Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 07

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di mezzo anche il decoro della casa!
—Nientemeno!
—Si proprio: il decoro, la situazione ufficiale che occupiamo e
la rendita mensile che ti dà. Io non ci voglio perdere per le tue
sporcizie, hai capito? E quando verrà Sua Eccellenza mi farai il santo
piacere di alzarti súbito, o meglio di riceverlo in letto, spiegandogli
con un motivo plausibile questa bella idea di nasconderti per due
giorni senza dir niente a nessuno.
Mimi, pettinando con un largo pettine i suoi capelli arruffati, si mise
dolcemente a cantarellare:
«Les mains des femmes,
je le proclame,
sont des bijoux
dont je suis fou!»
—Hai capito. Mimi?—seguitava la madre.—Non farmi andare in collera!
—...je le proclame...
—Ma dove sei stata? Si può sapere dove sei stata?
—...dont je suis fou!... oouu!...
—Canta, canta! Ma io posso dirti che una scriteriata della tua specie
non riuscirà mai a far carriera!
Bluette lasciò cadere indietro il grande mazzo deʼ suoi capelli, che le
discesero fino alla piegatura delle ginocchia, ed incominciò a togliere
dal pettine quelli che sʼera strappati.
Allora venne Linette con il vassoio del caffelatte, recando insieme
le tepide brioches. Bluette ne rubò una, prima che Linette avesse
apparecchiato, e con la bocca piena rideva, guardando sua madre.
—Veʼ, che bella ciera!—disse la bionda Caterina.—I sottocchi ti
arrivano in bocca e sei lì che mi sembri di ritorno da una messa nera!
Voglio vederti allʼetà mia, bambina, se vai avanti di questo passo!
—Mi trovi brutta, mammina? Sai cosʼho fatto? Niente... Sono stata,
brava brava, in una strada che tu non conosci, in una casa che tu non
conosci, con un uomo che tu non conosci... Ma che squisite brioches!
Próvale anche tu, mammina.
Ella ubbidì. Si mise docilmente a sedere davanti alla sua bella figlia,
che divorava le brioches tepide spalmandole di burro. Frattanto
Linette, con le sue mani agili, raccoglieva dietro la spalliera della
poltrona tutto quel disordine di capelli biondi e leggermente li
pettinava.
—Tieni, mammina!—Le dette una mezza brioche, lucida, ben preparata.—Non
è vero che son buone?
—Bella novità! Le brioches sono brioches, il burro è burro, e tu sei
una stupida! Cosa cʼè di straordinario nel mangiare quello che mangiamo
tutte le mattine?
—Eh! dis donc, Linette, fais plus doucement! Ce nʼest pas une raison,
parce que jʼai beaucoup de cheveux, pour mʼen arracher des touffes!
—Cʼest quʼils sont très embrouillés, Madame!
—Te lʼho detto mille volte, Bluette: sii meno civetta e fa la treccia
se anche non vai a letto sola. Perchè vi sono certi uomini i quali non
sanno muoversi senza mettere i gomiti sui nostri capelli.
—Però tu li hai conservati, mammina.
—Io non ho mai fatto le sciocchezze che fai tu. Perdere un Ministro per
stare qualche ora di più con un amante... è ridicolo!
—Diʼ, mammina!... fammi una confidenza, ma proprio una confidenza
sincera... Qualʼè lʼuomo del quale sei stata veramente innamorata?
quello che ti ha presa, anima e corpo, non appena lʼhai veduto?
—Io? Ma che sciocca! Ne ho avuti molti.
—No: uno, il più forte... quello che, se ci pensi, tremi ancora.
La biondissima Caterina sospirò, chiuse gli occhi per raccapezzarsi,
poi divenne seria.
—È stato, se vuoi che te lo dica, quel poco di buono al quale ho
permesso di diventare tuo padre. Gli volevo tanto bene, che quando sono
rimasta incinta di lui non ho avuto nemmeno il coraggio di dirglielo,
per non dargli una seccatura, e nemmeno quello di andare da mia
sorella, che fa, se ti ricordi, la levatrice.
—Ah, sì?...—fece Bluette, guardandola con gli occhi divenuti grandi.
—Sì, precisamente. Ma cosa tʼimporta ora di saperlo?
—Nulla, mammina. Era una semplice curiosità.
In quel momento si udì squillare la scampanellata lunga ed imperiosa
con la quale il portinaio soleva distinguere le visite di Sua
Eccellenza.
La bionda Caterina, impaurita, si rifugiò nella propria camera;
Linette, per lo spavento, rimase col pettine affondato nella treccia
della sua padrona.
—Voyons, Linette, est–ce que tu perds la tête à présent? Passe–moi ma
robe de chambre, et file!
Subito «Egli» entrò. Aveva una faccia da dittatore accigliato.
—Bonjour, «Excellence!» Je vous croyais au Ministère... vous voilà!
Cʼest de la chance!
—Pas de plaisanteries, Bluette! Je viens pour savoir où vous avez été
ces deux jours et quel était le personnage avec qui vous avez quitté,
dimanche soir, à 11 heures, le Bar de la Grande Rouquine.
—Tiens! On vous a déjà renseigné? Cʼest parfait!
—Jʼattends une réponse, Bluette.
—Oui? Et bien, jʼai été avec ce «personnage», évidemment!
—Petite coquine!—esclamò il Ministro, andandole presso con aria
minacciosa.
—Plaît–il?
—Vous avez lʼair de vous ficher de moi, si je ne me trompe!
—Mais, pas du tout... Jʼai lʼair de vous dire la vérité, puisque vous
me posez des questions. Préférez–vous que je vous mente?
—Je veux savoir quel est cet homme. Quant au reste... je mʼen moque!
—Cela ne vous regarde pas, Monsieur le Ministre. Cʼest quelquʼun, sans
doute, qui nʼest pas grossier comme vous lʼêtes.
—Hein? vous dites?
—Je dis, «Excellence», que je vous prie de me ficher la paix!
—Mais... vous plaisantez, jʼespère!
—Non, je ne plaisante pas du tout. A partir de ce matin je donne ma
démission du Ministère et je rentre dans la vie privée.
—Est–ce bien sérieux ce que vous dites?
—Forcément... puisque je vous ai trompé. Ce qui serait encore
pardonnable, si je nʼavais pas lʼintention de vous tromper derechef,
tous les jours, et même deux fois par jour.
—Et cʼest tout ce que vous me dites pour vous justifier?
—Cʼest tout...
—Ma foi, ce nʼest pas ainsi que je lʼentends!
—Tant pis pour vous, «Excellence!» Moi, jʼai tellement sommeil, que
jʼen tombe, et je vous serais bien reconnaissante si vous me permettiez
de me coucher.
—Nous réglerons cette affaire–là, Bluette!
—Quand vous voudrez, «Excellence!...»
Era un uomo di Stato, non volle insistere, partì.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Giorni dʼamore.
Solitudine perduta e stupenda in mezzo alla Città piena di strepito,
nel potere di questʼuomo, che non sapeva chi fosse; lei, con il suo
mazzo di fiordalisi, ma che non era più Bluette.
Era una luce fedele su lʼombra della sua via.
La neve se ne andò; vennero, per il cielo trasparente, le nuvole
azzurre dei mesi di primavera. Gli alberi dei giardini si orlavano al
crepuscolo dʼuna trasparenza dʼoro; i vasi della povera gente mettevano
già qualche fiore sui davanzali dei quarti piani, sotto le grondaie.
Nel fiume che traversa la metropoli, ogni tanto, unʼondata quasi
azzurra passava; i frettolosi battelli, sotto i ponti, correvano con
ilarità. Le più belle ragazze dʼogni quartiere andavano per istrada con
il collo nudo.
E così fu primavera.
Su la Città grande, rumorosa, che le aveva data la gloria, il suo nome
di etera giovine tramontò.
Non la videro più i teatri splendere alle ribalte, sui tappeti sparsi
di fiordalisi, ove la danzatrice inimitabile danzava.
Non la videro più le strade consuete, gli ippodromi fioriti nei giorni
di primavera, i viali mattutini del Bosco, i ritrovi pomeridiani che si
affollano verso lʼora del tè.
Scomparve dalle case di mode, ove i più rari gioielli dellʼingegno
parigino a lei gelosamente serbavano i maestri dʼeleganze; scomparve
dalle sale degli spettacoli notturni, ove il suo giungere sollevava
ondate dʼallegria, battaglie di fiori, e, sui trillanti violini, le
cadenze dellʼantico My Blu.
Nulla riuscì a vincere la sua volontaria solitudine; sparì comʼera
venuta, simile ad un raggio di sole. Sparì come i fiori cadono dal
maturo albero, in una sola notte, lasciando ancora nellʼaria il loro
inestinguibile profumo.
Questa creatura limpida, chʼera stata così bella da innamorare una
città, seppe divenir bella per un amante solo. Per lui sentì che ogni
donna, quando sʼinnamora, dissuggella e perde veramente la sua più
nascosta verginità.
Era stata una femmina di gioia, splendida e libera, che si dava con la
fredda passione, con la fredda mimica delle sue danze; qualchevolta
si dava con una specie dʼinebbriata illusione, quasi ubbidendo alla
prepotenza della sua gioventù. Ma ora, dʼimprovviso, dopo tanti anni di
vizio, conosceva il pudore.
Sì, conosceva il pudore. Voleva mettere un velo sopra il suo corpo
divino, che i talami ed i teatri avevano posseduto.
Ed era piena di malinconia quandʼegli le diceva una parola che potesse
alludere al suo passato. Poichè lʼuomo non riesce mai a comprendere
questo rinverginire dellʼanima, che forse rappresenta la più vera e
forse lʼunica purità.
Era piena dʼirritazione quando, in un modo qualsiasi, nei loro discorsi
ripassava la storia di Mimi Bluette.
Non era mai stata fanciulla, ora lo diventava. Ora capiva perfettamente
il velo bianco delle spose che sʼinginocchiano davanti allʼaltare.
Sopra lo splendore deʼ suoi capelli biondi non avrebbe voluto portare
il peso di quella bianca trasparenza; nondimeno la intendeva come una
poesia, come un candore di quel sentimento che aveva incominciato a
nascere anche nellʼanima sua.
Dopo aver avuto aʼ suoi piedi la Città più temibile, ora le piaceva
immensamente rendersi una piccola schiava. Nascondersi le piaceva,
trafugare agli occhi della gente la sua timida felicità, perdersi nella
moltitudine sconosciuta, ove non si levasse neppure un bisbiglio dietro
il solco di profumo che lasciava, passando, Mimi Bluette.
Il suo corpo, nel danzare, nel muoversi, aveva rappresentato il
piacere, aveva comunicata la voluttà, per gli occhi, ai molteplici
amori che lʼinseguivano; era stata paganamente la bellezza, la rea
ma sacra nudità ove ogni desiderio può attingere; il suo corpo era
stato quasi una viva opera dʼarte, una fugace gloria della Città
voluttuosa;—ed ecco, ella pensava che non avrebbe danzato mai più,
che non avrebbe sentito mai più salire dalle platee tumultuose il
torbido impudico bacio della folla, che inebbria ed esaspera, il bacio
tentacolare della moltitudine, che avviluppa ed esaurisce...
I fiordalisi di Mimi Bluette ritornavano ad essere quel che sono:—fiori
di semplicità, nascosti nel grano.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Ed ella non sapeva nemmeno chi fosse questʼuomo. Glielʼaveva regalato
la terribile Città splendente, in una sera dʼebbrezza e di musica. Le
sue braccia lo avevano serrato con impeto, senza domandargli: «Chi sei?»
Chi era? Nulla, quasi nulla; una cosa davvero indefinibile, davvero
semplice: lʼamore.
Parigi le aveva data la sua vera bellezza, Parigi le aveva insegnato
a danzare, le aveva prodigate ricchezze, lʼaveva immersa come un
limpido calice nella sua grande fontana di piacere; Parigi le aveva
naturalmente regalata lʼapoteosi, ed ora naturalmente le infliggeva
lʼamore.
Le città stupende non regalano mai nulla per nulla; neanche agli
imperatori.
Questʼuomo aveva traversato il mondo, portava nel suo cuore di errante
la polvere di tutte le strade. Per la terra piena di miracoli aveva
trascinato alla ventura la sua nomade anima pesante.
Chi fosse questʼuomo, nessuno in verità sapeva. Egli medesimo forse
non se ne rammentava più. Aveva perduta la sua patria e perdute quelle
indefinibili apparenze che rendono gli uomini somiglianti alla terra
ove son nati. La marea di tutti i mari gli aveva pietrificata unʼonda
nel cuore; il sole aveva brillato neʼ suoi occhi fermi con il colore di
tutti gli arcobaleni.
Era stanco; aveva unʼoscura coscienza dʼessere giunto al termine del
suo cammino. In lui si vedeva il tramonto dellʼanima, come nella conca
dʼuna fontana si vede sorgere lʼoscurità.
Era venuto a lei traverso una vita forse tragica, forse ambigua, forse
irritata; questʼuomo portava in sè qualche secreto, che nemmeno lʼamore
avrebbe saputo vincere.
Su lui correvano molte confuse dicerie; poichè, dovunque passi, lʼuomo
non può venir meno allʼobbligo di sopportare una definizione. Anche
intorno allo straniero, vʼè un prossimo vigilante che ha bisogno
di conoscere la sua storia. Se un uomo non ha storia, o non vuol
dirla, questo prossimo lʼinventa. Si raccontava di lui che fosse un
avventuriero ed un esiliato; che una donna tragica lo avesse anni
addietro coinvolto in un processo clamoroso. La grande folla parigina,
che pure non dimentica nessuno, si ricordava di averlo veduto altre
volte apparire, sparire, nei burrascosi dedali della sua vita.
Ma era fra quegli uomini che hanno per contorno lʼombra.
Era passato di là, per quelle strade, con una donna straordinariamente
bella, più incognita e più misteriosa di lui; forse una sorella od una
complice, forse una vittima, una padrona od unʼamante. Si era detto
pure che egli fosse una spia politica, un agente secreto di comitati
rivoluzionari; si era detto persino che fosse un ufficiale di palazzo
perseguitato da imperiali gelosie. Di voce in voce, gli avevano fatto
esercitare tutte quelle professioni che non è lecito inscrivere sul
proprio biglietto da visita.
Egli forse nulla era di tutto ciò. Solamente veniva da lontano. Questa
lontananza era in lui, contenuta neʼ suoi movimenti, espressa nel
colore deʼ suoi occhi, ferma nelle risonanze della sua voce.
Veniva da tutto ciò che nel mondo si chiama: «lontano».
Era un disperso dalla grande moltitudine che si affolla intorno alle
società costituite, un esule dai sentimenti che sono la storia di
tutti, uno stanco e taciturno avventuriero, che portava in sè, come
sola memoria, la polvere del grande cammino.
Forse aveva una casa in qualche terra lontana, ed una sua donna
paziente, che ogni sera lʼaspettava in qualche lontana città.
Forse, nelle sere profonde, piangeva egli pure di rimorso e di
malinconia, pensando alla distanza invarcabile che lo separava dalla
sua vita.
Era un uomo bellissimo, arido, rapido, forte. Nella sua faccia vigile
si vedeva che una volta cʼera stata la serenità. Ora il sorriso non
trovava più le sue pieghe fra i lineamenti restii, e, nascendo, pareva
li forzasse ad una insolita fatica. La sua vita era modesta, quasi
povera, con improvvise liberalità. Non giudicava mai di nulla, non
diceva mai: «Questo è bene, questo è male»;—invece parlava dʼogni cosa
come uno spettatore freddo e stanco. Si capiva che in lui cʼera una
specie di collera contenuta, una specie di opaco dolore, dʼimmobile
ribellione, che non lo tormentava neanche più.
La sola cosa che paresse ridargli unʼanima, era veramente Bluette.
Forse le aveva detto la verità, quella prima sera, dicendole: «... vous
êtes ma dernière coupe de Champagne, mon dernier bouquet de roses...
quelle folie!...»
Che follìa veramente, questa bella creatura giovine, profumata,
inebbriante, nel suo cuore terribile di uomo che non aveva più
strada... Che follìa veramente, per lui e per lei, questo amore che
li stringeva in una specie di funesta gioia, di torbida e paurosa
felicità, come se andassero insieme verso il gorgo e la vertigine di un
pericolo distante...
Qualchevolta, nellʼudirlo parlare, con la sua voce sonora e profonda,
egli dava quasi lʼimpressione di un uomo che avesse legata in un sacco
la propria anima e andasse in cerca di offrirla per due quattrini al
primo rigattiere della contrada. Era forse un tale che aveva ben
valutato il senso della parola:—vivere.
Perciò era un uomo perduto.
Quando per gli altri, da ogni fossa e da ogni letamaio nascevano
aurore, per lui, su la terra infinita, su le infinite illusioni degli
uomini, era tramontata per sempre, per sempre, la poesia.
Parlava di solito con una quieta e fredda ilarità; guardava gli uomini
senzʼamarli, senza odiarli; ascoltava con indulgenza le loro enormi
tragedie futili, perdonava senza bontà i loro miserabili peccati.
Forse non aveva più voglia nemmeno dʼavere ingegno, e considerava come
un dannoso gioco di pazienza lʼenorme fatica mentale che gli uomini
spendono per dare un senso importante a questa vita che non ne ha.
Chissà dove, chissà quando, aveva ricevuto in pieno cuore dagli uomini,
o dalla fortuita bufera degli avvenimenti, un urto brutale come una
stilettata; e poi sʼera messo a camminare, a camminare per la terra
grande, nascosto in una equivoca ombra, in un ambiguo mistero che
incuriosiva la gente.
Vide, nellʼaria densa dei crepuscoli, quando le città stupende
sʼinnalzano come isole dellʼinfinito, le vaporiere avvolte di nuvole
cacciarsi urlando sotto le tettoie fuligginose delle stazioni;
vide, nei limpidi mattini, quando la terra che sta per avvicinarsi
al navigante non è che una striscia di fumo nel tremolìo del sole,
dʼimprovviso il porto risplendere sotto la montagna trasparente, la
terra venire incontro alla prua come unʼapoteosi dellʼinfinito.
E vide nascere i fiumi, i tumultuosi fiumi barbari, che rimbalzano
giù dal granito inaccessibile, gonfi del lontano estuario; e vide
le gigantesche alpi correre sui continenti come ondate di macigno,
poi, lentamente, a poco a poco, estenuando la loro forza ciclopica,
digradare in vaste zone montuose, abitate dagli alberi, abitate dagli
uomini, e pigre adagiarsi quasi dormendo su la terra incollinata, ove
crescono messi fiammeggianti e lʼuna dietro lʼaltra sʼinseguono, sul
pendìo dellʼalpe caduta, le città vittoriose...
Veniva da tutto ciò che nel mondo ha nome: «lontano».
Come il navigatore dʼoceani, portava nellʼanima piena di spazio lʼamore
della stella più lontana.
Era un uomo dappertutto in esilio, un nomade che non aveva più strada.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Sua Eccellenza entrò nel proprio gabinetto con un passo da Primo
Console vittorioso, e tre o quattro volte di séguito premette lʼindice
sul bottone del campanello da scrivania. La squillante furia del
piccolo batacchio non si era puranco dispersa fra le quattro pareti,
che già la barbuta e panciuta sagoma di un decorato segretario
sʼincastrava con obesità nellʼinquadratura dellʼuscio.
—Voyons, monsieur Pétimel!... Vous pourriez bien être là lorsque je
rentre!
—Les coups de sonnette marchent toujours plus vite que des pieds
dʼhomme, Monsieur le Ministre!
—Et vous êtes toujours un implacable sophiste, monsieur Pétimel!
Faites–moi grâce de votre verbiage et donnez un coup de téléphone à
cet idiot de Chef de la Sûreté, pour lui demander sʼil veut avoir
lʼobligeance de venir chez moi im–mé–dia–te–ment! Mʼentendez–vous,
monsieur Pétimel? dites–lui quʼil vienne à fond de train!
—Le chef de la Sûreté Parisienne attend depuis bientôt une demi–heure.
Il était sur le point de sʼen aller, lorsque jʼai reconnu à travers la
place la corne ministérielle de votre limousine...
—En effet, monsieur Pétimel, je suis venu a pied et pas du tout par
la place! Mais cessez donc de me corner aux oreilles avec votre voix
horripilante, et faites passer, je vous en prie, cet aimable monsieur
Ardouin.
—Dans ce cas il faut conclure quʼil y a des trompes dʼauto qui se
ressemblent comme des sosies... Et, quant à monsieur Ardouin, jʼai très
bien fait de le retenir.
—Vous avez très bien fait, monsieur Pétimel... que le diable vous
emporte!
Questo era il commiato che per lo più riceveva il metaforico segretario
Pétimel, decorato con la Legion dʼOnore.
Poco dopo entrò il Capo di Polizia, chʼera un uomo dallʼaspetto
segaligno e nevrastenico, il quale si faceva continuamente passeggiare
fra le labbra un residuo di stuzzicadenti e nel sorridere arricciava
le grinze del viso con una smorfia particolare, come se patisse di
prurito agli zigomi.
—Bonjour, monsieur Ardouin. Très aimable dʼêtre venu,—disse il Ministro
con un tono affabile.—Asseyez–vous, je vous prie.
—Malheureusement, Monsieur le Ministre, je nʼai rien dʼimportant à vous
signaler.
—Ah, ah... pas encore?
—Pas encore.
Naturalmente, come Capo di Polizia, lʼirritabile monsieur Ardouin non
si occupava neanche per sogno dellʼordine, del buon costume nè della
pubblica sicurezza parigina. Ladri, malfattori, satiri, biscazzieri,
spalleggiatori di prostitute, eran quelli appunto che fornivano la
ragion dʼessere alla sua funzione di Capo della Polizia; quindi egli si
guardava bene dal muover un dito per impedire a queste brave persone di
dedicarsi con tutto comodo ai loro innocenti e svariati commerci.
Per il Capo della Polizia—come in genere per ogni altro Funzionario
dello Stato—il cittadino che ha minore importanza, quello che non
serve a niente, e del quale non si parla nemmeno, è precisamente il
galantuomo. Sembra quasi unʼingiustizia; ma quando si pensa che i
galantuomini saranno sì e no in proporzione dellʼuno per mille, si
capisce come non sia possibile sacrificare la comunità a beneficio
dʼuna tanto esigua minoranza.
Ordunque il Capo di Polizia ha ben altro da fare che mettersi alle
calcagna dei malfattori o dipanare con troppa celerità i romanzeschi
enigmi dei delitti passionali, che frattanto servono mirabilmente
a riempire le timorate colonne dei giornali quotidiani. Di queste
bazzecole, se mai, si occupa nei ritagli di tempo.
Ma quello che deve anzitutto fare un buon Capo della Polizia
è ubbidire ciecamente agli ordini politici che riceve dal suo
Ministero; poi assumere informazioni secrete per conto dei grandi
istituti bancari, essere in ottimi rapporti coi caporioni delle leghe
proletarie, secondare la giustizia nel modo e nella misura che alla
giustizia conviene, impedire o provocare un dato scandalo, una data
manifestazione della volontà popolare, far coincidere le risultanze
dʼuna inchiesta con lʼesito già prima stabilito, fare in modo che la
legge venga rispettata da chi deve rispettarla o presa in giro da
chi ha licenza di prenderla in giro, ed in ultimo luogo provvedere
affinchè i ladri, gli assassini e gli offensori della morale pubblica
non eccedan quel numero medio che le tabelle statistiche accordano al
consumo di una grande città.
Poichè a tutti è noto che lʼuso del calcolo statistico va ora
diventando la pietra filosofale della scienza moderna.
Non è dunque un mestiere facile quello del Capo di Polizia. Si noti per
di più che anche lʼamore dei Ministri, Granduchi, Principi del sangue,
Parlamentari ed Ospiti ragguardevoli, è per lo più affidato alla
solerte vigilanza del Capo di Polizia.
Non farà dunque maraviglia a nessuno se, fra tanti grattacapi
accessori, pochissimo tempo gli rimanga per occuparsi del suo mestiere.
Questo era precisamente il caso dellʼirascibile Monsieur Ardouin, che
Sua Eccellenza aveva precipitosamente fatto chiamare nel suo gabinetto,
la famosa mattina che Bluette gli aveva presentate le proprie
dimissioni dal Ministero.
—Voulez–vous me rendre service, monsieur Ardouin?—gli aveva detto il
Ministro con insolita cortesia.
—A vos ordres, Monsieur le Ministre!
—Il sʼagit dʼune affaire privée, mais qui peut indirectement avoir
rapport aux intérêts de la République.
Quando un Ministro gli parlava «de la République», Monsieur Ardouin
sapeva senzʼaltro cosa pensare. Rispose, con la sua voce piena di
rispettoso malumore:
—Je ferai tout ce qui peut vous être agréable, Monsieur le Ministre.
—Eh bien, mon ami, cʼest très simple. Un certain monsieur, aux allures
très suspectes, respire en ce moment lʼair de Paris. Vous trouverez un
moyen pour quʼil décampe.
—Je le coffre!—disse con eloquenza catilinaria il Capo di Polizia.
—Doucement,—corresse con sussiego diplomatico il glorioso Ministro
dʼAgricoltura e Commercio.—Doucement, mon cher Monsieur Ardouin! La
mesure ne doit être prise que selon la Justice, car tout abus est
toujours préjudiciable.
—Cela va de soi, Monsieur le Ministre. Veuillez me dire le nom de ce
personnage.
—Voilà ce que jʼignore, pour le moment.
—Dans ce cas cʼest moi qui vous le dirai. Il sʼappelle, ou se fait
appeler, Hilaire Castillo, et il vient de plaire pendant trois jours et
trois nuits à la bellissime danseuse, M.ᵐᵉ Mimi Bluette.
Era un modo garbato ma energico per far notare al Ministro la sua
condizione di Eccellenza cornuta. In verità, come Capo della Polizia,
non faceva nientʼaltro che il suo preciso dovere.
—Castillo, vous dites?... Oui, oui, cʼest ça, Castillo... cʼest bien
ça!—ripeteva il Ministro, non sapendo bene che atteggiamento prendere.
Poi concluse, da uomo di spirito:—Enfin... je ne serai ni le premier ni
le dernier, nʼest–ce–pas, Monsieur Ardouin?
—Cʼest la règle, Monsieur le Ministre.
—Bon; je vous confie cette affaire, mais je tiens à ce que cela soit
fait dʼune façon légale, et en douceur, pour éviter quʼon lʼébruite.
—Comptez sur moi, Monsieur le Ministre.
Ma nonostante la congiura dʼun Ministro e dʼun Capo di Polizia, il
nominato Castillo seguitava a mantenere i suoi penati nella grande
libera Parigi. Anzi era la terza volta ormai che il lunatico M.
Ardouin, presentandosi nel gabinetto di Sua Eccellenza, gli dichiarava
con una specie di maligna soddisfazione che gli estremi richiesti
mancavano per sfrattare legalmente lʼ «undesirable» Castillo.
—Que voulez–vous, Monsieur le Ministre? Nous avons dans les archives
un dossier des plus romanesques autour de ce personnage, mais je me
trouverais fort embarassé de vous dire qui il est et ce quʼil fait au
juste.
—Est–ce possible?
—Comme je vous le dis, Monsieur le Ministre. Il est signalé à toutes
les Polices de la terre, mais rien de positif nʼexiste contre lui, et
Scotland Yard nʼen sait pas plus long sur son compte que la Polizei
de Berlin ou que la Questura de Rome. On le surveille depuis des
années, mais, vous savez bien, Monsieur le Ministre: nul nʼest aussi
irréprochable quʼun homme surveillé.
—Voyons, Monsieur Ardouin, vous plaisantez, jʼespère!
—Je ne me le permettrais pas, Monsieur le Ministre.
—Parbleu! vous êtes bien censé savoir qui il est, dʼoù il vient, quel
est son métier et dʼoù il tire ses ressources.
—Dussé–je y perdre ma place, je ne pourrais répondre à aucune de ces
questions. Voilà une dizaine dʼannées quʼil se promène à travers la
terre, en faisant à peu près partout ce quʼil fait à Paris.
—Cʼest–à–dire?
—Cʼest–à–dire, rien du tout. Il flaire... on dirait quʼil flaire
lʼambiance. Mais ses actes, ses fréquentations, sa correspondance,
tout cela nʼa rien de compromettant. Je lʼai fait filer pendant des
semaines; pour le moment je puis vous dire quʼil ne sʼoccupe que de
Madame Bluette.
—Ah?...
—Il a touché un chèque de 3.725 francs au Crédit Lyonnais, il y a
quatre jours. Cet argent lui venait de Varsovie, de la part dʼun
certain Monsieur Louwoievich. Ce Louwoievich est un marchand de
meubles; donc vous voyez que ce nʼest pas une piste importante.
—Et cʼest tout ce que vous avez à mʼapprendre sur son compte?
—Cʼest tout, hélas!... bien malgré moi. Je vous ai déjà dit que, il y
a cinq ans, on lʼa cru lʼâme damnée du procès de la baronne dʼElsoën;
mais il fut dʼailleurs promptement acquitté, et, depuis, cet homme a
fait des voyages sur mer.
—Très bien!—disse il Ministro con una voce tetra.
—Jʼai même essayé dʼavoir les confidences de Madame Bluette. Jʼai
envoyé auprès dʼelle une dentellière qui est très habile dans cette
sorte de sondages; mais je vous affirme que Madame Bluette nʼen sait
pas un mot de plus que nous.
—Très bien!—disse il ministro con una voce ancor più tetra.
—Et, à la fin des fins,—concluse il Capo di Polizia,—je vous repète ce
qui fut mon premier avis: Si vous voulez, je le coffre, et je lʼexpulse
pour raison dʼEtat.
Cʼera una sottilissima ironia, quasi un opaco sarcasmo, nella voce
burocratica dello scrupoloso Monsieur Ardouin.
—Non!—rispose fieramente il Ministro dʼAgricoltura e Commercio.—Que
Monsieur Castillo aille se faire pendre où il voudra! Et Bluette aussi!
Pour mon compte je nʼaime que le droit chemin. La légalité avant tout!
—Fort bien, Monsieur le Ministre. Toutefois, quand cela vous fera
plaisir, je le coffrerai.
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