Natalìa ed altri racconti - 11

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tra gli otto e i dodici anni, sia che strepitino e s'accapiglino
insieme, sia che si caccino fra le gambe degli adulti, sia che si
esercitino nella divina arte di Euterpe (maniera difficile per dire
la musica) sedendo due o tre ore di fila al pianoforte della sala, o
portando nei boschetti del giardino i loro strumenti insidiosi, flauto,
violino, clarinetto, eccetera, eccetera. Vittor Hugo augurava a' suoi
cari di non veder mai
..... _la ruche sans abeilles_
_La maison sans enfants!_
Pensiero alto e gentile. Pur che le api restino nell'alveare e i
fanciulli nella casa.
— E pettegolezzi, e galanterie, e scandali non ce ne sono?... mi
chiederà qualcheduno. Di scandali non so; certo che i pettegolezzi e
le galanterie non mancano. E qui, con questa vita tutta _preazioni,_
docce e _reazioni,_ i pettegolezzi e le galanterie sono un piacevole
diversivo. Ma che sugo c'è a rammentarli? Chi non se li immagina? Non
son sempre le medesime cose? Le tali e tali guardano in cagnesco le
tali altre o per gelosia di bellezza, o per gelosia di _toilette_,
o per bizze e dispetto dei figliuoli, o per un saluto freddo, o per
un biglietto da visita non ricambiato subito, o per la naturale e
insanabile antipatia di classe; la signora X va troppo spesso col
signor Z, la signora K si dilegua dopo cena col signor Y, la signora
Tre Stelle in assenza del marito si fa custodire da un cugino che non
è cugino, il dotto e grave professore Asterisco dell'Università di....
sospira ai piedi della elegantissima marchesa W che si ride di lui;
le due coppie A e B hanno eseguito d'accordo uno dei movimenti della
quadriglia: _changez de dame et de place_. E così all'infinito. Tutte
le cronache dei luoghi di cura si rassomigliano.
E si rassomigliano anche per la grande importanza data a ogni arrivo
e ad ogni partenza. Chi si aspetta oggi? O, meglio ancora, chi verrà
inaspettato? E allo spuntare d'un _landau_ i curiosi sporgono il capo
dalla finestra o scendono nel piazzale. — Chi è? Chi è? — Non manca
mai qualche signor Peretti a saperlo addirittura o a correr subito ad
informarsene.
Le partenze ordinariamente si conoscono uno o più giorni prima e basta
la notizia per promuovere mille lamentazioni finte o sincere. — Come?
— Vogliono (o vuol) già partire? — Così presto! — Che peccato!
Poi la mattina compare la carrozza vuota coi non focosi bucefali.
Camerieri e bagnaiuoli ronzano intorno per le mancie; il capo della
famiglia (s'è una famiglia che se ne va) invigila perchè sien messi
a posto i bauli, gli scialli, le cappelliere, gli ombrelli, donne e
fanciulli scendono alla spicciolata, in abito da viaggio, con aria
contrita, scambiano con gli amici baci e strette di mano. — Presto,
presto, — dice il marito e babbo, guardando l'orologio. — Su, su. —
Ci siamo? — Sì, pronti.... Il cocchiere monta a cassetto, scuote le
briglie sul collo ai cavalli, e via. — Buon viaggio, buon viaggio.
Arrivederci.... — Si agitano i cappelli, si sventolano i fazzoletti fin
che il veicolo abbia svoltata la strada.
Un individuo che parta solo fa meno chiasso. Ecco, oggi per esempio, ci
ha lasciato tacitamente il conte Ortigli, il quale, essendo misantropo
per sua natura, non aveva destate molte simpatie. Io, per altro, non
posso lagnarmene perch'egli mi trattò sempre con rara cordialità e mi
diede oggi stesso una prova della sua deferenza. — Ha il mio indirizzo?
egli mi chiese nell'accommiatarsi. Mi farà un vero piacere scrivendomi
a suo tempo se nell'estate prossima va ad Abano od a Monsummano. Dove
andrà Lei andrò io.
— Grazie, — replicai. — Ma io non vorrei andare in nessuno di questi
due posti.
— Preferisce Battaglia?
— Nemmeno.
— Oh scusi! — egli riprese infastidito. — Crede forse ch'io ci vada
per elezione? Crede che di mio gusto sarei venuto qui, che sarei andato
a Levico, a Carlsbad, a St. Moritz? Si ricordi la mia teoria. Le cure
sono come le ciliegie. Una tira l'altra. _Dura lex, sed lex_. Dopo la
cura dell'acqua fredda, l'artrite, dopo l'artrite, la cura termale. Si
rassegni....
Era inutile combattere quest'idea fissa. Mi contentai di ridere.
— Riderà bene chi riderà l'ultimo, — soggiunse il conte a modo di
conclusione, mentre la timonella s'allontanava.
— Crepi l'astrologo! — dissi fra me. — Tuttavia, non lo nego, l'accento
solenne di Ortigli mi fece una certa impressione. Se i suoi pronostici
si avverassero?... Eh, in tal caso, vi spedirei nell'agosto prossimo
una corrispondenza da Monsummano o da Battaglia o da Abano.


NELLA NEBBIA

Nell'ottobre 1882 — cominciò l'architetto Marino Sala — essendo a
Parigi in tre amici, l'ingegnere Giorgio Bussoli, il povero Battista de
Giacomi, il pittore, ed io, ci venne il ghiribizzo di dare una capatina
a Londra. Ci si andava, come suol dirsi, con la testa nel sacco; senza
conoscere affatto la città, senz'avere una lettera di raccomandazione,
senza sapere una parola d'inglese. Ma erano giovani, e pei giovani le
difficoltà non esistono.
Senonchè, appena giunti nella grande metropoli, quasi in omaggio al
proverbio _paese che vai, usanza che trovi,_ ci si cacciò addosso
un potentissimo _spleen._ A Parigi avevamo lasciato un bel sole;
arrivavamo a Londra con la nebbia; a Parigi, bene o male, ci facevamo
intendere; a Londra, tranne con un cameriere dell'albergo che
balbettava un po' di francese, ci conveniva aiutarci a forza di mimica.
E accadeva una cosa singolare. De Giacomi, che, ignorando anche il
francese, a Parigi non s'impicciava in nulla e si rimetteva interamente
a noi, a Londra era d'un'estrema loquacità, e se aveva qualche
informazione da chiedere, fermava la prima persona che gli si parasse
davanti e le rivolgeva il discorso in pretto veneziano. Quest'era
il lato comico della situazione; perchè, naturalmente, l'interrogato
restava con la bocca aperta, e Bussoli ed io ridevamo facendo andar
in bestia l'amico, il quale si sfogava a dir vituperi a quella gente
barbara che non capiva il dialetto di Carlo Goldoni e di Giacinto
Gallina. Povero de Giacomi! Fuori della sua arte egli era una specie di
sordo-muto; ma la sua arte come la sapeva! E che nome si sarebbe fatto
se fosse vissuto più a lungo!
Basta; una sera noi c'eravamo allontanati molto imprudentemente dal
nostro albergo, fidandoci, per ritrovar poi il cammino, in una certa
abilità di orientazione che Giorgio Bussoli aveva mostrato di possedere
a Parigi. Camminavamo senza uno scopo, seguendo l'invito del rumore
decrescente, cosicchè, partiti da una via piena di moto e di frastuono,
giungemmo in pochi minuti ad un'altra che, per Londra, poteva dirsi
deserta e silenziosa; non percorsa dai trams nel mezzo, non affollata
dai pedoni sui marciapiedi. Tuttavia della gente ce n'era, e bastava
che ci fermassimo davanti alla vetrina di un negozio per ricevere degli
spintoni da qualche passante affrettato. — In malora! — borbottava de
Giacomi. — In malora! — Ma nessuno si risentiva dell'offesa. Solo una
volta una donna la quale non ci aveva nemmeno toccati, cogliendo a volo
l'esclamazione vivace del pittore, girò il capo e stette un momento
a guardarci tra curiosa e benevola. Poscia ripigliò la sua via; sostò
di nuovo pochi secondi alla svolta d'una strada; di nuovo ci guardò, e
disparve.
Giorgio Bussoli, sempre pronto ad ingalluzzirsi, fece atto di voler
seguirla; ma de Giacomi e io lo trattenemmo pel braccio. O che
diventava matto? Non sapeva quanta prudenza fosse necessaria a Londra
nell'articolo femmine? Non si ricordava di forestieri svaligiati e
peggio per esser corsi dietro a qualche sirena lusingatrice? E poi di
che cosa s'era invaghito? L'aveva vista bene in faccia quella donna?
Che altro poteva dire di lei se non ch'ell'era alta e sottile da parere
un manico di granata?
Bussoli s'arrese alle nostre ragioni, sospirando con aria patetica: —
In che razza di paese siamo capitati!
La nebbia s'era fatta più densa; non c'era proprio sugo ad andare
a zonzo per la città e io proposi di tornarcene addirittura
all'albergo.... se si trovava la strada.
— Facilissimo, — rispose Bussoli con la sua sicumera. — Intanto
_front'indietro_.
Su questo non c'era nulla a ridire, e per i primi cento metri si
camminò d'amore e d'accordo. I guai cominciarono sotto una _réclame_
colossale affissa all'altezza d'un primo piano alla svolta d'una
strada e illuminata da un riflettore a gaz. Giorgio Bussoli sosteneva
che bisognava girare di là, che su quella _réclame_ egli aveva prima
fermato la sua attenzione come sopra un faro, e ch'era tanto sicuro
che quella fosse la direzione giusta quant'era sicuro di esistere.
Noi avevamo i nostri riveriti dubbii; a noi pareva che si dovesse
girar dalla parte opposta, ma Bussoli insisteva, rammentava i suoi
trionfi di Parigi, ci permetteva di dargli del _piavolo_ se entro dieci
minuti egli non ci conduceva alla porta dell'albergo. E noi, benchè
riluttanti, finimmo col seguirlo, ma prima che fosse trascorsa la
metà del termine da lui stabilito egli fu costretto a riconoscere che
aveva sbagliato e ad accettare in silenzio la qualifica di _piavolo
superlativo_ datagli da Battista de Giacomi.
Eravamo in una via mal selciata, senza botteghe, scarsamente
rischiarata da pochi lampioni a gaz che mettevano come tante chiazze
giallastre nella nebbia umida e fitta. Nessun veicolo l'attraversava;
pochi pedoni strisciavano come ombre rasente i muri.
— E adesso? — disse de Giacomi tirando giù quattro moccoli.
— Adesso, — io risposi, — si domanda.
— Sì; e in che lingua?
— Come si potrà.... Grazie a Dio, lì c'è un _policeman_.
Rigido, spettrale, con le mani intrecciate dietro la schiena, l'uomo
era a pochi passi da noi, sbucato non si sa di dove. Alla nostra
richiesta egli fece segno ripetutamente che non capiva. Allora io
strappai un foglietto bianco dal mio taccuino, e scrissi il nome del
nostro albergo.
Ma proprio nel punto in cui stavo per mettere la carta sotto gli occhi
dell'agente della legge, un rumore indiavolato si levò da un vicolo
laterale, una megera furibonda irruppe nella strada e rivolse un
pressante appello al _policeman_ che la seguì, piantandoci in asso.
— _Varda che fiol d'un can!_ — urlò de Giacomi.
In quella, dietro le nostre spalle, una voce armoniosa, sebbene
alquanto velata, articolò, con un pronunziatissimo accento veneto, un
cortese saluto: — Buona sera.
Ci voltammo stupiti. Era una donna alta e magra, certo la stessa che
avevamo vista un quarto d'ora innanzi.
— Buona sera, — ella ripetè. E aggiunse in tuono interrogativo: —
Veneziani? — Indi, leggendoci in faccia la risposta, sospirò: — _Son
veneziana anca mi_.
Sola a quell'ora nelle vie di Londra, ella non lasciava dubbio sul vero
esser suo. Ma ogni scrupolo tacque di fronte alla dolce sorpresa di
sentire il dialetto nativo, alla simpatia che ravvicina i compatrioti
in paese straniero, alla sicurezza d'aver alfine un'indicazione precisa
che ci avrebbe rimessi sul buon cammino.
Rinfrancata dalle nostre accoglienze, la donna ci si pose al fianco
e ci offerse di accompagnarci sino alla porta del nostro albergo. Non
era mica molto lontano; nella strada ov'ella ci aveva incontrati prima
dovevamo voltare a destra anzichè a sinistra.
— Era quello che dicevamo noi! — esclamammo in coro de Giacomo ed io.
Giorgio Bussoli non pareva troppo persuaso, e ci confessò più tardi che
per un istante egli concepì qualche sospetto sulla buona fede della
nostra guida, e fu tentato di ripeterci la lezione di prudenza che
poc'anzi avevamo data a lui.
Io intanto esaminavo da presso la nostra _concittadina_. Era pallida,
macilenta; giovine forse ancora, ma invecchiata dagli strapazzi; forse
bella un tempo, ora non avente altro di bello che i grandi occhi bruni
e i lucidi capelli castani abbondanti così da tenere sollevato sul
cocuzzolo il cappellino di paglia nera che aveva l'aria di contar
parecchie campagne. Indossava un abito di lana color marrone, e su
quello un soprabito scuro stretto alla vita; con una mano s'appoggiava
all'ombrello chiuso, con l'altra teneva sollevate alquanto, per non
inzaccherarle, le falde del vestito, mostrando il piede piccolo e le
scarpine sfondate. Allorch'ella parlava un sorriso malinconico errava
sulla sua bocca, e sul suo labbro superiore appariva un solco, come
d'una cicatrice. E in quel punto le mancava un dente incisivo, uno
solo; chi sa in che rissa, in che orgia, per effetto di che colpo
brutale ella lo aveva perduto!
Il più infatuato a discorrerle e a farla discorrere era de Giacomi.
Finalmente gli risonava all'orecchio il suo vero dialetto; il nostro
era adulterato, diluito nelle leziosaggini della lingua; non eravamo
due veneziani autentici Giorgio Bussoli ed io; questa ragazza invece,
nonostante il suo lungo soggiorno a Londra, conservava gl'idiotismi,
le inflessioni del popolo, e al nostro pittore, nato di popolo, si
allargava il cuore a sentirla.
Ella, però, alle interrogazioni rispondeva con un certo riserbo,
cavandosela talora con frasi vaghe, come persona a cui pesa di riandar
la sua vita. Aveva lasciato Venezia da oltre quindici anni, da circa
dieci era a Londra; ma in forza di quali eventi v'era capitata, per
quale necessità di cose vi aveva fissato la sua dimora? Sollecitata a
raccontar la sua storia, ella si stringeva nelle spalle.
— _Xe inutile, no i me credaria.... Combinazion._ E nemmeno il suo
cognome volle dirci; ci disse solo il nome che portava a Venezia,
_Zanze;_ a Londra la chiamavano _Kitty_. Ma, le chiese uno di noi, non
aveva parenti a Venezia, non aveva nessuno? Col capo ella fece segno di
no.... Tutti morti? Con uno sforzo visibile ella rispose che _forse_
viveva ancora un suo fratello che viaggiava per mare.... Forse?...
Non ne sapeva nulla di preciso? Non si scrivevano mai?... No.... _Lu
va per la so strada, mi vado per la mia_ — ella dichiarò, con una sua
filosofia rassegnata.
Pur non aveva il cuore affatto indurito, e al ricordo della sua
città natale si esaltava, si commoveva, gli orli delle sue palpebre
s'inumidivano. Abitava in Cannaregio, faceva la perlera (l'infilatrice
di perle). Le aveva sempre dinanzi agli occhi quelle _fondamente_
piene di sole: San Girolamo, la _Sensa_, la Madonna dell'Orto. Quante
volte le aveva corse e ricorse con le sue compagne, ridendo, cantando,
facendo sonar le pianelle sugli scalini dei ponti! Quante volte nelle
sere affannose d'estate s'era seduta sopra una _riva_ a godersi il
fresco e succhiar le fette d'_anguria_ (cocomero) mentre i ragazzi
si tuffavano a gara nel vicino canale!... Ah Venezia, Venezia!...
Ella non poteva affacciarsi a quel Tamigi torbido e limaccioso senza
volar con la mente alla sua laguna limpida come un cristallo e quieta
come un olio, al Molo, alla Riva degli Schiavoni, alle Zattere, al
Lido.... Avevano costruito un grande stabilimento di bagni a Santa
Elisabetta di Lido, non è vero?... Ell'andava a San Nicoletto, ogni
lunedì di settembre.... Le belle merende che aveva fatto colà, sotto
il platano!... C'era ancora quel gran platano, c'era?... Perchè aveva
sentito dire che tante cose erano mutate.... Già fin dai suoi tempi
stavano lavorando intorno a una strada nuova, dove c'era la _Calle
dell'Oca_.... E anche a San Moisè volevano aprire una via larga?... Ma
la Piazza non la toccheranno mica?... Quella non si tocca.... Guai!
La Zanze mise un sospiro.... Le pareva che sarebbe morta contenta se,
per un giorno, fosse potuta tornare nella sua Venezia.
Noi la interrogammo. Perchè non ci tornava? Non era poi un viaggio da
spaventare.
Ella tentennò la testa. — No, no.
— Scommetto, — riprese de Giacomi supponendo che la maggior difficoltà
venisse dalla spesa, — che duecento lire bastano, e ce ne avanza.
E poichè aveva le mani bucate per sè e per gli altri soggiunse: — Ecco,
qui siamo in tre, e fino a duecento lire in tre ci si arriva.... Io per
la mia parte son pronto; de' miei amici non dubito....
Giorgio Bussoli gli diede un pizzicotto per avvertirlo che forse egli
aveva torto di non dubitare; ma prima che noi manifestassimo in modo
più esplicito il nostro parere sull'atto di munificenza a cui eravamo
invitati, la Zanze troncò la discussione: — Grazie, _tosi,_ — e ci
associava tutti e tre nei suoi ringraziamenti; — _xe inutile; no
posso_....
Una nube s'era calata sulla sua fronte; una risoluzione dolorosa,
inflessibile si leggeva nella sua fisonomia.
Ebbene, insisteva de Giacomi, s'ella non poteva adesso, avrebbe
potuto più tardi; egli le avrebbe lasciato il suo indirizzo; ella gli
avrebbe scritto, e per quello che le fosse occorso egli le rinnovava
l'offerta.... anche in nome de' suoi amici.
Quel de Giacomi voleva a ogni costo comprometter gli amici. Ma ora si
trattava d'un'offerta vaga, lontana, e Bussoli ed io non esitammo a
dire: — Sì, sì.
— _Grazie, no posso,_ — ripeteva la Zanze. E non le si cavava altro di
bocca.
Camminava silenziosa, appoggiandosi all'ombrello, trascinando un po'
la gamba sinistra. Io pensavo, guardandola: — Quanti anni avrà questa
donna? Ne mostra quaranta, ma non deve averli. Ne avrà trentaquattro
o trentacinque. Ne avrà avuti una ventina quando ha lasciato Venezia.
Noi, allora, eravamo adolescenti, nell'età in cui l'anima si schiude
e i sensi si svegliano e la bellezza femminile è come la rivelazione
d'un mondo nuovo. Certo l'avremo incontrata più e più volte sul nostro
cammino questa giovinetta alta, snella, dai folti capelli castani, dai
grandi occhi neri; l'avremo incontrata, l'avremo urtata col gomito,
avremo sentito rimescolarcisi il sangue al fuggitivo contatto; l'avremo
forse seguita per qualche passo, ci saremo tirati addosso i suoi
frizzi.... Ma ora la donna stanca, perduta, sbalestrata di là dai monti
e dai mari, logora dall'inedia e dai vizi, non ci evoca dinanzi nessuna
delle antiche visioni; noi non la riconosciamo; ella non riconosce in
noi i timidi adolescenti d'un tempo. Strano fenomeno la vita! Ognuno
di noi è veramente un solo individuo che percorre l'intervallo tra
la culla e la tomba, o siamo formati di tante esistenze che un filo
congiunge ma che molte più cose dividono?
Noi sboccammo in una strada assai ampia, ove, appunto per cagion
dell'ampiezza, la nebbia sembrava acquistare maggior densità e
consistenza. Le case dall'altra parte si discernevano appena in
una massa confusa, lungo la quale correva, a una certa altezza, una
linea più chiara, d'un chiarore scialbo, fumoso. Erano i candelabri
allineati sul marciapiede. Carrozze, omnibus, tram, procedevano
lenti e guardinghi nel mezzo, avvertendo i passanti col tintinnio dei
campanelli e con lo squillo delle cornette.
L'identica domanda venne sulle labbra di tutti e tre. — Dove siamo?
De Giacomi aggiunse per suo conto una sfilata d'improperi contro il
clima di quel p.... paese, e si tirò su fino agli orecchi il bavero del
soprabito.
La risposta della Zanze non si fece attendere. Eravamo a una
cinquantina di metri dal nostro albergo, e non si doveva neanche
traversar la strada per arrivarci. — Ecco, — ella disse, alzando
l'ombrello e segnando un punto luminoso nella direzione del
marciapiede.
A due passi dal portone da cui usciva un omnibus pieno di viaggiatori
e carico dì bauli, ella si fermò per prender commiato.
Profondendoci in ringraziamenti, noi mettemmo contemporaneamente la
mano alla borsa. E Giorgio Bussoli, assalito dallo scrupolo di lasciar
partire così una femmina galante per brutta e matura che fosse, invitò
la Zanze a salir con noi, a bevere insieme una bottiglia di birra.
La donna sorrise. — _In sto albergo? Un bel scandalo che daressi!_
E nemmeno del danaro ella voleva saperne. Alla lunga consentì ad
accettar solo pochi scellini e disse quasi scusandosene: — _Se no porto
gnente, le xe de queste_....
Fece con l'ombrello il segno di percuotere. Indi, scrollando il capo:
— _Bona note, tosi, deghe un baso per mi a la mia Venezia._
Si dileguò nella nebbia e non l'abbiamo rivista mai più.


LA LETTERA

I.
Il professore Attilio Cernieri, glottologo insigne, senatore del
Regno, commendatore di più ordini, membro effettivo dei Lincei, socio
corrispondente d'un'infinità di Accademie italiane e straniere, s'era
fatto aprire dal servo Pomponio due casse di libri giuntigli la sera
prima da Padova a piccola velocità. Erano, quei libri, il residuo della
biblioteca ch'egli era andato via via formandosi appunto a Padova,
quando, una ventina d'anni addietro, apparteneva a quell'Ateneo come
assistente al professore di lettere neolatine. Dopo d'allora egli
aveva molto viaggiato per iscopi scientifici, era stato chiamato
successivamente all'Istituto degli studi superiori di Firenze e
all'Università di Napoli, fin che il Ministro lo aveva voluto a Roma,
alla Sapienza, creandogli una cattedra apposita, e accordandogli un
soprassoldo.
Per qualche tempo, durante le varie peregrinazioni del professore,
la biblioteca, fatta incassare e depositata presso un collega, era
rimasta a Padova. Poi Cernieri ne aveva richiamato una parte quand'era
a Firenze, un'altra parte quando era a Napoli; venuto adesso a Roma con
l'intendimento di fissarvi stabile dimora, aveva deciso di ritirar le
due ultime casse. In fondo, quei libri non erano punto necessari ad un
uomo che oltre ad aver rifornito d'opere recenti la biblioteca propria,
aveva a sua disposizione tutte le biblioteche pubbliche e private
della capitale. Siamo in un secolo in cui ogni cosa procede a vapore,
anche la scienza; la verità dell'oggi può essere una bugia domani, e un
volume rischia d'invecchiar sotto i torchi.
Solo non era ancora invecchiata, dopo dieci anni, la celebre monografia
nella quale il nostro Cernieri aveva, con poderosi argomenti,
rivendicato alla famiglia finnica un gruppo di radici credute d'origine
celtica. Il libro, piccolo di mole ma denso di pensiero, era stato
tradotto in tutte le lingue, e la geniale scoperta aveva posto il
nostro professore _sul vertice della piramide scientifica_ (sono
parole di un discepolo entusiasta) accanto al principe dei glottologi
viventi, il famoso Löwenstein dell'Università di Upsala. Siccome però
sul vertice d'una piramide ci si sta male in due, il Cernieri e il
Löwenstein avevano dato in principio l'interessante spettacolo di due
lottatori che tentano di cacciarsi abbasso a vicenda, finchè convinti
dell'inanità dei loro sforzi, s'erano decisi a mutar la rivalità in
alleanza. I due dotti uomini erano sempre due lottatori, ma invece di
lottar fra loro lottavano con gli altri.... se mai c'era l'impertinente
che osasse alzar troppo la cresta e volesse collocarsi anche lui sul
vertice di quella famosa piramide. Chi poi fosse disceso nell'animo
di ognuno dei due _chers confrères,_ come si chiamavano scrivendosi,
vi avrebbe forse trovato una stima molto mediocre per l'alleato. Il
Löwenstein credeva poco alle radici finniche del Cernieri; il Cernieri
credeva ancor meno alla rivoluzione portata dal Löwenstein nello studio
delle lingue indopersiche.
Ma lasciando stare Löwenstein nella sua lontana Norvegia, noi dobbiamo
aggiungere qualche tocco al ritratto del nostro illustre compatriota.
E cominciando dall'età, diremo che al momento in cui il servo Pomponio
apriva dinanzi a lui le due casse di libri il professore non contava
che quarantasei anni, ma pareva già vecchio. Era un po' curvo della
persona, aveva fronte ampia solcata da rughe precoci, piccoli occhi
miopi nascosti sotto le lenti, ordinariamente socchiusi come d'un
micio assopito, capelli scarsi e grigi, barba ispida, negletta e
quasi bianca. In gioventù Cernieri si radeva da sè, ma dopo che gli
era accaduto più d'una volta, nella sua distrazione, di radersi da
una parte sola e di presentarsi così bene acconciato alla scolaresca,
egli aveva stimato miglior consiglio di lasciar crescere quella sua
appendice in pienissima libertà, salvo ad andar dal parrucchiere quando
fosse proprio impossibile di fare altrimenti. Del resto, la distrazione
del professore era ormai proverbiale e se ne citavano esempi ancor
più caratteristici. Non gli era successo un giorno di perder la corsa
ostinandosi a cercar per tutta la stazione di Bologna una valigia che
aveva in mano?
I distratti sogliono aver l'umore gioviale, ma il nostro glottologo era
un'eccezione alla regola. Da gran tempo le sue labbra non conoscevano
altro che il sorriso scientifico, quel sorriso fatto di superiorità
e di commiserazione con cui un uomo dotto accoglie la notizia delle
cantonate prese da un carissimo collega. In società, se non poteva
esimersi dall'andarvi, si teneva volentieri in disparte, sfuggendo
la conversazione delle signore alle quali non sapeva che cosa dire, e
che, già, non avrebbero saputo che cosa dire a lui.... sebbene, almeno
fino a cinque o sei anni addietro, con la scarsezza di mariti che c'è
a questo mondo, più d'una madre gli avesse gettato gli occhi addosso
come su un partito conveniente per le figliuole. Anzi per un pezzo
la contessa Pastori l'aveva tempestato d'inviti a pranzo, sperando
di fargli sposare la sua secondogenita che aveva i denti guasti e
gli occhi scerpellini e non trovava un cane che la volesse. Invero
la ragazza, opportunamente ammaestrata, accoglieva il professore con
singolare deferenza, gli preparava di sua mano una squisita marmellata
di pesche e mostrava d'interessarsi assai alle radici finniche. Ma
Cernieri non morse all'amo, si schermì dagl'inviti, diradò le sue
visite e non si lasciò più vedere in casa Pastori fin che non seppe che
la contessina era fidanzata a un negoziante di baccalà che conciliava
il culto dei salumi con la venerazione pei titoli nobiliari. Indi,
reso accorto dall'esperienza, divenne più orso di prima, più di prima
inaccessibile a qualsiasi idea galante. Ogni uomo ha nel libro della
sua vita una pagina intima che la donna segna di note dolorose o
gioconde; pel professore Attilio Cernieri quella pagina era rimasta
bianca.... Così dicevano i suoi conoscenti, così avrebbe detto egli
stesso se lo avessero interrogato. E lo avrebbe detto in buonissima
fede.... Assorto come era nelle sue ricerche dimenticava le cose
vicine; o perchè doveva ricordar le lontane?

II.
— Misericordia! — esclamò Pomponio che aveva cominciato a tirar fuori
i libri dalle casse. — Misericordia! Quanta polvere!
E soggiunse: — Creda a me, sarebbe meglio che mi lasciasse portar tutto
quanto di là e sbrigar da me questa fattura.
Ma il professore si oppose risolutamente. Voleva che l'operazione
si compisse nel suo studio, alla sua presenza; voleva, dopo una
spolveratina sommaria, riporre i libri egli stesso in uno scaffale
pronto a riceverli.
E Pomponio, rassegnato, seguitò a tirar fuori i volumi, a sbatterli
alla meglio e a consegnarli al commendatore che, dopo averne guardato
il titolo, li metteva a posto. Le tignuole giravano per la stanza,
la polvere si spargeva nell'aria, si posava sui mobili, penetrava nei
pori, costringeva padrone e servitore a raschiarsi ogni momento la gola
e a starnutire.
— Qui poi c'è anche una tela di ragno, — notò Pomponio sollevando un
grosso _in-folio_. Era un atlante del mondo antico, di Teodoro Menke,
stampato a Gotha da Justus Perthes. Ora accadde che mentre il servo lo
palleggiava, un piccolo rettangolo di carta ingiallita uscì pian piano
dal mezzo di due pagine e andò a cadere sul pavimento.
— To', che roba è? — disse Pomponio. — Pare una lettera.
E, deposto l'atlante, si chinò per raccattarla.
Ma il professore l'aveva prevenuto e come inebetito girava e rigirava
la lettera fra le mani. Poich'era effettivamente una lettera, ed
era una lettera sua, chiusa ancora, col francobollo attaccato, con
l'indirizzo scritto di suo pugno, nella sua calligrafia grave, pesante,
di uomo nato per esser cavaliere di molti ordini e socio di molte
accademie. Del resto, una calligrafia chiara, tale da dar la sicurezza
che la lettera sarebbe giunta a destinazione.... se fosse stata
impostata.
Alla gentile signorina
Maria Lisa Altavilla
Firenze
Via dei Servi, 25 — 1.º piano.
Quel nome balzato così d'improvviso agli occhi del professore Attilio
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