Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 11

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Allora la bionda Caterina incastrò nel finestrino la gagliarda
ricchezza del suo seno classico e sorridendo allʼimpassibile
maggiordomo gli mandò con la punta delle dita un ultimo bacio dʼaddio.
Poi si ritrasse nello scompartimento con un grande respiro di sollievo,
mentre i gentili occhi di Linette la guardavano trasecolati.
—«Tu as un pé de malinconie dans lʼâme, pôvre Bluette!... Et moi
viceversa ze me sens tout–à–fait heureuse de quitter cette ville tant
riche et tant déchantée, qui est, selon ma manière de voir, un immense
bordel...»
Bluette sorrise, tranquilla, sotto il suo buio velo di viaggiatrice. Ma
Linette, che non amava il frasario della bionda Caterina, e sopra tutto
non amava sentir offendere la sua bella Città, con una sottil voce
piena dʼirritazione le rispose:
—Pardon, Madame, je suis Parisienne, moi, et ça me fait de la peine
de vous entendre débiner ma ville, qui demeure sans contredit la plus
belle ville du monde!
—«Oh, la, la!... oh, la, la!... toi tu parles parce que tu as la
bouche, Linetta mia! Quʼest–ce que ça veut dire «la plous belle
ville du monde»? Est–ce que tu as vu les ôtres avant de parler? Non,
natourellement! Tu es une zeune fille sans expérience et tu veux mettre
ta langue un pé partout! Moi, qui pourrais être ta mère, ze dis que
cʼest un bordel! Donc tu peux te fier, parce que ze vois les choses
claires et ze nʼai pas comme qui dirait les tranches de saucisson sur
les yeux!»
—Oui, Madame,—rispose Linette, con una remissività beffarda.
—«Parce que tu dois savoir,—ricominciò la bionda Caterina—que chez
nous, par exemple, il y a moins de belles choses dans le magasins, et
on peut traverser le rues sans risquer dʼy perdre une zambe; mais la
vie dans notre pays est beaucoup plous natourelle, et on nʼest pas
frustes comme de vieilles savates à lʼâge de trente ans! Paris, si
tu regardes bien, cʼest lʼetiquette: mais le bon vin se trouve dans
dʼôtres bouteilles. Cʼest ainsi, Linetta mia! Et souviens–toi que te
lʼa dit Caterina.»
—Oui, Madame,—rispose Linette con un impercettibile sbadiglio.
—«Et toi, par exemple, tu nʼas quʼà regarder ma fille. Quand elle
est venue à Paris, cʼétait un bouton de rose, mais un de ces boutons
de rose quʼon ne cultive pas au Zardin des Plantes, ni pas même à
Saint–Zermain!... Or, tu peux la voir, si elle ne ressemble pas à ces
têtes de cire qui tournent dans les vitrines des coiffeurs. Et puis,
quʼest–ce quʼelle a eu de bon, après avoir été la reine de Paris? Un
pé de galette? Oh, mais diable! les belles femmes en trouvent partout.
Et encore, quoi? Une poignée de mouches!... Viens voir un pé dans
nos villes dʼItalie, toi qui chantes: Ze suis Parisienne! ze suis
Parisienne!...»
—Pour le moment nous allons en Afrique, Madame, et cʼest aussi très
intéressant.
—«Eh, voilà la belle histoire!» Si ma fille en retourne, zʼallumerai
trois chandelles à la Madone! Cʼest encore un cadô de Paris ce mal de
ventre dont elle est amoureuse! Car, si elle lʼavait trouvé chez nous,
ze parie ma tête quʼelle lʼaurait envoyé se promener, lui et sa Lésion
Etranzère! Mais à Paris cʼest très chic dʼavoir des béguins pour des
gigolos qui ne valent même pas un sou troué du Pape!
Bluette, con gli occhi affascinati, guardava la veloce campagna sparire.
Adesso Parigi la Stupenda era già dileguata nel suo vortice di
balenante atmosfera; incominciava senza confine il verde miracolo della
terra di Francia.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
—Addio, addio mammina...—ella gridò ancora una volta, sporgendosi
dallʼalto parapetto, mentre il piroscafo partiva.
E le mandò quel saluto con la sua voce che più non poteva essere udita,
con gli occhi suoi di fanciulla chʼeran pieni di lacrime, con la sua
lunga sciarpa di velo che il vento sbatteva in ogni senso come una
fragile bandiera.
E la bionda Caterina rimase lì, sul molo de la Joliette, sperduta,
immobile, quasi brutta, quasi vecchia, mentre vedeva lʼunica sua
figlia perdersi, confondersi, nelle azzurre distanze del mare.
In quel momento si ricordò più che mai dʼaverla portata nel grembo,
dʼaverle dato queʼ suoi dolcissimi capelli biondi.
Il pomeriggio assaliva con fulgori pieni di veemenza il marmo e
le cupole della trionfale Marsiglia. La città rapace, straricca e
splendida, pareva che tenesse alla catena il suo folto naviglio come
una dormente muta di cani da preda, velocissimi.
Il grande piroscafo della «C.ͥ ͤ Transatlantique», descrivendo unʼagile
curva sotto i lunghi vortici di fumo delle due ciminiere, usciva nel
mare libero cantando a sibili di sirena. Ma la buona madre non poteva
muoversi da quellʼasfalto luminoso e nero, in cui le pareva di sentir
giungere il movimento ritmico del mare. Intorno a lei si pigiava la
folla irrequieta, si accatastavano mucchi enormi di mercanzie; le
bestemmie dei facchini scandivano il tuffo di qualche remo; lʼacqua
sudicia gorgogliava contro le fondamenta, senza rumore dʼonda. Si
alzavano grosse nuvole torbide, come per lo scoppio dʼuna mina, laggiù,
presso i doks, ove i bastimenti fuligginosi rovesciavano valanghe di
carbone.
Ma questa povera bionda Caterina, che si era creata con le malizie di
Parigi una canonicale gioventù, non vedeva che il lontano piroscafo di
Bluette camminare nellʼinfinito con una scìa di sole.
Un trattenuto singhiozzo le gonfiava il suo classico seno, e con gli
occhi fermi, coʼ labbri chiusi, piangeva solitariamente.
Le grosse zanzare di Marsiglia fecero intorno a lei tanto rumore, che
dʼun tratto la destarono.
—«Zout!—esclamò ella, con un oltraggio estremo alla favella
repubblicana;—zʼai le mal de mer à force de plôrer... Couraze,
Caterina!»
E tornò indietro passo passo, con la fronte china, finchè si risolse a
prendere una carrozzella.
Il suo treno partiva qualche ora dopo; non le rimase nemmeno il tempo
di conoscere la galanteria dei Marsigliesi.
E fu certamente un grande peccato.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Ora il piroscafo andava tra stelle, solcando la chiara notte
mediterranea con un calmo rumore di velocità.
Bluette guardava quel mare, chʼegli pure aveva guardato.
Così curvo era il firmamento che non si poteva nemmeno discernere
quali stelle fossero nel cielo e quali navigassero nella cosparsa onda
lontana. LʼAffrica invisibile mandava già il suo profumo di terra calda
e barbara nel tremante spazio. Si sentiva il deserto respirare nella
notte piena di fertilità.
Le azzurre isole Baleari galleggiavano come grandi giardini marittimi,
gonfie di vegetazione, ravvolte in nuvole dʼoscurità e di profumo.
Palma di Maiorca, ubbriaca delle sue rose, dormiva nel profondo
semicerchio della sua baia notturna, tra un fantastico brulichìo di
luci tremule, che si appendevano alla costa come leggere ghirlande.
Era già il mattino, quando apparvero, confuse nei vapori distanti,
le cime della Grande Kabylia, nuvolosi vertici della baia di Algeri.
Poi, lentamente, questo grande anfiteatro apparve, sotto le raggiere
del sole nascente, chiuso allʼestremo confine dalla barriera ciclopica
della Kabylia e dellʼAtlante.
Bluette guardò con gli occhi pieni dʼaurora, e guardando baciò con
lʼanima sua dʼinnamorata quella terra stupenda che appariva.
Le montagne di Buzarea scagliavano alta nellʼazzurrità la cattedrale
di Notre–Dame dʼAfrique. Laggiù, con i suoi mille vertici, brillava
la capitale moresca del Mediterraneo, lʼantica emula di Cesarea, la
schiava di Pedro Navarra, quella per cui pianse il Doria le sue belle
armate, Algeri la sempre invincibile, Algeri la stupenda corsara.
Simile ad una immensa gradinata di marmo bianco, si sciorinava e
scendeva in un delirio di luce verso il mare indolente. Sul più alto
gradino, la Kasba fanatica dei vecchi sovrani Berberi scintillava
traverso la lontananza come un incendiato palazzo di cristallo. E
Bluette vide, su le ovali colline di Mustafà, stendersi la pigra
dominazione della città europea, che uccise ormai per sempre il vecchio
labirinto, il leggendario mistero della città mauritana. La neve
dellʼalto Djurjura pareva dʼuna bianchezza inverosimile in quel colore
di deserto.
Era un sogno, e Bluette sentì con lʼanima sua dʼinnamorata che stava
per entrare nellʼincantesimo di una grande poesia.
Era la piccola ballerina di Parigi, che andava in cerca del suo amante,
laggiù, verso le montagne azzurre della Grande Kabylia, nel sole del
continente vertiginoso, nel rosso delirio dellʼAffrica satura di
malefizio e di voluttà.
Essa lʼaccoglieva, le veniva incontro con una sua città sfavillante,
che pareva il giardino estremo di Parigi; eppure lì, davanti a quel
porto, sul limitare di quel mondo, la vita cambiava colore.
Vʼerano ancora i sontuosi edifici dʼEuropa, le formicolanti corsìe,
i viali percorsi da filari dʼalberi, gettati come larghi nastri
sul pendìo delle colline; vʼerano ancora, di là dai sobborghi, le
rotaie luccicanti, percorse dal fumo delle vaporiere. Ma ella sentì
con lʼanima sua dʼinnamorata che in questa indomabile terra, in
questʼAffrica ove cʼè ancora la distanza, ogni strada poteva chiamarsi
veramente una strada, poichè tutte camminando si perdevano, svanivano,
parevano andare non verso un luogo ma verso lʼinfinito, verso quel
pericolo chʼè il solo confine delle strade:—la Distanza.
Bluette sʼincamminò dietro la gente che a lunghe ondate sʼincanalava
per la scala montatoia. I suoi grandi occhi azzurri guardavano lo
spettacolo della Jetée Kheïr–ed–Dine con una specie di cosciente sogno.
Di là il mare continuava, con lampi di sole, verso lʼAffrica più
lontana.
Ed era verso quellʼAffrica più lontana che la piccola ballerina di
Parigi doveva inoltrarsi, portando il suo cuore lieve, ma intenso e
profumato come la musica del My Blu. Era nel sole della grande Affrica
barbara chʼella doveva immergere, come in un bagno estenuante, la sua
carne incipriata. Ella pure, la piccola ballerina di Parigi, aveva un
errante sogno da portare nel deserto, verso le montagne azzurre della
Grande Kabylia, verso i fermi uragani di sole che devastano il Tropico
senza tramonto.
Algeri, sollevata nel tremolio del grande incendio pomeridiano,
sciorinava il suo bianco splendore su lʼanfiteatro del golfo, dalle
cave del Marmo di Bab–el–Oued sino agli ulivi antichi dei giardini
di Mustafà. Quasi verticale nello spazio, Fort–lʼEmpereur vegliava
inespugnabile su quellʼimmenso ventaglio di edifici; la moschea
di Djama–Djedid, lʼ antichissima di Djama–Kebira, le zauie di
Mohammed–ech–Chérif, di Safir e di Sidi–Ramdane, raccoglievano in sè
tutta la luce di quellʼaria maomettana, ove usurpavano cielo senza
mandare un lampo le obese cupole cristiane di San Filippo e di Santa
Croce.
Bluette guardò con lʼanima sua dʼinnamorata quel prodigio nuovo per
i suoi occhi, mentre, un poʼ stordita, un poʼ ebbra, si lasciava
portare dalle ondate di gente, fra cui suonavano le sillabe aspre
del linguaggio arabo, le orientali cadenze, le sonorità impure del
francese dʼAlgeria. Davanti aʼ suoi occhi ferveva con una specie di
trepidazione solare lʼintensa vita marittima della capitale dʼAffrica,
mentre, percorsa in ogni senso dalle fiumane di tutti i boulevards,
la grande piazza del Governo, pavimentata di fiamma, brulicava,
squillante, scintillante, sollevando nel rettangolo degli edifici ad
archi la statua equestre del Duca dʼOrléans. Da un lato sʼalzavano
come ruderi dʼuna fortezza di macigno i dirupi turchi del vecchio
porto dʼAlgeri, gli spalti e le darsene che scoscendono lʼaspra isola
dellʼAmmiragliato; di là correva, leggero come un nastro galleggiante,
il molo di Kheïr–ed–Dine.
Egli pure aveva camminato su quellʼasfalto lampeggiante, aveva guardato
Algeri splendere in una intensa nuvola di sole. Come lei aveva quasi
rasentato gli scafi degli enormi transatlantici, le prore dei navigli
da guerra, per scendere verso la stazione dellʼAgha, ove il treno di
Orano attende lʼora di avventarsi, lungo i giardini dei sobborghi,
nella grande Algeria.
E partì.
Partì con lʼanima sua dʼinnamorata verso lʼimmobile Affrica rossa,
piena di silenzio e di vertigine, ove anche lʼanima sʼincendia in un
terribile delirio di sole.
Partì.
Era un giorno gagliardo e scintillante: su tutte le cose immerse
nellʼaria pareva che tremasse una invisibile maglia dʼoro. I giardini
dei sobborghi bruciavano come incensieri, mandando larghe vampe di
profumi tropicali. La città si dibatteva con fragore sotto la potenza
incendiaria del sole. I cantieri dʼEuropa, le ciclopiche officine degli
uomini bianchi, depredavano, pazze di fatica e dʼavidità, la ricchezza
barbara del continente affricano.
Poi Algeri scomparve. Su la pianura immensa della Mitidja la velocità
silenziosa del treno spargeva un insostenibile tremolìo. La piana di
Algeri camminava, come un mare prosciugato, verso lʼazzurro Atlante di
Blida. Il sole bruciava da venti secoli sul leggendario Sepolcro della
Cristiana.
Bluette non parlava. Una tristezza grande, inesprimibile, un senso
luminoso di sperdimento, pesava su la sua dolce anima.
Qui la distanza era veramente la Distanza. Qui le strade potevano anche
non arrivare mai.
E si sentiva da lui più lontana che non le fosse mai sembrato nelle vie
di Parigi, quando sʼincamminò. Il fascino dellʼAffrica la tormentava,
le penetrava nellʼessere come una terribile magìa.
Poi cominciò a cadere il giorno. Fu per tutto lʼinfinito una veemente
sollevazione di colori. Lʼanima delle cose rutilava; tutto splendeva;
splendevano perfino i rumori.
Abbandonò il capo allʼindietro, chiuse gli occhi, sognò. Adesso era
perduta; una irremissibile velocità la portava per lʼAtlante azzurro,
fra tempeste di luce, verso il deserto disperato. Adesso non era più
lʼinnamorata ballerina di Parigi, ma una piccola nomade in balìa
dellʼinfinito, che andrebbe dove andavano le strade, senza potere forse
mai più, mai più, giungere alla sua meta.
Ogni tanto, quasi per riafferrarsi alla realtà, metteva una mano fra
le mani di Linette, che le stava presso, ed in silenzio lasciavano
entrambe che il treno portasse nellʼesilio, nel grande pericolo della
strada, la loro indifesa gioventù.
Ora la montagna dʼAtlante saliva in ripide petraie deserte, con qualche
profumo dʼaranceto intorno ai gourbis degli indigeni.
La voce montmartrese dello sbarbato maggiordomo passava per la terza
volta nel corridoio, ripetendo a tutti gli sportelli:—«Messieurs,
Dames, le dîner est servi!... Messieurs, Dames, le dîner est servi!...»
E nellʼAffrica della Terza Repubblica saltavano, sotto lʼunghia dʼun
arabo, tra i fuochi della incendiata notte mauritana, i vivi turaccioli
del vino di Sciampagna.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
—Eh bien, Linette, puisque nous sommes tout près dʼOran, il ne nous
reste plus quʼune heure et demie environ de chemin de fer jusquʼà
Sidi–bel–Abbès. Pense donc, ma Linette, si nous sommes près de lui! Mon
cœur tremble comme lʼamorce dʼun pêcheur à la ligne. Quʼest–ce que tu
en dis, Linette?
—Que dire, Madame? Je croyais qui il y avait des chameaux et des
caravanes, en Afrique... Mais je vois quʼil y a des trains de luxe
comme sur la Côte–dʼAzur. Alors, voyez–vous, jʼen suis tout de même
désappointée.
—Cela vient de ton ignorance, Linette. Car, si tu avais étudié un peu
de géographie, tu saurais que lʼAlgérie nʼest plus un pays nègre et que
Oran est un des ports les plus commerçants de la Méditerranée. On mʼa
dit que cʼest très chic dʼaller prendre les bains de mer sur la plage
de Sainte–Thérèse. Et réellement on a collé partout les réclames de
cette plage.
—En fait de réclame, ce Felix Potin est extraordinaire! Jʼai vu
son boniment dans plusieurs petites gares, où il nʼy avait que des
charbonniers.
—Quʼy a–t–il dʼextraordinaire, Linette? Cʼest sa façon à lui de
coloniser les gourbis. Mais regarde donc! Cette grande ville toute
ensoleillée, qui se deploie comme un large manteau fauve, cʼest bien
Oran, si je ne me trompe. Nous y serons dans quelques minutes. Dieu,
quʼil fait chaud! Assieds–toi, Linette, et prends mon nécessaire sur
tes genoux. Je vais me passer un peu dʼEau de Cologne sur les tempes,
un peu de poudre sur la figure, car je me sens horrible!
—Vous devez être bien fatiguée, Madame, si jʼen juge par moi–même.
—Fatiguée, Linette? En bien, non! Ce nʼest pas le mot. Je me sens
grise... tout à fait grise... et pourtant je pourrais aller bien plus
loin encore, sʼil le fallait. Tu viendrais aussi, nʼest–ce pas, Linette?
—Sans doute, Madame.
—Pense donc! Une heure et demie de chemin de fer, puis cʼest
Sidi–bel–Abbès, cʼest sa caserne, cʼest lui!... Je le verrai ce soir,
Linette... Ah, mon Dieu, quand jʼy pense, il me semble que mon cœur
étouffé nʼaura plus la force de battre...
—Assez de poudre, Madame! Par cette chaleur, il ne faut pas en mettre
tant que ça.
—Suis–je très décoiffée?
—Ça dépend; pour lʼAfrique cʼest tout ce quʼil faut.
—Et, dʼailleurs, je me voile. Je me sens déjà très musulmane... Comme
cʼest bête de traverser un si beau pays et de ne rien voir. Mais, au
retour, puisque nous serons avec Laire, nous prendrons notre revanche.
On ira partout voir les mosquées et les danseuses arabes. Je suis très
curieuse de ces femmes, qui doivent être savoureuses et imprégnées de
soleil comme des dattes mûres. Je tʼen prie, Linette, ne perds pas le
sac où nous avons toute notre fortune. Que deviendrions–nous, si, aux
bords du Sahara, nous restions sans galette?
—Je parie que Madame saurait très bien se tirer dʼaffaire même en
Afrique.
—Crois–tu?
—Mais, oui. Madame! Cette Algérie, après tout, nʼa lʼair que dʼun
faubourg parisien, et il y aurait toujours pas mal de messieurs qui
vous trouveraient belle...
—Cʼest que tu ne te doutes pas combien jʼai peu envie de lʼêtre,
ma petite Linette! Et tu ignores sans doute quʼen disant cela tu
me froisses... Je ne suis plus celle dʼautrefois, et je deviens
étrangement pudique...
—Mais vous nʼavez pas remarqué, Madame, ces trois ou quatre voyageurs
qui nʼont cessé de se promener dans le corridor en fumant de gros
cigares?
—Tu leur plaisais, Linette! Voilà ce que je suppose.
—Oh, oui, cʼest bien la peine que vous vous moquiez de moi, Madame!
—En tout cas prépare les cent sous que nous donnerons à lʼemployé du
wagon–lit, car nous serons bientôt en gare.
—Hélas, Madame!... cʼest très ennuyeux de se remettre tout de suite
dans un train, par cette canicule.
—Sais–tu ce quʼon pourrait faire? Une heure et demie de chemin de fer,
cela fait à peu près soixante–dix ou quatre–vingt kilomètres ce nʼest
pas beaucoup plus loin que la Forêt de Fontainebleau... nʼest–ce pas?
—Moi, Madame, je mʼy perds avec les distances. Je sais que pour y aller
il faut bien disposer de tout son Dimanche.
—Eh bien, je suis certaine quʼil nʼy a pas plus de 80 km. jusquʼà
Sidi–bel–Abbès. On me lʼa dʼailleurs dit chez Cook.
—Très bien. Mais quelle importance cela a–t–il, Madame, quʼil y en ait
quatre–vingt plutôt que cent?
—Une très grande importance, Linette. Car, sais–tu ce que nous allons
faire? Au lieu de nous remettre dans un train asphyxiant, nous allons
descendre dans un bon hôtel, prendre un bain tiède et parfumé, dont
je raffole;—toi aussi, Linette, tu vas prendre un bain à lʼEau de
Lavande,—puis on se reposera, on se rhabillera avec du linge frais, on
déjeunera au restaurant pour voir les têtes de ces Français dʼAfrique,
et pendant ce temps le portier se chargera de nous louer un auto
dans un garage, afin quʼil nous mène à Sidi–bel–Abbès par la route
nationale. On prendra lʼair et on verra le paysage. Quʼen dis–tu,
Linette?
—Je dis que ce serait fort joli. Mais, dʼabord, est–ce quʼil y a
seulement une route?
—Que tu es étourdie, Linette! Comment veux–tu quʼil nʼy ait pas de
route où il y a un chemin de fer?
—On ne sait jamais, en Afrique... Et puis, ça doit coûter bigrement
cher! Puisque nous avons nos billets jusquʼà Sidi–bel–Abbès...
—Voyons, ce sera comme partout: un franc le kilomètre. Quatre–vingt
et quatre–vingt ça fait cent soixante; il faut compter en plus la
sortie du garage et le pourboire du chauffeur. Si le portier nʼest pas
un voleur, on doit sʼen tirer moyennant une dixaine de louis. Jʼen
donnerais bien cinquante pour le revoir un quart dʼheure plus tôt!
—Je vous dis, Madame, que nous sommes en terre noire et quʼil ne faut
pas gaspiller lʼargent. Je serai tout de même heureuse comme un poisson
en me plongeant dans la baignoire!
—Donc, cʼest tout décidé. Dites–moi, monsieur le contrôleur, quel est
le meilleur hôtel dʼOran?
—Le Continental, Madame. Quoique le Victor et le Royal ne lui cèdent en
rien.
—Merci. Jʼirai au Continental. Mais, diable! vous avez des moustiques
effroyables dans ce beau pays!
—Eh, oui, Madame!... Sans compter quʼils sont très malins; rien ne les
attire comme le parfum dʼune Parisienne!...
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Ed ora la strada volava, arida e libera, impetuosa come la felicità.
Orano moriva distanziata, in una grande burrasca di nuvole dʼoro, sotto
la erta sottile montagna di Santa Cruz, che pareva simile ad un albero
di prua.
Imbevute, sature di splendore, passavano le vigne rossastre del
Tlelat, i lauri–rosa che fioriscono su le pendici del Téssala, gli
sbarramenti agili che ritardano il mare ai leggeri e veloci fiumi
discesi dallʼAtlante. Passava, iridata e sfarzosa come la stoffa dʼun
telaio arabo, la bella campagna dʼAlgeria, che il sole impregna dʼuna
rutilante fecondità. Passava, sollevata e quasi tremula nello sfarzo
dellʼestremo pomeriggio, lʼanima della terra interna, che si avventa
bruciando verso la disperazione, laggiù, nellʼinfinito oceano di sole,
dove le strade bianche dellʼuomo, come riviere morte, si disperdono
sotto il furore della vampa, nella perduta vastità.
Ed ella respirava con una specie di ubbriacamento quellʼaria un poʼ
drogata, che la terra calda mandava ogni tratto contro le sue narici
avide. Rannicchiata nel profondo sedile di cuoio, si lasciava portare
dalla velocità come da una potenza gioiosa che le carezzasse tutta
la persona. I semicerchi dʼoro delle sue lunghe ciglia tremavano di
leggerezza e di piacere, mentre, nellʼurto dellʼaria, come in un sogno
estatico vedeva la celere campagna e lʼincendiato orizzonte sparire.
Nella disperata serenità il sole pericolava su lʼinvisibile deserto;
le case arabe scomparivano, quasi cancellate nel furore della luce: le
palme sembravano ravvolte sino al vertice nella spirale di una nuvola
bionda. Si sentivano le ruote sobbalzare, volando, su la terra battuta.
Un non so che di rosso, di angoscioso, di barbaro, entrava nello
spirito azzurro della piccola ballerina di Parigi: era il delirio
dellʼAffrica, il vertiginoso malefizio della terra lampeggiante.
Mimi Bluette! Mimi Bluette!... Era stata la bellezza e la musica sui
palcoscenici della Capitale; aveva regalato la sua nudità cosparsa
di brillanti ai teatri della città notturna, ove una danza impudica
diventa lʼafrodisiaco di tutti gli amplessi. Ed ora portava la sua
trasparente anima di ballerina verso la calamitosa bellezza del
tropico, mesceva nel respiro della terra interna il suo leggero e
tenace profumo di Coty.
Quanta poesia nellʼanima di questa lieve creatura, che andava per la
terra dʼAffrica cercando un amante perduto!... Quanto sole vedrebbe con
i suoi occhi dʼinnamorata, la bellissima creatura!...
Ed ecco apparvero con acque repentine lungo la strada balenante i fiumi
della terra interna, lʼOued Sarno e la Mekerra, che si mescevano senza
fragore sotto agili ponti. Ed ecco apparve la piana di Bel–Abbès,
rosata e fertile nel luminoso vespero come una opulenta campagna della
Provenza felice. La Mekerra disegnava traverso le biade fiammeggianti
e gli ulivi azzurri una lunghissima scìa dʼargento. La bianca lontana
diga della città barricava lʼorizzonte.
Ella sentì dʼun tratto il cuore venirle meno. Prese una mano di
Linette, e la strinse, la strinse... Poi con lʼápice della sua fredda
mano toccò lʼómero del meccanico, disse in fretta qualche parola, che
il vento portò via...
Ma egli capì; si volse:
—Oui, Madame, nous arrivons à Bel–Abbès.
Allora ella si rovesciò contro la spalliera, e giacque stupefatta,
immobile, come se non avesse più vita.
Nellʼaria dolce navigava il profumo degli ulivi di Máscara; la porta di
Orano splendeva, incorniciando un corridoio di sole.
—Madame, ne soyez pas si pâle...—disse con un tremante coraggio la
turbata Linette, cameriera dalle calze di voilé.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Fosse in grazia della sua natura premurosa, fosse per la profonda
simpatia che glʼispiravano le trasparenze di Linette, quel meccanico
non volle abbandonare le due viaggiatrici su la soglia dellʼalbergo;
ma quando ebbe sciolto il complicato, se pur succinto, bagaglio della
Parigina, volle aiutare i facchini dellʼalbergo nel portarlo al pian di
sopra e slacciarne le fodere impolverate. Le due camere non mancavano
di un certo «comfort» coloniale; con le zanzariere di bucato e coʼ lor
vecchi mobili di noce, rammentavano la buona locanda francese di mezzo
secolo fa.
Questo arrivo produsse un notevole movimento nel quieto albergo
«dʼOrient et Continental». Il portiere, tedesco naturalmente, perciò
refrattario ad ogni sfumatura, immaginò senzʼaltro che si trattasse
di una sontuosa e ricchissima «cocotte». Il Direttore, francese della
riva di Provenza, un poʼ tinto di sangue levantino, andò subito
col pensiero verso qualche scapestrato ufficiale della caserma di
Cavalleria. Il maggiordomo, che aveva una certa grande aria da Casino
di Deauville, non tardò molto a presentarsi con urbanità su la soglia
della camera, per ricevere il nome della viaggiatrice nel bollettino
dei forestieri. Ella si sciolse il velo, si tolse i guanti, e scrisse
in fretta con la matita:
—Mimi Bluette—Paris.
Questi lesse, poi rilesse, guardò lungamente la bellissima Parigina, ed
in ultimo non seppe frenare la sua naturale stupefazione.
—Pardon, Madame... Est–ce bien Mimi Bluette quʼil faut lire?
—Sans doute. Et pourquoi?
—Mais alors... seriez vous par hasard la vraie, la célèbre M.ᵐᵉ Mimi
Bluette?
—Je ne sais pas si je suis la célèbre, mais en tout cas je suis bien la
seule Mimi Bluette que je connaisse. Faites–moi du thè frappé, si cʼest
possible; et, puisque le chauffeur doit avoir soif, donnez–lui de la
bière, sʼil en veut.
—Merci, Madame, jʼen boirai volontiers,—rispose il meccanico, tutto
intento a disporre le valige sui vari sgabelli.
—Connaissez–vous la ville?—gli domandò allora Bluette, che stava
riannodando il suo lungo velo.
—Ça va sans dire, Madame.
—Vous savez donc où se trouve la caserne du 1ͤ ͬ Régiment Etranger.
—Rue de Tlemcen, Madame. Pas loin dʼici.
—Voulez–vous mʼy conduire?
—A vos ordres, Madame.
—Descendez, je vous prie; nous venons de suite.
Non appena egli uscì, e furono rimaste sole, Bluette con le due mani si
compresse il cuore che le batteva.
—Je le verrai, Linette! Je le verrai tout à lʼheure... Oh, Linette, ma
Linette!...
E con un moto subitaneo dʼintima sopraffazione lʼabbracciò come una
piccola sorella.
—Viens, descendons. Je nʼai le temps ni de me rafraîchir, ni de me
peigner. Sonne pour dire quʼon nous serve ce thè en bas, et très vite.
Le cœur me bat. Chaque parole me coûte un effort; je suffoque. Sois à
côté de moi quand je le reverrai, Linette!... Quand je le reverrai, ce
sera terrible... Oh, tu ne sais pas, tu ne sais pas comme je lʼaime!
A pianterreno tutti gli impiegati dellʼalbergo fecero capolino per
vedere Mimi Bluette. Il Direttore lʼassalì di premure, mentre il
dissetato meccanico di Orano riaccendeva davanti allʼalbergo il suo
fragoroso motore.
Due belle donne, chʼeran visibilmente le dive di qualche provvido
caffè–concerto, prendevano il tè con alcuni ufficiali e con un paio di
notabili del Montmartre algerino. Un giovine arabo, dagli occhi simili
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