La freccia nel fianco - 02

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Nicoletta scendeva dallo studio di suo padre, dove aveva udito la
discorsa sulla vita e i miracoli del conte Fabiano, e s'avviava a pian
terreno, nella sala da pranzo, per sorbire la cioccolata.
Aveva fame: era allegra; si riprometteva una gita, la prima gita nel
bosco, che doveva essere ancor fresco e odoroso per l'umidità notturna
e tutto vibrante e scricchiolante al vento.
Diede gaiamente il buon giorno alla mamma, che aveva già bevuto il
caffè e latte, e s'era attardata per aspettar la figliuola.
--Sì, sì, buon giorno!--ripetè Carlotta, brontolando.--Hai fatto un
bell'affare, tu!
Il domestico presentava con le mani guantate di filo bianco il vassoio
alla fanciulla e la cestina d'argento colma di biscotti. La fanciulla
gli indicò di lasciargliela innanzi, con un gesto del capo. Ella non
sapeva nemmeno che faccia e che nome avessero i domestici. Poi attese
che se ne fosse andato.
--Ho fatto un bell'affare, io?--domandò quindi a sua madre.--E quale
sarebbe?
--Sarebbe!--ripetè Carlotta col broncio.
--Oh Dio, mamma!--esclamò la fanciulla annoiata.--Non cominciamo; non
farmi ripetere venti volte una domanda. Se ho sbagliato, dimmelo. Io
non mi sento colpevole di nulla.
Il candore con cui Nicoletta sosteneva un'accusa vaga, disarmò la
signora.
--Colpevole non sei; non voglio dirti colpevole,--spiegò infine.--Ma
stordita e bizzarra come al solito.
Nicoletta si toccò in testa per assicurarsi che non avesse il cappello
a rovescio.
--Ma no,--disse sua madre.--Si tratta di ben altro. Sai chi abbiamo
per vicino di casa?
--Il papà me lo ha detto or ora; il famoso conte Fabiano Traldi di San
Pietro. Famoso lo ha chiamato il papà, perchè è carico di debiti e si
accapiglia con sua moglie. E mi ha detto anche di schivarlo quanto
sarà possibile.
--È sottinteso,--assentì la signora.--Ma capisci quale sciocchezza hai
commesso?
--Io?--esclamò Nicoletta sbalordita.--Gli ho detto io di far debiti e
di accapigliarsi con sua moglie?
--No: ma vedi quali vicini abbiamo?--osservò la madre con improvvisa
dolcezza.--La villetta non poteva essere affittata da un altro?
--Oh, da mille altri!--rispose Nicoletta ridendo.--E che me ne
importa?
--Eh no, no! Un altro la voleva; io lo so,--disse la signora sempre
dolcemente, con un piccolo sorriso.--E per colpa tua, è andato tutto
in fumo.
--Signore Iddio, vi ringrazio!--esclamò Nicoletta.--Duccio! La voleva
Duccio! Ora ho capito; e io l'ho pregato di star lontano.... È di
questo che mi accusi?... Ma ne sono molto soddisfatta, devo
confessartelo. Ti figuri una vicinanza simile?
--E perchè no? Il conte Duccio Massenti è uno squisito gentiluomo, la
cui compagnia avrebbe fatto piacere a tutti.
--Fuori che a me!--interruppe Nicoletta.
--E tuo padre e tua madre non contano nulla, allora?--domandò la
signora Carlotta, aggrottando le sopracciglia.
--No: in questo caso non contano proprio nulla,--ribattè
Nicoletta.--Perchè Duccio non sarebbe già venuto per voi, ma per me. È
inutile seguitar la commedia. So benissimo ch'egli vorrebbe sposarmi:
me lo ha fatto capire in tutti i modi. E allora sarebbe toccato a me
sopportar lunghe ore di conversazione sentimentale, ascoltar la
sfilata delle sue speranze, far le passeggiate a due, col papà o la
mamma all'orizzonte, per decoro.... Meglio il conte Fabiano e i suoi
debiti. L'uno e gli altri non ci riguardano!
--Ma che cosa vuoi, che cosa vuoi tu?--gridò di scatto la signora,
alzandosi in piedi.
Nicoletta, che aveva recato alla bocca la tazza, guardò sua madre di
sopra l'orlo di quella, assaporando la cioccolata che rimaneva.
Era un poco sorpresa dall'impazienza aggressiva della signora; ma
quando si accorgeva che gli altri avevano torto, si faceva subito
fredda e indifferente, per vendetta.
--Che cosa voglio?--ella ripetè, deponendo la tazza sulla
sottocoppa.--Chiedimi piuttosto che cosa non voglio. Non voglio il
matrimonio, per ora almeno, col conte Duccio Massenti. È troppo
presto: non lo conosco.
--Sfido io!--esclamò con un largo gesto la signora Carlotta.--Se lo
mandi lontano, ogni volta che cerca avvicinarsi, il poveretto!...
--Segno che non m'interessa!--dichiarò la fanciulla semplicemente.
Poi, quasi leggendo dentro il proprio animo, soggiunse:
--Che cosa voglio? È difficile dire. Qualche cosa che non sia troppo
comune, troppo volgare, perchè mi sembra di meritar più che le altre.
La signora Carlotta che stava per andarsene, trovò opportuno fermarsi
per dare segno della sua disapprovazione.
--Ti sembra volgare e comune il partito che ti offriamo?--disse.--Che
desideri? Un Re? Un Imperatore? Sei sempre con la testa all'arte e al
palcoscenico?
--Non è questo, non è questo!--osservò la fanciulla, scuotendo il capo
assorta, con gli occhi nel vuoto.--Non distinguo tra un matrimonio e
l'altro.... Non ti saprei dire....
La madre riconobbe d'essere stata una sciocca ad aprire una
discussione così imprudente, e ammirò ancora una volta il marito che
fuggiva le chiacchiere inutili. Nulla di più vano che chiedere a una
fanciulla di diciotto anni che cosa vuole; a diciotto anni non si sa;
molti uomini non lo sanno a trenta e a cinquanta, e camminano lo
stesso.
Fatte rapidamente queste riflessioni, la signora Carlotta mutò
discorso:
--Non esci?--chiese alla figliuola.--Il tempo è bello; c'è un poco di
vento, ma non infastidisce troppo.
--Sì,--rispose Nicoletta.--Ora vado.
E invece d'avviarsi alla soglia, per la quale sua madre era passata ed
uscita, si levò da tavola e andò a sedersi in una poltrona, di contro
al giardino, che il sole illuminava per ogni angolo, che il vento
faceva tremare.
Che cosa voleva?
Nulla più la irritava che quella domanda categorica, la quale sembrava
attendere una categorica risposta; come se di fronte al mondo e alla
vita il volere fosse cosa semplice, il desiderio fosse definibile;
come se nella sua anima giovane e palpitante non avessero dovuto
vibrar mille incertezze, mille timori, mille ritrosie, mille
illusioni.
Anche non sapere ciò che si vuole è uno stato d'animo, pensava
Nicoletta; uno stato d'animo doloroso, che pure ha la sua triste
dolcezza; uno stato d'animo che non ammette definizioni, perchè ciò
che si vuole qualche volta è fuori del mondo.
E suo padre e sua madre non potevano capire simili fantasie.

III.

Qualche cosa che non fosse troppo comune...
Ella credette sognare, vedendo sbucar d'un tratto da una siepe del
giardino e correre verso di lei uno svelto bambino tra i sette e gli
otto anni.
Era vestito di bianco; i calzoncini chiusi al ginocchio lasciavan nudi
i polpacci: un berretto di panno sui capelli neri era un poco
inclinato verso l'occhio destro.
Teneva in mano una canna alta e flessibile, da cui gocciolava l'acqua.
E fermatosi sul limitare, squadrò un istante Nicoletta per comprendere
con chi avesse a fare; poi disse, ben sicuro:
--Signorina....
Nicoletta s'era alzata, arrossendo.
--Vieni ad aiutarmi,--seguitò il fanciullo, appoggiandosi alla canna e
guardando attentamente Nicoletta.
--Che vuoi, caro?--disse questa.--Che ti è avvenuto?
Il fanciullo la fissava con un poco di meraviglia, ascoltandone la
voce calda e carezzevole. Poi, invece di rispondere, interrogò:
--Perchè sei diventata rossa?
--Io?--esclamò confusa Nicoletta.--Son diventata rossa?
Ma egli si distrasse, e seguitò, accennando giù, in fondo al giardino,
verso il lago:
--La mia goletta è andata troppo lontano. Ho cercato di riprenderla e
non ci riesco. Ci vuole una canna più lunga, e son venuto a
domandartela.
Ella sorrise.
La parola di lui era chiara e precisa, come era dritto e fermo il suo
sguardo.
--Davvero?--esclamò Nicoletta.--Andiamo a vedere!
E prontamente uscita in giardino, prese la destra del fanciullo nella
sua sinistra.
--Vieni ad aiutarmi?--egli disse contento.--Vieni! Vedrai; è un bel
bastimento; l'ha comperato il babbo a Parigi.
Parigi! Il nome della città richiamò alla mente di Nicoletta gli
ordini e i consigli di suo padre. Non v'era più dubbio; ella teneva
per mano il figlio del conte Traldi; già l'aveva indovinato al primo
vederlo, e aveva arrossito d'impaccio, sapendo che non poteva
accoglierlo in casa.
--Come ti chiami?--ella chiese avviandosi con lui verso il cancello.
--Bruno,--egli rispose.
--Bruno Traldi di San Pietro,--ella seguitò.--Non è vero?
--Come sai?--egli interrogò ridendo.
--Me lo hanno detto.
--Mi avevi già visto?
--No. Mai. E tu?
--Io ti ho vista ieri, in carrozza. Son belli i tuoi cavalli.
La guardò levando il capo; poi soggiunse:
--Mi piaci.
--Che strano, che strano fanciullo!--pensò Nicoletta.
Ma Bruno aveva già ripreso:
--Come ti chiami, tu?
--Nicoletta Dossena.
--Nicla,--corresse prontamente Bruno.
--Nicla; come vuoi,--assentì Nicoletta sorpresa.--Lo hai inventato
tu....
E ripensò:
--Che strano, che strano fanciullo!
Erano usciti, avevano attraversato la strada, tenendosi per mano;
ambedue vestiti di bianco, lieti sotto il sole, camminando presto, già
amici fidati.
Giunti sulla riva, Bruno indicò il bastimento; una goletta a due
alberi e a due rande, armata di cannoncini di bronzo, carica di
soldatini di piombo, alcuni dei quali davan del naso nella schiena dei
compagni.
--Se ne va!--disse Bruno ridendo.--Ora come facciamo?
E tolta la mano dalla mano dell'amica, chiese di nuovo:
--Quanti anni hai?
--Diciotto,--rispose Nicla.--E tu?
--Quando sono savio, il babbo dice che ne ho sette,--rispose
Bruno.--Quando sono cattivo, dice che ne ho otto, perchè a otto anni
bisogna essere uomo.
--Tra i sette e gli otto, dunque,--rilevò Nicla sorridendo.--E perchè
sei cattivo?
--Ah!--rispose Bruno sbuffando.--Come si fa?...
E c'era in quel sospiro tanta noia, tanta impazienza, che la fanciulla
non rise....
--Non stanno mai tranquilli,--soggiunse Bruno.--Ho visto tutto il
mondo....
Nicoletta non aggiunse parola. Aveva visto tutto il mondo!
--Andiamo, signorina,--riprese Bruno.--Bisogna fare qualche cosa pel
bastimento.
--Io ti propongo questo,--disse Nicla seriamente.--Vedi la barca
laggiù? È mia. Quando il bastimento sarà più lontano ancora, noi
entreremo nella barca, io remerò, e la raggiungeremo.
--Sì: tu remerai e io con la canna lo farò tornare,--assentì Brunello
gioiosamente.--Lasciamolo andar lontano, più lontano ancora, fino ai
monti....
E guardava verso ponente le montagne che si disegnavano nere
sull'azzurro, e pareva con gli occhi valicare le vette e fissare altri
paesaggi sconfinati, altri monti, e fiumi e praterie e valli e città.
La goletta vacillava sull'onda e le vele sbattevano al vento insieme
al piccolo tricolore di poppa.
Nicla e Bruno tacevano, ma si scambiavano un'occhiata di tratto in
tratto sorridendo a vedere il bastimento che si dilungava a poco a
poco.
--Allora, non conosci neanche il mio papà?--disse Bruno
improvvisamente.--Egli sta in quella villa cinericcia, che è presso la
tua.
--Villa Florida,--indicò Nicla.
--Sì, villa Florida. E la tua come si chiama?
--Villa Carlotta. È il nome della mia mamma.
--La mia mamma si chiama Clara Dolores.
--È un bel nome,--osservò Nicla.--E la tua mamma è bella?
--Credo,--rispose Bruno.--Anche tu sei bella.
Nicla avvampò in viso.
Non aveva mai udito da anima viva simili parole, e quantunque
venissero da un fanciullo innocente, ne sentiva la molestia.
--Ora andiamo,--disse Brunello.--Conducimi a riprendere il
bastimento....
Sciolsero la barca lunga e sottile, raccolsero a prua la catena,
spinsero nell'acqua.
Bruno, salito per primo, si volse ad aiutare Nicla, porgendole la
mano; e partirono, la fanciulla remando prima a sciaroga e poi adagio
verso la goletta, e Bruno, seduto a' suoi piedi, guardando piuttosto
la nuova amica che il bastimento, raggiunto con pochi colpi di remo.
--Eccolo!--disse Nicla, inchinandosi sul bordo e stendendo il braccio.
--Lascialo,--ordinò Bruno.--Rema ancora. Andiamo più avanti!
Nicla obbedì, accelerò la cadenza dei remi.
Quando allargava le braccia e quando le ritraeva a sè coi remi per
puntar contro la pedagna, il busto eretto e la linea del corpo si
staccavano nitidi sul fondo azzurro: e dal basso in alto, Bruno la
vedeva candida nel cielo turchino.
Egli non parlava più; sembrava, coi grandi occhi neri velati, sognare.
Aveva sentito che Nicla non era come le altre; era invece come una
fata, che sempre lo avesse conosciuto ed atteso; e provava, il ribelle
a tutti i baci e a tutte le carezze, un timido desiderio di toglierle
i remi dal pugno e di ricoverarsi tra le sue braccia, per chiudere gli
occhi e reclinare la testa sul petto di lei.
Anche Nicla sognava, abbandonata alla cadenza uguale, ascoltando il
tonfo e lo sgocciolìo dei remi e il cigolare d'una forcola.
Rapiva il fanciullo sbucato dal giardino, e lo teneva perchè non
corresse più il mondo.
Tornato da paesi remoti con gli occhi foschi entro i quali mille
vicende oscure s'eran riflettute e le cuspidi dei campanili e il volo
dei colombi, era venuto a cercarla, balzandole innanzi d'un tratto,
sorridente e fiducioso.
Un'ora prima, l'uno non sapeva dell'altra; ambedue credevano la vita
più mesta che non fosse.
Nicla abbassò gli occhi a guardarlo.
Egli dondolava un poco sul fondo della barca ad ogni brivido
dell'onda, e Nicla sorrise, abbandonati i remi.
Bruno si levò in piedi, si puntellò alle ginocchia della fanciulla e
le posò due baci sulle guance; ella lo baciò in fronte e lo tenne
stretto fra le braccia.
--Vedi come siam lontani,--disse, accennando la riva e la goletta che
s'era fatta piccina sull'acqua.
Bruno, immobile tra le braccia dell'amica, con la testa appoggiata
alla guancia di lei, volse gli occhi a guardare in silenzio.
--Su!--fece Nicla, reggendolo dolcemente.--A cuccia ancora! Torniamo a
casa!
Egli s'acquattò di nuovo ai suoi piedi.
Incontrarono la goletta a metà via e la raccolsero a bordo.
--Ci vedremo ancora, signorina?--chiese Brunello a un tratto.
--Quando vorrai,--rispose Nicla.
--Io voglio sempre.
--E allora tu mi aspetterai sulla riva, io ti vedrò, e uscirò a
prenderti.
--Anche tu mi vuoi sempre?
--Quando sei savio.
--Quando ho sette anni,--riflettè Bruno.
Tacque un poco, indi riprese:
--Tu, che vuoi fare?
--Come?--domandò Nicla, che non aveva compreso.
--Io voglio guidare i cavalli e scrivere le memorie di viaggio. E tu?
--Io?--ripetè Nicla.
Stette un poco a pensare, poi rispose umilmente:
--Non so.
Bruno la guardò sorpreso.
--Non ti piace nulla?
--Molte cose mi piacciono, ma non so come averle. Mi piace essere sola
e libera. Comprendi?
--Anche senza di me?--chiese Bruno scorato.
--Tu hai la tua mamma e il tuo papà,--osservò Nicla.
--Ah!--disse Bruno, senza gioia.--E per questo non mi vuoi?
--Ti voglio. Ma sarà per poco. Il tuo babbo ti condurrà ancora
lontano.
--Chi sa?--mormorò Bruno con un accento in cui era tutto il dubbio
inconsapevole del destino.--E allora non mi dici che farai?
--Volevo essere un'artista, e me lo hanno proibito,--disse Nicla con
esitazione, quasi stesse confidandosi a un giudice.
La barca strisciò sulla sabbia e la fanciulla ritirò ì remi perchè la
prua toccasse la riva. Scesero, legarono, tiraron la prua più in alto.
--Un'artista!--ripetè Bruno, mentre lavorava a passar la catena
nell'anello ch'era sulla spiaggia.--Di quelle che cantano? Io le ho
viste a Parigi, quelle che cantano, e venivano anche a casa mia. Ma tu
non hai le unghie dipinte e l'acqua d'odore nei capelli....
--Oh, no, no, Bruno, che dici?--esclamò Nicla stupita.--Io volevo
essere una grande attrice.
--Ah, è più bello; un'attrice, che fa la commedia e la tragedia, e ti
fa ridere e ti fa piangere: so com'è; ho visto; è molto difficile, ma
a me piace.
--Sì, la commedia e la tragedia, ridere e piangere!--assentì
Nicla.--L'arte, insomma, non le unghie dipinte.
--E allora, quando cominci?
--Mai,--rispose la fanciulla.--Il mio papà e la mia mamma non
vogliono.
--E perchè? Il mio papà mi lascerà guidare i cavalli e scrivere le
memorie.
--Tu sei un piccolo uomo, che può tutto,--rispose Nicla.--Io sono una
donna che non può nulla. Mi hanno detto le ragioni per le quali una
signorina non deve essere attrice; e sono giuste.
Bruno, che s'era messo a sedere a prua e stava ascoltando con le mani
in mano, parve incredulo.
--Una signorina non deve far la commedia e la tragedia e far ridere e
piangere?--interrogò.--Allora le attrici non sono mai signorine?
--Non puoi capire!--rispose Nicla sorridendo.--Si tratta forse di
pregiudizi!: ma è così.
--Che cosa sono i pregiudizii? E allora non farai nulla?
--Nulla. Farò la signora, come le altre.--disse Nicla.--Sarò forse
contessa.
--Come la mamma?
Nicla osservò attentamente Bruno, aspettando con ingenuità il suo
giudizio.
--Ma questo,--egli seguitò,--non fa nè ridere nè piangere. Non diverte
nessuno!...
--Oh, hai ragione!--esclamò Nicla con un breve sorriso.--Non diverte
nessuno.
--Addio,--disse Bruno staccandosi dalla barca.--Più tardi, io tornerò
sulla riva, e se mi vorrai, uscirai a prendermi.
--Sì, verso le cinque; prima fa troppo caldo. Addio, Bruno!
--Addio, signorina!
--Chiamami Nicla!
--Addio, Nicla!
Stese le braccia, attirò a sè il viso della fanciulla e la baciò sugli
occhi, sull'uno e sull'altro sapientemente. Poi si mise a correre, si
volse a salutar con la mano, e scomparve oltre il cancello della villa
Florida.

IV.

Tutti i giorni si videro così e più volte il giorno, ora
allontanandosi con la barca, ora errando nel bosco di cerri e di
castagni che si stendeva e si arrampicava su pel monte a ridosso del
quale sorgevano le due ville.
L'esistenza di Nicla s'era tanto accomunata con l'esistenza di Bruno,
che la fanciulla non desiderava più d'avere ospiti per distrarsi; e
quando giungevano amici e amiche e ad essi doveva sacrificare i
convegni con Bruno, le passeggiate dal pomeriggio fino al crepuscolo,
durava fatica a dissimulare il suo malcontento.
Il bosco saliva aprendosi lungo il monte; era qua e là fitto d'ombra,
qua e là libero al sole, con larghi spiazzi, con bruschi gomiti per
dove s'ingolfava il vento, con vôlte ben conteste di fogliame e ben
riparate. Terminava su di un poggio, donde si scorgeva lontano il
lago, e sotto la valle umida, da cui fumigavano al tramonto fumi
turchini di vapori e fumi densi di casolari che indicavano il tempo
della cena.
Nelle ore più calde, Nicla e Bruno coi seggiolini pieghevoli, avevano
il loro posto prediletto su una breve prateria, che i castagni tutt'in
giro chiudevano e riparavano come grandi chiomati spiriti verdi; e
nell'ora in cui il sole andava scomparendo di là dai monti, salivano
sempre al poggio per udir le campane che annunziano da lungi il
vespero, le campane degli armenti che si radunano e tornano alla
stalla, le campane flebili che mormorano a fior d'acqua sul lago.
E osservavano di là i fiumi densi, i fiumi turchini, la verzura che
digradava giù pel versante e si faceva a poco a poco bigia e poi nera;
e ascoltavan qualche voce perduta che chiamava di tra le macchie; e
guardavan cangiarsi il color delle acque, dall'argento pieno di mobili
riflessi alle lividure dell'agata, al duro piombo senza luce.
Il lago diventava uno specchio magico, che d'ora in ora mutava, a
seconda dell'aria e del sole; una conca bianca, azzurra, aurea,
opalescente, quando tutta corsa da brividi leggeri e quando immobile
come metallo.
Tornavano tenendosi per mano.
Si baciavano sul limitare del bosco e si lasciavano per rientrare
ciascuno nella propria villa.
Nicla s'era chiesta che cosa poteva essere per quel fanciullo balzato
così rudemente e gentilmente nella sua vita.
Egli aveva la madre e il padre; aveva nonni e zii; troppa gente che
invece di farlo felice, lo rattristavano disputandoselo chi come un
balocco e chi come un gioiello. Non aveva donne intorno.
La madre, a quanto Nicla aveva capito dai racconti del fanciullo, era
un poco bizzarra e non costante nel suo affetto; ella pure incline ai
dispendii e alla vita leggera. Le altre, conosciute a Parigi e
altrove, quelle che giuocavano e si facevano calpestare da lui e se lo
conducevano a casa come un cucciolo riottoso, non erano donne agli
occhi di Nicla.
Avevan lasciato in quel piccolo cuore un torbido ricordo, ed egli le
rammentava troppo d'improvviso, per un gesto o per una parola.
Nicla più d'una volta, nella dolcezza del suo idillio, n'era rimasta
turbata sinistramente, quasi avesse visto passar nel caro bosco dei
castagni, sotto la placida luce, un faunetto lascivo.
Un giorno in cui Bruno sedeva sulle ginocchia di lei e tutti e due
leggevano un romanzo di viaggi, all'ombra dei pacifici loro alberi, il
fanciullo la fissò a lungo.
Ella sentiva quello sguardo che la percorreva tanto vicino da non
poter non rispondergli; ma teneva gli occhi sul libro e continuava a
leggere ad alta voce, chiedendosi perchè Bruno insistesse così
stranamente.
Era uno sguardo non più animato dalla devozione, ma freddo di
curiosità ambigua, crudele di dubbio e d'impertinenza. E d'un tratto
il fanciullo disse:
--Nicla!
--Ascolta, ascolta,--rispose Nicla, senza levar gli occhi, indovinando
che bisognava distrarlo.--Ascolta com'è bello, ora che trovano il
grande lago.
Bruno stese la mano aperta sul libro, perchè Nicla non leggesse più.
E disse, quasi a conchiudere un suo pensiero:
--Vuoi che ti baci dietro le orecchie?... Abbassa il capo, che ti
bacio dietro le orecchie.... E dopo, farai così....
Con le labbra modulò un lieve lungo sospiro.
--Che dici?--esclamò Nicla, gettandolo quasi dalle ginocchia a terra,
e guardandolo offesa.
Ma si trattenne; capì che non doveva chiarire alla mente del fanciullo
la sconvenienza delle sue parole.
Lo prese per mano, lo condusse sul poggio a guardare la conca del lago
in cui si riflettevano con ombre verdastre i monti.
E senza volerlo, a cuore chiuso, fu così fredda e diffidente, che
Brunello sentì d'averla allontanata; ed egli ripercorse il bosco nella
discesa, stretta la mano nella mano di Nicla e singhiozzando.
--Piangi?--gli chiese Nicla.
--Non mi vuoi più bene--egli borbottò tra le labbra raccolte in un
grosso broncio.
--Ti voglio bene ancora, ti voglio bene sempre--lo rassicurò
Nicla,--ma oggi non sei stato savio, e torniamo a casa più presto.
Egli non protestò, accettando la punizione; ma Nicla fu stupita che
non chiedesse perchè lo puniva. Il piccolo sapeva, aveva compreso.
Donde veniva il faunetto? Quale strana perfida esistenza aveva avuto
lui per testimonio?
Già la candida ignoranza dell'età era qualche volta soverchiata da
istinti obliqui, da reminiscenze stravaganti. Pareva, a udirlo
discorrere, che avesse conosciuto mille donne.
E tornava alla memoria di Nicla un delizioso quadretto del
Castiglione, veduto in una galleria d'arte a Roma. In aperta campagna,
sotto un roseo tramonto, un piccolissimo fauno s'avvicina in punta di
piedi a una ninfa che dorme, e toltone cautamente ogni velo, ne
occhieggia cupido le nudità.
Nicla guardava talora Brunello col senso di corruccio con cui aveva
guardato offesa il piccolissimo fauno.
Perchè egli le sfuggiva di tanto in tanto.
Certi giorni era insofferente d'ogni tenera carezza; o dopo avere
accolto un bacio, voleva baciare a sua volta, e baciava Nicla sulla
bocca, indugiandovisi, premendo le labbra di lei con le proprie,
sentendo ch'eran buone e fresche e che nessuno le baciava così, le
aveva mai così baciate.
Poi il fanciullo tornava, il candore velava quelle precoci
inquietudini, e in Nicla rinasceva la fiducia. Sentiva di potere
accarezzare Brunello, di potere stringerselo fra le braccia, di poter
maneggiarlo come cosa sua.
E voleva ostinatamente persuadere lui, persuadere sè stessa ch'egli
era un bambino come tutti gli altri; voleva tacitamente fargli
dimenticare ciò che aveva visto o intuito, e addormentare gli istinti,
che le altre, le giovani sconosciute e perverse, avevano forse aizzato
pel loro ozio.
Il bosco, il monte, il poggio erano lo scenario di quei piccoli
drammi; e le risa e i pianti del fanciullo e le risa e le rampogne
della giovane eran noti agli annosi alberi amici, che stormivano al
vento, che stendevano il loro fogliame al tepore del sole.
I giorni di capriccio non eran pochi nella vita di Brunello. Talora
non voleva nè leggere, nè udir leggere, non voleva correre, nè star
quieto, nè guidare il suo cavallo ch'era Nicla, nè ascoltar le favole
che lo avevano sempre dilettato.
E un giorno Nicla scattò:
--Che vuoi tu? Che vuoi tu, brutto ragazzo? che possiamo fare per te?
Andremo a prenderti il sole e la luna e tutti i pesci d'argento che
sono nel lago?
Sorrise e d'un tratto, con un'altra voce, più alta, più libera, che
pareva un'onda cullante, con una voce in cui vibrava la sua bella
giovinezza di cristallo, s'abbandonò a cantare:
Noi coglierem per te balsami arcani
Cui lacrimâr le trasformate vite,
E le perle che lunge a i duri umani
Nudre Anfitrite.
Noi coglierem per te fiori animati,
Esperti de la gioia e de l'affanno:
Ei le storie d'amor de' tempi andati
Ti ridiranno....
Bruno stava ad ascoltare, gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, con
l'anima rapita; un piacere nuovo improvvisamente arricchiva la sua
esistenza.
Non aveva mai udito recitare una lirica.
Il gesto, la voce, Nicla come uno stelo sul verde sfondo del prato; le
parole numerate e misteriose, in cui correva una trepida musica e
aleggiava il profumo d'un tempo che non era più; tutto spalancava
un'ampia finestra sopra un mondo dai colori non mai visti, dai suoni
ricchi e prodigiosi, tutto, tutto, formava una rivelazione grande.
Nicla fu a sua volta sorpresa dall'effetto che le due strofi e la sua
voce avevan destato nell'animo del fanciullo.
Ella aveva recitato per giuoco, supponendo ch'egli non sentisse la
parola sacra del poeta; ed egli era stato colto d'un subito, strappato
alla realtà, avvolto in una nube di sogni.
--Ti piace?--disse Nicla osservando lo stupore di Brunello.
--Oh sì, sì!--egli esclamò, seduto ai piedi d'un grosso tronco.
--Hai capito?--interrogò Nicla.
--Sì,--rispose Brunello superbamente.--Sì.
--È impossibile che tu abbia capito,--rilevò Nicla sorridendo.--Poi ti
spiegherò.
--Ho capito,--ripetè Bruno.--Non voglio che tu mi spieghi.
Che cosa egli avesse capito, la fanciulla non potè sapere.
Ma intuì che il piccolo aveva ragione.
Perchè spiegare? Perchè determinare l'idea, circoscriverla, farla
esatta, mentre Brunello sentiva, vedeva, viveva un suo mondo,
sterminatamente più grande di lui, nel quale egli si smarriva con
gioia, nel quale incontrava fantasmi e luci, che nessuno avrebbe
potuto indicargli se non rimpicciolendoli?
E Nicla seguitò:
Ti ridiranno il gemer de la rosa
Che di desìo su 'l tuo bel petto manca,
E gl'inni, nel tuo crin, de la fastosa
Sorella bianca.
Poi nosco ti addurrem ne le fulgenti
De l'ametista grotte e del cristallo,
Ove eterno le forme e gli elementi
Temprano un ballo.

Bruno ascoltava senza più respiro.
Nicla fece una pausa, s'avvicinò al fanciullo, e presogli il capo fra
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