Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire - 02

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qualche tratto famigliare, e perchè il despotismo borbonico non pesava
direttamente sopra di lui. — Era disposto verso la nobiltà ad un
dipresso come verso il suo re ed il clero gli appariva come una
categoria di esseri qualche poco soprannaturali, capaci di operare
alcuni miracoli, ed in relazioni segrete ma dirette cogli abitanti del
paradiso.
Sapeva altresì che le sue acclamazioni, e le sue romorose dimostrazioni
riescivano assai gradite a quei tre ordini di persone, la corte cioè, la
nobiltà ed il clero, che le rimuneravano con qualche largizione o con
altri favori, e siccome il porsi in iscena facendo dimostrazioni,
acclamando, urlando e schiamazzando è cosa che nulla costa al popolo
napoletano, così tanto la corte quanto il clero e la nobiltà erano
sempre salutati dalla plebe con eguale entusiasmo.
Ma le società segrete e gli emissarii di esse non trascuravano allora la
educazione politica del lazzarone. — La classe media della popolazione
apparteneva quasi per intiero a quelle società segrete, ed andava
ispirando al popolo con cui mantenevasi in relazioni strette e
famigliari, l'odio dello straniero e dei suoi strumenti, l'amore della
libertà e della gloria, e l'entusiasmo per quel Garibaldi il cui valore
emulava la potenza del clero nel far miracoli, il che eccitava nel cuore
dei lazzaroni un ardente desiderio di vedere e di acclamare quel
prodigioso eroe, ed un certo raccapriccio al solo pensiero che il
Borbone imponesse loro di combatterlo.
I progressi delle istruzioni e delle intimazioni date dal ceto medio al
basso popolo, apparivano nella agitazione che subentrava alla naturale
indolenza del popolo napoletano. — Il governo borbonico confiscava i
giornali che trattavano delle cose d'Italia, e credeva con ciò di
mantenere il popolo in quella assoluta ignoranza di cui si era fatto uno
scudo; ma gli emissarii delle segrete associazioni spargevano a voce le
notizie meglio adatte all'umore ed al carattere di quelle plebi;
raccontavano i combattimenti e le vittorie conseguite sull'austriaco, la
confusione e lo spavento del nemico, le prodezze del re Vittorio e di
Garibaldi che apparivano come altrettanti Orlandi, presentavano alla
immaginazione di quel popolo, un quadro così seducente che al confronto
di questo impallidiva e si oscurava lo splendore delle cerimonie
religiose, i miracoli di S. Gennaro ed altri, ed il magico sfarzo delle
feste di corte.
Ognun sa come Garibaldi entrò a Napoli, accompagnato soltanto dal suo
stato maggiore, e come attraversasse le vie ingombre di popolo e di
soldati borbonici, salutato dalle entusiastiche acclamazioni di quelli
su di cui faceva appunto il re per combatterlo. — Non un colpo di fucile
fu tirato quel giorno a Napoli; e fu questo per noi grande ventura,
poichè cessato l'incanto che attraeva quelle moltitudini a Garibaldi,
troppo facile cosa sarebbe riescita l'impadronirsi di lui e lo
annientare tutti gli effetti della spedizione Siculo-Napoletana.
Fortunatamente però, l'incantesimo non fu rotto. — I soldati borbonici
si ritirarono a Gaeta ove li aspettava il re, ed il popolo lasciato in
balìa di sè medesimo, si abbandonò all'ebbrezza della sua gioja e della
sua ammirazione per quell'eroe ch'era venuto per così dire disarmato a
liberarlo.
Da quel momento sino ad oggi, Napoli ha subìto le varie peripezie che
subiva il rimanente d'Italia; ma non ha dato segno di essersi pentito di
quella sua rapida trasformazione. — Non camminò con passo veloce sulla
via del progresso e della civiltà; ivi, non meno che altrove va
deplorata la inerzia delle classi educate e colte; che poco o nulla
hanno tentato per riscattare la plebe dalla sua secolare ignoranza. —
Pure un certo quale progresso è evidente per chi visita oggi Napoli, e
si ricorda come lo aveva lasciato alcuni anni addietro. — Le vie
principali della città sono sgombre dalle immondezze e dai rottami che
le disonoravano altre volte; alcuni ampj ed eleganti magazzini di
stoffe, di ornamenti in oro o in corallo, adornano invece la città, e
gareggiano già in estensione ed in lusso coi principali magazzeni di
Parigi e di Londra, il popolo quasi ignudo che giaceva disteso in terra
sulla sponda del mare, e sul lastrico delle contrade, è pressochè
interamente scomparso. — I bambini di quei padri non istanno più li
interi giorni rotolati ed aggruppati sui marmi delle chiese per godere
un poco di fresco, intento favorito dal modo loro di vestire che
consisteva nella assenza completa di qualsiasi pezza di tela o di stoffa
che ne coprisse il corpo o le membra. — Da tutto ciò si vede che il
popolo Napoletano, non ignora da qual lato dell'orizzonte spunti il sole
del viver civile, e desidera uniformarsi anch'esso alle leggi della
civile società.
Diciamo ancora che il Napoletano sottoposto per la prima volta a gravose
imposte, condotto sul campo di battaglia per difendervi dei principii a
lui poco noti ed apparentemente estranei ai suoi interessi, non ha mai
dato segno di malcontento; e meno ancora di tendenza alla ribellione.
Tutto ciò ne dà liete speranze per l'avvenire, e poichè Napoli si mostra
così bene disposta a lasciarsi guidare ed a porre la sua fiducia nel
senno altrui, piuttosto che nei suoi naturali istinti, e nelle sue
proprie impressioni, tanto più deploriamo la lentezza con cui il nostro
governo e le classi più colte e più facoltose della popolazione si
occupano di fondare associazioni ed istituzioni dirette alla educazione
ed alla istruzione del popolo. Che cosa non siamo noi in diritto di
aspettare da un popolo che per tanti secoli corrotto e depravato di
proposito da un iniquo ed assurdo governo, acquistata in un giorno la
illimitata libertà che si compete soltanto alle più incivilite nazioni,
non abusa di così gran dono, e si sottopone di buona voglia a tutti i
sacrificii che sono come il prezzo della sua libertà!
Non possiamo tributare le medesime lodi alla Sicilia. — Ivi la
corruzione si mesce alla naturale ferocia di una popolazione derivata in
parte dall'Arabo, e quell'isola che fu un giorno popolare e ricca oltre
ogni credere, non ha fatto sin qui uso della acquistata libertà se non
per compiere atti che non si possono paragonare che alle carnificine del
medio evo, o dei popoli selvaggi. — La camorra che alleata al
brigantaggio nel Napoletano, ritardava il progresso di quelle
popolazioni verso la civiltà, opprime e disonora la Sicilia con una
impudente tirannide che non ha pari. — L'isola che per due terzi della
sua estensione è posseduta dalle corporazioni religiose e dalle
manimorte, è pressochè deserta, ed è del tutto incolta. — La legge si
sforza invano di ridurre sotto il suo scettro i Siciliani, che vi si
sottraggono colla più odiosa violenza, minacciando di morte, e non sono
le loro, vane minaccie, i magistrati, ed i testimonii che potrebbero
convincerli di innumerevoli delitti. — La missione della polizia non può
essere adempita poichè un sistema di falsificazione di tutti gli atti
civili, seguito da lunghissimi anni rende vana qualsiasi vigilanza della
autorità. — I depositarii degli atti civili di nascita, di morte, di
contratto, matrimonio, ecc. ecc. avevano per costume di riempire varii
fogli di carta per ogni uomo che temeva la luce del giorno, e l'esame
della sua condotta. — Sopra uno di quei fogli l'individuo di cui
trattavasi, era presentato come vivo; su di un altro come morto; sopra
un terzo figurava come del sesso femminile; e quando le nuove autorità
mandavano ispettori a verificare lo stato civile di un sospetto, gli si
presentava ora l'uno ora l'altro di quei fogli, secondo lo richiedevano
le circostanze. — La colonna mobile che durante gli scorsi anni ebbe per
missione di purgare la Sicilia dalle orde di briganti che la
infestavano, operò milaottocento catture, ed i catturati erano pressochè
tutti assassini di molte vittime, esseri che dell'umana natura
conservavano appena l'aspetto, e questo ancora corrotto e degradato. —
Non parlerò della strana ostinazione colla quale i Messinesi inviarono
per tre volte al Parlamento il contumace Mazzini sebbene dal Parlamento
stesso avvertiti della illegalità di tale elezione. — Non parlerò degli
ultimi fatti di Palermo in cui un popolo ferocemente fanatico ed
istigato dallo spirito di vendetta che disonora pur troppo una gran
parte di quel clero ignorante e sensuale, commise delle atrocità che non
mi regge il cuore di descrivere; ma osserverò soltanto che un popolo il
quale si vale della recentemente acquistata libertà, per assimilarsi
alle fiere, ha bisogno di una rigorosa tutela, e di severe repressioni.
Pure anche in mezzo a sì luttuose scene, ed a così colpevoli eccessi, il
naturale facile al progresso, e l'ingegno aperto agli insegnamenti
morali e civili, si scorge chiaramente nel popolo Siciliano. — La
vigliaccheria non è un vizio in cui lo trascinano gli altri molti vizii
di cui è preda. — Tutti gli uffiziali che ebbero sotto gli ordini loro
dei soldati Siciliani, li dichiarano valorosi, e riconoscono altresì che
l'indole loro, cupa dissimulata e crudele, si dirada e si emenda sotto
l'influenza della militare disciplina. — Dicono essi che il soldato
Siciliano tornando alle proprie case vi porta dei germi fecondi di
moralità, ed una certa quale inclinazione al bene a cui era affatto
estraneo quando rivestiva per la prima volta la divisa militare.
I soldati licenziati potranno diventare i primi maestri del vivere
civile pei loro concittadini, ma se ad essi è lasciata esclusivamente la
missione di civilizzare la Sicilia, l'ardua impresa non sarà compita in
un secolo. — Un uomo si è distinto in Sicilia per l'ingegno,
l'operosità, la moralità ed il patriottismo, e quest'uomo è oggi
Prefetto di Palermo. — Ciò dimostra che il governo è ansioso di
impiegare gli strumenti di civiltà che gli fornisce il paese. — Ma desso
non può crearli. — Ora spetta a tutti coloro che si sentono superiori
alle basse passioni del volgo e capaci di cooperare fosse pure
menomamente alla riforma di uno stato sociale così miserabile e
vergognoso, il concertarsi fra di essi, ed il dedicarsi a sì nobile e
così sacrosanta impresa.
Fondare delle scuole non solo pei fanciulli, ma per gli adulti altresì,
ed ivi invitarli colla seduzione di insegnamenti variati e dilettevoli a
cui non rimarranno a lungo indifferenti quelle nature curiose, e quelle
menti accessibili ad ogni raggio di luce. — Stabilire dei piccoli centri
di industrie, ove, sì gli uomini come le donne, trovino delle
occupazioni poco faticose ed un guadagno equamente ripartito. — Aprire
dei magazzini così detti cooperativi, in cui il compratore venga messo a
parte dei profitti del venditore, e che rendino impossibile le congiure
fra questi ultimi per ispogliare i primi, raddoppiando e triplicando il
prezzo degli oggetti di prima necessità. — Nè vorrei si trascurasse o si
sdegnasse di procurare a quelle popolazioni qualche opportuno
divertimento che avesse per effetto di rasserenarne gli animi, e di
ammansarne i costumi. — Insegnerei loro un po' di musica e le
addestrerei a cantare dei cori, che il pubblico si recherebbe volontieri
ad udire quando anche non si ammettesse se non pagando una frazione
qualunque di franco, che verrebbe poi distribuita ai cantanti. — Questi
tentativi, queste misure, debbono essere modificate in modo da adattarle
ai variati caratteri delle popolazioni; ma qualunque istituzione avente
per iscopo di occupare quelle genti, e di addolcirne i costumi senza
aggiungere nuovi vizii agli antichi, sarebbe benefica, e la esperienza
indicherebbe presto quali modificazioni convenisse introdurre nel piano
primitivo. — Vediamo ora quali sono i progressi già eseguiti in Italia,
dal 60 in poi, e quali mezzi impiegava il nostro governo per
realizzarli.
I due principali strumenti di civiltà, di cui dispone un governo posto
nelle condizioni in cui trovasi il nostro, sono la costruzione di nuove
strade e lo stabilimento di scuole popolari. — I governi che lo
precedettero, e che avevano per unico oggetto degli atti loro il
mantenersi nella autorità di cui facevano così deplorabile uso,
trascuravano di proposito quei due elementi del nazionale incivilimento,
e perchè avrebbero voluto circondare i loro Stati di un muro
inaccessibile come quello della China, e perchè tanto la costruzione di
nuove strade come lo stabilimento di nuove scuole popolari costano molto
denaro. — Nelle provincie meridionali del Napoletano, siccome nella
Sicilia, le strade esistevano soltanto nei conti del Ministero dei
lavori pubblici; ma in fatto, il percorrere la pittoresca Calabria, era
altrettanto difficile, faticoso e pericoloso, quanto il percorrere il
centro dell'Affrica o dell'Asia. — Nelle parti centrali e settentrionali
d'Italia la stessa condizione di cose non era possibile, e perchè non
poche strade vi erano state costrutte dai precedenti governi, ed in
ispecie dal Napoleonico, e perchè l'incessante concorso di forestieri,
che visitano ogni anno quelle contrade, avrebbe reso impraticabile
l'abbandono dei mezzi di comunicazione dai paesi loro all'Italia, o per
lo meno avrebbero trasformato quell'abbandono in uno scandalo europeo. —
Fu dunque mestieri che l'Austriaco si rassegnasse a lasciare alle sue
provincie d'Italia il benefizio che dalle opere dei suoi predecessori
ricavavano; e lo stesso fece per le scuole comunali, ch'erano
istituzioni dell'imperatrice Maria Teresa, e che ebbero per effetto di
mantenere i contadini lombardi in una condizione morale ed intellettuale
assai meschina per vero dire, ma superiore a quella delle popolazioni
rurali del rimanente d'Italia, tranne però delle toscane.
Le ragioni medesime, che avevano indotto i sovrani assoluti d'Italia a
non costruire nuove strade, e a non aprire nuove scuole, traevano il
governo nostro a dotare senza frapporre indugio il paese così delle une
come delle altre.
Una circostanza speciale rendeva vie più importante pel paese nostro,
che le lacune lasciate espressamente dall'Austriaco nel sistema delle
nostre strade fossero colme. — Voglio dire delle strade ferrate, che
cangiarono radicalmente la condizione materiale, morale, intellettuale
ed economica di tutte le nazioni che le adottarono, e di cui avevano
soltanto alcuni stralci, ed alcuni progetti, contro la cui esecuzione
tanti ostacoli andavano mano mano sorgendo, che un secolo non sarebbe
bastato ad appianarli. — La ferrovia da Milano a Venezia era terminata
nel 59, ma eransi impiegati più di venti anni a costruirla. — Del
rimanente, alcuni chilometri da Milano a Monza, a cui si erano aggiunti
coll'andar dei tempo altri non molti chilometri che mettono a Como: ecco
in che consistevano in quel tempo le ferrovie lombarde. — Il Piemonte
n'era assai meglio fornito; e la toscana, anch'essa, sebbene le sue
ferrovie fossero esclusivamente destinate a facilitare le relazioni e le
comunicazioni dall'una all'altra città toscana, e non importasse di
congiungerle con altre ferrovie delle varie provincie italiane. — Egli è
bensì vero che le ferrovie toscane avrebbero potuto congiungersi
soltanto con quelle dell'Italia settentrionale, o per meglio dire con
quelle del Piemonte; poichè nelle provincie situate al mezzodì della
Toscana le ferrovie erano tuttora limitate a pochi chilometri, i
dintorni di Napoli e gli Stati pontificii serbandosi mondi da quelle
abbominevoli invenzioni della scienza moderna.
Nel 1859 tutte le provincie che formarono il regno d'Italia possedevano
complessivamente 1,472 chilometri di strade ferrate, e fra queste erano
comprese le ferrovie del Piemonte che ammontavano ad una gran parte di
quella intera cifra. — Nel 1863 si erano aggiunti 1,287 chilometri di
nuove strade ai 1,472 del 59; e noverando quelle allora in via di
esecuzione, ammontavano a 4,464 chilometri; e quelle che debbono essere
terminate nel 1869 non saranno al di sotto di 8,057 chilometri, cioè un
terzo di più che non ne possiede la Francia e circa il triplo
dell'Austria, proporzionalmente alla estensione del loro e del nostro
territorio.
Giova poi osservare che la configurazione fisica dell'Italia presenta
molti ostacoli alla costruzione di ciò che chiamasi una rete di strade
di ferro. — Nelle vaste pianure del Belgio e dell'Olanda, come pure in
quelle della Francia, segnate unicamente da leggiere ineguaglianze del
terreno, i bisogni e la convenienza delle popolazioni sono le sole
circostanze che si debbono prendere in considerazione per volgere in
quella o in questa direzione una ferrovia. — Ma nella Italia, ossia su
quella sterminata catena di monti che si chiamano l'Apennino, e che
s'estendono sino a' suoi tre litorali, difficilissima riesce
l'introduzione di una ferrovia fra quelle cime e quelli abissi. — Prova
ne siano le strade da Torino e da Milano a Firenze, nella costruzione
delle quali, sebbene si arrischiassero salite e discese come nessuna
altra ferrovia le aveva prima tentate, si dovette percorrere per lungo
tratto il letto di un fiume o torrente che sia, di modo che i
costruttori medesimi confessavano, che le riparazioni della ferrovia la
toglierebbero per gran parte d'ogni anno alla pubblica circolazione.
Per le strade ferrate del Napoletano, per quelle principalmente che
debbono estendersi nelle Calabrie ed altre provincie situate al
mezzogiorno di Napoli, le difficoltà saranno fors'anche maggiori; e per
parlare soltanto di contrade a tutti ben note, ricorderò quanti ostacoli
incontrano i costruttori delle strade che legano a Genova le sue due
riviere.
Anche in Sicilia le ferrovie in gran parte non sono costrutte; e le
strade ordinarie sono in picciol numero, e senza un concetto che le
leghi fra di esse e le utilizzi. — Ora però si contano in quell'isola
chilometri 114,779 di strade aperte al carreggio, e se ne debbono
eseguire altri 166,840. — Quanto alle ferrovie, la Sicilia già ne
possiede la lunghezza di 708 chilometri: cioè 160 da Palermo a Trapani,
passando per Marsala; 280 da Palermo a Catania; 145 da Messina a Catania
e a Siracusa; 76 da Girgenti a Licata; e 46 da Caltanisetta a Girgenti.
Anche le provincie napoletane posseggono a quest'ora un ricco tesoro di
ferrovie; poichè queste comprendono poco meno di due mila chilometri,
che si legano alle ferrovie dell'Italia centrale e settentrionale, per
cui può dirsi che il problema di ravvicinare le funeste distanze che si
opposero mai sempre all'unificazione d'Italia è stato sciolto nel corso
degli ultimi sette anni. — Simili colossali imprese non si eseguiscono
senza adequati sagrifizii; e le strade italiane, le ferrovie in ispecial
modo, hanno costato e costano tuttora, in guarentigia d'interessi dei
capitali impiegati dalle società, ingenti somme di denaro.
V'ha chi biasima il nostro governo perchè si accinse senza frapporre
indugio ad opere di tale immensità, ed il cui costo oltrepassava i mezzi
dei quali disponeva allora. Ma vi sono delle circostanze in cui la
volgare prudenza è più pericolosa della massima temerità, e coloro, che
avrebbero consigliato al nostro governo di costruire lentamente ed
economicamente le nuove vie di comunicazione fra le varie e distanti
provincie italiane, non riflettono che tali opere dovevano
necessariamente essere compite prima che si pensasse a combattere
l'Austria, e a torle quella parte del nostro suolo ch'essa calpestava
tuttora dopo il nostro riscatto. Chi prese parte, o fu soltanto
spettatore della guerra del 66, può dire di quale vantaggio riescissero
quelle ferrovie, che da una estremità della penisola all'altra
portavano, in poche ore, notizie, reggimenti, artiglierìe, munizioni da
guerra, ecc. ecc. — La guerra fu breve; e sebbene il successo d'ogni
particolare fatto d'armi non fosse a noi favorevole, il successo finale
della guerra stessa oltrepassò le nostre speranze, cosicchè non
esperimentammo grandi rovesci. Ma se le cose fossero andate altrimenti,
se fossimo stati costretti a ritirate forzose e rapidissime dal campo di
battaglia, a cangiamenti repentini di piani, a cercare rifugio e
salvezza dietro le mura delle nostre fortezze, la mancanza di strade
avrebbe potuto cagionare la nostra rovina. Un governo posto a fronte di
eventualità di così gran momento, deve prevedere ogni possibile
accidente e star parato a combatterlo. La guerra dell'Italia contro
l'Austria, fatta prima che l'Italia possedesse i mezzi di comunicazione
fra le sue diverse parti, sarebbe stata una deplorabile follia, e poteva
recarne incalcolabili ed irremediabili pregiudizii.
L'Italia, sebbene abbondi di catene di altissimi monti, e possegga
conseguentemente molte sorgenti, ed i vasti serbatoi che sono le nevose
cime dei monti medesimi, non può comporsi un sistema conveniente di
navigazione interna. — Ciò dipende in gran parte dall'altezza de' suoi
monti, e dal poco spazio lasciato al declivio di essi per giungere al
mare ove tendono. — Per tal modo i nostri fiumi percorrono dalla
sorgente alla foce loro un breve e precipitoso cammino, spinti e
risospinti di balza in balza, senza potersi mai distendere nè
tranquillare le loro acque attraversando una vasta pianura, come avviene
dei fiumi della Francia, dell'Inghilterra, del Belgio e di tante altre
contrade; per cui questo utilissimo sostituto delle strade ordinarie e
delle ferrovie, per quanto almeno concerne il trasporto delle merci, la
navigazione interna dei fiumi o di canali che ne derivano, ne manca, e
probabilmente ne mancherà in perpetuo. — Un parziale compenso a tanta
mancanza possiamo trovarlo nella navigazione marina, detta di
cabotaggio, e che ha luogo lungo le coste del nostro litorale;
navigazione che presenta pochi pericoli, essendo le coste dei nostri
mari piuttosto basse e piane, ed offre grandi vantaggi, per la frequenza
dei porti, rade, ecc. seminati lungo le rive, che rendono l'approdo e lo
sbarco dei piccoli navigli, percorrenti quei mari, facili e securi.
Tutte le cure del nostro governo per far progredire le popolazioni
italiane verso la civiltà, non furono assorte dallo stabilimento dei
nuovi mezzi di comunicazione. — Le scuole popolari sono un potente
istrumento di civiltà, e queste sono ora numerosissime in tutta Italia.
— Già nel 1863 ne esistevano circa 30,000; e sebbene buon numero di esse
fossero di creazione anteriore al 59, nelle provincie meridionali però,
ed in Sicilia particolarmente, quasi tutte le scuole elementari pei due
sessi sono dovute al nostro governo; e gli sono dovute in due modi: e
perchè istituite da lui, e perchè sostenute quasi per intero a spese
dell'erario, mentre nelle altre provincie del regno molte scuole
elementari stanno a carico dei Comuni, ed altre non poche sono sostenute
da doni o da lasciti privati.
Se occorressero prove di fatto per dimostrare che tanta diffusione di
luce intellettuale è cosa assai recente, basterebbe il porre a confronto
di quelle 30 mila scuole il numero di analfabeti, che offuscano tanto
splendore. Fra un 1,397,924 di giovinetti dai 12 ai 19 anni, cioè della
età in cui dovrebbero avere terminati gli studi primarii, ed essere in
grado di passare alle scuole tecniche o alle scuole secondarie, 938,637
di essi sono tuttora analfabeti, mentre 61,800 sanno leggere soltanto, e
361,725 sanno leggere e scrivere. — Speriamo che questi infelici 938,637
siano fra i nati prima del 50, ed avessero per conseguenza oltrepassata
l'età in cui sogliono i fanciulli essere ammessi alle scuole primarie o
comunali, quando il benefizio di codeste scuole fu largito al paese; e
speriamo altresì che codesta enorme e vergognosa macchia nel nostro sole
vada rapidamente impicciolendosi, e venga in breve coperta dai raggi
sempre più splendidi che da esso si diffondono.
Oltre quel numero di scuole primarie, l'Italia contava già nel 63, 81
corpi scientifici ed accademie di scienze, lettere ed arti; 200
biblioteche; 10 osservatorii astronomici; 26 osservatorii meteorologici;
13 musei di archeologia; 13 società per la conservazione e
l'illustrazione dei monumenti; 12 deputazioni di storia patria; 20
istituti speciali di belle arti e di musica; 5 alte scuole di
perfezionamento; 19 università col corredo di 123 licei; 452 ginnasii
pubblici; 177 scuole tecniche; e 65 scuole magistrali pei due sessi;
tralasciando ancora di parlare delle scuole serali e delle festive,
aperte recentemente in pressochè tutti i Comuni rurali di Lombardia,
alle quali concorrono spontaneamente uomini di ogni età, e dove sono
loro gratuitamente insegnate dagli uomini più colti del villaggio, come
sarebbero il medico, il sindaco, il maestro ed il segretario comunale,
le prime nozioni di storia, di geografia, di storia naturale, ecc. ecc.
Giova osservare che alcune delle cifre testè accennate non hanno tutta
l'importanza che sembrano avere a primo aspetto. Quel gran numero di
università non significa precisamente che il numero degli aspiranti
all'insegnamento, che ivi si riceve, sia tale, che non bastino a
contenerlo meno di 19 Università. — Questo numero, veramente smisurato,
provviene dallo sminuzzamento che fece dell'Italia una agglomerazione di
tanti piccoli Stati, gli uni degli altri gelosi e discordi; ognuno dei
quali pretendeva di essere completo e perfetto nella sua picciolezza,
possedendo ogni forma esterna di istituzioni scientifiche e letterarie,
corpi insegnanti, ecc. Il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, la
Venezia, i due Ducati, il Bolognese, l'Umbria, la Toscana, e se non
m'inganno il Principato di Lucca, la Sardegna, il Napoletano, la
Sicilia, e non so se la repubblica di S. Marino, avevano ciascuna non
meno di una Università; ed i riguardi con che il governo nostro
nazionale ha creduto di dover trattare i pregiudizii autonomici delle
provincie italiane sono tali, che non si è peranco accinto a ridurre
questo superfluo numero di Università. — Lo stesso può dirsi
verosimilmente di alcuni degli osservatorii astronomici e delle
accademie letterarie, che erano considerate come un adornamento
distintivo di una capitale; ed ora non si tolgono per non far sentire
agli abitanti di coteste già capitali ch'essi sono decaduti da ciò che
ad essi o ad alcuno di essi può sembrare una situazione assai elevata.
Ma tali riguardi eccessivi non possono essere perpetuati, ed il numero
degli istituti scientifici o insegnanti sarà messo in armonia coi
bisogni del paese, cioè col numero degli studenti di esso.
Certo è però che se quel prodigioso numero di Università non ha tutto il
favorevole significato che gli si potrebbe attribuire, ciò non significa
per nulla che debba o possa farne arrossire; e se il numero dei nostri
corpi insegnanti oltrepassa i nostri bisogni, questo difetto di
proporzione non è cagionato dal recente scemarsi del numero degli
studenti, bensì dalle cangiate circostanze del paese, dal concentramento
nazionale, dalla distruzione di pressochè tutti i confini interni
d'Italia, e dal rapido accrescimento delle vie di comunicazione fra le
varie Provincie. Il numero delle Università italiane sarà
indubitatamente ridotto; dubito però che possa mai esserlo nella misura
della Francia e dell'Inghilterra, perchè la topografia e la figura
stessa della nostra Italia osta ad un sistema troppo assoluto di
concentramento. Se le provincie meridionali d'Italia come le Calabrie,
gli Abruzzi, Terra di Bari e di Otranto, la Sicilia, ecc. dovessero
mandarci i loro studenti a Pavia o a Padova, temo che finirebbero col
rinunziare ai vantaggi di una educazione universitaria.
Prima di procedere alla soppressione di alcune delle nostre Università,
conviene ponderare accuratamente quali fra di esse possono essere
impunemente tolte, cioè senza che si interrompano e facciano sosta i
progressi della pubblica e nazionale istruzione, che è quanto dire del
nazionale incivilimento.
Questo rapido esame dell'incremento, ch'ebbero negli ultimi pochissimi
anni i mezzi di comunicazione e d'istruzione popolare nel nostro paese,
ne presenta in vero molte sorgenti di conforto. Una considerazione però
tempra la soddisfazione, che vorremmo ritrarne; ed è questa la
influenza, anzi la ingerenza piuttosto accresciuta che scemata del clero
negli stabilimenti della pubblica istruzione. Eravamo preparati a
codesta preponderanza nelle provincie meridionali; ma i dati statistici,
ai quali mi riferisco per questo lavoro, non la mostrano minore nel
Piemonte, nella Liguria, nella Lombardia e nella Toscana, che nel
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