Natalìa ed altri racconti - 14

Oloferne, e ne teneva la spoglia esanime, sospesa.... per la coda.
— Masaniello! — esclamò il parroco.
— Gli ho teso un laccio e l'ho strozzato, — disse la donna con
magniloquente brevità.
Indi, gettando la fredda salma lungi da sè, fornì ulteriori
schiarimenti. — Voleva mordermi, ma io con un segno di croce e una
tiratina di spago l'ho ridotto all'impotenza.... E son più convinta che
mai ch'era il diavolo.... Vedrà, vedrà se adesso tutto quanto non si
rimette a posto.
La Cesira era così sfolgorante d'orgoglio per l'azione eroica compiuta
(aveva strozzato il diavolo, nientemeno!), si mostrava così sicura
dei risultati finali della sua magnanima impresa che don Prospero
rimase senza parola. Non osò nè lodarla nè rimproverarla; le invidiò
la sua fede; si sforzò di credere che l'eccidio del gatto Masaniello,
bestia scontrosa e antipatica, potesse, secondo la frase della serva,
rimetter _tutto quanto a posto_. Monsignor vescovo, forbito oratore,
gli aveva ben detto, pur dianzi, che le vie della Provvidenza sono
imperscrutabili.
Ma la Cesira, che non comprendeva il riserbo del suo padrone,
raccolse da terra la sua vittima e si ritirò sdegnosamente in cucina,
borbottando: — Oh, gli uomini!


NELLE VACANZE DI SUA ECCELLENZA

Sua Eccellenza l'onorevole Tito Cervara, sfuggendo per miracolo
alla vigilanza dei subalterni ossequiosi, degli amici zelanti, dei
sollecitatori molesti, s'era fatto condurre in vettura chiusa di piazza
al principio del viale d'ippocastani, fuori d'una delle porte della
cittadina universitaria ove trent'anni addietro egli aveva compito i
suoi studi e ove adesso era andato a passare i due ultimi giorni delle
sue vacanze ministeriali. Vacanze così per dire, giacchè in meno di tre
settimane Sua Eccellenza aveva dovuto pronunziare un paio di discorsi
politici, assistere a sette banchetti e rispondere ad altrettanti
brindisi, accordare ventiquattro colloqui, intervenire a sei
cerimonie inaugurali, accettare dieci presidenze onorarie, promettere
duecentocinquanta chilometri di ferrovia, trenta croci di cavaliere,
nove ufficialati e cinque commende. Forse il pensiero di questi impegni
assunti troppo leggermente gli toglieva di gustare, com'egli aveva
sperato, la passeggiata solitaria lungo il bel viale pieno per lui di
tanti ricordi della giovinezza.
Quante volte, nelle limpide mattine d'estate, all'avvicinarsi degli
esami, egli era venuto qui insieme con uno o due condiscepoli a
ripassare i suoi quaderni; quante volte c'era tornato al crepuscolo
in compagnia degli amici ilari e rumorosi, cantando gaie canzoni,
recitando poesie, disturbando colle grida e col chiasso i pacifici
borghesi usciti a prendere il fresco a piedi o in carrozza! E anche
nella quiete silenziosa delle sere senza luna egli aveva sovente
percorso quel viale a fianco di qualche facile bellezza che nè chiedeva
nè offriva perennità d'affetto, ma in quello sbocciar della vita lo
attirava col fascino e con le insidie dell'eterno femminino.
Erano passati trent'anni da allora; gl'ippocastani erano sempre
gli stessi; trent'autunni li avevano sfrondati, trenta primavere
li avevano rivestiti di nuove foglie senza scemar vigore alla loro
robusta vecchiezza; ma quelli che trent'anni addietro s'eran riposati
alla loro ombra, avevano inciso le proprie iniziali sul loro tronco,
avevano raccolto il frutto selvatico caduto dai loro rami, dov'erano
adesso?.. L'antico studente diventato ministro poteva ben ripetere col
personaggio della _Sonnambula_
Cari luoghi, io vi trovai,
Ma quei dì non trovo più.
Due carri di fieno tirati da buoi procedevano lentamente verso la
città; in senso opposto venivano una timonella e due biciclette, una
delle quali, non avendo altra strada libera, invase il sentiero dei
pedoni e rasentò le gambe di Sua Eccellenza, che piegò istintivamente
a sinistra, verso una panca di pietra ove stava seduto un uomo di età
matura con un giornale in mano. L'uomo, d'aspetto civile, indossava
un vestito di lana color pepe e sale, aveva un cappello a cencio sotto
cui spuntavano i riccioli d'una chioma brizzolata, e teneva stretto fra
le ginocchia un ombrellone blù, da parroco di campagna. Al movimento
fatto da Cervara per scansarsi dalla bicicletta, egli alzò gli occhi,
si turbò, e, come seccato dell'incontro, tornò a sprofondarsi nel suo
giornale.
Ma anche gli occhi del Ministro s'eran fissati sul lettore solitario,
ne avevano in un lampo scrutato la fisonomia e correndo a ritroso del
tempo avevano rievocato l'immagine d'un giovine di ventidue o ventitrè
anni, bello della persona, mediocre d'ingegno, gentile d'animo, ardito,
entusiasta, un misto di poeta e di sognatore.
E dalla bocca, quasi inconsapevole, di Sua Eccellenza uscì un nome: —
Varesio!
Ecco, quantunque gl'intrighi della politica, la caccia agli onori,
l'abitudine del potere non avessero interamente guastato il cuore a
Tito Cervara, è da scommettere che, in condizioni ordinarie, egli, pure
imbattendosi in Varesio, non avrebbe fatto un passo verso il vecchio
camerata, il quale mostrava in modo manifesto di voler schivarlo.
Sarebbe accaduto a lui quello che, pur troppo, accade in generale a noi
tutti, allorchè queste larve d'un passato remoto sorgono d'improvviso
in mezzo alla nostra vita febbrile e spesso affaccendata in minuzie.
Pensando alla seduta ove siamo attesi, al caffè che siamo avvezzi a
sorseggiare, alla visita che ci siamo impegnati a fare in quell'ora,
noi siamo lieti se ci riesce di sgattaiolar via inavvertiti, o di
cavarcela con un cenno del capo o un _buon dì_ frettoloso.
Ma Sua Eccellenza era in speciali disposizioni d'animo; il suo camerata
gli appariva in un momento nel quale tutto l'esser suo era attirato
da una forza irresistibile verso la giovinezza, verso gli anni di
bagordi e di studi, e nella sua bella voce baritonale c'era un calore
comunicativo quand'egli si fermò sui due piedi e ripetè il nome
pronunziato pur dianzi: — Varesio!
Poichè ormai non c'era più scampo, costui si levò da sedere, rosso,
confuso e si portò la mano al cappello.
— Bando alle cerimonie, — disse Cervara arrestandogli il braccio. — Mi
riconosci?
— Sfido io a non conoscere il signor Ministro, — balbettò Varesio.
— Per amor del cielo, lascia stare il _signore_ e il _Ministro_.
Qui non sono che Cervara, Tito Cervara, il tuo condiscepolo
d'Università.... Via, dammi un bacio.
L'altro, sebben riluttante, cedette; quindi, abbozzato un sorriso,
esclamò: — Quanti anni!
— È meglio non contarli.
Però Varesio fece un calcolo mentale e soggiunse: — Sicuro, dacchè
abbiamo preso la laurea insieme ne son corsi trenta.
— Ci siamo visti ancora.
— Sì, a Milano dopo la guerra.
— Indossavi la camicia rossa, avevi combattuto valorosamente, e come
t'ho invidiato in quei giorni, io ch'ero dovuto rimanere a casa!...
Circostanze....
— È sempre un quarto di secolo che non ci si vede, o almeno che non ci
si parla, — osservò Varesio.
— Giuro ch'io non t'ho visto.
— È naturale; gli uomini illustri non vedono gli uomini oscuri, ma
questi possono veder quelli.
— Smetti l'ironia. Perchè non mi hai cercato?
— Scusa, — replicò Varesio, — in ogni caso eri tu che dovevi cercar me.
Cervara fece un gesto di meraviglia. Non era abituato a sentirsi
parlare con tanta libertà.
— S'intende, — continuò l'amico. — Tu fosti presto un personaggio
d'alto affare; cercandoti, avrei fatto credere che volevo implorar
grazie e favori.
— Sempre orgoglioso, — notò il Ministro. — Ciò non toglie che tu abbia
ragione; dovevo cercarti io.... Cosa vuoi? Non è che non si ricordi;
gli è che noi uomini politici siamo trascinati in una baraonda. A ogni
modo, ti dò la mia parola d'onore ch'io ignoravo che tu fossi stabilito
qui.... Da studente avevi la tua cameretta, come me, e nelle vacanze
andavi in famiglia.
— Sì, — rispose Varesio, — andavo in campagna.... a una trentina di
chilometri.... Siamo rustica progenie.... Quando son rimasto solo, ho
venduto quel po' di terra che avevo e mi son fatto cittadino.
— Sei solo?
— Solo.
— Non hai preso moglie?
— Son vedovo.
— Da un pezzo?
— Da quindici anni.
— Oh poveretto!... E figliuoli?
— Ne avevo due, e son morti bambini.
Varesio scosse la testa e disse al Ministro che lo commiserava: — Vedi
bene, non vivo, sopravvivo.... Basta.... E tu sei sempre scapolo?
— Sì, e me ne pento.
— Avresti tempo ancora.
— Ah nemmen per idea.... È troppo tardi.
— Non c'è dubbio, se si trattasse di sposare una giovinetta, —
principiò Varesio. Ma s'interruppe per guardar in alto; stette pochi
secondi col braccio teso, col dorso della mano vôlto all'insù, e
soggiunse: — Piove.... Non hai ombrello?
— Io no.
— Vieni sotto il mio.... Alla barriera troverai un fiacre.
— Ma io ce l'ho il fiacre.... L'ho lasciato appunto laggiù, alla
barriera.
— Hai un fiacre come un semplice borghese?
— Sì, e grazie al cielo il cocchiere non mi ha conosciuto.
— Allora t'accompagno fin là.
Varesio aperse un ombrellone grande così da poter riparare un'intera
famiglia, e disse con una risata che pareva l'eco di giorni lontani:
— Questo baldacchino non s'immaginava di dover protegger dall'acqua un
Ministro del Regno d'Italia.
— Ma neppur noi, — riprese Cervara, — ci immaginavamo venti minuti
fa di trovarci qui, proprio qui, ove si veniva la mattina con le
litografie del diritto romano e la sera con le crestaie della città.
S'avviarono a braccetto, sotto la pioggia, ravvicinati un istante da
quella visione del passato che colmava l'abisso ond'erano divisi i loro
destini.
Infervorato a discorrere, il Ministro non si accorgeva nè
dell'avanzarsi d'una vettura sullo stradone, nè dei segni che gli
faceva il cocchiere.
Se ne accorse Varesio e ne avvertì il compagno: — Bada, fa dei segni a
te.
— Chi?
— Quel fiaccheraio.... È il tuo?
— È vero, è il mio. Gli avevo ordinato d'aspettarmi.
Il legno si fermò, e il cocchiere, scendendo da cassetta disse a
Cervara che, vista la pioggia, aveva creduto opportuno di venirgli
incontro.
— Avete fatto bene, — disse Sua Eccellenza. E rivoltosi a Varesio: —
Ora t'offro io l'ospitalità nella mia vettura. Dove vai?
— Non vado. Resto.
— Con questo diluvio?
— Sotto gli alberi si è sempre riparati a bastanza.... E poi è un
acquazzone che passa.... Quando sarà cessato, andrò a casa.
— Insomma, t'accompagno io a casa. Dà il tuo indirizzo.... su, su.
Ma Varesio si schermiva ancora. — Sto al capo opposto della città.
— Ragione di più, — ribattè il Ministro. E con amichevole violenza
forzò Varesio a montare.
Il vetturale fece un gesto per chiedere: Dove? Sua Eccellenza accennò
a Varesio.
— Domandate al signore.
L'interrogato si decise a indicare il nome di una strada, scusandosi
che fosse proprio agli antipodi.
— Gran che! — esclamò il Ministro. — Non siamo nè a Londra, nè a
Parigi. — Il cocchiere montò in serpe e sferzò il cavallo.
Alla barriera vi fu una sosta. Una guardia daziaria si accostò allo
sportello. — Niente di da....?
Ma non finì la parola, tale fu lo sgomento che lo colse trovandosi
faccia a faccia con Sua Eccellenza.
Ritto sotto la pioggia, con la mano destra al berrétto in atto
di saluto militare: — Avanti, avanti, — disse al fiaccheraio. E
nello stesso tempo gli slanciava un'occhiata fulminea. O non poteva
avvisarlo, quell'imbecille?
— Addio incognito, — notò, scherzando, Varesio.
Indispettito, il Ministro si rincantucciò nell'angolo del fiacre.
Ma lì veniva a cercarlo, attraverso il vetro circolare del finestrino
centrale, lo sguardo inquieto del cocchiere che non aveva ancora capito
qual personaggio avesse in carrozza. Era, sia detto a sua scusa,
un vecchio misantropo che si mescolava poco ai suoi colleghi, e non
frequentava le bettole e non leggeva i giornali.
— E ora questo balordo che si volta ogni momento ci farà ribaltare, —
borbottò Cervara.
— Speriamo di no.
— Speriamolo, — ripetè laconicamente il Ministro. E riprese: — Ah,
se non dovessi partir domani per Roma vorrei che andassimo un giorno
insieme in tutti quei posti ove andavamo da studenti, al Caffè
_Narciso_, per esempio. C'è sempre?
— Ha cambiato nome. È Caffè _Caprera_.
— Ecco perchè non mi raccapezzavo. E l'osteria _Al doppio litro_, fuori
di Porta Merlata, c'è?
— C'è.
— Continua ad attirar gli studenti?
— Meno d'una volta, ma ci vanno.
— Ti ricordi delle cene che si facevano in compagnia allegra? Ti
ricordi che tavolate? Pagherei tanto a sapere come han finito quei
commensali, maschi e femmine.... Tu li hai presenti tutti?
— Non tutti. Parecchi.
— Racconta, racconta.
— Alcuni son morti. Francini a Bezzecca, nel 66....
— Sì, poveretto.... Che bel giovine era!
— E buono. Anche Degalli e Rispolo e Marcucci....
— Aspetta. Degalli era un piccolo, biondo?...
— Appunto.
— Aveva il padre magistrato?
— Sì.... Era entrato nella magistratura anche lui, e morì pretore in
Sardegna.... Roba vecchia ormai!
— E gli altri due che hai nominato? Rispolo e Marcucci, mi pare.... È
curioso, non riesco a farmeli venire in mente.
— Come? Nemmeno Rispolo, il nostro baritono, che ci assordava con quel
suo: _Sì vendetta, tremenda vendetta?_
— Ah, quello era?... Quello con due grandi baffi che molti di noi
gl'invidiavano? L'immagine della salute e della forza?... Morto?
— Dopo aver fatto cento mestieri: il cantante, l'impiegato, l'agente
teatrale, il faccendiere.... Anzi, in seguito ad affari un po' loschi,
era dovuto emigrare agli Stati Uniti, ove lasciò la pelle in uno
scontro ferroviario, tre o quattr'anni or sono.
— Che fine tragica!... E Marcucci, chi era Marcucci?
— Un romantico magro, allampanato, che quando aveva bevuto un bicchiere
di troppo piangeva a calde lacrime, e parlava in francese, e voleva
abbracciar tutti.... Non diventava una fiera che se gli toccavano la
sua Luisa.... A proposito, la Luisa era una delle ragazze che qualche
volta venivano a cena con noi.... Era molto bellina; alta, snella,
coi riccioli bruni.... Lavorava di guanti, pel negozio Gragno, sotto i
portici.
— Sì, sì.... Ne ho una reminiscenza confusa....
— Ebbene; Marcucci, non riuscendo a liberarsene, la sposò.... Poi si
son divisi, si son riuniti, si son tornati a dividere, e finalmente son
morti a due mesi d'intervallo.
— Dio, che cimitero! — interruppe Cervara. — Passiamo ai vivi.
— Oh, — ripigliò Varesio, — non credere che ci sia molto da dire....
Intanto, da te in fuori, nessuno è salito in auge.
— Per carità, tira via.... Son di quei gusti che si pagano salati.
Varesio continuò. — Staglieno e Vischi fanno gli avvocati a Milano,
Ludovisio è sostituto procuratore generale in Romagna.
— Passerà presto in cassazione, — notò il Ministro. — Credo che il
decreto sia già sottoposto alla firma di Sua Maestà.
— Ecco che sul conto di questo sei più informato di me, — osservò
l'amico. — E Fedrighi che tempesta mezzo mondo con domande di sussidi,
è impossibile che non t'abbia mai preso di mira.
— Figurati. Ricevevo una sua lettera ogni quindici giorni. A Roma
un anno fa ho dovuto metterlo alla porta. Egli se ne vendicò con un
libello inserito in una gazzettaccia di provincia.... Quel Fedrighi
chi avrebbe creduto che fosse disceso così basso?... Se c'era uno a cui
fosse lecito pronosticare un avvenire brillante, era lui.... Aveva una
facoltà d'assimilazione maravigliosa.
— Sono i suoi vizi che l'hanno ridotto a quel punto.
Varesio menzionò altri condiscepoli che a lui pure erano sfuggiti di
vista e dei quali ignorava che cosa facessero e dove fossero. Ma dietro
a questi s'agitava, assai più numerosa, nella memoria sua e in quella
di Cervara, una turba anonima; fantasmi vaporosi che per un istante
accennavano a emerger nella luce, a pigliar forma e colore, e che
ripiombavano poi nelle tenebre.
— Ah! — pensava il Ministro. — È pur triste la vita! Si è passata
insieme la giovinezza ricca di entusiasmi e di fede, affratellati nella
più dolce e gaja intimità, seduti sullo stesso banco alla scuola,
alla stessa tavola alla trattoria; si è partecipato alle stesse
solennità, battendo le palme nel medesimo applauso, alzando le voci
nel medesimo grido; ed ecco che, appena il portone universitario si è
chiuso l'ultima volta dietro di noi, è come se un turbine c'investa e
disperda. Pochi anni bastano a renderci o nemici, o estranei, o, peggio
ancora, ignoti gli uni agli altri; ignoti così che il labbro non riesce
nemmeno a formare il nome di molti fra i camerati d'un tempo.... E che
cosa si sa anche di quelli di cui pur si trovan le traccie?
A questo punto Sua Eccellenza dovette riconoscere ch'egli ne sapeva
pochissimo di Varesio, il quale, tranne che del suo matrimonio e della
sua vedovanza, non aveva finora detto nulla dei fatti suoi.
E rivolgendoglisi con sollecitudine non ostentata,
— Lasciamo in pace gli altri — disse. — Narrami di te.... Ho sentito le
tue disgrazie domestiche, ma pel rimanente come va? Di che ti occupi?
Eserciti l'avvocatura?
— Sono inscritto nell'album, ma non esercito. Tutt'al più dò dei
consulti gratis ai poveri diavoli che non sarebbero in grado di pagar
la specifica.
— Sei ricco dunque.... o almeno agiato?
— Ho una piccola rendita sufficiente ai miei bisogni.... O che c'è?
La carrozza s'era fermata per un intoppo. Varesio sporse la testa fuori
del finestrino, e Cervara, istintivamente, fece lo stesso dalla sua
parte.
Due o tre giovinotti che uscivano da una bottega di liquorista
esclamarono: — Oh, il Ministro!
Cervara si tirò indietro rapidamente, ma già l'esclamazione era stata
intesa, e molti curiosi s'avvicinavano alla vettura e s'alzavano in
punta di piedi per veder dentro. Non pioveva quasi più; un raggio di
sole uscente dai nuvoli metteva una nota allegra sugli ombrelli lucidi
e sulle pozze d'acqua della strada.
— Il Ministro in compagnia dell'avvocato Varesio! — disse qualcheduno
con accento di meraviglia.
Altri si toccarono rispettosamente il cappello. Un ministro! Non si sa
mai.
Sua Eccellenza era sulle spine. — Non si potrebbe prendere una via
traversa?
— Credo che qui sia difficile voltarsi — rispose Varesio. E urlò al
fiaccheraio: — Si va o non si va?
— Or ora — disse questi più confuso che mai dopo che aveva saputo di
portare un'Eccellenza. — Appena quel baroccio là si sarà avanzato di
pochi metri passeremo anche noi.... Ecco.... finalmente....
Menò una buona frustata al cavallo e sguisciò tra il baroccio e il
marciapiede. Indi, con un coraggio che gli cresceva di mano in mano che
andava allontanandosi, diede dei somari e dei tangheri ai barocciai che
non s'erano affrettati a lasciargli posto.
Varesio intanto seguiva il suo pensiero. — Vorrei sentire i commenti
che fanno quei bellimbusti per averci visti insieme.
— Non lo si sa in paese ch'eravamo condiscepoli?
— Lo saprà forse uno su cento.
Senza voler confessarlo a sè stesso, il Ministro cominciava a trovarsi
a disagio. Temeva di aver mancato della circospezione necessaria a un
uomo politico, insistendo per far montare Varesio nella sua vettura.
In fin dei conti, chi era adesso Varesio? Che gente frequentava? Che
posizione aveva?
E cedendo alla sua curiosità inquieta, Cervara ripigliò:
— Sicchè, dopo aver preso parte alla guerra d'indipendenza, non hai più
voluto ingerirti nella vita pubblica?
Varesio atteggiò il labbro a un sorrisetto enigmatico.
— Cioè.... cioè.... Sono stato persino candidato alla deputazione.
— Davvero?... Quando?
— Oh.... _in illo tempore_.... Ero.... sono anche adesso del resto....
Presidente della Società dei Reduci, dell'Associazione democratica
_Giuseppe Garibaldi,_ della _Dante Alighieri,_ del Circolo _Istria e
Trentino_ (che fu poi sciolto dal Governo) e nell'elezioni del 1874 gli
avanzati mi contrapposero al deputato governativo uscente.... Fu un bel
fiasco.
— Non hai più ritentato la prova?
— No; alle elezioni successive anche il nostro partito si divise in
due; la maggioranza appoggiò un candidato che non era nè carne nè pesce
e che riuscì....
— Sei radicale, tu, sei intransigente — notò Cervara con un'ilarità
forzata.
— Radicale? Intransigente?... Ho le mie idee, sbagliate forse.... le
idee che avevo da giovine.... che avevamo tutti allora.... Ah, l'Italia
che sognavamo era molto più bella di quella che ci avete data.
Il Ministro allargò le braccia. — I sogni, caro mio, son sempre più
belli della realtà.... Guai a esigere troppo!
— Guai anche a contentarsi di troppo poco! — ribattè pronto Varesio. —
Ma se ci mettessimo a discutere non la finiremmo più.... Già, secondo
i vari Prefetti nella nostra Provincia, io sono una testa esaltata.
— Sei in attrito coi Prefetti? — chiese Cervara. E si agitava sul
sedile come persona che ha fatto una cattiva digestione.
— Son loro che s'adombrano peggio dei cavalli — rispose Varesio. —
Questo qui meno male, ma i suoi predecessori!... Ce n'era uno che mi
mandava a chiamare ogni momento per avvertirmi ch'ero io _responsabile
dell'ordine pubblico_.... Stupido!... Nel 1875, quando l'Imperatore
d'Austria fu a Venezia, io ebbi il divieto d'andarvi.... Ero guardato
a vista.... Una specie di domicilio coatto.... Che miserie!
Parve a Sua Eccellenza che i doveri dell'ufficio gl'imponessero di
prender le difese dei funzionari malmenati così.
— Eh, non lo nego, i Prefetti peccano qualche volta per eccesso
di zelo.... Ma bisogna mettersi nei loro panni.... Se succedono
inconvenienti, son loro i capri espiatorii.... Con questo però sei in
buoni termini, mi dicevi....
— Non sono in termini nè buoni nè cattivi.... dicevo soltanto ch'è
meno noioso.... In fondo, credo che abbia sul conto mio l'opinione che
avevano gli altri.... Interrogalo....
Cervara fece una spallucciata. Importava molto interrogarlo ormai!
Come se gli leggesse nell'anima, Varesio soggiunse:
— Guarda che disgrazie possono capitare a un Ministro del Regno
d'Italia!... Di aver nella sua carrozza un individuo ch'è in mala vista
delle autorità.... Non le consultate, al Ministero, le informazioni
segrete?
— Canzonatore! — disse Cervara, tanto per dir qualche cosa.
— Il curioso si è — seguitò l'altro — che non sono in odore di santità
nemmeno presso il mio partito. I giovani mi considerano un oggetto
da museo, buono da portare in processione nei giorni di parata,
quando si aduna un comizio, quando si appende una corona alla statua
di Garibaldi, salvo a rimetterlo in vetrina a cerimonia finita....
Consolati che oggi non ti sei compromesso tu solo; mi son compromesso
anch'io; i miei rivali mi accuseranno di aver patteggiato col potere
e si serviranno dell'accusa per cercar di prendere il mio posto.... Si
accomodino!... Il posto presto o tardi è necessario lasciarlo.... Resta
sempre il fatto che sono un _reduce_ autentico, io.... E nelle miserie
e nelle bassezze presenti quest'è un gran conforto.
La voce di Varesio s'era animata; i suoi occhi lampeggiavano come se vi
si riflettesse d'improvviso la luce dell'epiche pugne a cui egli aveva
partecipato.
Il Ministro, nel quale non s'era interamente irrugginita la molla del
patriottismo, gli strinse la mano in silenzio. Ma subito dopo, essendo
la carrozza sboccata su un ponte, uscì in un _oh_ lungo e giocondo, e
disse:
— È il ponte di San Matteo questo?
— Sì.
Non largo ma gonfiato dalla pioggia, il fiume aveva in quel punto
un aspetto assai pittoresco. Da una parte le vecchie case diroccate
scendevano a piombo nell'acqua, proiettandovi mobili ombre che la
corrente pareva voler trascinare con sè; dall'altra la sponda digradava
con leggero pendìo, e sul greto ove cresceva tra i sassi qualche
tisico arbusto le lavandaie tendevano le funi per asciugarvi i panni
bagnati. Tendevano le funi e cantavano, e le loro voci squillanti si
mescevano alla voce cupa del fiume che incalzava rapido e inquieto,
biancheggiando qua e là d'una spuma sottile come una trina e perdendosi
lontano tra i pioppi ed i salici. Il sole, vittorioso, rischiarava la
scena.
— Qui nulla è cambiato dai nostri tempi — disse Cervara. E, di nuovo,
la gaia visione del passato aveva dissipato le ombre dalla sua fronte.
L'amico sorrise. — Son cambiate le lavandaie.
— Che non ce ne sia neanche una di quelle che ci erano allora?
— Laggiù no. Non lo vedi? Son tutte giovani.
Subito dopo il ponte, Varesio si sporse dal finestrino e chiamò il
fiaccheraio.
— Sarebbe la prima strada a destra, ma puoi fermarti qui. — E
voltandosi verso il Ministro:
— Ora scendo. È inutile che ti faccia venir più in là.
— Non eravamo intesi che ti avrei accompagnato fino a casa?
— Se pioveva.... Non piove.... E poi se avessi una casa mia, se potessi
dirti di salirvi almeno per un minuto, sarebbe un'altra faccenda....
Ma non ho casa, non ho che una camera ammobigliata.... Sono tornato
scapolo.... Ferma, fiaccheraio, ferma.
— Sei irremovibile?
— Sì, abbi pazienza.
— Allora chi sa quando ci si rivede, perchè io parto domani e ho
impegni per stasera e per domattina.... All'albergo non mi troveresti
solo.
— E sarei un pesce fuor d'acqua.... No, no, salutiamoci adesso.
Si baciarono sulle due guancie; indi Varesio saltò giù dal fiacre, fece
ancora un cenno d'addio con la mano, e s'allontanò frettoloso.
— Se vieni a Roma.... se t'occorre qualcosa — gli gridò dietro il
Ministro. E pensava, egli avvezzo a vivere in mezzo ai sollecitatori:
— Non m'ha chiesto nulla. E nemmen io gli ho offerto nulla. Che potevo
offrirgli?
— Dove desidera Sua Eccellenza?
Era il cocchiere che, immobile e a capo scoperto davanti allo
sportello, attendeva gli ordini.
Cervara si scosse. — Alla _Croce di Savoia._ Per la via più breve.
Quella sera a teatro il commendatore Prefetto, visitando il Ministro
nel suo palco, fece una discreta allusione all'incontro di lui con
Varesio.
— Siamo stati all'Università insieme — spiegò Sua Eccellenza.
— Oh un onest'uomo — soggiunse il Prefetto. — Un po' esaltato.... Alla
testa di tutte le dimostrazioni....
— Proprio io non sapevo niente di tutto ciò — disse Cervara ridendo.
— Me l'immaginavo.... Del resto, lo ripeto, un onest'uomo.
Ma la sera stessa un corrispondente di giornali, compreso dell'alta
dignità del suo ufficio, telegrafava a Roma e a Parigi:
_Il Ministro Cervara ebbe oggi intimi colloqui con l'avvocato Varesio,
presidente della Società dei reduci e del Circolo Istria e Trentino.
La cosa fece molta impressione avvalorando la voce già corsa sulla
evoluzione politica del Gabinetto._
Ne venne di conseguenza che, appena giunto alla capitale, Cervara ebbe
un'amorevole tiratina d'orecchi dal Presidente del Consiglio.
— Sì, sì, sono bazzecole, e il corrispondente è un asino che vuol
darsi importanza.... Ma noi dobbiamo andar coi piedi di piombo.... Son
troppi quelli che aspirano a raccogliere la nostra successione....
E, vede, fin che si tratta di prometter ferrovie, decorazioni,
sussidi, eccetera, poco male.... Son ferri del mestiere; se si può si
mantiene; se no, si ha sempre la scappatoia di dire che gli eventi sono
mutati.... L'essenziale è non sbilanciarsi con gli avversari....
Più rude assai fu il collega del Tesoro. — Io ho bisogno che la Rendita
aumenti e lei co' suoi _colloqui intimi_ me la fa ribassare.


JOLIE

I.
— Eccomi, — disse il dottore Cadeo, avvicinandosi all'ufficiale
sanitario che gli sussurrò qualche parola all'orecchio.
Il dottore fece un segno affermativo col capo e soggiunse a voce bassa
ma percettibile: — Anzi è quello che desidero.
Indi riprese il suo posto dietro la poltrona ove Clara Falerno sedeva,