperte, egli nelle sue corse lasciò nondimeno molti punti da
percorrere. Il _Quenzel_ ed altri naturalisti non hanno eglino dopo
di lui trovati molti, e molti insetti, singolarmente della classe
delle farfalle, o come essi dicono lepidopteri, i quali attualmente
formano articoli interessantissimi nelle collezioni di questo genere?
E quantunque il _Plinio_ svedese abbia portata un’attenzione, che
potrebbe dirsi anche minuziosa, su tutti gli oggetti di botanica;
quantunque abbia scrupolosamente vangato, dirò così, il suolo delle
regioni che ha scorse, per iscoprire ogni pianta, che al dire di
_Goldsmit_
Per non esser veduta s’era tratta
In que’ deserti, e si facea un velo
Dell’aria, d’onde solo il cupid’occhio
La potrebbe scoprir, se l’ali avesse;
i suoi successori troveranno ancora da impiegare il loro tempo in
vantaggio della scienza vegetale, e di quelli che la coltivano:
segnatamente nella criptogamia, alcuni individuali oggetti appartenenti
alla quale sono stati sottomessi a processi chimici, e possono
aprire una nuova sorgente d’industria nelle manifatture, e perciò nel
commercio.
Un grande vantaggio poi pel viaggiatore, vantaggio che gli
permetterebbe di aggiungere un interesse grande alla relazione del
viaggio suo, sarebbe quello di possedere l’arte del disegno, e di
potere coll’ajuto d’essa presentare agli occhi non solo dei dilettanti,
ma eziandio de’ consumati artisti quelle scoscese montagne, quelle
cascate maestose, que’ fiumi con tanto fracasso precipitanti le loro
acque per que’ loro letti sì profondi, o menandole pacatamente per la
larghezza delle vallate. Cotanta folla di siti, di paesaggi, di punti
di vista infine o magnifici, o selvaggi, o romantici, ma tutti sì
nuovi, sì incogniti in altri climi, sì veramente fatti per ingrandire
il genio delle arti, e la cui rappresentazione con tanto diletto
ricondurrebbe lui medesimo sopra i suoi trascorsi pericoli, sopra le
fatiche sofferte e i gustati piaceri.
Se l’inverno non gli presentasse scene cotanto variate, pienamente
lo compenserebbero di sua pazienza mille oggetti degnissimi della
sua attenzione. La sua immaginazione colpita dalla forza de’ quadri
di questa natura insensibilmente si esalterebbe, e questo entusiasmo
sì naturale sarebbe seguito da quella dolce, e viva malinconia, che
l’_Hume_ riguarda come il sintomo dell’anima umana tocca dall’amore,
e dall’amicizia. Questa profonda malinconia, il cupo silenzio sparso
sopra codeste contrade isolate, porteranno indubitatamente chi le
percorrerà da filosofo, a domandare a se medesimo a che fine sieno
entrati nell’ordine della creazione luoghi per così dire estranei alla
vita. Con che disegno sono poste nella economia della natura quelle
aurore boreali, quegli spettacoli sì brillanti dell’aria, e que’
laghi, e que’ fiumi, e quelle cataratte, se tale teatro magnifico,
eternamente deserto, debb’essere perpetuamente estraneo all’uomo.
Ebbene! L’uomo non iscioglierà mai codesta questione fin tanto che
si terrà persuaso ch’egli è il re delle cose create, e si abbandonerà
alla idea presuntuosa che tutte le cose poste su questo globo non per
altri esistono che per essolui. E non hanno al pari di noi un egual
diritto di moltiplicare le loro specie codesti uccelli, che fanno
eccheggiare pe’ boschi i loro canti, che coprono a sciami le paludi,
i fiumi, il cielo; e che l’estate emigrano da tutte le parti d’Europa
verso la Laponia per ivi costruire i loro nidi, ove debbono sbucciare
i loro piccoli dalle uova, che vi deporranno? Esposti dappertutto alle
insidie dell’uomo sì inclinato a crearsi de’ bisogni, che non gli diede
la Natura, perchè questa madre comune, sì saggia e sì pia, non avrebbe
riserbato loro degli asili, ove senza timore abbandonarsi all’amore,
e alla dolcezza degli affetti, che la propria prole ispira ad ogni
vivente?
La Laponia presenta dappertutto al filosofo bramoso di conoscere la
natura nel suo stato di semplicità, soggetti degni della più profonda
riflessione, e di una contemplazione tanto più seducente, quanto
che essa è fatta per alimentare vie più il suo intelletto. È un
importantissimo punto in istoria naturale quello di sapere quanto in
fatto sia fondata l’opinione di _Mairan_, di _Buffon_, di _Bailly_,
e d’altri filosofi su quello, ch’essi chiamano calore centrale. Si
domanda se dopo la formazione della terra vi fosse mai un periodo,
in cui le regioni artiche fossero più calde di quello che lo sieno al
presente; se possa supporsi che sia avvenuto un cangiamento di clima, e
che nel corso de’ secoli sia succeduta una differenza essenziale nella
temperatura delle nostre zone. Queste domande potrebbero naturalmente
essere fatte da un filosofo, che viaggiasse in Laponia. Ma confesso che
non ho veduto nulla, su cui fondare una passabile risposta. Tutto ciò
che io posso dire si è, che durante il breve tempo, in cui sono stato
in Laponia, non ho scoperta cosa che si possa considerare come atta
a conservare sì sublime teoria. Non ho incontrate sorgenti calde, nè
altra traccia di temperatura stata più calda, come non ho avuto nissuno
indizio di popolazione più numerosa, non reliquie di antichi abitatori,
o d’arti che possano riferirsi a tempi antichissimi. Ma ho io veduto
tutto? Troppo vasto è il campo delle investigazioni occorrenti per
risolvere con materiale elemento tanta quistione. Vuolsi adunque che
altri e con grande zelo e con grande perseveranza si mettano alla
prova. Perchè non potrà trovarsi in Laponia, ciò che hanno rivelato fin
qui in Siberia e in America, paesi posti a latitudini eguali a quella
della Laponia?
Finalmente, per continuare il primo discorso dirò vero essere che le
arti non fioriscono in queste contrade; che non vi s’inalzano templi
per isfidare il potere del tempo, e per pubblicare alle razze venture
la vanità di coloro, che li fecero edificare: non si veggono palazzi,
e case pompose, oltraggio altrove sì comune alla miseria dell’uomo
che ricco della sua coscienza, è inattaccabile da rimorsi, perchè nè
sa, nè può prestarvi materia. Rottami adunque di colonne, avanzi di
monumenti ivi non indicano al viaggiatore l’orgoglio di que’ potenti
dell’antichità, che comparvero per qualche tempo sulla scena della
vita per disgrazia di coloro che vissero sotto la loro dominazione.
Che ne’ paesi nostri l’archeologo passeggi sulle sparse ruine degli
edifizii rovesciati dalla successione de’ secoli; e che in mezzo a
que’ frantumi cerchi a sbrogliare il caos della storia, onde ricco
de’ fatti che ne avrà tratti, trovar materia di meravigliarsi sulle
azioni de’ primi uomini. Il filosofo in mezzo della Laponia, più
saggio forse ne’ suoi desiderii, non si fermerà meno dilettevolmente
sullo stato attuale, in cui troverà codeste contrade, convinto, che
possono abbastanza pascere il suo ingegno. Ivi egli studierà i primi
elementi della vita sociale: ivi conoscerà la società umana sotto la
forma più antica, la quale si può riguardare come la primitiva. Non
andrà colà per ammirare le opere dell’uomo incivilito; ma bensì per
contemplarvi la natura, l’ordine, l’armonia, prevalenti in tutte le
produzioni della creazione, l’immutabil legame della catena delle
cose, e la suprema Sapienza impressa su tutti gli oggetti della prima
formazione. Qua, e là verrà egli acquistando nuovi mezzi di estendere
le sue cognizioni, di riscaldare il suo zelo, di stralciarsi una via
più facile verso il ben essere, a cui egli medesimo aspira. Può egli
ripromettersi tanto l’archeologo dagli oggetti, che scelga per le sue
investigazioni? e l’oggetto di queste può stare in paragone di quello
delle investigazioni del nostro filosofo?
Ah! come sarebbe ammirabile un viaggio fatto in Laponia collo spirito,
che accenno, quando fosse intrapreso da un saggio delle regioni
meridionali, coraggioso a segno di sfidare tutti gli accidenti, che
potesse incontrare. Un viaggio in Laponia fatto così filosoficamente
da un curioso che venisse dalle contrade del mezzogiorno! Quale altro,
più capace di produrre in lui le più utili riflessioni, e le lezioni
più salutari! Quanto non guadagnerebb’egli di più che quelli, i quali
nati nel Nord si tolgono ai rigori del loro clima per recarsi tra noi,
e farsi schiavi de’ piaceri che loro esso ricusa? Essi non portano seco
ritornando ai loro paesi che il vano desiderio di godere del cielo,
che debbono abbandonare. Non provano al loro ritorno che privazioni:
con rincrescimento ricordansi dei diletti, che loro prodigalizzava
per alcune ore un sole più dolce; sospirano dietro il piacevol senso
in essi eccitato dalle scienze, e dalla coltura delle belle arti; ed
obbliano che il vero ben essere dovrebbe comporsi delle cognizioni
acquistate, piuttosto che della reminiscenza de’ piaceri, che non
hanno potuto trasportar seco. Al contrario il viaggiatore meridionale,
che penetra nel Nord, presto è chiamato al confronto degli oggetti
presenti, e di quelli che ha lasciati nel suo paese; e nella nuova
scena, che gli si apre d’innanzi, una potente voce della sua coscienza
gli svela tutte le illusioni, tutte le vanità, tutti gli errori degli
uomini, che nella ebrietà di un esagerato incivilimento non avveggonsi
come si sono lasciati allontanare dalla vera via della natura; e che
seguendo le lusinghe di un perfezionamento non giustamente inteso,
s’inabissano ognor più in un vortice seduttore, ove la natura è
smentita, la virtù falsata, e la vera felicità ottenibile sulla terra
è tanto più sospinta lungi da noi, quanto più ardentemente da noi è
cercata. Egli sarebbe un predicatore fallito, se prendesse a voler
disingannare una generazione troppo profondamente avanzata in una sì
deplorabil carriera. Ma il suo spirito si è fortificato nella fede
della verità. La verità ch’egli ha veduta nel suo più chiaro splendore,
è divenuta la reggitrice delle sue morali abitudini. So quanto è
apprezzabile tutto ciò, che mette i suoi concittadini in delirio; e
senza esporsi a predicare al deserto, colle sue opere e colla sapienza
de’ suoi principii farà ancora qualche bene.

FINE DEL VIAGGIO.


INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO VIAGGIO

INTRODUZIONE Pag. 5
CAPO PRIMO.
_Partenza da Helsinbourg. Gottembourg, e costumi
de’ suoi abitanti. Canale di Trolhatta.
Stockholm. Descrizione di questa città. Indole,
ed usi degli Svedesi._ » 9
CAPO II.
_Partenza da Stockholm per Grisselhamn. Condizione
di chi fa questo viaggio. Traversata
sul ghiaccio del mare ed accidenti occorsi.
Vitelli marini. Paesano svedese e suoi ragionamenti.
Isole di Aland e loro abitanti._ » 21
CAPO III.
_Abo e cose notabili di questa città. Stato e
vivere degli abitanti del paese. Incontro di
un bardo moderno. Aurora boreale. Yervenkile.
Sua cascata. Caccia. Stato economico
dell’albergatore._ » 37
CAPO IV.
_Foresta famosa in Finlandia. Indole dei lupi
che vi abitano. Incendii ed uragani che la
devastano. Cammino pericoloso, e mal passo
sul ghiaccio. Altro ghiaccio più spaventoso.
Wasa: descrizione di questa città._ » 49
CAPO V.
_Civiltà incontrata in Wasa. Aneddoti curiosi
riguardanti Linneo. Gamla-Carleby. Nuovi
motivi di spavento sul ghiaccio. Pescatori
sul ghiaccio e loro industrie. Illusioni prodotte
dal ghiaccio. Brachestad. Uleaborg.
Avventura galante. Particolari riguardanti
Uleaborg. Risoluzione di fermarsi in questa
città._ » 58
CAPO VI.
_Magnatizzatore, e magnatismo. Partita di musica
istromentale. Simpatia de’ Finlandesi per
la musica. L’harpu. Caccia del gallo di
brughiera, e qualità di questo uccello. Pregiudizii
de’ Finlandesi per certe vivande. Faccende
de’ Finlandesi nell’inverno. Loro pesche
sul ghiaccio. Loro caccie di vitelli marini
e dell’orso._ » 68
CAPO VII.
_Poesie improvvisate dai Finlandesi. Perchè dette
runiche; loro carattere: modo con cui
vengono recitate o cantate. Esempii. Elegia
per la morte di un fratello. Proverbii. — Il
pasticcio di Paldamo. — Versi d’amore. Le
più antiche poesie runiche sono formule di
magia, d’incanti, di superstizioni, reliquie
della religione dominante presso i Finlandesi
prima del cristianesimo._ » 78
CAPO VIII.
_Si parte da Uleaborg. Difficoltà supposte per
andare al Capo-Nord attraverso della Laponia.
Nuovi compagni e provvigioni. Addii. — Descrizione
di un ballo finlandese. Divertimenti
in Hutta. Arrivo a Kemi. Il curato, e
la sua famiglia: bella chiesa e bei contorni.
Bagno a vapore. Passaggio a Tornea.
Suo clima, e suo commercio. Fine del mondo
incivilito. Curato dell’Alta-Tornea: sua
ospitalità._ » 92
CAPO IX.
_Faticoso viaggio dall’Alta-Tornea a Kardis.
Kassila-Koski sul punto, su cui passa il circolo
polare. Più faticoso è il viaggio da Kardis
a Kengis. Graziosa accoglienza avuta
in Kengis dall’ispettore delle miniere di quel
luogo. Ragazze del contorno; e particolarità
di una di Kollare. Separazione de’ viaggiatori.
L’autore rimane solo con un compagno._ » 106
CAPO X.
_Primo trattamento di ospitalità in Kollare far
piangere chi entra in casa, e perchè. Descrizione
di questo villaggio, e de’ contorni.
Simon, l’eroe delle cataratte. Pericoli sotto
la sua direzione evitati. Digressione._ » 115
CAPO XI.
_Povera colonia di Finlandesi. Muonionisca.
Ministro di questa parrocchia, e suo singolare
carattere. Costumi de’ paesani di questo
villaggio, e de’ contorni._ » 119
CAPO XII.
_Pallajovenso. Errori de’ viaggiatori e geografi
circa la Laponia. Ciarlataneria di Maupertuis.
Aspetto del paese tra Muonionisca e
Pallajovenso. Musco delle renne. Arrivo a
Lapajervi, e crudele persecuzione delle zenzale.
Lago di Pallajervi: isola Kuntigari:
fermata in essa deliziosissima. Rondinelle di
mare come servizievoli ai pescatori. Laponi
nomadi presi a guida, congedati i Finlandesi;
e penoso viaggio fatto con coloro._ » 127
CAPO XIII.
_Erba angelica. Arrivo al Pepojovaivi. Incontro
di pescatori laponi. Loro usi e sospetti sui
viaggiatori. Cagioni di questi sospetti. Quantità
immensa di pesce nel Pepojovaivi, ed
acque adjacenti. Caccia su quel fiume. Altre
particolarità sui Laponi nomadi. Arrivo
a Kantokeino._ » 144
CAPO XIV.
_Isolamento di Kantokeino. Ragione del confine
apparentemente irragionevole. Musica lapona.
Maestro di scuola: sue imprese, e
sua singolare incombenza. Notizie statistiche
su questa parrocchia, e stato economico de’
suoi abitanti. Partenza, e cordiali addii delle
donne del villaggio. Il bel fiume dell’Alten.
Cataratta magnifica. Rapidità singolare della
corrente. Chiesa pigmea. Montagne. Guerra
colle zenzale. Incontro di un pescatore di
sermoni. Laberinto. Arrivo ad Alten._ » 159
CAPO XV.
_Situazione di Alten. Veduta dell’Oceano-glaciale.
Abitanti di Alten, ed ospitalità avutane.
Navigazione per l’Oceano-glaciale, e
visita della costa. Monte Himelkar, e cascata
che ne discende. Visita ad alcune abitazioni
di Laponi. Stato de’ Laponi stabiliti
sulla costa. Laponi erranti: loro tende,
loro beni, e loro renne._ » 184
CAPO XVI.
_Delle renne: dell’indole di questi animali:
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