Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 05

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amanti, ne cambiò assai.
Come segretario, imbrogliò il suo principale,
come avvocato, imbrogliò i suoi clienti,
come speculatore, i suoi azionisti,
come uomo politico, i suoi elettori,
come uomo di governo, la Repubblica.
Ma la sua grande astuzia fece sì che i varii partiti ai quali
appartenne gli mantennero il voto.
Le due mogli divorziate lo rimpiansero.
Le amanti abbandonate non gli serbarono rancore.
Il suo principale divenne suo segretario.
I clienti affluirono vieppiù numerosi.
Gli azionisti gli versaron nuovi capitali.
Le due Camere lo vollero Ministro.
La Repubblica gli promise di eleggerlo Presidente.
Era un uomo agile, abile, malleabile, che aveva semplicemente saputo
compiere la sua strada.
* * * * *
Ordunque il signore dʼOlonzac ebbe la delusione di vedere che Mimi
Bluette, nonostante i fatti gravissimi recati a sua conoscenza,
manteneva unʼassoluta fiducia nellʼamministrazione del vecchio Monsieur
Bollot.
Questo fatto persuase lʼaccorto signore dʼOlonzac a ricercare di
bel nuovo le grazie della puntigliosa Fred Chinchilla. Nello stesso
tempo il Mercante di Pneumatici, che naturalmente non poteva mettersi
a lottare con un Ministro dʼIndustria e Commercio, ritirò le sue
credenziali. Ma, per consolarsi dellʼabbandono, fece tappezzare i
muri della Capitale con un cartello di pubblicità, nel quale i suoi
pneumatici erano fatti preferire al pubblico dal sorriso dʼuna donna
che somigliava spudoratamente a Mimi Bluette.
E Linette, cameriera dalle calze di voilé, rimase il domestico angelo
guardiano della Ministressa Mimi Bluette.
Ormai dunque le si apriva dinanzi ciò che si usa chiamare «un orizzonte
politico». Dalle sue piccole mani quasi azzurre poteva essere gettato
qualche dado nel bossolo della sorte repubblicana; sui Dipartimenti
e su le Colonie aleggiava il profumo della sua nascosta e leggera
sovranità. Se avesse avuto quel bernoccolo del governo che rese
illustri tante Ninfe Egerie della politica francese, la prodigiosa
Mimi Bluette, inventrice del My Blu, avrebbe forse potuto tramandarsi
alla storia insieme con lʼamante del generale Boulanger, od almeno
in compagnia di quellʼammirevole ispiratrice, od aspiratrice, che fu
Madame Steinheil.
Ma ella di governo ben poco sʼintendeva, ed il Ministro non riuscì a
svegliare in lei nessun amore per la politica, nè per gli uomini che
si contendono il potere. Ella sopportava questa Eccellenza, come aveva
sopportato il Mercante di Pneumatici, come aveva sopportato il Grande
Industriale, nonchè tutti gli altri che si erano presi cura di lei,
studiandosi di fare quel che poteva per il bene del paese; poichè gli
affari dʼun Ministero dipendono spesso dal modo come Sua Eccellenza il
Ministro ha passata la notte.
Ora, lʼIndustria ed il Commercio della Repubblica non poterono che
lodarsi di lei.
Nella sua qualità di Ministressa ella fu delegata in quei tempi a
rappresentare la Repubblica nelle coltri borboniche di un giovine Re
Cattolicissimo, che Parigi festeggiava.
Più tardi un Granduca nevrastenico disannoiò nelle sue morbide braccia
le imperiali malinconie dellʼanima slava.
E rimase in carica fin quando il Gabinetto fu rovesciato. Poi uscì
dalla politica per entrare nellʼamore.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Fu dʼinverno, in una bianca sera dʼinverno, che allʼimprovviso, e col
suo cuore di vergine, la divina Bluette sʼinnamorò.
Talvolta ella tornava nel Bar della Grande Rouquine, per ritrovare i
suoi compagni, le sue compagne dʼun tempo, e spesso vi pranzava con
grande allegria, nelle sere di libertà, quando non doveva danzare o
quando S. E. il Ministro le usava la cortesia di lasciarla in pace.
Laggiù, nel piccolo Bar, lʼaccoglievano come una reginetta, e non
appena Bluette vi entrava, tutti quanti erano sossopra. La Grande
Rouquine, col suo cespuglio di capelli rossi, con i suoi occhiacci da
gatta selvatica, la voce sonora e fioca, bruciacchiata dallʼarsura
delle sigarette russe, la Grande Rouquine, donna che aveva un
passato, era sempre là, dietro il suo banco, a tenere in briglia
quella famigerata clientela. Vedendola entrare, scattava su come un
pagliaccio a molla da una scatola chiusa, le correva incontro, le dava
due terribili baci, serrandola fra le sue braccia di befana.
Limka, violino di spalla, tzeco delle Batignolles, attaccava il My Blu.
E siccome, in fondo, Bluette non era nata per frequentare Ministri nè
per gustar le freddure di qualche socio della Rue Royale, Mimi Bluette,
che vʼera passata frammezzo, ancora si trovava molto bene fra quelle
canaglie simpatiche, fra queʼ sinceri e briosi farabutti, che forse
valevano poco meno di certi gesuiti rispettabili, affiliati a leghe di
pubblica moralità.
Per lei quel Bar della Grande Rouquine rappresentava uno svago ed
in certo senso un riposo dalla sua vita di necessaria commediante,
quasi quasi un angolo di antica indimenticata famiglia, ove nondimeno
avrebbe trovato un rifugio nellʼora del pericolo, quando per avventura
il mutevole giuoco della sorte avesse provveduto a punirla della sua
troppo facile prosperità. Quella Grande Rouquine, lunga di cosce,
priva di seni, con la fisionomia di cera, le voleva bene a modo suo,
chissà mai perchè, ma le voleva bene. Se un giorno per avventura le
fosse mancato un luigi, Limka, tzeco delle Batignolles, certamente
glielʼavrebbe dato a prestito. Florina–Bey, sebbene si vestisse da una
sartina di Billancourt, aveva certo più spirito che Fred Chinchilla,
e Boblikoff, il terribile Boblikoff, ex–domatore dʼorsi, lʼamava pur
sempre dʼuna sua rassegnata umile passione.
Lì, nel Bar equivoco ed elegante, ove bazzicavan tanti ladri e tanti
sperduti, ove la miseria e la nobiltà bevevano le stesse droghe neʼ
medesimi bicchieri, dove la prostituzione vecchia e quella non ancora
deflorata cenavano su lo stesso tavolino alla musica di My Blu, dove,
nelle tarde ore della notte, quando i clienti serii, cioè quelli che
pagano, se nʼerano andati, Garcia Pois–Lourd, boxeur deluso, si giocava
unʼorzata al picchetto con lʼefebo Jean Kiki, mentre la Grande Rouquine
faceva i conti di cassa,—lì, forse, il mondo era peggiore dʼapparenza
che in verità, mentre molto spesso altrove il mondo è peggiore in
verità che dʼapparenza.
Or quella sera per lʼappunto il Ministro erasi recato a rappresentare
il Governo della Repubblica in non so quale Dipartimento; le aveva
mandato un ultimo bacio per telefono, ed ossequiato, affabile,
ammiratissimo, era partito alle 9 precise dalla Gare de Lyon.
La sola che non ammirasse questʼuomo era proprio Mimi Bluette. Gli è
che Bluette, lo conosceva intimamente.
Il Ministro è lʼuomo forse meno amato che si conosca su la terra.
Non è più giovane, ha sempre un tono declamatorio, certe maniere
burocratiche, non è libero, non è spensierato, non può essere geloso,
è troppo autorevole per essere considerato un passatempo e troppo in
vista per essere temuto. Paga di solito con denari dello Stato e scrive
lettere dʼamore che sembrano protocolli di cancelleria.
Quello poi dʼIndustria e Commercio è un Ministro che non esercita
prestigio alcuno su la donna, perchè il suo dicastero manca di
attributi speciosi e di cerimonie teatrali. Di più disadorno che il
Ministro dʼIndustria e Commercio vʼè soltanto il Ministro delle Poste e
Telegrafi; quello poi di Belle Arti e Culti non si capisce bene cosa
faccia.
Ma in generale non si capisce bene cosa facciano tutti i Ministri.
Ad ogni modo, per le ragioni sopra citate, Mimi Bluette era molto più
allegra quando Sua Eccellenza viaggiava per i Dipartimenti; e quella
sera, nonostante la neve, pensò di andarsene al Bar della Grande
Rouquine.
Non volle nemmeno servirsi della propria automobile; fece chiamare
invece un tassametro sgangherato, per concedersi meglio lʼillusione
dʼessere ancora una piccola Parigina in libertà.
Quando la sorte ci ha sollevati al culmine delle più alte fortune, la
perfetta gioia consiste nel ritornare verso lʼorigine. E poichè siamo
assurdi, se la vita per avventura ci riconduce allʼumiltà passata,
quel bene che fu perduto assume ai nostri occhi un lontano colore di
felicità.
Bluette, nel veicolo traballante, rivedeva con esattezza il remoto
pomeriggio, allorchè, povera e trasognata, giunse nella stupenda
Capitale. Si ricordò quella ridda che le apparve sui Grandi Boulevards,
la prima sera: «Crémieux.... Luna Park... habille bien... Le Matin...
Michelin... Galeries... Polin... sait tout...»
E Max? dovʼera Max?
Forse in galera, forse in giro per il mondo, forse diventato un
galantuomo... chissà?
Frattanto la neve senza vento cadeva giù fiocco a fiocco, prendendo
il colore dei lampioni, la forma delle case, buona, bianca, lieve.
Una specie di silenzio candido si avvolgeva intorno al rumore della
Capitale. Povere vecchie pedine trottavano sui marciapiedi, sgominate.
Il suo piccolo cuore si strinse. Aveva quasi pietà, in quella sera di
neve, dʼogni creatura che non fosse tepida, bella, felice come lei.
Mimi Bluette!... si chiamava Mimi Bluette!... e pronunziare a se stessa
il proprio nome le dava quasi una sottile intima gioia.
Traverso i vetri appannati vedeva le case brillare, le strade
avventarsi come corridoi di luce nei dedali dei quartieri bui; vedeva
le piazze deserte, i cumuli di sedie accatastate con le gambe allʼaria
su le terrazze dei caffè, i lunghi funerali immobili delle vetture di
piazza, i cinematografi, che lanciavan su la neve iridi violette, gli
edifici pubblici, solenni e tetri come prigioni, gli spazzaturai simili
a file di deportati, che ammucchiavano la neve, i grandi vestiboli
dei teatri, pieni di fiamma,—e tutto questo era un poʼ suo, era un
lembo dellʼanima sua; chiunque avesse fatto male ad una delle cose che
vedeva, in quella bianca sera dʼinverno, avrebbe fatto male anche a lei.
Nel Bar della Grande Rouquine fu ricevuta come al solito con tripudio e
con rumore.
Pʼtit–Béguin, il quale pranzava in tête–à–tête con un forestiero
dallʼaria di Pascià, si alzò appositamente per venirle a baciare la
mano. Questo, anche nel caso di Pʼtit–Béguin, era certo una galanteria.
Jennie–Minnie–et Lélie, che sebbene alquanto invecchiate costituivano
sempre un inseparabile trio, le fecero grandi accoglienze, anche nella
previsione che Mimi volesse pagar loro la cena. Il bookmaker Cliffton
interruppe la lettura del _Paris–Sport_ per mandarle un asciutto
complimento inglese, che voleva probabilmente essere un invito. Ma ella
si mise allʼultimo tavolino, presso il banco, perchè in tal modo poteva
meglio discorrere con la Grande Rouquine.
Frattanto Limka suonava il My Blu.
Adesso, di My Blu, ve nʼeran centinaia; ogni grattacorde, o
picchiatasti, cercava di mettere in voga il proprio. Ma Limka, tzeco
delle Batignolles, suonava il My Blu classico, il primo, quello chʼera
stato creato per la divina Bluette.
Quella sera la Grande Rouquine era vestita di verde, dʼun verde
verdissimo, ed aveva intorno al collo un boa nero, dʼun nero nerissimo,
che le faceva star bene il volto, freddo come lʼelettricità.
Vʼera molta gente quella sera, e la Grande Rouquine governava tutto il
servizio con la fiamma deʼ suoi occhiacci verdi. Ai tempi di Bluette
il Bar non aveva che quellʼunica sala, e qualche ammezzato ove si
giocava dʼazzardo; ma ora le sale a pianterreno si erano moltiplicate,
sebbene conservassero una disposizione ambigua da labirinto e ci
fosse ancora, presso lʼentrata, quel famoso paravento contro il quale
ruzzolò Max quando ricevette il formidabile pugno di Boblikoff. E
cʼera il medesimo Boblikoff, che ormai doveva essere divenuto qualcosa
nellʼamministrazione del locale, pur conservandosi una rispettabile
aria da cliente.
Buona cucina, belle donne, bei ragazzi, atmosfera di malavita elegante,
spaccio clandestino di afrodisiaci e di stupefacenti, ecco forse alcuni
fra i mezzi chʼerano serviti alla Grande Rouquine per mettere di moda
il suo ritrovo.
In primo luogo Mimi ebbe voglia di mangiare certe «moules–marinière»,
che vide passare fumanti nella zuppiera di terracotta.
—Attention! elles sont très lourdes le soir...—lʼavvertì amabilmente
Sanderini, personaggio in redingote, grande consumatore di paglie
Négri–Pipoz, che doveva probabilmente esercitare qualche altro
mestiere, oltre quello di passare sei o sette ore, su le ventiquattro,
nel Bar della Grande Rouquine.
Questo Sanderini era magro come il tifo e luccicante come lo smeriglio,
per colpa della sua marsina. La faccia gli rientrava nella bocca,
lasciando fuori solamente un naso ridicolo ed un mento che pareva il
naso capovolto. Sanderini faceva tutto quello che chicchessia volesse
far fare a Sanderini: dal condurre i curiosi a veder i quadri viventi,
sino a provvedere mazzi di carte preparate o combinare unʼudienza
con lʼArcivescovo di Parigi. Se lʼinvitavano a cena, mangiava molto
volentieri; se lʼinvitavano a bere, beveva più che volentieri; per
conto suo lʼamabile Sanderini faceva un gran consumo di paglie
Négri–Pipoz.
Ora, nonostante il suo consiglio, Bluette, ingorda, mangiò «les
moules–marinière». Sanderini, seduto sopra uno sgabello, presso il
banco, si limitò a provarne cinque o sei. Le trovò salate, perchè aveva
lo spirito critico, ed anche perchè, avendo fatto il giro del mondo, in
nessuna cosa egli mancava di esperienza.
Intanto Boblikoff venne a farle un poʼ di corte; per lei fece portar
su dalla cantina un Barsac memorabile, che andava molto bene con «les
moules–marinière».
Mimi era distratta.
Il Jokey Perry, che insanguinava il piatto con la sua costata
fiammeggiante, le dava noia, parlandole con la bocca piena dalla tavola
del bookmaker Cliffton.
—Tu vas voir,—disse la Grande Rouquine, con la sua voce riarsa,—ils
vont foutrʼ de la Worcester Sauce même dans lʼomelette–confitures!
Mimi sorrise. Ma Sanderini fece una tal risata che minacciò di
precipitare dallo sgabello. Questa risata condusse alla tavola di
Bluette anche Florina Bey, che incominciò a raccontare una lunghissima
storia, la quale a Mimi non importava niente,—perchè Mimi era distratta.
Entrò Lucien–Lucienne, che per affettazione vestiva in abito da
mattina, con quella eccentricità particolare dei prostituti. Era ben
dipinto, e si mise un poʼ di cipria sotto il mento, un poʼ di saliva
sui forti sopraccigli; e questo fece senza nascondersi, anzi davanti
allo specchio chʼera nel fondo. Poi si avanzò, camminando su le uova,
in guisa da parere più dolce che poteva.
—Povero Lucien–Lucienne!—pensò Bluette;—è ormai sullo sfiorire.
Gli viene un poco di pancia; poi si vede súbito che porta un mezzo
parrucchino per nascondere la calvizie...
Le colonel Pistafer, clubman di cartapecora, che tutti chiamavano «mon
Colonel», pranzava con due minorenni, le quali per ora possedevan
solo un braccialetto dʼargento per ciascuna e portavano le trecce
ancora sciolte su le spalle. Pistafer non avrebbe certo impedito a
quelle brave ragazze di restar vergini finchè a loro piacesse; inoltre
Pistafer soffriva di vescica, e cinque sei volte almeno durante il
pranzo era costretto ad abbandonare la mensa, «per andarsi a lavare le
mani», comʼegli diceva con molta serietà. Ma súbito Limka, tzeco delle
Batignolles, attaccava «le refrain du Colonel», mentre i suoi musicisti
cantavano in coro:
«Mon Colono, mon Coloni,
mon Colonel va faire pipi!»
Ryff esponeva i suoi schizzi contro il paravento; Gorgonel improvvisava
quartine per un bicchiere di Sciampagna; lʼindiana Sit, vestita di
serpenti fosforici, danzava la danza dellʼoppio; il giornalista Linnée
Ledoux, fra una bottiglia di Whisky ed un mucchio di patate fritte,
meditava certo il suo ricatto settimanale; Minnie, la più bellina
del famoso trio, sperava di sedurre un piccolo tedesco impariginito;
Mohammed preparava il caffè turco per una compagnia di belle Americane.
La grande Lison, tribade impenitente, nutriva con cibi sostanziosi
la sua piccola ed anemica Loulou. Pranzavano insieme, ad un tavolino
appartato, mostrando chiaramente che il vecchio Adamo era stato un
personaggio inutile nella storia del genere umano.
—Cette pauvre Loulou,—disse la Grande Rouquine,—comme elle a lʼair
vanné! Un jour ou lʼautre Lison va lui faire rendre lʼâme...
—Cʼest une affaire de goûts, rispose Bluette.—A moi, par exemple, leur
vice ne me dit rien.
—Cʼest que vous êtes une vraie femme, vous!—esclamò Sanderini, che
frattanto spilluzzicava senzʼaverne lʼaria tutto il pranzo della
indulgente Mimi.
—Vous croyez, Sanderini, vous croyez?...
—Pardi si je le crois! Et je vous en félicite, chère Madame!
—Tais–toi, vieille chandelle!—fece la Grande Rouquine.
—Jʼai mes principes, la Grande! Et je nʼaime guère celles qui nʼont pas
de goût pour notre sexe.
—Est–ce que tu as seulement un sexe, toi?—rimbeccò la Grande Rouquine,
con dispregio.
—Eh bien, la Grande, je suis toujours là, si jamais le cœur vous en dit!
Mimi sorrideva con gli angoli della bocca; ma quella sera Mimi sembrava
quasi trasognata, e sebbene sorseggiasse continuamente il suo bicchiere
di Sciampagna, non vi trovava nel fondo che una specie di nervosa e
distratta irrequietudine.
Cʼera qualcosa che visibilmente le dava noia, le dava turbamento, le
dava una specie di malessere o dʼinspiegabile perplessità.
Finalmente si protese verso il banco della Grande Rouquine per
domandarle:
—Mais qui est–il donc cet homme, assis en face de moi, près de
Cliffton, et qui a une figure si étrange?
Dal suo posto la Grande Rouquine non poteva ben vederlo, perchè aveva
davanti a sè una colonna di scatole dʼAvana; ma levatasi ritta,
e veduto lʼuomo del quale parlava Bluette, le rispose, anchʼella
sottovoce:
—Eh bien, cʼest quelquʼun, ma foi, qui mʼintrigue fort moi–même. Il a
réellement une tête extraordinaire!
—Est–ce que tu le connais?
—Pas du tout. Je le vois par intervalles. Il vient, il dine, il lit les
journaux étrangers, ou bien il observe tout ce qui se passe, avec ses
yeux de magnétiseur et son air dʼégarement qui le rend si agréable. Le
maître–dʼhôtel mʼa dit quʼil sʼappelle Castillo.
—Un Espagnol?
—Que sais–je? Il parle le français comme moi. Il parle dʼailleurs
toutes les langues, car, un soir, je lʼai entendu causer avec un Russe,
et lorsque Mohammed lui sert son café ils se disent des amabilités en
turc.
—Il est bel homme, tu sais!
—Ma foi... si tu trouves que les hommes gagnent quelque chose à être
beaux!...
Bluette prese unʼaria di capriccio, unʼaria quasi timida, quasi
furtiva, unʼaria di bambina, e sottovoce disse alla Grande Rouquine:
—Jʼaimerais bien le connaître!
Si vede che lʼillustre Sanderini possedeva un udito finissimo, perchè
rispose con la bocca piena:
—Il nʼy a rien qui soit impossible, lorsquʼon peut compter au nombre de
ses amis le nommé Sanderini, suceur de pailles.
—Mouche–toi, vieille bronchite!—lo insolentì la Grande Rouquine.
Ma Bluette si mostrò confusa, come se le tornasse negli occhi tutto
il pudore di una dimenticata e quasi lontana castità. Bevve un lungo
sorso, poi rispose allʼamabile Sanderini:
—Quel vilain homme vous êtes! Rien ne vous empêcherait de me rendre
même ridicule! Et puis, jʼai dit cela pour rire, Sanderini... Je vous
en prie, nʼen faites rien.
—Cʼest entendu, cʼest entendu! Mais quoi? Vous laisserez donc rentrer
à la cuisine, presque intacte, une pareille gélinotte, si dodue et si
blanche? Ce serait une grave indélicatesse!
—Permettez–moi de vous en servir une aile, cher Sanderini.
—Jʼen goûterai, par gourmandise et par complaisance, car mon estomac
est tout détraqué. Demain matin, dʼailleurs, je me purge.
—Très bien, cher ami, En attendant versez–moi du Champagne. Car,
voyez–vous, jʼai envie de devenir très gaie... très gaie!... Mais, où
est allée Florina?
—Florina doit jouer son numéro tout à lʼheure. Elle est allée se
déguiser en femme nue. Un costume qui lui sied très bien, parce quʼelle
est bien faite.
Ma quei discorsi di Sanderini la interessavan molto poco; e
lʼonestʼuomo comprese chʼera meglio rispettare la sua distrazione.
Mimi allora fece una cosa molto leggiadra.
Quello straniero la guardava ed ella guardava quello straniero. In
un momento che nessuno la vide, alzò il bicchiere di Sciampagna, il
bicchiere che brillava come un fiore di cristallo fra le sue minuscole
dita,—e questa fu la cosa molto leggiadra chʼella fece per quello
straniero: gli mandò, prima un sorriso, poi si portò il bicchiere
vicino alla bocca, rovesciò indietro la fronte, chiuse gli occhi, bevve
per lui...
In quel mentre Florina–Bey stava per cominciare il suo numero.
Egli rispose facendo a sua volta la stessa cosa, ma lentamente,
naturalmente, senza il più piccolo stupore. Il sorriso nasceva nella
sua faccia senza muovere i lineamenti; nasceva neʼ suoi fermi occhi,
splendenti come lʼacciaio delle rivoltelle ossidate.
Non era più giovine; doveva esser quasi vicino ai quarantʼanni,
sebbene la sua pelle abbronzata conservasse un liscio colore di
gioventù. Robusto, arido, agile, mostrava un singolare aspetto fra
il gentleman ed il cowboy. Qualche riflesso bianco gli correva tra i
capelli nerissimi; i baffi aspri, tagliati a filo su lʼorlo del labbro,
mettevan un segno di ruvidezza nella sua faccia quasi delicata.
La divina Bluette provò subitamente la gioia di possedere, nellʼanima e
nei sensi, un piccolo secreto. Provò quella gioia sottile, irritante,
esilarante, quella gioia fresca e pungente come la spuma dello
Sciampagna, che ubbriaca lʼessere al pari dʼun afrodisiaco, allorchè si
riceve il primo sorriso dʼuna creatura che piace.
Lʼamore non è mai altro che una prolungata memoria di questo momento.
Allora ella godè perfettamente il piacere di sentirsi bella, di mandar
luce da ogni fibra del suo corpo giovine, di contenere in ogni vena,
come un dormente brivido, la sua profumata e calda femminilità.
Aveva quasi ventisette anni, la divina Bluette, e non si era mai, se
non per ischerzo, innamorata. Nel suo profondo essere qualcosa parlò,
che fino allora non aveva mai detto parola; e dʼun tratto si accorse
chʼella pure avrebbe saputo darsi ad un uomo, ad un amante immaginario,
come fino allora la divina Bluette non si era data mai. Lo guardava,
soggiogata, un poʼ confusa, come se in lei fosse ancora un non so che
della fanciulla, e provava nel medesimo tempo una sorda irritazione
contro sè stessa, una sorda gelosia di quellʼuomo chʼera semplicemente
uno sconosciuto,—una bella fugace ombra che passava davanti al suo
bicchiere di Sciampagna.
Tuttavia, sʼegli fosse venuto a prenderla, per condurla fuori,
ella, senza rispondere, sarebbe andata con lui. Sarebbe andata con
lui traverso la neve, per le vie scure della Parigi addormentata,
senza parlargli, ma serrando il suo braccio, affondando le scarpine
scollate nella soffice neve, nascondendo il mento freddo nel bavero
della pelliccia cosparsa di brina. E sarebbe andata con lui, dovunque
la conducesse, tacendo, senza guardarlo, come una timida bambina
ubbidiente, solo perchè non poteva resistere al piacere di stargli
vicino, solo perchè nessun uomo aveva mai saputo farla pensare
allʼamore come la faceva pensare allʼamore la faccia indefinibile di
quello sconosciuto...
E Sanderini diceva:
—Ma foi, la Grande, si Florina avait autant dʼesprit quʼelle a de
belles fesses, Florina–Bey serait au moins Florina–Pacha! Mais la
pauvre nʼa jamais su ni faire des dettes ni se les faire payer: ce qui,
pour une femme, équivant à manquer sa carrière.
—Tu me rases, vieux coquillage!—dichiarò senzʼaltro la Grande Rouquine,
con la sua voce bruciacchiata.
E Mimi frattanto sorseggiava il suo bicchiere di Sciampagna, piano
piano, con delizia, fissando gli occhi nel calice per osservare il
liquido biondo che spariva.
Immaginazioni distanti rinascevano con felicità nel suo confuso
pensiero; lembi di desiderio, staccatisi da lei come petali da una
rosa, tornavano con profumo a ravvolgere le sue vene; pagine dʼamore,
scorse con voluttuoso ma incredulo piacere, passavano con sembianze di
verità nella sua memoria sovraeccitata, e come sotto il potere dʼun
afrodisiaco sottile, sʼimmaginava nel suo letto caldo, fra le braccia
di quellʼamante sconosciuto. Lo guardava con insidia, e quasi temeva,
nel guardarlo, chʼegli potesse indovinare il suo recondito pensiero.
Ma dʼun tratto egli medesimo sʼalzò; venne a scegliere un sigaro vicino
al banco della Grande Rouquine. Sanderini, amabilmente, gli cedette il
suo proprio sgabello e non mancò di attaccare discorso dandogli un buon
suggerimento:
—Le savant fumeur que je suis, cher Monsieur, me pousse à vous
recommander ces grands Corona y Corona,—Claro—dont la feuille est
satinée comme la peau voluptueuse des Créoles... Jamais vous ne
trouverez de meilleur cigare dans tout Paris. Lorsque jʼétais à la
Havane...
E narrò così belle storie sul paese del sigaro Avana, che lo straniero,
per compensarlo, finì con offrirgliene uno.
Tutto questo accadeva presso la tavola di Bluette, mentre Bluette,
confusa, guardava nel mezzo della sala. Dopo il numero di Florina–Bey,
un piccolo negro in marsina rossa ballava suonava e faceva un poʼ di
humour con le doppie suole delle sue scarpe indiavolate. Il piccolo
negro scivolava e tamburinava coi piedi su lʼassito cosparso di sabbia,
facendo acrobazie mirabili, senza mai perdere il tempo. Le belle
Americane, diventando irrequiete al suono di quelle musiche nazionali,
battevan le mani con entusiasmo e gli lanciavano marenghi dʼoro.
In quel momento Sanderini diceva:
—En effet, Monsieur, je suis dʼorigine italienne; mais suis né a
Chartres et jʼai fait mes études à Genève...
—Toi, mon vieux,—interruppe la Grande Rouquine,—tu dois avoir fait tes
études à la Nouvelle, car il suffit de te regarder pour comprendre que
tu viens du bagne.
—Elle a le caractère un peu vif, la Grande...—osservò con dolcezza
lʼottimo Sanderini.—En tout cas je suis bel et bien dʼorigine
italienne, ainsi que mon nom lʼindique, et licencié en droit, si Madame
le veut bien.
—Ce qui est certain cʼest que tu as passé à travers le Code Pénal comme
le fil à travers lʼaiguille. Et, quant à lʼorigine, les fripouilles
comme toi nʼen ont aucune. Tu es né Sanderini et tu vas crever
Sanderini, un de ces jours, je lʼespère.
—Elle me taquine, cher Monsieur, elle me taquine! Et savez–vous
pourquoi? Parce quʼelle a un béguin pour moi, sans doute!
La Grande Rouquine si mise a ridere.
—Tu en as du toupet, vieille camelote!
—En tout cas, Monsieur,—fece Sanderini,—si vous désirez connaître
une vraie Italienne de naissance, quoiquʼelle soit aujourdʼhui la
plus délicieuse de nos Parisiennes, je vais vous présenter à Madame
Mimi Bluette, qui aime les gens dʼesprit. Ecoutez un instant, Madame
Bluette. Je vous présente ce Monsieur, dont le nom est Castillo, et
qui, depuis cinq minutes, mʼhonore de son amitié.
Mimi si volse rapidamente, non seppe che rispondere, divenne
leggermente rossa e fece un piccolo saluto.
Allora lʼottimo Sanderini, dopo esser rimasto accanto a loro quel
tanto che gli parve necessario per aiutarli a vincere lʼintoppo delle
prime conversazioni, pensò che ormai, come premio della sua fatica,
poteva certo fare assegnamento sovra un paio di marenghi da estorcere
in modo garbato alla generosa Bluette; e, per intanto la sua naturale
compiacenza gli suggerì di lasciarli scrupolosamente soli.
Questo pensiero ebbe anche la Grande Rouquine, che, senza dir nulla e
con lʼaria più naturale del mondo, traslocò il suo ufficio di cassiera
proprio allʼopposto angolo del banco. Frattanto lʼottimo Sanderini
andava dappertutto scrutando con occhi di lince, per decidere qual
fosse il miglior tavolino sul quale stendere di bel nuovo le sue
caute reti. E poichè gli parve che le clienti più munifiche della
serata fossero per lʼappunto quelle rumorose Americane, fece una buona
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