Natalìa ed altri racconti - 17


— No, — egli rispose. — Nemmeno l'eternità della giovinezza ci avrebbe
dato la forza di tollerare l'eternità della vita.
Ella tacque, studiando con l'occhio la via da tenere.
— Di qua, — ella disse finalmente. — Dammi la mano.
Senz'aprir bocca, illuminati dal bagliore purpureo del cielo, si
avventurarono per la china precipitosa. Quando furono al basso spuntava
già l'alba.
La barca era nascosta fra un gruppo d'arbusti che bagnavano i rami
nell'acqua. Risorta vi entrò con un salto e aiutò il Poeta ad entrarvi.
— Siedi al timone. Io prenderò i remi.
Ella puntò uno dei remi sul fondo e si spinse al largo.
— Il mare si ritira. Non abbiamo che da seguir la corrente.
— Come sei agile sempre e robusta! — notò il Poeta con accento
d'invidia. — Ti lagni che la giovinezza finisca; vedi che per te essa
non è ancora finita.
— Oh, s'è finita! — ribattè energicamente Risorta.
Dalla spiaggia veniva un acre odore d'arsiccio, veniva, or più
or meno intenso, un rumore confuso, simile al rombo di temporale
lontano. Dietro il fumo che strisciava greve sull'acqua, i contorni
dell'Isola si discernevano appena; nel biancheggiar dell'aurora che
faceva impallidire le fiamme l'incendio aveva perduto la sua imponente
grandiosità; tutto quanto assumeva il color della cenere.
— Voga, voga — supplicava il Poeta, anelante alla luce.
Seduta di fronte a lui ella vogava nè frettolosa troppo nè lenta, con
vece alterna protendendo innanzi il busto e arrovesciandolo indietro
nel ritmico abbassarsi ed alzarsi dei remi; libera nell'ampia,
candidissima tunica, la bella persona s'atteggiava a suprema armonia;
nella sana fatica i vivi occhi brinavano, le guancie si tingevano d'un
roseo incarnato.
Ed ecco il sole disperder la nebbia ed il fumo; ecco apparir nitido
il cielo e limpido il mare. E sul mare erravano altre barche, cariche
d'altri fuggiaschi, dibattentisi, urlanti, gesticolanti a guisa di
forsennati. Ma un'idea sembrava esser ben chiara, ben ferma nelle
menti ottenebrate e sconvolte; quella di resistere alla corrente che li
avrebbe portati più in là di dove volevano andare. Una unica barca non
resisteva; svelta, rapida, diritta, essa guizzava sull'onde come uno
strale che sa la sua meta.
Poichè quell'unica barca non ebbe intorno a sè e sopra di sè
che il mare ed il cielo, e l'Isola non fu che una nuvola grigia
sull'orizzonte, il Poeta disse:
— Fermati, Risorta. Sento che basta. Avvicinati. Ho freddo.
Ella ritirò dall'acqua i remi stillanti e si accostò a lui che l'aveva
chiamata.
— Come sei gelato, come sei pallido! — ella esclamò prendendogli le
mani.
— Le mie pupille si velano, il sole si offusca ai miei sguardi. Ma te
vedo ancora, o Risorta.... Più presso, più presso.
Ora ella gli si era inginocchiata ai piedi, ed egli ravvolgeva le ceree
dita sottili nei biondi capelli di lei.
— Sei pur bella. Risorta.
Ella scosse la testa, e i biondi capelli si sciolsero, ricaddero in
massa giù per le spalle.
— Ricordi?
Tutto egli ricordava: gli anni dell'attesa, gli anni dell'amore, gli
anni dell'abbandono; ricordava le grazie ineffabili della bambina, le
seduzioni irresistibili della donna, le carezze inebbrianti, le parole
soavi; e poi.... e poi l'addio secco e crudele.... Ma ell'era tornata,
e questo pensiero toglieva ogni acerbità alla memoria dell'abbandono e
del tradimento.
— Il primo giorno che ti ho vista, — sussurrò il Poeta come in un
soffio, — era un giorno di gioia e ho cantato la vita; oggi vorrei
cantare la morte, la morte buona e pietosa.... È dolce morire così.
Ancora una volta i suoi polmoni aspirarono l'aria salubre, ancora una
volta i suoi occhi cercarono fermar le immagini fuggitive; indi la
testa gli ripiombò inerte sul petto.
— Poeta mio! — gridò Risorta gettandoglisi addosso e avvincendolo delle
sue braccia.
Nei movimenti incomposti il leggero canotto piegò tutto da un lato; i
due corpi stretti insieme precipitarono nel mare e disparvero.


EPILOGO

I.
Il professore Corrado Bertalia, senatore del Regno, celebre per
la sua opera _Il Comune italiano e l'Ansa germanica_, stava dando
l'ultima pulitura al discorso, in francese, ch'egli doveva tener fra
pochi giorni al Congresso storico internazionale di Stoccolma, quale
delegato d'una delle nostre maggiori Università. Una delle finestre
dello studio, volta a levante, aveva le persiane abbassate; l'altra,
che si apriva a settentrione, era spalancata, e lasciava entrar nella
stanza la fulgida luce della bella giornata di giugno. Da un giardino
sottoposto salivano fragranze di fiori e canti d'uccelli; di là dal
giardino che, pur non appartenendo alla casa, lo cingeva per due lati,
veniva, smorzato alquanto, il rumore della strada percorsa da carrozze
e da carri.
Un vispo fanciullo di circa dieci anni irruppe nello studio senza
cerimonie.
— Buon giorno, babbo..
Il professore alzò il viso dalle sue carte, si tolse dagli occhi le
lenti e con un sorriso incoraggiante chiamò a sè il figliuolo e gli
stampò due baci sulle gote.
— Oh, Gino. Vai a scuola? Non è più presto del solito?
— Sì, ma aspetto la mamma che si metteva il cappello.
— Esce la mamma?
— Deve far qualche spesa.
Gino, secondo il solito, cominciò a toccare i libri sparsi sulla tavola
e a guardar curiosamente i frontispizi.
— Quieto, bimbo, quieto.
— Sai, papà, voglio che tu mi porti da Stoccolma una bell'opera
illustrata.
— Ma! — rispose il senatore. — Vedremo quel che ci sarà.... Perchè se
non ci fossero che opere svedesi.... Lo capisci tu lo svedese?
Il fanciullo si mise a ridere. — Io no.... E tu?
— Io? Pochino, pochino.
— Oh, — ripigliò con aria d'importanza lo studente di prima ginnasiale,
— se fosse il francese!... Me lo insegna così bene la mamma.... E anche
il latino intendo....
— Diamine! — esclamò il padre. — _Rosa, rosæ_.
— Nossignore, — protestò Gino offeso nel suo amor proprio. — Traduco
Cornelio Nipote.
— Nientemeno?... E dimmi, — soggiunse Bertalia in tuono carezzevole, —
saremo poi esonerati dagli esami?
— Non c'è dubbio. Ho le medie di tutti i bimestri superiori all'otto.
— Bravo il mio bimbo! — disse il professore accostando la sua guancia
a quella del ragazzo.
A veder quelle due teste che si toccavano s'era colpiti dalla
rassomiglianza ch'esisteva fra loro. Avevano tutti e due, padre
e figliuolo, fronte spaziosa, occhi bruni, incavati, profondi,
naso aquilino, tinta olivastra, bocca un po' grande, mento largo
e massiccio. Persino i capelli si rassomigliavano, benchè quelli
di Corrado Bertalia fossero radi e bianchi e quelli di Gino folti
e castani; si somigliavano nella lucentezza metallica, nella piega
leggermente ondulata. Certo a pochi genitori accade di stampar nella
prole una così vigorosa impronta della loro paternità com'era accaduto
al professore Bertalia con quell'unico rampollo, natogli quand'egli
scendeva già la parabola della vita.
L'uscio si aperse e una donna comparve sulla soglia. Indossava una
_toilette_ da mattina, semplice ed elegante, abito di mussola bianca
punteggiato di rosso, cappello di paglia di Firenze guarnito di rose
e mughetti; teneva in mano un piccolo ombrellino di seta celeste
chiara con frangie e pizzi. Le larghe maniche lasciavano veder il
polso sottile e il principio del braccio nudo, d'un candore latteo; la
bionda capigliatura opulenta era raccolta in treccie dietro la nuca;
solo qualche ricciolo indocile ombreggiava la fronte. Sotto il lungo
arco delle sopracciglia splendevano due pupille azzurre ora spiranti
un'infinita dolcezza, ora solcate da lampi d'orgoglio e da fremiti
di rivolta. Alta, snella, flessuosa, quella donna era veramente un
fiore di giovinezza e di leggiadria; si stentava già a persuadersi
(poich'ella non mostrava i suoi trent'anni) che fosse madre di Gino;
tanto più difficile era crederla moglie d'un uomo che rasentava i
sessanta.
— Buon giorno, Corrado, — ella disse avanzandosi di alcuni passi.
Come avveniva sempre quando sua moglie gli si presentava in un
abbigliamento troppo giovanile, una nube velò per un istante la
fisonomia severa ma aperta del senatore; pure egli non fece alcuna
osservazione e ricambiò il saluto con l'usata cordialità.
— Buon giorno, Lucilla. Sei mattiniera, oggi.
— Vado dalla mia sarta. Voglio che cambi una guarnizione al mio vestito
di stasera.
— Il gran da fare che danno le _toilettes_ a voialtre donne!
— Le _toilettes_ hanno un'importanza che gli uomini non capiscono....
Per noi sono il campo ove si esercita il nostro gusto artistico.
— Oh, non discuto. Credo però che alla festa di stasera non ci sarà
lusso.
— Perchè?
— Perchè la stagione non è propizia alle feste e molte signore sono in
campagna.
— Vedrai che ne mancheranno pochissime.... Alcune ritornano apposta....
non foss'altro che per la curiosità di conoscere questa sposina
americana che il contino Filiberti porta in famiglia.
— Per me ci rinunzierei volentieri.
— Anch'io. Ma come si fa?... I Filiberti sono stati sempre tanto
cortesi con noi.
— Sì, sì.... Ormai sono rassegnato.
— E persisti a voler partire domattina alle dieci e mezza?
— È necessario.
— Avrai ben poco tempo da dormire.
— A me basta poco.... Per le quattro saremo a casa; e cinqu'ore buone
di letto le avrò.
— Mamma, — disse Gino, — se non ti spicci....
— Andate, andate, figliuoli, — soggiunse Bertalia, — e che il Signore
vi accompagni.
In quella si picchiò all'uscio. Era la cameriera che portava su un
vassoio la posta della mattina.
— Nulla per me? — chiese la signora, mentre la cameriera consegnava
lettere e giornali al padrone.
— Nulla.
— Arrivederci, dunque.... Eccomi, Gino.
— Un momento, — gridò Bertalia. — C è una partecipazione mortuaria
diretta _al Senatore Prof. Corrado Bertalia e consorte...._ Di chi
sarà?
Il silenzio che seguì a queste parole fece balzar d'inquietudine il
cuore di Lucilla.
— Ebbene? — ella domandò avvicinandosi vivamente a suo marito e
guardando il foglio listato di nero ch'egli teneva aperto fra le mani.
Il foglio non conteneva che poche righe:
_La madre Caterina Frangipane vedova Bagnasco annunzia con
l'animo straziato la morte, ieri avvenuta, del suo unico
figlio_
RICCARDO
CAPITANO D'ARTIGLIERIA.
_Napoli, 10 giugno 189...._
_I funerali_, ecc., ecc.
Gli occhi dei due coniugi s'incontrarono.
— Quel Bagnasco che veniva da noi si chiamava Riccardo? — chiese
Bertalia con voce sorda.
Lucilla chinò la testa in segno affermativo e disse in un soffio:
— Povero giovine! Povera madre!
— È quello che mi regalava...? — principiò Gino. Ma un cenno di suo
padre lo fece tacere.
— Era adesso di guarnigione a Napoli? — continuò il professore.
— Sì.... Credo almeno, — ella balbettò sotto la tortura di
quell'interrogatorio.
— Gino fa tardi, — notò Corrado Bertalia senza staccar gli occhi da sua
moglie. — Del resto potrebbe andar solo questa mattina come sempre.
— No, no, lo accompagno io, — replicò Lucilla impaziente d'esser fuori
dal cospetto di suo marito.
Abbassò il velo sulla faccia bianca d'un pallore mortale, raccolse
tutte le sue forze ed uscì.

II.
E di nuovo il professore era solo nel suo studio. Ma i suoi occhi non
correvano più sulle pagine del suo manoscritto; erano fissi, immobili,
come assorti in una dolorosa visione interiore.
Perchè aveva sposato Lucilla? Come mai nell'età in cui l'uomo deve
credersi al sicuro dalle tempeste, s'era innamorato pazzamente d'una
fanciulla che poteva esser sua figlia?
Certo ch'egli le sue scuse le aveva. E non soltanto le scuse banali
dell'amore ch'è cieco, della ragione ch'è disarmata dinanzi alla
bellezza e alla grazia; ma scuse d'un ordine più elevato, di quelle
che permettono di prendere in iscambio i nostri capricci e le nostre
passioni per sentimenti generosi e magnanimi.
Lucilla, egli l'aveva conosciuta da bambina in su; se l'era vista
crescere sotto gli occhi, buona, avvenente, giudiziosa, e quando la
morte prematura dei genitori l'aveva lasciata povera e sola, egli aveva
creduto di poter offrirle, in cambio del tesoro de' suoi vent'anni
ch'ella gli portava in dono, una posizione quasi signorile, un nome
già illustre, un affetto profondo e tenace. E con che riconoscenza
ell'aveva accettato l'offerta! E che moglie adorabile ell'era stata
nel primo periodo del suo matrimonio! E che madre sollecita del piccolo
Gino! E come aveva saputo conciliare questi suoi uffici di madre e di
moglie coi doveri della società ov'ell'era festeggiata, acclamata, e
ove l'attraeva il desiderio legittimo di brillare fra mille!... Tempi
felici!
La corteggiavano, sì; (poteva forse essere altrimenti?) ma ella,
ingenuamente lieta degli omaggi che le si rendevano, aveva un'arte
sopraffina per tener nei giusti limiti i suoi adoratori; frenava gli
arditi col suo contegno decoroso e un po' altero, sconcertava i timidi
con la sua tranquilla ironia.
Bertalia aveva per lei la compiacenza che i mariti vecchi devono avere
per le spose giovani se vogliono conservarsene l'affetto; mostrava
un'assoluta fiducia nella sua saviezza e nella sua rettitudine, si
asteneva da ogni sindacato importuno sulle visite che faceva e che
riceveva, l'accompagnava senza mormorare alle veglie e ai teatri,
benchè queste lunghe serate fuori di casa contraddicessero alle sue
vecchie abitudini di studioso. L'affidar sua moglie alla cura di
amici comuni, come facevano altri mariti anche meno maturi, anche meno
occupati di lui, non gli pareva conveniente, e non pareva conveniente
nemmeno a Lucilla.
Fu appunto ad un ballo, fu dai conti Filiberti che i Bertalia ebbero
la presentazione di Riccardo Bagnasco. Aveva trent'anni, era stato
appena promosso capitano, ed era un ufficiale colto, intelligente,
modesto, laborioso, onde il professore, maravigliato di trovarlo tanto
dissimile dai soliti damerini, con o senza uniforme, lo prese subito in
simpatia. Entrato così in grazia di tutti e due i conjugi, il capitano
fu ammesso nell'intimità della famiglia e non tardò a conquistarsi il
cuore di Gino, ch'egli regalava di chicche e di giocattoli, e a cui
raccontava cento storielle piacevoli. Fatto si è che l'assiduità di
Bagnasco intorno alla Bertalia diede presto nell'occhio e alimentò le
chiacchiere degli sfaccendati. Per un pezzo il senatore o non se ne
accorse, o non vi badò; poi, messo sull'avviso, suggerì amichevolmente
a sua moglie di stare in guardia. Non ch'egli dubitasse, ma non voleva
che dubitassero gli altri e che si malignasse sul loro conto.
Ella rispose, un po' seccamente, che i modi del capitano erano
correttissimi, che non vedeva una ragione al mondo per trattarlo
con minor dimestichezza dell'usato, ch'ell'era sicura di sè, ch'era
impossibile chiuder la bocca ai cattivi e ai balordi, e che si
meravigliava come un uomo del valore di suo marito raccogliesse sì
perfide insinuazioni.
Pel momento la cosa non ebbe seguito, ma di lì ad alcuni mesi il
professore ricevette una lettera anonima che aggravava le accuse.
Egli portò a Lucilla la lettera vile e la bruciò al suo cospetto,
dicendo che sdegnava servirsi delle indicazioni contenute in essa;
ma che non si sarebbe più addormentato in una cieca fiducia, e che se
avesse scoperto di esser ingannato si sarebbe presa una sola vendetta;
quella di dar lo sfratto alla moglie colpevole e di separarla dal
figliuolo che non poteva avere per educatrice una donna dimentica de'
suoi doveri.
La minaccia che colpiva Lucilla nel suo punto più vulnerabile, la
tenerezza materna, fiaccò la sua nativa alterigia e rattenne in tempo
le parole acerbe che le salivano al labbro e di cui non era agevole
misurare le conseguenze. Mordendo il freno, ella si limitò a protestare
contro i sospetti ingiuriosi di suo marito e contro il sistema
inquisitorio che si voleva introdurre in casa.
Comunque sia, le visite del capitano Bagnasco si diradarono e non andò
molto ch'egli fu destinato a una nuova residenza. Bertalia applicò in
quell'occasione il noto adagio: _a nemico che fugge ponti d'oro_, e
accolse urbanamente l'ufficiale venuto a prender congedo.
Ed ora eran trascorsi cinqu'anni e il tempo aveva ristabilito
l'accordo, almeno apparente, fra i conjugi. Ma nel cuore di Bertalia
l'antica ferita non era così ben rimarginata da non farsi sentire di
tratto in tratto, e lo riassaliva a intervalli un bisogno tormentoso di
rivangare il passato, di mutar in certezza, dolce o amara che fosse,
la sorda inquietudine che lo logorava. E più volte aveva pensato al
modo di approfondire le sue ricerche, sia provocando Lucilla, sia
sorprendendola in un istante di debolezza, sia invigilando sulle
lettere ch'ella scriveva e che riceveva, perchè talora gli sorgeva
anche il dubbio che vi fosse una corrispondenza epistolare tra lei e
Riccardo Bagnasco.
Per fortuna, molte ragioni, le une più, le altre meno onorevoli,
lo avevano arrestato sulla china pericolosa. Erano le occupazioni
scientifiche, era l'orgoglio d'una natura leale ripugnante dai
sotterfugi, era il timore di saper troppo e lo sgomento del poi, era in
fine la coscienza dell'errore grave, irrimediabile da lui commesso il
giorno in cui s'era lasciato vincere da una passione senile.
Oggi quell'annunzio di morte, che pur doveva essere ed era una grande
liberazione, svegliava in Corrado Bertalia la malsana curiosità. E il
contegno di Lucilla rinfocolava gli antichi sospetti. No, il turbamento
di lei non era quello, così naturale, che commove qualunque animo ben
fatto alla notizia inattesa della perdita d'un amico. Troppo evidente
era in lei la cura di pesare ogni parola, di reprimere ogni moto
che potesse tradirla. _Povero giovine! Povera madre!_ Ella non aveva
trovato altro da dire per l'uomo che durante quindici mesi era stato
frequentatore assiduo della sua casa, per l'uomo ch'ella vedeva ai
balli, ai teatri, ai concerti, al passeggio, ovunque ell'andasse. Non
aveva trovato altro da dire, ma tutta la sua energia non era bastata
a far sì che le sue guancie non si scolorassero d'improvviso e le sue
mani non cercassero istintivamente un appoggio.
Una cosa pareva indubitata. Lucilla era stata côlta di sorpresa
dall'annunzio di quella morte, ciò che dava motivo di credere che
non vi fosse scambio di lettere tra lei e Bagnasco. Se no, possibile
ch'ella ignorasse la sua malattia? Sciocchezze!... Forse egli era morto
in seguito a un male di pochi giorni, in seguito a un accidente.... La
partecipazione lasciava adito a qualunque ipotesi. E in fine, fosse
pur troncata ora la relazione, era ciò sufficiente a distruggere il
passato?
E il senatore ripeteva in cuor suo il ragionamento di prima. Dato che
Bagnasco fosse stato soltanto un amico, Lucilla non avrebbe cercato
di nascondere la sua commozione, avrebbe insistito per chiedere
informazioni più particolareggiate, per mandare qualche segno di
simpatia alla madre derelitta.... Ma sopra tutto ell'avrebbe dichiarato
di non voler intervenire quella sera alla festa dei Filiberti.
Se non che, nel suo sforzo d'essere equo, Bertalia diceva a sè stesso
che, anche in caso di piena e assoluta innocenza, sua moglie sapeva
d'esser nelle condizioni d'una donna sospettata e che chi è sospettato
non è mai sicuro della via da tenere. Egli pure quella mattina aveva
sbagliato tattica; i suoi sguardi corrucciati, le sue domande insidiose
non erano atte certamente a inspirar confidenza.... Del resto, dinanzi
a Gino, ogni spiegazione era impossibile; più tardi forse, quando
Lucilla fosse tornata, quando Gino non ci fosse....
Un sorriso triste e sfiduciato passò sul volto di Corrado Bertalia; mai
più, mai più egli avrebbe strappato la verità dalla bocca di Lucilla.
Se invece?...
Come se lo spingesse una molla egli scattò dalla seggiola e uscì dallo
studio. La cameriera che finiva di spolverare i mobili nella stanza
vicina gli disse:
— È ancora fuori la signora.
— Non importa, — egli rispose arrossendo come un fanciullo. — Cerco un
libro che deve esser di là.
Entrò nel salottino ove sua moglie passava la maggior parte della
giornata lavorando, suonando, leggendo. Ivi ella riceveva i suoi
intimi, ivi, più d'una volta, il professore aveva trovato Riccardo
Bagnasco. E la stanzetta serbava, visibili, i ricordi di lui. Fra varie
fotografie che si spiegavano come a ventaglio da un portaritratti
di _peluche_ appeso alla parete, c'era anche quella del capitano,
in divisa, con scrittovi un nome e una data: _Riccardo Bagnasco —
19 aprile 1890_. In un palchettino accanto al pianoforte verticale,
quasi a farlo apposta, balzava prima all'occhio, tra altri quaderni
di musica, una sonata di Beethoven ch'_egli_ preferiva. Di fronte,
nello scaffale di noce, spiccavano, per l'elegantissime legature,
alcuni volumi ch'egli, il capitano, aveva regalato a Lucilla, edizioni
splendidamente illustrate d'autori celebri italiani e stranieri.
Corrado Bertalia prese a caso uno di quei volumi. Era il _Faust_ di
Goethe. Certo, egli pensava sfogliandolo, i _loro_ sguardi sono corsi
insieme su queste pagine, forse le _loro_ teste chine sul libro si
sono toccate, e il _loro_ alito s'è confuso, e la sottile ebbrezza
dell'amore li ha involti.... Ma oggi il libro non ridice ciò che udì e
ciò che vide.
Il professore lo rimise a posto e sedette sconfidato davanti alla
scrivania di Lucilla, con gli occhi ostinatamente fissi sopra una
cartella dalla coperta di cuoio nero e dal monogramma d'argento ch'era
posata appunto sul piano inclinato della scrivania. Dopo qualche
esitazione egli l'aperse; era vuota. Ma i fogli di carta sugante
che v'erano inseriti portavano i segni di caratteri impressi, segni
confusi, intrecciantisi, sovrapponentisi, tra i quali si sarebbe
smarrito il paleografo più consumato. Una cosa sola essi provavano: che
quei fogli avevano assorbito l'inchiostro di molte lettere e sapevano
il segreto di Lucilla: lo sapevano e lo custodivano.
Bertalia chiuse dispettosamente la cartella e rise della propria
ingenuità. Che raccoglieva egli dal suo spionaggio? Indizi, pallidi
indizi, nessuna prova.... Le prove, se c'erano, si trovavano in
quei cassetti chiusi, la cui serratura avrebbe ceduto a un piccolo
sforzo.... Ma era possibile che egli scendesse sì basso?
Vergognandosi dell'ignobile tentazione, egli abbandonò la stanza come
un ladro che teme di esser côlto sul fatto. Era tempo, perchè proprio
allora una forte scampanellata annunziava l'arrivo della padrona di
casa.

III.
Non molto dopo la cameriera venne ad avvertirlo che la colazione era
pronta.
Nel salotto da pranzo lo aspettava una sorpresa. Gino gli corse
incontro.
— Babbo, ci sono anch'io.
Lucilla, pallida ma composta, s'era già messa a tavola. S'era mutato
vestito; indossava un abito grigio.
Il professore guardò alternativamente la moglie e il figliuolo.
— Come? C'è vacanza?
— No, — rispose Gino, — ma sono esonerato dagli esami, e il direttore
mi ha messo in libertà. Siamo agli sgoccioli e non si fa più nulla.
Bertalia si morse il labbro. Senza dubbio era stata lei, era stata sua
moglie a voler che Gino rimanesse a casa. Ella temeva di trovarsi a tu
per tu col marito, e finch'egli partisse pel suo Congresso, si serviva
del fanciullo come d'una difesa.
Lucilla ruppe il silenzio.
— Gino non ha detto tutto.
— Che c'è ancora?
— C'è ch'egli avrà il primo premio, — soggiunse la madre con la sua
bella voce grave di contralto.
Nei grandi occhi azzurri di lei tremolava una lacrima.
Piangeva ella di tenerezza pei successi scolastici del suo figliuolo,
o piangeva per _l'altro_?
Tirò a sè Gino e lo baciò sui capelli. Egli le gettò le braccia al
collo.
— Vieni qua, Gino, — ordinò il senatore, geloso di quelle dimostrazioni
d'affetto. — Dà un bacio anche a me.... Così.... E non insuperbire, mi
raccomando.
— No, babbo, non c'è pericolo.... Dunque me lo porti il libro
illustrato da Stoccolma?
— Da qualche posto un libro te lo porterò senza fallo.... Siedi,
adesso, e mangia.... O che il premio ti ha tolto l'appetito?
Quasi l'interrogazione fosse rivolta a lei, Lucilla che guardava
immobile dalla parte della finestra si scosse e ingoiò faticosamente
una cucchiaiata di brodo.
— Sei stata dalla sarta? — chiese Bertalia ripigliando, quasi senza
volerlo, quasi senz'accorgersene, la sua parte di giudice istruttore.
Ella accennò col capo di no.
— Come? E la nuova guarnizione?
— Ho pensato che non è indispensabile.... Quella che c'è può bastare.
Dunque ell'era risoluta, o, piuttosto, era rassegnata ad andar dai
Filiberti, benchè la sua fisonomia mostrasse chiaro lo sforzo ch'ella
faceva.
La cameriera servì le frutta, poi uscì.
Il professore, inesorabile, tornò alla carica.
— Non hai avuto nessun particolare?
Lucilla trasalì.
— Particolare di che?
— Circa a quella notizia di stamattina?
— Da chi potevo averne? — ella replicò con accento di dolorosa
maraviglia.
— Forse i Filiberti sapranno....
— Sapranno quello che sappiamo noi.
— Questa sera sentiremo, — borbottò il marito. E s'interruppe per
passare il piatto delle fragole a Gino. — O che non ti piacciono più le
fragole?
— Sì che mi piacciono. E ne ho prese.
— Dieci ne hai prese. Le ho contate.
— Oh babbo, che cosa guardi?
— Se non ha voglia non si può costringerlo, — insinuò Lucilla.
— Perchè non deve aver voglia? Sta poco bene forse?
Il fanciullo s'affrettò a rispondere:
— No, babbo.... Sto benissimo. Ma non ho fame.
— Nessuno ha fame oggi, — brontolò Corrado Bertalia, scrollando
le spalle infastidito. E invero non aveva fame nemmeno lui, benchè
affettasse di averne e si empisse macchinalmente la bocca.
Dopo una breve pausa egli disse:
— Bisognerà spedire i biglietti da visita alla madre. Mi darai il tuo.
— Te lo darò.
Ella depose sulla tavola la salvietta, e si alzò, rigida e bianca, come
una bella statua.
— Vado a preparare le tue valigie, — ell'annunziò al marito.
Gino, che le si era aggrappato alle vesti, soggiunse:
— Anch'io, anch'io vengo ad aiutarti a far le valigie di papà....
Buondì, papà, arrivederci.
Com'erano d'accordo, madre e figliuolo, com'erano impazienti di restar
soli loro due, senza testimoni! Parevano due complici.
Tenendo per mano il fanciullo, la giovine signora era già presso
all'uscio, quando Bertalia chiamò con accento imperioso:
— Lucilla!
Ella si voltò tutta d'un pezzo, suffusa d'un lieve rossore la guancia
marmorea. Anche Gino s'era voltato, e i suoi occhi interrogavano il
babbo con trepida ansietà, tanto lo aveva stupito la insolita asprezza
della voce paterna.
Sentì Bertalia il muto rimprovero, la muta preghiera che c'erano nello
sguardo di Gino? O fu altro il pensiero che lo disarmò? Certo si è che
mutando tuono egli disse:
— Non dimenticare di metter nella valigia le decorazioni. Sai dove sono?
— Sì, nel primo cassetto a destra.
— Appunto.... All'estero non si può farne senza.
Di lì a un momento il professore richiudeva con forza dietro di sè
l'uscio dello studio, ridendo d'un suo riso nervoso ed esclamando
sarcasticamente: — Le decorazioni! le decorazioni!
Il bel marito di pasta frolla ch'egli era! E la bella figura ch'egli
faceva verso sua moglie! Dopo aver trovato l'accento solenne che doveva
preludere Dio sa a che gran scena drammatica egli finiva con quella
commedia delle decorazioni!
Ma, riflettendoci, la gran scena drammatica, se fosse successa, a
che cosa sarebbe approdata? Alla confessione da parte di Lucilla? Al
perdono da parte di lui? O a una rottura violenta, irrimediabile che
avrebbe distrutto per sempre la famiglia?