La freccia nel fianco - 11

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cui ritirava esattamente il reddito di ottomila lire l'anno: e lo
avrebbe difeso a prezzo del suo sangue, perchè quella somma occorreva
ad assicurare il trattamento di suo padre nella casa di salute.
Messo il papà al sicuro, non si occupava d'altro. La famiglia Traldi
di San Pietro gli aveva fatto intendere, appena tornato a Roma, che
avrebbe avuto tutto ciò che poteva desiderare, se avesse abbracciato
la carriera ecclesiastica, aggiungendo che il suo nome e più il suo
talento precoce e straordinario gli assicuravano un avvenire
impareggiabile.
Rimasti senza risposta, gli zii Guido e Giovanni--la nonna era morta
poco dopo Francesco--gli avevano mandato il notaio Alemanni in persona
a trattare e a circuirlo; ma nel ragazzo che contava allora
diciassette anni, il notaio riconobbe il bambino che gli aveva detto:
«Tu non sai niente; porta il denaro, e non perder tempo!».
Il ragazzo lo aveva lasciato parlare e poi lo aveva garbatamente messo
alla porta; onde gli zii Guido e Giovanni avevano subito disposto
perchè il loro patrimonio andasse intero a opere di beneficenza e ad
istituti di religione, tolto un lauto reddito per il notaio fedele.
Non v'era dunque speranza; gli ultimi danari che la contessa Clara
Dolores sgretolava sotto i denti ancora bianchissimi, eran veramente
gli ultimi.
Bruno lo sapeva e rimaneva indifferente.
--Si può sapere, caro conte,--disse il professore Salapolli,--come
vanno i suoi studii?
--Lo vedi,--rispose Bruno.--Non ho trovato ancora l'_ubi consistam_.
Erano nella biblioteca, nella quale il Salapolli si teneva al riparo
dalla babele del secondo piano; e accarezzando la barbetta aguzza,
osservava Bruno, dicendosi che smagriva e impallidiva e che doveva
aver qualche nuovo demonio in cuore.
E pensava alla signora Nicoletta, alla Nicla famosa, e si stupiva,
nella sua inesperienza da topo di biblioteca, che la bella donna
esitasse ancora a far contento il bel ragazzo.
--No,--egli riprese.--Intendo parlare del suo libro, caro conte, di
quel libro, sa?...
--Eh, che vuoi? Ci penso!--rispose Bruno.--Io voglio farne un poema di
speranza e di gioia; e dalla penna non mi stilla che amaro. Già tre
volte ho cominciato, e già tre volte ho dovuto smettere.
--Questo non è degno di lei!--obiettò il Salapolli con franchezza.
--Come!--esclamò Bruno sorpreso.
--Ripeto: non è degno di lei!--insistette il Salapolli
Ostinato.--Perchè scrivere un poema con un preconcetto? perchè voler
che esso dica la gioia e la speranza?... Dica ciò che sente! La penna
stilla amaro? E lei scriva amaro! La penna stilla dolce? E lei scriva
dolce.... In ogni modo, non scriva falso...! È il grande precetto
oraziano.
--Ah, caro Pantalone!--esclamò Bruno.--Se versassi in un libro metà
del veleno che ho in cuore, avvelenerei mezzo mondo.
--E tanto peggio per il mondo!--fece il Salapolli, alzando le
spalle.--Un capolavoro vale il mondo intero.
--Su, su, vecchio matto!--disse Bruno ridendo.--Tu mi credi capace di
scrivere un capolavoro?...
Il Salapolli squadrò il suo allievo, pallido e nervoso, che sembrava
divorato da un fuoco interno.
--Eh! Chi sa?--mormorò.
Quindi, arricciando la punta della barba intorno all'indice destro,
soggiunse:
--Tutti i capolavori sono nati dalla passione; l'odio, l'ira, lo
sdegno, hanno creati i capolavori; la gioia non ha mai creato nulla!
--È ardito ciò che dici!--osservò Bruno.
--Non lo dico io: lo dice la storia di tutte le letterature.
--Talchè, la disperazione potrebbe produrre il capolavoro?
--Sovente, sovente!...
--Andiamo, pagliaccio! E il _Don Chisciotte_, e il _Decamerone_, e il
_Canzoniere_, da quale odio son nati?
--Ma il genio di tutti i genii non ha scritto l'Inferno per odio e per
vendetta, per ira e per isdegno? Ma nello Shakespeare, dall'_Otello_
all'_Amleto_, non sente il turbine di tutte le passioni? E la
disperazione non ci ha dato il _Werther_? Mediti ciò che le dice un
uomo, il quale non s'intende di nulla, fuor che di libri; se ha veleno
nel cuore, lo lasci libero; sarà fecondo!
Bruno crollò il capo ridendo e parlò d'altro.
Ma gli parve molto strano che in quei giorni anche Clara Dolores gli
tenesse parola del libro.
Ella sapeva da tempo che il figlio aveva un'inclinazione spiccata per
la letteratura e andava preparando la sua prima opera; e gliene chiese
notizie.
--Nulla di buono, nulla di pronto, cara mamma!--rispose.
--Io volevo dirti....--seguitò sua madre.
Ma guardando il figliuolo che fumava una sigaretta, seduto in un
angolo del salotto finalmente ordinato, non osò proseguire.
--Volevi dirmi? Hai paura di dir qualche cosa a tuo figlio?--interrogò
Bruno.
--Ho paura di farti dispiacere....
--Coraggio, mamma!--fece il giovane ridendo.
--Ebbene, volevo dirti che disapprovo le tue intenzioni, che se
potessi, contrasterei il tuo desiderio di darti alla letteratura.
--Davvero, mamma?...
Egli fece quella esclamazione con accento di meraviglia sincera; e
interrogava attonito il volto di sua madre. La prima opposizione alle
sue più dilette cure gli veniva da una madre, la quale non s'era mai
altrimenti occupata di lui.
--Sì,--riprese la contessa.--Io avrei voluto che tu ti dessi al
commercio o all'industria, che tu entrassi, per esempio, in una
Banca....
--Ma è impossibile, cara mamma!--esclamò Bruno.--La mia coltura non è
fatta per ciò; la conoscenza del latino e dei classici è assolutamente
inutile per le Banche. Non è che io tenga in poco conto il commercio e
l'industria; si è che son nato ad altro, e son preparato per altro.
--Giovane come sei e col tuo ingegno, in breve tempo ti faresti la
coltura necessaria per una professione più pratica!--ribattè la
contessa.
--T'inganni. Non avendo alcuna passione per il commercio, non vi
apporterei nulla,--rispose Bruno.--E resterei sempre tra gli ultimi.
La contessa tacque un istante, quasi cercasse argomentazioni più
decise.
--Si è che,--ripigliò quindi,--si è che la letteratura non ti darà
altro che fumo. Tu hai bisogno d'una posizione indipendente, e i poemi
e i romanzi e tutte le forme di letteratura non riusciranno a fartela.
Se non avrai danaro tuo, stenterai la vita. Un poema, oggi, non si
paga nemmeno: un romanzo si paga poco, e può costarti un anno, due,
tre, di lavoro e di fatica. Hai scelto una carriera alla quale
occorrono non soltanto qualità d'ingegno, ma qualità di carattere che
s'avvicinano a quelle d'un apostolo o d'un martire....
--Mamma,--interruppe tranquillamente Bruno,--queste idee non sono tue.
--Lo confesso,--rispose Clara Dolores.--Non ho sufficiente esperienza
della vita letteraria per giudicarla con sicurezza. Sono idee degli
amici coi quali ho parlato di te e ai quali ho chiesto qualche
consiglio....
Bruno si levò d'un balzo.
--Duccio Massenti!--esclamò.
La contessa non rispose.
--Duccio Massenti!--ripetè Bruno.--È lui che ti consiglia a contrastar
la mia strada e a spingermi verso una Banca, presso la quale sarei e
resterei l'ultimo degli impiegati?
Si fermò innanzi alla contessa che stava seduta in una larga poltrona,
l'oro del cui arco superiore si confondeva con l'oro della chioma. La
signora volgeva a suo figlio uno sguardo di muto stupore.
--Vedo che non capisci,--disse Bruno,--ed è naturale. Io non ti ho mai
detto che Duccio Massenti lo conosco da dodici anni e lo rammento
benissimo. Era sul lago lo stesso giorno e la stessa ora in cui tu sei
venuta a trovarmi; è ripartito per Sonnenberg, dove tu villeggiavi,
ventiquattr'ore dopo la tua partenza. A Sonnenberg tu eri con lui.
La contessa fece un gesto, ma Bruno proseguì subito:
--Tutto ciò non mi riguarda, sono io il primo a riconoscerlo. Non alzo
gli occhi su mia madre, della quale devo avere ed ho il più vivo
rispetto. Tutto ciò non mi riguarda!
Si fermò un poco, con la sigaretta che fumava tra l'indice e il medio
della destra.
--Tornato qui,--riprese,--ho incontrato di nuovo Duccio Massenti come
amico di casa e consigliere. Sta bene. Egli non ha detto nulla ed io
non ho detto nulla della nostra antica conoscenza e di una gita in
barca, durante la quale io, fanciullo innocente, ho scoperta la trama
ch'egli andava tessendo.
S'interruppe ancora; quindi con voce secca e metallica, una voce
diversa da quella con cui parlava abitualmente a sua madre, seguitò:
--Ma occorre che tu lo avverta di star quatto e di non dare consigli
sopra un argomento così geloso come è la mia carriera. Bisogna ch'egli
non si occupi assolutamente di me, se vuole che io non mi occupi
assolutamente di lui. Tu capisci, mamma, che si tratta d'una vera
necessità. Può consigliare chiunque sopra qualunque cosa, non me sopra
la letteratura o il commercio. Mi ha già fatto male. Non me ne faccia
altro!
Ripetè con la voce stridente e un lampo negli occhi:
--Non me ne faccia altro!...
--Io non sapevo nulla di tutto questo!--mormorò la contessa.
Bruno si piegò, le baciò la destra, e con voce carezzevole soggiunse:
--Hai ragione, povera mamma; tu non sapevi nulla, e ti chiedo scusa
d'aver parlato con qualche vivacità. Ma Duccio Massenti sa tutto, e
deve guardarsi.
Dopo quel colloquio, Clara Dolores non parlò più a suo figlio di
letteratura; ma Bruno s'accorse che Duccio Massenti era scomparso. A
qualunque ora egli salisse da sua madre, a tutti i ricevimenti, a
tutti i pranzi, a tutte le gite di piacere, non gli avveniva mai
d'incontrar Duccio Massenti.
Bruno pensò che sua madre lo avesse messo alla porta, dopo una
spiegazione; e non era lontano dal vero.
L'accenno alla conoscenza di dodici anni prima e alla gita in barca
avevan posto la contessa sopra una traccia; e non le era stato
difficile andar fino al fondo. Duccio Massenti era stato il suo primo
fallo, ed egli lo sapeva; e sapendolo contava d'abbandonarla alla
lesta per contrarre un ricco matrimonio. La contessa pensava
mortificata che la signorina Dossena doveva aver capito tutto, e che
in quell'episodio singolare stava la ragione misteriosa per la quale
il matrimonio con Duccio Massenti era sfumato, e poco tempo di poi la
signorina sposava Gigi Barbano, contro l'aspettazione di tutti.
Il cinismo di Duccio, l'offesa fatta a lei e a Nicoletta, le parvero
mostruosi; e chiamato in fretta Duccio Massenti dopo il colloquio con
Bruno, e strettolo di brevi domande sicure, lo aveva cacciato di casa,
in un impeto di furia irrefrenabile.


XXII.

Brunello Traldi era tornato savio.
Lo diceva egli stesso qualche volta con espressione infantile:
--Vedi come sono savio?
E Nicla gli sorrideva per gratitudine, certa che nessun pericolo li
minacciava or mai più.
Il tempo s'era fatto bello; v'eran giornate in cui entrava dalle
finestre un soffio di primavera precoce, e dal palazzo Barbano si
vedeva il lungo tratto fra via Santa Margherita, piazza della Scala,
via Manzoni, tutto scintillante di sole, tutto brulicante di folla; il
rumore saliva infaticato a dir che la festosa vita primaverile non era
lontana e che la gente fluiva per le strade a godersi il sole e la
fresca aria. Si parlava d'anticipar la partenza per la campagna e già
al sabato impiegati e commessi e lavoratori correvano a far gite,
lasciando quasi deserta la città.
Brunello Traldi era savio.
Non chiedeva più di baciar la bocca della sua amica e non era nervoso.
Aveva fatto appello alla forza di volontà della quale si vantava, ed
era giunto a far tacere le inquietudini del senso. Non provava, come
aveva pel primo temuto egli stesso, alcuna gelosia di Gigi; era
fraterno con lui. Non si appartava selvaticamente, e sosteneva con gli
amici e le amiche di casa Barbano le conversazioni leggere, spesso
fatue, che interessano le persone oziose.
Usciva a passeggio, non sovente per non esser troppo notato, ma
qualche volta, con Nicla, e andava con lei ai giardini che
rinverdivano e di volta in volta si facevano più ricchi di fronde.
Gigi Barbano lo aveva invitato già a passar qualche tempo in campagna,
sulla riva del lago, non appena egli e Nicoletta vi si fossero recati;
e Bruno aveva ringraziato senza promettere.
--Perchè?--gli aveva chiesto Nicla.--Perchè non hai detto subito di
sì?
Egli non sapeva; aveva obbedito a una oscura voce.
--Che vuoi?--confessò infine.--Riveder quei luoghi che mi sono tanto
cari, dove sono stato felice con te e col mio papà.... Che vuoi? Ho
paura!...
Nicla non aveva insistito.
--Eppure sarebbe molto bello!--disse soltanto.--Si tornerebbe
fanciulli!
Bruno scosse il capo con espressione di dubbio.
Il ragazzo di vent'anni aveva dato a pensare a qualcuna fra le amiche
di Nicla; le più maligne supponevano senz'altro ch'egli fosse l'amante
della giovane, e parlavan di quel povero Gigi Barbano con un lieve
senso ironico; le più accese guardavano Bruno e si sforzavano a farsi
corteggiare.
Sveltissima tra queste era una signora sui ventiquattro anni, bella
d'una bellezza sensuale, i cui occhi velati potevan dire le parole che
la bocca taceva.
Si chiamava Claudia Viviani; e avendo più volte incontralo Bruno
presso Nicla, n'era rimasta assai piacevolmente impressionata.
Accortosi ch'ella si faceva leziosa con lui e desiderava essere
sedotta, Bruno ne aveva riso; e pungendola e irritandola, l'aveva
aizzata ancor meglio.
--Lasciala stare!--gli aveva detto Nicla.--Finirà con l'odiarti!
Ma Nicla non esprimeva tutto il suo pensiero; stranamente sentiva che
l'incessante schermaglia tra Claudia e Bruno, una di quelle
schermaglie che il più spesso buttano gli schermitori l'una nelle
braccia dell'altro, la torturava come un'acuta e feroce tortura.
Non sapeva dirsene la ragione; eppure quando vedeva Claudia col volto
a un dito dal volto di Bruno, e vedeva quegli occhi velarsi e
promettere, Nicla domava a fatica l'impeto di gettarsi tra il giovane
e la signora e di cacciar la signora come l'avesse sorpresa a rubarle
qualche cosa che le apparteneva.
Claudia, invelenita dalla mordente indifferenza di Bruno, s'era fatta
ardita.
--Vi piace il mio nome?--gli chiese un giorno.
--No!--rispose Bruno.
--Come, non vi piace? Eppure è pagano, è classico!...
--Senza dubbio!--esclamò Bruno ridendo.--Ma Claudio in latino
significa zoppicante....
La signora si morse le labbra.
--Non siete gentile!--disse.
--Io non sono mai gentile!--rispose Bruno.
E tuttavia quello stesso giorno, durante quella stessa visita, Claudia
trovò maniera di dirgli spiccicatamente, alla presenza di Nicla, che
tutti i giovedì era sola, dalle tre alle sette.
Non appena ella se ne fu andata, Nicla balzò in piedi, e fece alcuni
passi, come smarrita.
--Ebbene,--chiese Bruno attonito,--che cosa avviene, Nicla?
La giovane gli si volse.
--No, è troppo!--esclamò.--È troppo!... Tu non andrai da quella
sfrontata?
--E quando dovrei andare?
--Non hai udito? Giovedì, dalle tre alle sette!... È troppo!... Quella
donna perde la testa!...
--Lo ha detto per me?--domandò Bruno con indifferenza.--Non le ho
badato....
--Sì? Non le hai badato?--fece Nicla, muovendo un passo per accarezzar
Bruno, e trattenendosi subito.--Allora non andrai?
--Certamente che no!
--Non ho bisogno di fartelo giurare?--insistette Nicla.
Bruno sorrise.
--Tu m'hai insegnato, quand'ero piccino, che del giuramento non si
deve abusare, e che la parola basta!...
--È vero: ma giuramelo!
--Te lo giuro!--affermò Bruno.
Poi guardando la sua bella amica pallida, che s'era lasciata andare in
una poltrona, soggiunse:
--Ma come sei agitata!...
--Sì, è vero!--confessò Nicla.--Quella cattiva donna mi ha messo
l'inferno, il fuoco, nel cuore. Non ho mai sofferto tanto....
E per spiegare a sè e a Bruno l'agitazione che la faceva tremare,
seguitò:
--È lo spettacolo della sua sfacciataggine, del suo ardire, che mi fa
male. Non sapevo che una donna, una donna rispettabile, può aver tanta
impudicizia. E ciò mi sconvolge.
--Senza dubbio!--confermò Bruno.--Io lo sapevo, e sono tranquillo.
Tacquero un istante. Bruno vedeva che Nicla combatteva una battaglia
con sè stessa, e voleva e non voleva, ed era inquieta. Alfine ella si
decise, e chinando il capo a guardarsi la punta delle scarpette,
disse:
--Bruno!
--Che c'è?
Nicla tacque di nuovo. Bruno rise.
--Devi dirmi una cosa difficile!--osservò.
--Sì,--confessò Nicla.--Aiutami!
--Come posso aiutarti?
--Hai ragione: non sai..... Volevo chiederti....
Esitò ancora; poi, con uno sforzo supremo, abbrancandosi ai bracciuoli
della poltrona, osò:
--Volevo chiederti se hai avute molte amanti?
--Molte?--ripetè Bruno sorridendo.--A vent'anni?
--Ma qualcuna sì?
--Qualcuna sì!--confermò Bruno.
--E ora? Quante ne hai?
Bruno scosse il capo.
--Non ne ho!--disse con franchezza.
E sbigottito vide che il volto di Nicla s'irradiava d'una gioia, d'una
felicità così palesi, così grandi, che davano ai suoi occhi una luce
sfavillante. Volle provar meglio, dubitando ancora; e con finta aria
d'indifferenza soggiunse:
--Ma prenderò ora quella stupida tua amica, la Viviani, perchè ciò le
fa piacere!...
Nicla mandò un grido soffocato.
--No!--disse.--Te ne supplico. Amore mio, te ne supplico!... Vuoi che
mi getti ai tuoi piedi, per supplicarti di più? Amore mio, non farmi
morire!... Tu, nelle braccia d'un'altra donna, che ti bacia e ti
accarezza?...
Istintivamente e lentamente s'era drizzata.
Poi ricadde di schianto e si passò le mani sul volto come trasognata.
--No. Che cosa ti dico? Che cosa ti ho detto?--mormorò.--Non mi
badare; prendi tutte le donne che vuoi, tutte le donne che ti
piacciono. È il tuo diritto. Ciò non mi riguarda.
Bruno le accarezzò le mani con dolcezza.
--Non sei tu la mia amante?--disse.--Tu sai che io non amo e non
desidero che te. Ma noi non possiamo ingannare. E non avrò altre
donne. Te lo prometto, Nicla. Te lo giuro!
Ella levò gli occhi umidi a guardarlo con speranza.
Lo vide diritto come uno stelo, così elastico che pareva pronto a
scattare in corsa. La fronte era senza rughe, la bocca ancor fresca e
rosea come d'una fanciulla; una pelurie lieve adombrava appena il
labbro superiore, e gli occhi splendevano nel carnato olivastro. Era
la giovinezza medesima, sciolta e possente, assetata d'amore.
--Oh, tenerezza mia!--esclamò Nicla con un grido d'angoscia
cocente.--Bambino mio, è assurdo ciò che tu mi giuri!
Poi, non appena egli volse le spalle per uscire, la giovane si
rannicchiò nella poltrona.
Spasimava per quella freccia, di cui doveva portare il peso e il segno
nel fianco tutta la vita.

XXIII.
In principio di quella estate, Bruno andò a Parigi a trovare suo
padre.
Vi andava ogni anno, almeno un paio di volte: e per l'effetto, quelle
visite eran più inutili, e per l'impressione più disperate che la
visita a una tomba.
Bruno ne tornava sempre col cuore affranto.
Suo padre, ch'egli amava con tenerezza infinita, non lo guardava; o lo
guardava ora con occhio stupido, ora con occhio torbido. La bocca che
tanto aveva riso e sorriso, che aveva saputo dir frasi di sottile
arguzia e amabili parole, era aperta a un ringhio di minaccia o a un
riso ebete. L'affascinante conte Fabiano, il quale aveva attraversato
mezza Europa in un'affannosa ricerca del piacere, seminando il denaro
e facendo tutti allegri quelli che lo avvicinavano, perchè gli era
intollerabile vedersi intorno visi scorati o smorfie d'angustia, non
era più se non una rovina. Il volto solcato da rughe mordenti, i
capelli bianchi, la barba bianca scomposta, la schiena curva innanzi
tempo, davan l'imagine della decrepitezza; le mani stesse eran secche
e gonfie di grosse vene; e i denti eran caduti tutti.
Bruno lo chiamava, gli si metteva innanzi, lo accarezzava, cercava
rammentargli nomi e cose d'un giorno; la mamma, Villa Florida, il
vecchio Elia Polacco, la sua amica Paulette Demours, Parigi, lo zio
Francesco, Nicla, Salapolli detto Salafame. Invano: era come gridar
dentro un pozzo senza eco.
Non rispondeva nemmeno al suo nome; si lasciava scuotere, e rimaneva
insensibile.
Nulla era più spaventevole di quello sguardo aperto sul vuoto, di
quello sguardo che non vedeva.
Dopo lunghi sforzi, con lagrime silenziose che gli rigavano il volto,
Brunello si ritraeva, senza chiedere notizie ai medici. Ciò che aveva
visto diceva meglio di qualsiasi parola ciò che si poteva attendere.
Da Parigi scrisse a Nicla una lunga lettera di dolore.
Nicla, ch'era già in villa, rispose una lunga lettera di passione.
Supplicava Bruno d'andare in campagna, direttamente al ritorno da
Parigi; avrebbe riposato là, avrebbe trovato memorie care; tutti
sarebbero stati felici di rivederlo, anche il vecchio buon vetturale.
Bruno tornò da Parigi, ma tornò a casa sua.
Un sordo inesplicabile presentimento lo teneva lontano dalla campagna
e da Nicla, sebbene desiderasse, anzi forse perchè desiderava
appassionatamente l'una e l'altra.
Ormai egli a Nicla e Nicla a lui s'eran confessati: si amavano.
E dover vivere sotto il medesimo tetto, passare la notte in camere
forse vicine, essere martoriati di continuo dal desiderio ed eccitati
senza posa da incantevoli ricordi, gli pareva supplizio da fiaccar le
forze del più tenace lottatore.
Nicla nella sua inesperienza poteva illudersi; egli non s'illudeva
affatto.
E perchè cercare volontariamente e deliberatamente un martirio
inutile? Perchè sfidare il pericolo?
Talora si diceva che non era umano lottar con sì ostinata costanza;
meglio valeva lasciarsi travolgere dalla passione, correre da Nicla,
suggellarle la bocca con la bocca, perdersi per sempre in un delirio
senza nome e senza fine.
Egli non aveva mai conosciuto la felicità; la felicità era Nicla, che
pareva gelida e ardeva; la felicità era Nicla, così sua, così legata a
lui con tutte le più dolorose fibre dell'anima, che ella gli avrebbe
dato amore e vita e passione, in un grande inenarrabile empito di
gioia. Meglio era amarsi per un'ora sola, suprema, e poi morire.
Ma quando pensava in tal modo, e il sangue gli martellava nei polsi
col furore dissennato dei suoi vent'anni, gli si faceva tosto innanzi
l'imagine di Gigi Barbano.
Gigi Barbano gli aveva gettato le braccia al collo e gli aveva detto:
«Tu sei un fratello, e ti accolgo come un fratello!». E a Nicla aveva
detto: «Mi fido!».
Nè mai per un solo istante, per un solo attimo, aveva mentito alla sua
parola. Nulla gli era più caro che aver Brunello alla sua mensa; nulla
gli era più caro che parlar con Brunello; spesse volte gli aveva detto
parole di conforto, animandolo a lavorare, a dar prova di volontà e
d'energia; con tatto squisito chiedeva sovente notizie di suo padre; e
rievocava il passato di Brunello e la vita sul lago e i giuochi e le
corse nel bosco con Nicla.
Non era possibile ingannare un tale uomo. Nicla aveva ragione. Valeva
meglio morire.
Gigi Barbano aveva ricevuto parecchie lettere anonime; Nicla lo aveva
capito dall'insistenza di certune col francobollo di città e con
calligrafia alterata, che per maggior sicurezza erano indirizzate a
casa invece che allo stabilimento. Lo insultavano? Lo aizzavano? Lo
beffavano? Venivano da donne o invidiose di Nicla o desiderose di
strappar Bruno al fascino di lei e di impossessarsene.
Gigi aveva avuta la forza magnifica di non curarsene. Non gli
importava nulla della opinione pubblica, nè di parer ciò che non era:
sapeva di non essere. E non domandava nemmeno se e quando e quanto era
stato Brunello. Aveva detto «Mi fido». Si fidava. Aveva detto «Sei un
fratello». Era un fratello. Meglio morire che ingannare un tale uomo!
Per tutto questo, Brunello era tornato direttamente a Milano.
Quantunque l'estate affocasse le strade e le case della città, Clara
Dolores v'era ancora.
Stava scegliendo la sua campagna e aveva fatto più disegni: la
Svizzera o il Cadore, un viaggio al nord o una crociera nei mari
d'Oriente. I bauli eran chiusi da tempo; ma avendo bisogno ora d'un
abito, ora d'un paio di guanti, li faceva aprire, gettava tutto
all'aria, e lasciava che la cameriera si rimettesse a ordinarli, fin
che l'indomani non fosse venuta di nuovo la necessità d'aprirli e di
scompigliarli.
--Sono una scervellata, non è vero?--diceva a Maritza la governante.
--La signora contessa è padrona!--rispondeva Maritza.
Ella era secca a guisa d'uno stoccafisso, e più indifferente che una
orientale fatalista; non diceva che la contessa non fosse una
scervellata; soltanto, essendo padrona, poteva essere scervellata a
piacer suo, e nessuno aveva diritto a contrastarla.
Clara Dolores aveva trovato a Milano ancora un manipolo di signore e
di signori che vi si trattenevano per gli esami dei figliuoli o per
ragioni d'affari; e con quelli si divertiva a fare scampagnate nei
dintorni e a inventare ogni giorno un pretesto urgente per muoversi e
muovere con lei tutta la brigata. Bruno le aveva consigliato di
prendere una automobile.
Ella respingeva il consiglio con orrore.
--Nulla di più borghese e di più ridicolo che un'automobile!
--Ma,--osservò Bruno,--quando si fanno come te gite di venti e trenta
chilometri, l'automobile è comoda.
--Una pariglia è ugualmente comoda!--ribattè la contessa.
--Bisognerebbe domandarlo ai cavalli! Tu li ammazzi!
--Domattina andiamo a far colazione fuori!--disse Clara Dolores per
tutta risposta.--Verrai anche tu?
--Verrò,--promise Bruno.
E l'indomani mattina, nel cortile di via Meravigli, tre carrozze
aspettavano; il paniere di vimini della contessa con due sauri
poderosi, e due vetture scoperte con pariglie di bai.
Tutta una comitiva di dodici persone scendeva per le scale, uomini e
donne con abiti chiari, chiacchierando e ridendo; i domestici
seguivano con le ceste perchè la colazione si faceva all'aria aperta,
in piena campagna.
Bruno che precedeva, scorse nel vestibolo un signore, il quale parlava
col portiere; e questi a capo scoperto gli dava indicazioni. Era Gigi
Barbano.
--Gigi!--esclamò Bruno, correndogli incontro gioiosamente.--Cerchi di
me?
--Sì,--rispose Gigi, stringendo la mano al giovane.--Mi dispiace di
giungere in momento così inopportuno!
--Che, che! Rinunzio subito alla gita; farò colazione con te. Vieni,
che ti presento a mia madre.
La contessa stava nel mezzo d'un crocchio e assegnava i posti, con una
certa abile malizia perchè tutti si trovassero appaiati
opportunamente; e faceva i nomi delle coppie, che si presentavano,
salutavano e sorridevano.
--Che intelligenza!--borbottò un giovane vestito di bianco.--Come ha
fatto a comprendere che io non posso vedere la contessa Sbrùgola e
l'ha ficcata nell'altra carrozza?
--Mamma!--chiamò Bruno.
--Caro?--disse Clara Dolores, allontanandosi un istante dai suoi
ospiti.
--Permettimi di presentarti il mio amico Gigi Barbano.
--Oh, ne ho molto piacere!--esclamò la contessa, stendendo a Gigi la
destra, ch'egli baciò.--Io ho conosciuto la sua signora quand'era
signorina Dossena; e non l'ho più dimenticata, tanto era bella e
gentile....
--La ringrazio!--disse Gigi inchinandosi.
--Oggi deve essere un fiore!--seguitò la contessa.--La rivedrei
volontieri.
--Ma Nicoletta sarà felice di venire a presentarle i suoi
ossequi,--rispose Gigi,--non appena sarà di ritorno dalla campagna.
--Lei mi permette, non è vero?--soggiunse la contessa, indicando con
gli occhi i suoi ospiti.
--Vada, vada, contessa!--esclamò Gigi, inchinandosi e baciandole di
nuovo la destra.--La prego!
--Mamma, io rimango!--annunziò Bruno.
--Naturalmente!--rispose Clara Dolores.
Gigi la vide allontanarsi, rientrar nel crocchio, dare ordini ai
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