Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 01

Total number of words is 4233
Total number of unique words is 1727
31.6 of words are in the 2000 most common words
44.0 of words are in the 5000 most common words
50.6 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.

Mimi Bluette
fiore del mio giardino

GUIDO DA VERONA


Mimi Bluette
fiore del mio giardino


ROMANZO


SETTIMA EDIZIONE—DAL 111º AL 160º MIGLIAIO

R. BEMPORAD & FIGLIO—EDITORI—FIRENZE
MCMXX

PROPRIETÀ LETTERARIA
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i
paesi


Stab. Tipo–Litogr. FED. SACCHETTI & C.—MILANO—Via Zecca Vecchia, 7

_DELLO STESSO AUTORE:_
Lʼamore che torna—1908
_Ultima edizione—dal 100º al 150º migliaio_ _Romanzo_
Colei che non si deve amare—1910
_Ultima ediz.—dal 131º al 180º migliaio_ _Romanzo_
La vita comincia domani—1912
_Ultima ediz.—dal 105º al 155º migliaio_ _Romanzo_
Il Cavaliere dello Spirito Santo—1914
_dal 41º al 70º migliaio_ _Storia di una giornata_
La donna che inventò lʼamore
_Ultima ediz.—dal 96º al 145º migliaio_ _Romanzo_
Mimi Bluette fiore del mio giardino—1916
_Ultima ediz.—dal 111º al 160º migliaio_ _Romanzo_
Il libro del mio sogno errante—1919
_Ultima ediz.—dal 51º al 100º migliaio_
Sciogli la treccia, Maria Maddalena—1920
_Terza ediz,—dal 101º al 150º migliaio_ _Romanzo_

_Le altre opere sono esaurite o fuori commercio e lʼA. ne vieta la
ristampa._
NOTA DEGLI EDITORI


[Illustrazione: DECORAZIONE]
Perdette la sua verginità, la prima volta, una sera del mese dʼAprile,
per uno di quei tanti casi accidentali che toccano alle vergini, le
quali sono per natura destinate a non esserlo più.
Quel giorno aveva circa diciottʼanni; era bella, fresca, e si voleva
bene. Si voleva tanto bene, che non le bastò la forza per impedire ad
un altro di volerle bene insieme con lei.
Questʼaltro fu per avventura uno Studente in medicina, giovine magro e
giallognolo, che portava occhiali. Portava inoltre una camicia quasi
mai di bucato, con i polsini che sfilacciavano e lo sparato gonfio
dʼamido male insaldato.
Presentava, così al primo vedersi, un aspetto confortevole dʼetisia.
Gli mancava un dente canino. Preparava la tesi di laurea in istile
dannunziano.
Questʼuomo, per lei, rappresentò lʼamore; la forza irresistibile del
primo amore.
Nel mese dʼAprile, verso lʼora in cui le stanze dei quarti piani
diventano buie guardando la primavera che tramonta sui tetti luminosi
delle stupende città, vʼè sempre qualche ragazza di diciottʼanni che
può innamorarsi dʼuno studente in medicina.
Sua madre non ne fu contenta.
Sua madre viveva con la pensione dʼun Banchiere stanco; regalava
cravatte ad un Maestro di scherma; era nota per avere un bel seno, e,
quando incontrava taluno che volesse pagarsi—anche a buon prezzo—il
capriccio di verificarlo, non diceva di no.
Sua madre aveva una sorella che aiutava le donne al termine del nono
mese: qualche volta anche prima.
Entrambe le consigliarono di rinverginire.
In quei giorni lo Studente in medicina prese la laurea; si fece mettere
un canino falso, e partì.
Gli amanti si dissero addio sul pianerottolo delle scale, con un
piccolo piccolo sorriso, come due persone pulite, fra le quali non
fosse accaduto niente.
Allora ella pensò dolcemente che sua madre aveva ragione.
Si recò dalla Zia Levatrice, a piccoli passi, portando un mazzolino
di mughetti nella fresca cintura, coprendosi lʼamabile viso con un
ombrellino da sole.
Il Banchiere stanco allora sentì rinascere, per la figliuola di una
tanta madre, lʼintiepidito fuoco dʼamore della sua passione giubilata.
Era un uomo dʼoltre cinquantʼanni e sapeva che il denaro è la poesia
della vita.
Emise un vaglia su la propria banca, le fece fare un bel corredo, venne
con un brillante in un astuccio, e si prese, con qualche fatica, la
seconda sua verginità.
Ma i banchieri talvolta fanno male i propri conti. Egli non aveva preso
nulla... e la ragazza tornò vergine per la terza volta.
Che brava bambina!
Questʼultima volta bisognava darsi ad un conoscitore; bisognava
scegliere un uomo che potesse con eleganza, e per tutta la vita,
rimanere «il suo primo amante».
Cʼera un Irresistibile.
Questo Irresistibile si vestiva, quasi certamente, a Londra. Possedeva
non meno di quattrocento cravatte; raccoglieva bastoni, bastoncini,
mazzarelle di tutte le specie: portava lʼocchialetto e si chiamava
Conte.
Non faceva nientʼaltro che fare lʼIrresistibile. Tutte le belle
cittadine avevano dormito con lui: qualcuna in verità, molte altre in
sogno.
Le ragazze da marito cercavano un fidanzato che somigliasse
allʼIresistibile.
Le mondane si davano per niente allʼIrresistibile.
Le signore attempate, quelle che frequentavano con assiduità
lʼIstituto di Bellezza, forse avrebbero pagate volentieri le grazie
dellʼIrresistibile.
Ma egli era un uomo illibato; non accettava neanche un soldo.
Anzi pagava sempre, con mazzi di fiori, E dava inoltre la propria
fotografia. Con dedica.
Nel cuore della donna lʼIrresistibile sapeva leggere a prima vista. Era
così esperto in materia di psicologia femminile, che, al suo cospetto,
ammutolivano i più fini conoscitori. Nel proprio inventario contava
ogni anno circa una mezza dozzina di vergini. E questo è un buon
numero, perchè ai tempi nostri le vergini sono difficili a trovarsi. Ma
lʼIrresistibile ne trovava, e—pare—con grande facilità.
Certa sera, in un teatro, al fianco della sua madre baldanzosa, ella
portava con modestia un bellʼabito regalatole dal Banchiere.
LʼIrresistibile, dopo averla saettata con la fiamma del suo terribile
occhialetto, si volse agli amici, per dir loro che la biondina di terza
fila era indiscutibilmente una magnifica ragazza.
Tutti furono dʼaccordo nel trovarla una magnifica ragazza.
LʼIrresistibile mandò la fioraia del teatro ad offrirle quel che aveva
di più leggiadro nel suo galeotto paniere.
Questa fioraia ben sapeva come si porgono mazzi di fiori alle signorine
con madre in cerca di marito. Alla fine dello spettacolo, presso
lʼuscita, lʼIrresistibile in cravatta bianca le invitò a cena.
La gentildonna dal seno classico dovette naturalmente rispondere:—«Ma
le pare?... Non è davvero possibile, gentilissimo signore!»
Tuttavia si lasciarono accompagnare sino al portone di casa. E ciò
che piacque molto alla vergine fu il saluto che lʼIrresistibile fece,
descrivendo nellʼaria un movimento perfetto con il suo guanto bianco ed
il suo cappello a tuba.
La saggia madre disse alla vergine, su per le scale:
—Con quei tipi, mia cara, bisogna stare attente a non scivolare sopra
un canapè.
La vergine, in risposta, non disse nulla. Perchè forse quel grande
pericolo non le incuteva una soverchia paura.
Allora, il primo giorno, fecero una passeggiata sentimentale.
Il secondo giorno, in vettura chiusa, ella si lasciò molestare.
Il terzo giorno, con molta cipria su la gola, si recò da lui per
confessargli chʼera vergine...
La sera dellʼultimo giorno, il consumato Irresistibile riuscì a
persuadersi, o beata innocenza!... che il fatto era innegabilmente
vero;—e per la terza volta le rubò quel fiore che i pedanti chiamano
verginità.
Sʼinnamorarono.
Questa luna di miele tramontò col volgere del secondo mese, quando
lʼIrresistibile, che aveva in quei tempi un soverchio lavoro, la
cedette con molte raccomandazioni ad un amico facoltoso.
Ella ne fu certamente un poco triste. Poichè lʼamico facoltoso, non
saprei quali difetti avesse, ma come uomo proprio non le piaceva.
Era un signore logico e serio, meticoloso come una dieresi, tetro di
abiti e con la barba ispida.
Ondʼella cominciò a fargli mansuetamente le corna con i suoi giovani
amici eleganti, scegliendo quelli che sapessero ballare con più grande
vertiginosità.
Poichʼella sentiva per la danza una passione da vera innamorata e la
musica dʼunʼorchestra le dava quella ebbrezza che il poeta cerca di
esprimere nel ritmo della poesia. Sua madre inoltre le consigliava di
andare qualchevolta, fra le quattro e le sei del pomeriggio, nelle case
di convegno.
Questo, perchè lʼuomo facoltoso, con barba ispida, era piuttosto avaro.
La casa di convegno è lʼultima eredità pagana che forse durerà perpetua
nelle città cattolicissime. In esse, per tutte le classi di cittadine,
come già fu nei templi di Babilonia e di Efeso, la prostituzione è
sacra. La tenitrice, in molti casi, è una brava madre di famiglia,
che si confessa parecchie volte allʼanno e frequenta i ritrovi della
piccola borghesia. Non di rado è più bella che le sue belle clienti; ma
non è cosa molto agevole farle commettere peccato. Suo marito è geloso,
e quando non cʼè il marito, vʼè un amante fiero ed energico, il quale
sorveglia la sua castità, ma sopra tutto i suoi incassi.
La casa di convegno è una scuola di filosofia: là sʼimpara che
la bellezza deve rassegnarsi al piacere del primo venuto, e che,
per godere le gioie del mondo, bisogna sempre lasciar lʼideale in
portineria.
[Illustrazione: DECORAZIONE]
Quella bella ragazza, che allo Stato Civile figurava sotto il nome di
Cecilia Malespano, un bel giorno, e non per sua colpa, divenne Mimi
Bluette.
Come cʼera un Irresistibile, così cʼera un Pittore. Uno di queʼ pittori
che giornalmente stemperano un poʼ di poltiglia colorata sopra una tela
cattolica od ortodossa, e per ciò solo divengon noti, qualche volta
celebri.
Questo pittore faceva il nudo a maraviglia. Era un maestro del nudo, e
lo faceva in un suo modo particolare; tanto particolare, che bisognava
nel caso dar torto alla natura, non a lui. Un critico dʼarte, fra
quelli che vanno per la maggiore, e sono stati anche in Francia, aveva
messo in voga il nudo, la tecnica del nudo, la pastosità del nudo,
che adoperava questo Pittore. Le famiglie cospicue si pagarono il
privilegio di mettere nella propria galleria uno scarabocchio di questo
Pittore.
Le attrici alla moda—quelle che hanno inventata una maniera
trascendentale per esprimere lʼinteriezione: Ah...—si recavano
soavemente nel suo studio e gli tendevan la mano sfiduciata,
chiamandolo: Maestro...
Le Americane, ragazze intraprendenti, noleggiavan transatlantici
apposta e riempivano le stive con sacchi di dollari per venire a farsi
mettere in cornice da lui.
Con le ragazze Americane faceva il seminudo.
Questo Pittore parlava bene di Raffaele Sanzio da Urbino.
Portava un cappello così eccentrico da non potersi confondere con
alcuno, e prendeva il bagno, una domenica sì, lʼaltra no, nella
celebre vasca di marmo del suo celeberrimo appartamento. Questa vasca
da bagno era fatta nientemeno che a somiglianza dʼuna cassa da morto.
Lʼappartamento conteneva parecchie altre maraviglie di questo genere.
Il Pittore si teneva in casa una trentenne arruffata, chʼera gelosa
come una Eumenide, ma che gli amministrava un purgante con farmaceutica
gioia tutte le volte che gli eccessi alcoolici gli sopprimevano
lʼappetito.
Il Pittore cercava modelle nei saloni patrizi, nelle case di tolleranza
e nelle bottiglierie.
Questo era il solo criterio giusto che governasse la sua pittura.
Per lʼEsposizione di Venezia egli stava preparando un certo quadro,
molto più complicato deʼ soliti e più grande a vero dire, poichè
misurava non meno di due metri per tre. Gli occorreva un certo seno
speciale, assolutamente inedito, un seno come intendeva lui, per la
figura della protagonista. Dopo aver visitato con benevolenza parecchie
dozzine di esemplari difettosi, una sera, bevendo il gin, gli fu
parlato in confidenza della eccellente struttura che avevano i seni di
Cecilia Malespano.
Glielo disse un nottambulo assonnacchiato, che succhiava la sua bibita
con un colore di febbre gialla, e che, dopo una tale confidenza, gli
propose di giocarsi la bibita ai dadi.
Il Pittore fece nove.
Il nottambulo tre. Perdette.
Ma il nottambulo condusse la bella ragazza il giorno appresso nello
studio del Pittore, che affettuosamente le consigliò di spogliarsi.
Era la più bella creatura nuda che il Pittore avesse ancor mai veduta.
Era perfettamente il seno come intendeva lui, quel seno di famiglia
della madre Malespano, la quale regalava cravatte su cravatte al suo
battagliero Maestro di scherma.
Queʼ seni le sbocciavano dal busto con impetuosa ertezza, lontanandosi
lʼun dallʼaltro, con una vasta e calma simmetrìa.
Guardavano da tutte le parti, con dolcezza ma con vigore.
La spalla tonda li portava, turgidi e limpidi, come due maravigliosi
grappoli dʼuva. Il Pittore si degnò concludere:—Va molto bene, mia cara
piccina...
E siccome, dopo aver guardato il seno, si accorse che più giù e più
su, di faccia e da tergo, si andava di bene in meglio, questo Pittore
scrupoloso rifece tutta la figura principale, bestemmiando come un
facchino perchè Cecilia non istava mai ferma.
Oltre il prezzo di modella, per qualcosa chʼegli si volle accordare
inoltre, le diede un bellissimo anello, che forse valeva poco, ma in
compenso era molto originale.
Pare avesse appartenuto nientemeno che ad un Papa del Seicento.
I pittori, nel dare un titolo ai propri quadri, talora incontrano
quelle medesime difficoltà che mettono in gravi angustie le ballerine,
le attrici e le divette, allorché stanno per scegliere un suggestivo
nome da teatro.
Il quadro doveva chiamarsi: «Lo Specchio della Felicità»—oppure: «La
felicità di guardarsi nello specchio»—oppure, semplicemente: «Lo
specchio».
Ma il Pittore leggeva per buona ventura tutte le novelle appassionanti
che si pubblican nei giornali ebdomadari e quotidiani. Così la sua
mente leonardesca tentava di abbracciare il movimento letterario
contemporaneo.
In una di queste novelle, a protagonista parigina, egli trovò per
avventura questo bel nome azzurro: Mimi Bluette.
Il nome gli piacque tanto, che, detto fatto, lʼappiccicò sul quadro.
Allʼapertura dellʼEsposizione, la ragazza ed il Pittore si recarono a
Venezia.
Non saprei dire se ricevette più elogi questi o più visite quella, ma
il fatto sicuro è il seguente: che tutti volevano Mimi Bluette.
Mimi Bluette non era Caterina Seconda, e poteva tuttʼal più ricevere
due volte al giorno, serbando il decoro necessario per non subire
troppe rimostranze dal morigerato Segretario dellʼalbergo.
Alle rimostranze trovò rimedio, lasciandosi cadere nelle braccia del
sullodato Segretario, chʼera un bel giovine, poliglotta, il quale
piaceva molto alle malinconiche forestiere.
Ma, quanto allʼaffluenza, non trovò che una via dʼuscita: far salire
strepitosamente il conteso prezzo deʼ suoi baci.
Questa risoluzione, che pare tanto semplice, non venne in mente alla
dolce Bluette. Era una brava ragazza, poco interessata, piena dʼanima
nascosta e di nascosta poesia. Non aveva in sè che un unico amore: la
danza, non viveva che per un grande sogno: lasciarsi portar via dalla
musica, diventare un giorno ballerina.
Chi le dette questo consiglio fu per avventura un certo bellimbusto
elegante, il quale proteggeva le ragazze inesperte nei casi difficili
della vita loro.
Mimi Bluette era una stordita. Non diede retta, se non in parte, ai
buoni consigli di questo Protettore. Alla chiusura dellʼEsposizione
di Venezia ella possedeva tuttavia molti bauli pieni dʼabiti costosi,
molte cappelliere piene di franceserie stravaganti e fiorite, qualche
gioiello ragguardevole, nonchè un bel gruzzolo, che doveva bastarle a
compiere gli studi per divenir ballerina.
Ma il Protettore non la perdeva dʼocchio, e si permise un giorno di
somministrarle due schiaffi stupefacenti, perchè, dopo essere stata
sua più di una volta, quella sera, con il pretesto dellʼemicrania, gli
disse di no.
Erano i primi due schiaffi che Bluette riceveva da un uomo; la cosa le
fece più maraviglia che dolore.
Poi eran dati bene, senza preamboli, prima col palmo, poi col rovescio
della mano, tanto chʼella vide ben due volte rifulgere il prisma del
brillante che il Protettore portava in dito.
Non seppe cosa rispondergli, povera Mimi Bluette.... ma si avvide, come
per miracolo, che lʼemicrania era passata. Si guardò nello specchio,
si mise molta cipria su le guance arrossate, poi dolcemente cominciò a
slacciarsi la camicetta.
Solo, quando fu in letto, vicino a lui, scoppiò in un dirotto pianto.
Il Protettore si commosse. Aveva i bei capelli neri che gli cadevano su
la faccia oscura. Spiegò a Bluette che le voleva bene, chʼera geloso di
lei, anzi la preferiva senza paragone a tutte lʼaltre donne della sua
vita.
Forse, in quel momento, non mentiva.
Incominciò a baciarla, ma in quel modo particolare che solo intendono i
maschi avvezzi a tutte le donne, i maschi avvezzi ad essere amati dalle
donne.
Bluette apriva gli occhi lucenti sotto le grandi lacrime; lo guardava
traverso il biondo vapore deʼ suoi capelli arruffati. Sentiva di essere
stata battuta, e questo le dava una passiva ebbrezza fisica, un dolore
di novità quasi riconoscente.
Non voleva essere donna, per quellʼamante bello e temibile; ma si
coricava, si coricava sempre più, con un turbamento insolito, sotto
quella bocca forte.
Egli le prese il piacere nel pianto;—ed infatti ella piangeva di
piacere.
Divenne curiosa di lui, come una ragazza che legga un libro dʼamore
proibito.
Si accorse della sua bellezza virile, che prima non aveva quasi neanche
osservata, e con gli occhi fermi ascoltava il suono della sua voce
ambigua, osservava il riso deʼ suoi bianchissimi denti. Era lì, con
lei, disteso come un cattivo leopardo vicino ad una piccola preda;
con lei sola, nella notte inoltrata; sentiva chʼera uomo forse da
ucciderla,—e questo le piaceva.
Le piaceva molto una specie di obliquità che, nel riso, prendevano i
suoi occhi, neri come perle nere; le piaceva molto la robusta magrezza
del suo corpo flessibile, quel braccio arido che si affondava, premendo
i suoi capelli sparsi, nel profondo cuscino.
Le parlava con vivacità, con evidenza, dʼaltre donne chʼerano state
sue, che si erano piegate per lui a molti sacrifizi, che si erano
contese, talvolta con acerbe gelosie, con piccole tragedie, il suo
capriccioso amore.
Le raccontava queste cose pianamente, con una specie di negligente
fatuità, saltando con brio di cosa in cosa, da un particolare
nellʼaltro, dal nome di una amante nobile a quello dʼuna ballerina, tra
i molti paesi ovʼera stato, fra le avventure più dissimili,—e tutto
questo con verità.
Bluette si accorse dʼimprovviso che gli altri maschi erano effeminati
al suo confronto, che a lui non si poteva disubbidire, chʼegli solo era
un uomo.
Non si moveva più; quella voce ambigua lʼaveva soggiogata; si
raffigurava ed invidiava le donne chʼerano state sue. Non aveva
profferito ancora una parola, si era lasciata prendere in silenzio,
nascondendo il suo piacere, facendo quasi uno sforzo per chiudere tutte
le sue vene a quellʼamore troppo forte che lʼassaliva... E poi sʼera
stretta fra le spalle bianche, sotto i capelli biondi, per ascoltarlo
mentre parlava. Ma dʼun tratto le parve dʼessere ubbriaca, di non avere
più memoria, le parve dʼessere una donna come le altre, innamorata e
gelosa di lui...
Di colpo gli serrò le braccia intorno al collo, fece un nodo con se
stessa, ed in silenzio, con tutte le sue vene, gli promise:—Anchʼio...
Cʼè una notte in cui la ragazza galante sʼaccorge dʼessere ancor
paurosa ed innocente come la fanciulla chʼesce da un educandato.
Il Protettore si chiamava Max.
Questʼuomo pieno di esperienza le spiegò che lʼItalia è un paese dove
le belle donne si sciupano senza trovare adeguata fortuna. Le insegnò
allora dieci vocaboli francesi, parlandole con molto buon senso della
gaia Repubblica Transalpina.
Una sera presero il treno del Sempione. Per iniziarla subito alla
galloria, le comprò dal giornalaio della stazione lʼultimo numero del
«Frou–Frou».
Parigi, per la donna italiana, è come il sogno voluttuoso dʼun fumatore
di hascisch. Tutte le donne del mondo possono, fino ad un certo segno,
diventar Parigine. Tranne la tedesca, donna implasmabile, che dirà sino
alla morte:—«Sceu suis un beu amoureuse de fous cet soir...»
[Illustrazione: DECORAZIONE]
* * * * *
Mancavano dodici minuti alla seconda ora del pomeriggio, sul meridiano
di Greenwich, quando Max e Bluette discesero sul «quai de la Gare de
Lyon».
Bluette entrò nella Capitale in un tassametro giallo; al primo
quadrivio poco mancò non perdesse la dolce sua vita sotto un camione
gigantesco, il quale si muoveva per le strade anguste soffiando e
reboando come un ciclopico mammut.
Presero alloggio in una vecchia celebre locanda parigina, che si
affaccia verso una strada napoleonica, e dove i corridoi sembravano le
retroscene dʼun teatro di terzʼordine. Ma una cameriera dalla faccia
di pomo, come le donne di Picardia, garbatamente le domandò: «A quelle
heure faut–il envoyer un artiste pour onduler Madame?» Ella rispose:
«Merci, bonjour!»—e si sentì felice come una Parigina.
Col naso in aria cercava per tutte le strade la Tour Eiffel. Quando la
vide, capì finalmente che Parigi somigliava un poco alle sue cartoline
illustrate. Parigi era una città come tutte le altre, un poco più
grande, con la Tour Eiffel.
Quando Max le fece conoscere la famosa Rue de la Paix, ella si mise
a ridere, come se Max volesse farle uno scherzo. Nella Place de
lʼOpera il Protettore le disse che in quel momento ella si trovava
nel centro del mondo. Bluette si guardò intorno stupefatta, con
lʼaria di chi, stando su lʼEquatore, cerchi un segno qualsiasi che
lo renda visibile. Ma i boulevards, di sera, le scompigliarono
lʼimmaginazione. Dʼun tratto le parve dʼessere afferrata nel vortice
dʼun immenso carrosello, e di girare, di girare, sopra un circolo
senza fine, tra il carnovale dʼuna città ubbriaca, sopra veicoli di
montagne russe che volassero in mezzo a baldorie di lumi. Guardava le
donne, maravigliandosi che da vicino fossero alcune vecchie e brutte,
ineleganti e povere; guardava i soldati repubblicani dai calzoni di
porpora, pensando alle piume di gallo deʼ suoi bellissimi bersaglieri.
Osservava gli squallidi ronzini delle vetture di piazza ed i grembiuli
bianchi dei camerieri da caffè.
Si chiedeva per qual ragione illuminassero tutte le strade con
trofei di parole incomprensibili, scritte sui muri, sui balconi e
sui tetti; da un lato la testa dʼun cuoco, dallʼaltro il pancione
dʼun adulto che si fa pungere lʼumbilico dallʼindice dʼuna modistina;
e girandole di fiammelle, proiettori, cinematografi aerei, punti
esclamativi, punti dʼinterrogazione, parole in tutte le lingue: «Maxima
Maximum chez Dusausoy—Bouillons Maggi—le Matin sait tout—la Revue de
lʼAlhambra—Rouli Rouli... Crémieux... Luna Park... habille bien—Le
Matin... Michelin... Galeries... Polin... sait tout...»
Questa ridda le durò nel cervello per un paio di settimane; poi
cominciò a comprendere che in tutto quel disordine vʼera unʼassoluta
coerenza. Quale? Forse la più semplice: quella di essere Parigi.
Max in breve le fece conoscere tutte le persone più autorevoli della
Capitale: Mimyss dʼHouby, «qui avait perdu son gant», ossia che
aveva perduto i cinquemila franchi al mese del profumiere Houbigant;
Florina–Bey, che aveva credito presso lʼAmbasciata Turca; Jennie–Minnie
et Lélie, società in accomandita, della quale era gerente un
emulo di Max, le vicomte Jean Pinai–Kennedy, che si chiamava Jean
Kiki. Poi Boblikoff, ex–domatore dʼorsi, che adesso ammaestrava un
paio di minorenni; Micaello, creatore di una «valse chaloupée»;
Garcia Pois–lourd, o Garcia Poilu, boxeur deluso; Lucien–Lucienne e
Pʼtit–Béguin, maschi a doppio senso.
Queste onorate persone andavano a pranzare nel Bar de la Grande
Rouquine, donna che aveva un passato. Lì convenivano tutti, da Mimyss
a Pʼtit–Béguin, oltre un buon numero di clubmen amici del forestiere,
jokeys di cartello, che avevano qualche finish particolarmente
piacevole o per Florina o per Minnie, polledre di razza; bookmakers,
ballerini, dandys, nottambuli, disegnatori, spiritisti, compositori
di couplets; critici dʼarte affiliati alla sifilide; consumatori di
gin e di cocaina; adolescenti che parlavano con il senno della cassa
da morto; compratori e venditori di gioielli ambigui; spadaccini che
facevano il prestanome in tutte le faccende losche; principi del
Caucaso e decorazioni del Missisipì; ex–maîtres–dʼhôtel, che, smessa
lʼonorata marsina, campavano con molto garbo su lʼindustria del
forestiere; professori di bigliardo, scacchi, puzzles e pattinaggio;
poi tanti rimbecilliti quanti sia possibile trovare, per i quali,
durante il pranzo e la cena, lo scorbutico tzigane suona il pezzo
favorito.
Nel Bar della Grande Rouquine Mimi Bluette imparò molte cose. Prima di
tutto imparò qualche frase dʼargot.
Max le aveva insegnato il «suo» francese; ma pur troppo dovette
dimenticarlo.
Quando seppe lʼargot, Bluette comprese che ognuno di queʼ bizzarri
tipi era coerente con il bisogno di campare la sua vita. Così ella
perdette lʼidea provinciale che fosse quasi un furto, non il rubare, ma
il farsi regalare per forza tutto quello che cʼè nel portafogli dʼun
forestiero ubbriaco; lʼidea che Lucien–Lucienne o Pʼtit–Béguin fossero
stomachevoli per quel poʼ di belletto che si mettevano su le guance, o
Jean Kiki un farabutto perchè aveva una sessanta cavalli della marca
Jennie–Minnie et Lélie, o la Grande Rouquine una vendicativa e temibile
mezzana perchè aveva per amante un Commissario di Polizia.
Tutte sciocchezze!... Questa brava gente faceva prosperare il suo
piccolo commercio, pagando le tasse al Governo e deridendo lo stupore
dei buoni provinciali.
La Grande Rouquine, ogniqualvolta poteva parlare con Bluette a
quattrʼocchi, le diceva con insistenza, mordendo il bocchino della sua
lunga sigaretta russa: —Fi!... tʼes une gourde!
E questo: «Fi!... tʼes une gourde!» le sprizzava dalle sottilissime
labbra come il fischio velenoso dʼuna bella vipera.
Bluette non sapeva cosa volesse dire «une gourde». Quando glielo
spiegarono, guardò in faccia la Grande Rouquine con i suoi occhi
attoniti e rotondi. Perchè «une gourde?»
—Plaque–le ce macaroni qui fait tant dʼesbrouffe! Tʼes assez bien
fichue pour marcher sur tes pattes! Fi!... là!
Questo fu il consiglio della Grande Rouquine.
La Grande Rouquine era seccatissima di avere tanto seno quanto ne hanno
per solito le quindicenni tubercolose. Aveva due cosce così lunghe da
parere in piedi sovra due stampelle; una fisionomia di cera con due
grandi occhiacci da gatto, verdi; poi quel suo cespuglio di capelli
rossi che le ventava intorno alle tempie come un colore di malvagità.
Aveva una voce fioca e sonora, bruciacchiata dallʼarsura delle
sigarette russe. Dicevano che avesse tirato un paio di stilettate in
vita sua, come sʼinfila un ago da calza dentro un gomitolo di lana.
Ma la polizia, per riconoscenza, le aveva permesso di aprire il Bar.
Limka, violino di spalla dellʼorchestrina zingara, il famoso Limka,
tzeco delle Batignolles, era suo fratello; cioè figlio di sua madre.
Quanto al padre, nè Limka nè la Grande Rouquine nulla sapevano di
positivo.
Un cugino di Limka faceva il Régisseur a Montmartre.
Gli raccomandarono Bluette.
Il Régisseur le mise un dito sotto il mento:—Faut achalander, ma
poule!...
«Achalander? Achalander?» Neanche Max intendeva cosa volesse dire.
Garcia–Pois lourd, boxeur deluso, per quanto a sua volta non fosse un
aborigeno, diede tuttavia la spiegazione:—«Eh, bon Diô! ça vô dire
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 02
  • Parts
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 01
    Total number of words is 4233
    Total number of unique words is 1727
    31.6 of words are in the 2000 most common words
    44.0 of words are in the 5000 most common words
    50.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 02
    Total number of words is 4421
    Total number of unique words is 1847
    30.2 of words are in the 2000 most common words
    42.8 of words are in the 5000 most common words
    49.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 03
    Total number of words is 4500
    Total number of unique words is 1822
    26.6 of words are in the 2000 most common words
    37.5 of words are in the 5000 most common words
    42.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 04
    Total number of words is 4560
    Total number of unique words is 1755
    29.3 of words are in the 2000 most common words
    39.0 of words are in the 5000 most common words
    45.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 05
    Total number of words is 4356
    Total number of unique words is 1833
    28.0 of words are in the 2000 most common words
    39.9 of words are in the 5000 most common words
    45.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 06
    Total number of words is 4438
    Total number of unique words is 1723
    26.7 of words are in the 2000 most common words
    38.1 of words are in the 5000 most common words
    43.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 07
    Total number of words is 4424
    Total number of unique words is 1797
    27.7 of words are in the 2000 most common words
    38.3 of words are in the 5000 most common words
    44.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 08
    Total number of words is 4546
    Total number of unique words is 1619
    26.2 of words are in the 2000 most common words
    34.1 of words are in the 5000 most common words
    40.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 09
    Total number of words is 4464
    Total number of unique words is 1641
    23.2 of words are in the 2000 most common words
    31.9 of words are in the 5000 most common words
    38.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 10
    Total number of words is 4490
    Total number of unique words is 1797
    23.0 of words are in the 2000 most common words
    31.9 of words are in the 5000 most common words
    38.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 11
    Total number of words is 4473
    Total number of unique words is 1818
    20.3 of words are in the 2000 most common words
    29.0 of words are in the 5000 most common words
    35.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 12
    Total number of words is 4420
    Total number of unique words is 1864
    24.2 of words are in the 2000 most common words
    32.9 of words are in the 5000 most common words
    39.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 13
    Total number of words is 4366
    Total number of unique words is 1811
    26.0 of words are in the 2000 most common words
    37.4 of words are in the 5000 most common words
    43.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 14
    Total number of words is 4633
    Total number of unique words is 1738
    18.6 of words are in the 2000 most common words
    26.1 of words are in the 5000 most common words
    30.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 15
    Total number of words is 4684
    Total number of unique words is 1514
    14.5 of words are in the 2000 most common words
    19.3 of words are in the 5000 most common words
    22.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 16
    Total number of words is 4468
    Total number of unique words is 1712
    22.1 of words are in the 2000 most common words
    31.5 of words are in the 5000 most common words
    36.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Mimi Bluette, fiore del mio giardino: romanzo - 17
    Total number of words is 2986
    Total number of unique words is 1211
    31.9 of words are in the 2000 most common words
    43.6 of words are in the 5000 most common words
    50.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.