Natalìa ed altri racconti - 08

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or ora una lettera dall'Edith che vi nomina tutti quanti e v'invia
mille saluti.
— Possibile?
— È stata una risoluzione presa lì per lì.
— Ma.... non torna?
— Oh tornerà.... tornerà.... più tardi.... Mi duole di quel povero
Lanzini.... Non lo sapevate?.. Voleva anch'egli fare una improvvisata
alla mia figliuola e dev'essersi messo in ferrovia ieri mattina
all'alba.... Forse sarà già a Aix-les-Bains.... Ma loro ormai avranno
passato la Manica.... Basta, informerò l'Edith delle vostre buone
intenzioni. Ella ve ne sarà riconoscentissima.
Fu un colpo di fulmine pei _cavalieri dell'immacolata._ Partita per
la Scozia? In quel modo? Senza mandare una riga?... Dopo la devozione
ch'essi le avevano dimostrata? Dopo il disinteresse con cui l'avevano
servita?... Restava bensì il dubbio che l'Edith subisse una specie
di coercizione da suo marito, ma chi la conosceva stentava a credere
ch'ella fosse una vittima.
I cavalieri erano poi furibondi contro Lanzini, il volontario. Cercare
così alla chetichella di raggiunger per suo conto M.rs Simpson! Cercar
di soppiantare quelli che avevano tanti più diritti di lui!... Era una
petulanza che meritava una lezione coi fiocchi.
— La lezione gliel'amministrerò io! — gridava de' Passeri.
— Oh per quel paino non c'è bisogno d'una delle prime lame di
Firenze.... Chiunque di noi è buono.
— Pur che non le sia corso dietro fino in Iscozia....
— Dove li ha i quattrini?... È figlio di famiglia.
E invero s'ebbe prestissimo la notizia che Lanzini era reduce dalla sua
disgraziata spedizione, ch'era a letto con una febbre reumatica presa
in viaggio, e che ne avrebbe avuto per un mese. Constatati debitamente
il ritorno e la malattia, e assodato che il giovinotto non aveva vista
M.rs Simpson, i cinque abbandonarono pel momento i loro propositi
vendicativi. Avrebbero invigilato la condotta di quel signorino, ecco
tutto. E lo visitarono con tenera sollecitudine. — Che informazioni
aveva assunte ad Aix-les-Bains? — Che cosa aveva sentito dire circa ai
rapporti dei coniugi Simpson?
— Ma!... Pare che fossero rapporti ottimi.
I cavalieri fremevano. De' Passeri ripetè con voce cupa il suo grido
fatidico: — Siamo traditi.
L'Edith aveva lasciato Firenze ai primi di giugno. In settembre donna
Mariquita annunziò che andava a raggiungere i Simpson in Iscozia; forse
suo genero sarebbe partito per Nuova York; ella contava d'essere in
Toscana con la figliuola per la fine di ottobre.
Successe un nuovo periodo d'aspettativa affannosa. Verrà? Quando? In
che condizioni fisiche e morali? Che contegno si dovrà tenere verso di
_lei_ dopo questi mesi ch'_ell'_ha passati col marito? Sarà possibile
di mostrar_le_ la stessa deferenza, d'aver la stessa abnegazione? Come
rassegnarsi a esser cavalieri d'una _immacolata_ che forse non era più
_immacolata?_
I nostri valorosi campioni si logoravano il cervello nello studio di
questi gravi problemi quando una mattina capitò a ciascuno di loro una
lettera da Londra, con la soprascritta di calligrafia di M.rs Simpson.
Erano poche righe con cui l'Edith annunziava che aveva risoluto di
andar per qualche tempo in America, e che stava per imbarcarsi in
compagnia di suo marito e di sua madre. Ella si sarebbe ricordata
sempre degli amici, sperava che gli amici si sarebbero ricordati
di lei. Si riprometteva di rivederli fra non molto, giacchè era suo
proponimento di tornare entro l'anno venturo in Italia, e perciò non
dava la disdetta nè alla sua casa di Firenze nè alla sua villa di
Fiesole. Inviava coi suoi saluti quelli di Morris e di donna Mariquita.
I cinque corsero subito in traccia gli uni degli altri, con gli occhi
fuori dell'orbita, con la lettera in mano.
— Tant'era che spedisse una circolare a stampa! — essi esclamarono in
coro dopo aver notato che le cinque epistole erano uguali in tutto,
persino nelle virgole.
Eppure questa identità di trattamento contribuì a tenere unita anche
in quello scorcio d'autunno, anche nella prima parte dell'inverno,
la benemerita corporazione. Triste autunno e triste inverno. In
società, a teatro, al passeggio, ovunque i _cavalieri dell'immacolata_
si sforzassero di cercare una distrazione, essi erravano in mezzo
alla folla taciturni, meditabondi, e non avevano pace fin che non si
trovavano insieme a sfogare il comune dolore, a lagnarsi dell'offesa
comune.
Non li si canzonava apertamente, perchè li si sapeva sospettosi,
irritabili, dispostissimi a mandare i padrini a chiunque li
punzecchiasse; si rideva alle loro spalle. In un salotto qualcheduno li
chiamò _i vedovi,_ e l'epiteto fece fortuna e corse su tutte le bocche.
Un altro li rassomigliò agli azionisti d'una società anonima fallita.
— Diciamo in _moratoria,_ — insinuò uno spirito conciliante.
— Sia pure. È l'anticamera del fallimento.
Il fallimento fu dichiarato agli ultimi di gennaio allorchè la posta
recò ai _cavalieri dell'immacolata,_ entro una busta col bollo di
Nuova York, un lucido ed elegante cartoncino con queste semplici
parole litografate in inglese: _M.r e M.rs Simpson hanno l'onore di
partecipare la nascita del loro figlio Percy. — 10 Gennaio 189...._
I cinque ebbero ancora la forza di numerare i mesi sulla punta delle
dita. Il conto tornava. M.r Simpson era arrivato a Firenze nell'aprile.


IL DOTTORE “DREAMS„

Erano in otto o dieci infervorati a discorrere di spiritismo, quali
con la cieca fede di apostoli, quali negando o ridendo o stringendosi
nelle spalle. A un tratto, un signore di mezza età, che sino allora
aveva taciuto, un forestiero presentato quella sera nel crocchio sotto
il nome d'ingegnere Belliati, prese la parola per chiedere:
— Qualcheduno di loro ha conosciuto il dottor Dreams?
— No. Chi era? Un inglese?
— Inglese o americano.... forse, — rispose l'ingegnere. — Parlava
correttamente e speditamente tutte le lingue, compresa la nostra.... E
forse non era nè americano, nè inglese.... E forse quel Dreams non era
che un pseudonimo.
— _Dreams_.... sogni, — disse uno che voleva far sapere che capiva
l'inglese.
Fioccarono le domande.
— Chi era?
— Vive ancora?
— Dove?
— Era un magnetizzatore?
— O un ipnotizzatore?
— O un _medium?_
— Un po' di pazienza, — pregò l'ingegnere Belliati. — Se vive? Lo
ignoro. Cinqu'anni fa lo incontrai a Parigi.... Poi non n'ebbi più
notizia.... E non mi stupisce che qui nessuno lo abbia conosciuto
perchè in Italia fu due volte sole, da semplice _tourist_.... Che
cos'era? In fondo ignoro anche questo. Il suo biglietto da visita
portava il titolo di dottore.... Dottore in legge? In medicina? In
matematica? Chi lo sa?... Non era neanche uno spiritista nel senso
ordinario della parola. L'ho sentito io burlarsi dei _medium,_
protestar contro le puerilità dei tavolini giranti e scriventi, degli
schiaffi e dei calci somministrati all'oscuro, delle voci misteriose,
delle apparizioni grottesche, di tutto insomma quell'insieme di
fenomeni che, se fossero presi sul serio, ripiomberebbero il mondo
nelle tenebre del medio evo.... Eppure..., eppure il dottor Dreams era
un grande ipnotizzatore e un grande evocatore. Due suoi esperimenti
sono addirittura maravigliosi.
— Ella vi ha assistito?
— Ho assistito ad uno. Dell'altro ebbi la testimonianza di una persona
che ne fu protagonista e che vi ha rimesso la salute e la vita.
— Oh diavolo!... Bisogna tenersi alla larga da questo dottore.
— Racconti, racconti.
— Principierò dall'esperimento a cui ho assistito io.... un esperimento
di suggestione, d'ipnotismo.
Tutti tesero gli orecchi.
— Era a Ginevra, una sera, in un salotto pieno d'uomini e di signore
della miglior società. Il dottore Dreams, cedendo alle sollecitazioni
della padrona di casa, aveva fatto alcuni giuochi di prestigio
bellissimi. Ma era evidente che da lui si voleva qualche cosa di
diverso, qualche cosa che meglio rispondesse alla fama di taumaturgo da
cui egli era stato preceduto.... Alla padrona di casa si aggiunsero le
altre signore. — Via, non sia scompiacente.... una piccola suggestione,
una trasmissione di pensiero, una divinazione.... Lei può, se vuole. —
Il dottore si schermiva. Era stanco. Doveva andare all'albergo.... Io
credo che per mezzanotte egli avesse un appuntamento galante.... Oh sì,
quelle benedette femmine s'erano impuntigliate, e mentr'egli insisteva
per accommiatarsi, una di esse gli prese di mano il cappello e lo passò
ad un'amica perchè lo nascondesse. Visto che non c'era rimedio, il
dottore Dreams finse di acconciarsi di buona grazia all'inevitabile e
disse con un sorriso: — Vogliono aver la cortesia di seder tutti quanti
in semicerchio davanti a me? — Mentre i presenti ubbidivano, già domati
da una volontà superiore, non osando nemmeno chiedere di che specie
fosse il saggio che il dottore si accingeva a dare, egli si rivolse a
me che gli ero vicino e mi sussurrò con voce aspra: — Si pentiranno. Io
li smaschererò tutti.... Io imporrò a tutti di svelare con un gesto,
con una parola, con una frase quello ch'è in questo momento il loro
pensiero più intimo. — E soggiunse: — Lei resti pure da questa parte.
Ho piacere che vi sia un testimonio freddo e imparziale di ciò che
sta per succedere. — Erano dunque disposti in semicerchio, uomini e
donne, nell'immobilità forzata di chi _posa_ davanti al fotografo; solo
che qualche signora si ravviava macchinalmente le pieghe del vestito,
qualche uomo si arricciava la punta dei baffi. Il dottor Dreams non
disse nulla; si rizzò con tutta la persona (era già ritto prima, ma la
sua persona sembrò allungarsi e irrigidirsi) e il suo sguardo cominciò
a girar lentamente sui seduti, da destra a sinistra. Due volte girò,
e gli occhi neri e profondi, ch'io vedevo riflessi in uno specchio
appeso alla parete opposta, mandavano strani bagliori. Due volte girò,
e uno strano malessere e un'inquietudine affannosa si dipinsero sulle
fisonomie degli astanti, e un bisbiglio, come di gemiti repressi, come
di preghiere soffocate, si diffuse per la sala. — No, — volevano dire
quei gemiti, — non ci domandate questo. — Il dottore, impassibile,
sorrideva. Non dimenticherò mai quel sorriso.... Dopo una pausa di
pochi secondi, come per pregustare il suo crudele trionfo, lo sguardo
del dottor Dreams si abbassò una terza volta, una terza volta girò da
destra a sinistra, e l'indice proteso, girando anch'esso, additava di
mano in mano la vittima. Un ultimo tentativo di resistenza apparve su
quelle faccie contratte e scomposte; un ultimo gemito risonò doloroso,
poi dalle labbra invano riluttanti uscirono le parole fatali. Fu
prima una signora sui trent'anni, molto scollata, molto elegante, che
si trasse dal seno un biglietto e lo baciò e ribaciò, sospirando: —
Caro amor mio. — Seguì un signore dalle fedine bianche, dall'aria
diplomatica che borbottò rabbiosamente: — Hanno osato di preferir
quell'asino a me. — Seppi il giorno dopo che si trattava di un'elezione
accademica e che l'asino era il nostro ospite. Venne terza una matrona
assai decorosa, la quale disse: — Bisogna deciderlo a far testamento. —
L'individuo che si voleva persuadere a far testamento (mi si raccontò
l'indomani) era il cognato della matrona. Una sposa che le sedeva
allato pronunziò con terrore una frase sibillina: — Se Carlo potesse
immaginarselo! — Carlo era il marito. Una vecchia tinta e aggrinzita,
con un collare di diamanti che le scintillava sul petto floscio, ebbe
un grido dell'anima: — Sì, ti pagherò le cambiali, farò quello che
vuoi, pur che tu non mi abbandoni. — Un banchiere si rivolse anch'egli
a un interlocutore invisibile. — Lasciati far la corte dal ministro.
Ciò mi servirà a ottenere la preferenza in quell'emissione. — Ma una
delle uscite più sbalorditive fu quella di un pastore evangelico,
tenuto in gran conto pel fervore della sua pietà e per la purezza de'
suoi costumi. — Susanna, noi viviamo nel peccato, il Signore ci punirà.
— Certo che non tutti, parlando, tradivano un segreto colpevole. Una
madre giovine evocò la cuna del suo bambino. — Il mio angelo dorme.
Non vedo l'ora d'essergli accanto. — Due fidanzati profferirono con
tenerezza infinita due nomi; egli il nome di lei, ella il nome di lui.
E vi fu anche la nota comica, data dal padrone di casa, un personaggio
goffo e melenso. — Che seccatura questi ricevimenti!... — In complesso
però che cumulo di bassezze, di ridicolaggini, di vergogne! Che
spiraglio aperto nel cuore umano, che colpo terribile assestato ai
partigiani della sincerità ad ogni costo! Ma, secondo me, una delle
cose più caratteristiche della serata fu questa. Le parole che via
via si sprigionavano dalla bocca di quelli ipnotizzati colpivano per
lo più qualcheduno dei presenti. C'erano mariti che raccoglievano
dalle mogli stesse la confessione dell'adulterio, c'erano mogli fatte
sicure dell'infedeltà dei mariti; c'erano cavalieri d'industria a cui
si gettava in faccia l'accusa degli amori venali, e altri a cui si
rivelava d'improvviso un'insidia domestica; e altri a cui, di dove meno
potevano attendersela, era slanciata un'ingiuria. Eppur, sulle prime,
nessuno parve accorgersi delle offese, nessuno rivelò le provocazioni;
più che per quello che avevano udito erano tutti turbati, sgomenti per
quello che avevano detto, per le nudità morali che avevano lasciato
vedere. Lo scandalo scoppiò il giorno dopo. E insieme con lo scandalo
vi fu un'esplosione di collera contro il dottore Dreams che forse
avrebbe dovuto pagar caro il tiro che aveva fatto.... Ma il dottore
Dreams era partito fin dalla mattina.
A questo punto l'ingegnere Belliati tracannò un bicchier d'acqua, e
molti manifestarono il desiderio di commentare la sua narrazione,
di chiedergli degli schiarimenti, di discuter con lui la natura
dell'avvenimento singolare ond'egli affermava d'esser stato testimonio.
— Aspettino, — egli disse, — aspettino di sentire il secondo fatto,
che, s'io non m'inganno, è molto più inesplicabile del primo. Poichè,
a rigore, noi possiamo ammettere l'esistenza d'individui dotati d'una
forza magnetica eccezionale che disarmi la volontà, che paralizzi
momentaneamente quei freni per mezzo dei quali l'uomo governa i
proprii istinti. A ciò s'era limitata quella sera, a Ginevra, l'azione
del dottore Dreams. Probabilmente egli non sapeva quello che i suoi
pazienti avrebbero detto. Sapeva che uno il quale non sia più in grado
di sindacar sè medesimo dirà a voce alta molte cose che non vorrebbe
dire nemmeno a voce bassa.... Quello che il nostro intelletto non sa
concepire è la virtù di evocare gli esseri scomparsi....
— Perchè? Perchè? — interruppe uno spiritista fanatico. — È questo
appunto il vanto maggiore della nostra scienza.
— Scienza?, — borbottò l'ingegnere tentennando il capo. — O non
piuttosto negazione della scienza?... Del resto, io mi son espresso
male.... Nel fatto a cui alludo non c'è stata una vera evocazione di
morti. C'è stato di più.
Un _uh_ d'incredulità accolse l'audace paradosso.
— Giudicheranno loro, — riprese Belliati. — Il fatto accadde a
Bruxelles, e anche allora il dottor Dreams deve, come sempre, aver
agito a malincuore.... Conoscendo le sue facoltà straordinarie,
egli teme di abusarne. Sa che, spesso, dove tocca schiaccia. In
quell'occasione gli schiacciati furono due uomini già sul limitare
della vecchiaia ma ancor sani e robusti, due personaggi d'alto affare,
che per la comodità del racconto lo distinguerò con due nomi, poco
importa se reali o no, il senatore Giulio Charron, il consigliere di
cassazione Edoardo Mareuil. Sembra che questi signori avessero dato
pulitamente del ciarlatano al dottore. Egli li pregò di non metterlo
al punto di provar loro quanto s'ingannavano. Essi lo sfidarono.
Presenterò loro qualcheduno, — egli disse con calma. — Un morto? — Sì
e no. — Come? — Vedranno.... A ogni modo i presentati saranno due. —
E quando? — Oggi, domani, a loro scelta. — Nelle tenebre della notte?
— Oh no, di pieno giorno. — E dove? — Dove credono; nel mio albergo, a
casa d'uno di loro, per la strada. — Il senatore e il consigliere non
vollero mostrarsi pusillanimi e risposero: — Sia per domani, al suo
albergo, alle due pomeridiane. — Siamo intesi. — Puntuali al convegno,
il Charron e il Mareuil furono introdotti da un cameriere dell'albergo
in un elegante salotto ove il dottor Dreams li accolse con grande
cortesia. Quel salotto i due visitatori lo conoscevano; c'erano stati
altre volte a salutarvi dei forestieri e non vi trovarono nulla di
mutato, nulla che potesse servire alle arti di ciurmatore. Ed ecco che,
appena v'ebbero preso posto, videro entrare per l'uscio di mezzo, non
introdotti da anima viva, due giovinetti imberbi, ai quali non darò
adesso alcun nome. Mi limiterò a dire che l'uno era biondo e l'altro
bruno. Potevano avere vent'anni al più, erano tutti e due di bella
presenza, avevano l'aspetto di due studenti. Non c'era in essi nulla
di strano, fuor che nel vestito che pareva tagliato sopra un figurino
antico. Strinsero la mano al dottore, chinarono la testa agli estranei,
e a un cenno del Dreams sedettero, il biondo di fronte al Charron,
il bruno di fronte al Mareuil. I due vecchi erano già profondamente
turbati, pallidissimi in viso. Chi erano quei giovinetti, l'uno dei
quali, il biondo, destava una vaga, lontana reminiscenza nell'animo
del Charron, l'altro, il bruno, produceva un effetto consimile nel
Mareuil? Chi erano? E perchè il dottor Dreams non li presentava? Il
senatore e il consigliere di cassazione si voltarono verso il dottore
per chiederglielo, ma non ebbero il coraggio di formular la domanda.
Egli era ritto in mezzo alla stanza, con le braccia incrociate sul
petto, con lo sguardo fisso e dominatore; era il muto padrone di
quegli spiriti e di quelle coscienze. Egli non voleva che pel momento i
quattro uomini si dicessero il loro nome, e non se lo dissero; voleva
che parlassero fra loro, e parlarono. Parlarono quasi sempre a due
a due, il Charron col giovine biondo, il Mareuil col giovine bruno.
Parlarono d'ogni argomento: di religione, di filosofia, di letteratura,
di politica, d'arte, avendo, di tratto in tratto, qualche slancio
di simpatia vicendevole, ma in fondo non riuscendo ad intendersi nè
in politica, nè in arte, nè in letteratura, nè in religione, nè in
filosofia. Ed era un dissidio più grave di quello che la differenza
di circa mezzo secolo d'età non bastasse a spiegare. Poichè, quando si
tratta di contemporanei, i vecchi esercitano un'influenza sui giovani,
i giovani sui vecchi. Qui invece era il dissidio fra uomini di tempi
diversi, come sarebbe se uno morto verso il 1848 fosse rievocato
improvvisamente dalla tomba e chiamato a discutere nel 1898. A un certo
punto il dottore disse: — E perchè non si scambiano i loro biglietti da
visita? — Quelli ubbidirono. — Oh! — fecero i giovani con un gesto di
maraviglia, dando un'occhiata ai biglietti dei loro interlocutori. Ma
i due vecchi sentirono drizzarsi i capelli in testa, sentirono gelarsi
il sangue nelle vene, mentre stringevano fra le dita tremanti i due
cartoncini, ingialliti agli orli. Su quello del giovine biondo era
scritto: — _Giulio Charron, dell'Università di Gand._ — Tali erano i
biglietti del senatore quand'era studente. Su quello del giovine bruno
si leggeva: — _Edoardo Gastone Mareuil._ — Edoardo Gastone! Il Mareuil
era effettivamente Edoardo Gastone, ma da una quarantina d'anni non
si faceva chiamar che Edoardo. Con le pupille fuori dell'orbita, con
la voce rauca dall'emozione, il senatore ed il consigliere gridarono:
— Qui si usurpano i nostri nomi. — Il dottore accennò con la mano: —
Calma, calma, signori. Non precipitino i giudizi. — E rivoltosi agli
studenti: — Tocca a loro, — soggiunse, — di provare che non hanno
usurpato nulla. — Indi, ai due vecchi contraffatti, sbigottiti, il
giovine biondo e il giovine bruno favellarono della casa paterna,
della famiglia lieta e numerosa, ricordarono atti, gesti, parole
di cari defunti, ricordarono i chiassi dell'infanzia, le scappate
dell'adolescenza, le birichinate della scuola, ricordarono i primi
dolori e i primi amori; tutto ciò insomma che nessun estraneo poteva
sapere, ch'essi medesimi, i vecchi, avevano in gran parte dimenticato,
e che oggi, per virtù di quella evocazione portentosa, riprendeva
forma e rilievo nella loro memoria. Ma come? Ma come? Chi erano quei
giovani? Erano loro stessi in un passato remoto? Erano loro stessi, e
non s'erano riconosciuti, e, discutendo, non avevano avuto un'opinione
comune?... Quale assurdità! Può l'individuo sdoppiarsi? Può, avanzando
nella vita, lasciar dietro di sè un altro individuo che un giorno gli
si riaffacci dinanzi?... E se non erano loro stessi, chi erano quei
due giovani che sapevano _tutto?_... Con crescente terrore il Charron
e il Mareuil fissavano i due esseri misteriosi.... sul petto del
biondo brillava uno spillo d'ametista, dall'orologio del bruno pendeva
un ciondolo d'oro in cui erano incastonate due piccole perle. Ma il
Charron aveva portato quello spillo; ma il Mareuil aveva portato quel
ciondolo; poi lo spillo era stato perduto al giuoco, il ciondolo era
stato smarrito.... Era troppo.... Lenta lenta una nebbia si calò sugli
occhi dei due vecchi; e in quella nebbia essi vedevano a poco a poco
dileguarsi l'apparizione. S'allontanavano i giovani con un'espressione
d'infinita malinconia. Pareva ch'essi dicessero: — Eravamo belli e
forti, eravamo pieni di baldanza e di fede, e siamo diventati così! —
Allorchè il senatore e il consigliere si risentirono, essi stringevano
ancora fra le mani i biglietti da visita.... Quei biglietti non erano
stampati in nessuna litografia della città; i due studenti, come non
erano stati visti entrar nell'albergo, così non erano stati visti
uscire. Nessuno li incontrò mai più, nessuno n'ebbe notizia. Il dottor
Dreams lasciò Bruxelles nello stesso giorno. Il senatore Charron,
precipitato di colpo nella decrepitezza e nell'imbecillimento, vegeta,
credo, tuttora in una villa presso Liegi. Il consigliere Mareuil, più
gagliardo, più energico, fece ogni tentativo possibile per chiarir la
strana avventura ch'egli narrava a tutti e narrò anche a me. Viaggiò,
cercò inutilmente il dottor Dreams. Alla fine quel pensiero assiduo,
tormentoso, sconvolse la sua ragione, e, dopo alcuni mesi passati in
una casa di salute, morì.
L'ingegnere Belliati si alzò in piedi. Quelli che lo avevano ascoltato
con attenzione intensa chiesero ansiosamente:
— E il dottore, il dottore?
— L'ho detto prima. Non se ne sa nuova. Si sarà cambiato nome. Sarà
tornato in Inghilterra, in America.... Sarà morto.... I taumaturghi non
son mica immortali.... Buona notte, signori.
— Come? Se ne va?
— Sì. Chiedo licenza.... Ho qualche lettera da scrivere.
Non ci fu modo di trattenerlo.
— Che sia possibile?, — chiese qualcheduno alludendo alle cose narrate
dall'ingegnere.
— E se fosse tutto un parto della sua fantasia?
— Chi è poi questo signore?... Chi ce lo ha presentato?
— Ce lo ha presentato Ugo Vertioli, che se ne andò subito con la scusa
di una seduta.
Quella notte il crocchio non si sciolse che verso le due.
La sera dopo si domandò a Ugo Vertioli:
— Dov'è il tuo amico?
— Quale amico?... Ah, l'ingegnere Belliati.... Fu chiamato da un
telegramma a Bologna.... Del resto, non è mio amico.... Ci siamo
conosciuti in viaggio.
— Sai ch'egli ci empì la testa di storie meravigliose?
— Davvero?
— Sì.... E dice con gran serietà delle cose incredibili.
Uno borbottò:
— Già partito!... Ha le abitudini del dottor Dreams.
— E se fosse lui stesso il dottor Dreams?, — soggiunse un altro.
Si protestò vivamente. Quel nome faceva una singolare impressione a
tutti.
— Ma insomma, — domandò Vertioli, — che cosa c'entra il dottor Dreams?
Chi è?
— Come? L'ingegner Belliati non te ne ha mai parlato?
— Mai.
Allora il più eloquente della compagnia s'accinse a ripetere il
racconto fantastico dell'ingegnere.
— Volete saper la mia opinione?, — disse alla fine Vertioli. — Io
giurerei ch'è una storia inventata di sana pianta da Belliati, il quale
ha voluto ridere alle vostre spalle.


ASSOLTO

I.
La gran giornata, la giornata attesa e temuta, era giunta. Da quasi un
anno durava il processo, un processo d'amministratori di Banche; da tre
mesi i nove imputati erano in berlina dinanzi al giurì, dinanzi alla
Corte, dinanzi a una folla curiosa, petulante, irrequieta. La lettura
dell'atto d'accusa aveva assorbito due intere sedute; poi c'erano stati
gl'interrogatori lunghi e minuziosi degli accusati; poi le deposizioni
di oltre a cento testimoni; poi i rapporti dei periti. Finalmente eran
cominciate le arringhe; arringhe della Procura del Re, della parte
civile, degli avvocati difensori, repliche, controrepliche, ecc. Un
fiume di parole aveva inondato l'aula delle Assise, aveva travolto
le deboli barriere dietro a cui si riparava il senso comune di quelli
che dovevano pronunciare il verdetto. Le questioni più semplici erano
andate via via ingarbugliandosi, le responsabilità più manifeste
apparivano dubbie, il sofisma trionfava.
E quale mutamento nell'opinione pubblica! L'opinione pubblica, si
può dire, aveva imposto gli arresti; in omaggio a lei s'era negata la
libertà provvisoria ai presunti colpevoli; era un coro d'imprecazioni
contro questi malfattori in guanti gialli che s'erano arricchiti a
spese dei gonzi, che, col loro lusso inverecondo, avevano insultato
alla miseria del povero. Dieci, quindici anni di galera non bastavano,
in quello scoppio dell'ira popolare, a saldar tanti misfatti. Ma,
dei nove complici, colui ch'era segno alle maggiori contumelie,
colui che si sarebbe voluto veder colpito con maggior rigore, era il
cavalier Michele Albissola, l'uomo che, giovine ancora, era riuscito
a imporsi al paese, l'uomo indispensabile, consigliere del Comune,
della Provincia, della Camera di Commercio, preconizzato deputato alle
prossime elezioni, l'anima infine del grande Istituto di credito la cui
caduta aveva portato la rovina di centinaia e centinaia di famiglie.
Lo si attaccava con la violenza medesima con cui lo si era esaltato. Il
nome onorevole, reso caro all'Italia da tre generazioni di patrioti, la
bella presenza, l'ingegno vivace, l'energia indomita, la parola facile
e persuasiva, l'ospitalità signorile, tutte insomma le qualità naturali
o acquisite che lo avevano aiutato a salire cospiravano ad aizzargli
contro gli animi. Senza di quelle, egli non avrebbe potuto nascondere
per tanto tempo i suoi fini tortuosi. Che più? Anzichè disarmare,
esacerbava le collere il pensiero della moglie giovine, avvenente,
virtuosa; dei tre bambini, tre amori, citati a modello d'eleganza e
di grazia. Tutto la fortuna aveva dato a quell'uomo, e di tutto egli
si era servito per ingannare. Era ben tempo ch'egli pagasse. Il santo
e legittimo sdegno che infiamma i buoni contro i perversi e il basso
livore che rode i cuori piccini s'univano per gridar la croce addosso
a Michele Albissola, per invocar sul suo capo una punizione esemplare.
Ma anche prima del dibattimento, durante il lungo periodo
dell'istruttoria, questi furori erano sbolliti. Non che la scoperta
di fatti ignorati fosse venuta a toglier gravità alle imputazioni
precedenti. I fatti rimanevano tali e quali, ammessi in parte
dall'Albissola e da' suoi compagni, e ce n'era più del bisogno per
imprimer sul fronte degli accusati il marchio di amministratori
cinicamente infedeli. Ma nuovi e maggiori scandali avevano nel
frattempo afflitto l'Italia, e un'idea, prima timida e dubitosa, poi
risoluta ed audace, s'era fatta strada nelle coscienze: l'idea che in
ogni processo, oltre a coloro che la legge traeva dietro la sbarra,
ci fossero altri rei misteriosi, invisibili, che il giudice non osava,
non sapeva, non poteva forse colpire; che vi fosse nell'ambiente, nei
costumi, nell'ora, qualcosa di viziato e corrotto in cui si smarrivano
le responsabilità personali. Il patrocinatore dell'Albissola,
l'avvocato e deputato Ferruccio Maggesi, una delle illustrazioni del
foro italiano, aveva capito subito quale, nel momento critico che
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