La freccia nel fianco - 10

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sempre mia sorella?
--Ah!--fece il Salapolli, negligentemente.
--Già, tu, vecchia cartapecora, non capisci nulla di queste cose!
--È arrivata molta posta per lei!--ripetè il Salapolli.
--Vediamo.
Sedettero a una lunga tavola, nera come le scansie che chiudevano i
libri. La tavola occupava il mezzo della sala, in cui pioveva la luce
da due grandi finestre e da una tettoia di vetro.
Con un sottil tagliacarte che somigliava a un pugnale, Bruno tagliava
rapidamente un lato delle buste, apriva, leggeva, guardando innanzi
tutto la firma.
--Oh!--disse a un tratto.--Armanda! È Armanda che mi scrive.
--Armanda Jeoffroy,--ripetè il Salapolli.--Credo che volesse molto
bene al signor conte....
--Sì, poveretta, ed io era molto cattivo con lei....
Lesse attentamente, poi tornò a leggere; infine disse al Salapolli:
--Bisogna mandarle cinquecento lire.
--La signorina chiede cinquecento lire?
--No, non chiede nulla. Ma ha bisogno. Figurati che Etienne,
l'ufficiale d'artiglieria col quale viveva, si è bruciato le cervella;
e la ragazza è sul lastrico....
--Basteranno cento lire,--osservò il Salapolli.
--No. Bisogna mandargliene cinquecento!--ordinò Bruno.--Perchè queste
miserie con una donna?
--Ma caro conte....--insistette il Salapolli.
--Eh, lo so!--interruppe Bruno con un sorriso.--Se tutti i suoi amanti
le mandassero cento lire, diventerebbe milionaria!... Ma nessuno le
manderà nulla. E in ogni modo ciò non mi riguarda.
--Io non volevo dire niente di tutto questo,--fece il Salapolli
ostinato.--Volevo dire che bisogna andar piano coi biglietti da
cinquecento lire. La signora contessa....
--Sì, la signora contessa spende molto, getta i denari dalla finestra,
se li fa mangiar da tutti.... Me lo hai fatto comprendere mille volte,
caro Pantalone.... Ma oggi, proprio oggi che sono felice e ho
ritrovato la mia Nicla, proprio oggi vuoi ch'io lesini con una donna
che mi ha amato? Non hai vergogna, vecchio esoso?... Dunque,
cinquecento lire a Armanda, e subito!
Il Salapolli scosse il capo, disapprovando.
--Sua Signoria sarà servita!
Bruno si mise a ridere; fissò il vecchio, che masticava la punta della
barba; e seguitò:
--Ti ricordi che cosa diceva il povero papà? «Quando non ce ne sono
più, ce ne sono ancora!». Ebbene, io son dell'opinione del papà!...
Il Salapolli continuava a scuotere il capo.
--Insomma, tu mi annoi!--dichiarò Bruno.--Tu vivi da anni in un grande
errore!...
--Io?--esclamò il Salapolli.
--Tu sei sempre vissuto nell'errore di credere che io abbia mai
contato e che conti sopra il mio patrimonio. È qui dove si vede che tu
sei uno sciocco. Neppure un centesimo di quel danaro si troverà fra
qualche anno, ne sono sicuro; sarà tutto sperperato; ha cominciato il
papà; finirà la mamma. E a me non ne importa nulla!
Il Salapolli lanciò un'occhiata interrogativa al suo giovane amico.
--Nulla!--ripetè questi.
Stese la mano destra sulla tavola, ne mostrò il palmo al vecchio.
--Vedi?--seguitò.--Qui dentro c'è tutto! Volontà, energia, forza,
potenza di miracoli; e ci sarà un giorno anche il danaro, e ci sarà un
giorno anche la gloria; tutto è chiuso qui dentro! Non sono uomo che
viva del patrimonio comodo. Ho piacere, anzi, che al momento in cui
balzerò nella vita per combattere, quel danaro sia sfumato; altrimenti
direbbero che la mia vittoria è stata troppo facile, perchè non ho
patito la fame e il freddo.
Guardò ancora la mano, e ripetè:
--Tutto è qui dentro, chiuso!
Ma alzando lo sguardo, vide che gli occhi del Salapolli s'erano
inumiditi per una commossa ammirazione.
--Se piangi,--gli disse ridendo,--ti getto tutte le buste sulla
faccia!...
--Vuole,--mormorò il Salapolli,--che alla signorina Armanda spediamo
mille lire?...
Bruno diede in una risata.
--No,--disse,--non esageriamo. Tanto più che di danaro Armanda me ne
chiederà presto dell'altro!
Salapolli voleva domandargli qualche nuova d'un libro che Bruno aveva
pensato di scrivere; meglio che un romanzo, un breve poema in prosa,
agile e lieto, del quale gli aveva parlato sovente a Roma: e doveva
intitolarsi «Gli anelli del Serpente».
Ma Bruno stava leggendo la sua corrispondenza; o, a dir vero, con gli
occhi fissi sulla prima pagina d'una lettera, galoppava col pensiero
per campi sterminati e vaghi; e il Salapolli seguiva in silenzio le
fantasie del suo alunno, che non lo vedeva e forse non lo sapeva
nemmeno presente.
Alzatosi di scatto, il giovane cominciò a passeggiar per la biblioteca
intorno alla tavola rettangolare, a capo basso, con le mani nelle
tasche dei calzoni.
Poi subitamente proruppe:
--Com'è bella! Com'è ancora lei, fresca, giovane, pura!...
--Ho capito!--pensò il Salapolli.--Si tratta della sorella!
E borbottò tra i denti:
--Povero signor Barbano!


XIX.

Nicla voleva annunziare quella sera medesima a suo marito l'incontro
con Brunello; ma esitava.
Gigi Barbano era rientrato stanco; dopo avere sbrigato una copiosa e
intricata corrispondenza, aveva dovuto sul tardi ricevere il
viaggiatore che tornava da un lungo giro all'estero, ne aveva
ascoltato il resoconto, ne aveva verificato gli acquisti, aveva dovuto
posticipar l'ora del pranzo, ciò che gli dispiaceva sempre.
Ma Nicla, pur vedendo che il marito non era allegro come di solito,
comprese che bisognava parlargli, o il suo silenzio sarebbe parso
troppo singolare.
Dopo pranzo, mentre nel salotto di Nicla egli centellava il caffè, la
giovane gli disse:
--Gigi....
--Che è, cara?
Gigi Barbano aveva di ben poco mutato; il suo colorito rosso bruno gli
dava sempre una espressione giovanile, e a mala pena si sarebbero
scoperti nei lunghi mustacchi e nei capelli alcuni fili d'argento. Il
lavoro costante, gli esercizii fisici, e ancor più l'ordine e la
semplicità della vita, lo avevano fatto forte; e a quarantadue anni
era svelto ed alacre come a trenta.
--Tu non indovini,--disse Nicla.--Non indovini chi ho incontrato io
oggi e condotto a casa....
--Ahimè,--rispose Gigi.--Ho così poca voglia d'indovinare!... Una
persona che conosco?
--Certo: come potresti indovinare, se non la conoscessi?
E Nicla sedette sul largo bracciuolo della poltrona in cui stava Gigi.
--Con la quale parlo spesso?--continuò questi.
--Con la quale non hai mai parlato, ma ho parlato io, molto!...
Gigi sorrideva; la vicinanza di Nicoletta, che egli amava come ai
primi tempi, gli aveva ridato il buonumore e la voglia di scherzare:
passò un braccio intorno al busto della giovane, e per punzecchiarla,
rispose:
--Con la quale hai parlato molto?... Duccio Massenti...!
Duccio Massenti era diventato una specie di fantoccio, che l'uno e
l'altra agitavano in aria di tanto in tanto....
Gigi diceva qualche volta: «Tu non mi ami; tu ami il conte Duccio!». E
Nicla diceva qualche volta: «Allora andrò a trovare Duccio!».
Ma quella sera, Nicla alzò le spalle.
--Duccio! Duccio!... Che meschina fantasia tu hai? Non sai trovare di
meglio?
--Meglio di Duccio mi pare impossibile!--osservò Gigi ridendo.
--Non indovini: non ti riuscirà d'indovinare; allora ti dico io?
--Dimmi tu!
Nicla prese tempo: quindi annunziò:
--Brunello!...
--Che?--esclamò Gigi con uno scatto.--Brunello? Hai ritrovato
Brunello?
--Ma sì, ma sì, ma sì!--disse Nicla gioiosa.
E in brevi parole raccontò al marito il ghiribizzo di prendere il tè,
sola, e l'incontro e la visita del giovane.
--È cascato dalle nuvole!--osservò Gigi.--Chi pensava a Brunello?... E
come è?
--Sempre il medesimo,--disse Nicla ingenuamente.
--Ah no, protesto! Gli anni saranno passati anche per lui!--ribattè
Gigi scherzando.--Non lo avrai trovato col bastimentino sotto il
braccio e le gambette nude!
Nicla rise.
--A me pare di sì! Mi pare d'averlo trovato ancora come quel
giorno!--disse.--E l'ho chiamato bambino.
--Si sarà offeso?
--No, niente. Non si offende mai, Brunello, quando gli parlo io. Ed
egli mi chiama ancora Nicla....
--E ti dà ancora del tu?--disse Gigi.
Il viso di Nicla si fece di bragia; ella abbassò gli occhi, quasi
colta in fallo, e disse:
--Sì.
Gigi Barbano stette silenzioso un poco; quindi domandò:
--Quanti anni ha?
--Venti!--dichiarò Nicla
--Come passa il tempo! come vola!--osservò Gigi.--Mi pare ieri che ti
ho dato del tu la prima volta.
Soggiunse quasi parlando con sè stesso:
--Credevo che sarei stato il solo.... Nicla si morse le labbra: la
stoccata arrivava dritta.
--L'ho pregato,--disse poi,--di cambiar tono. So che mi considera una
sorella, ma non si può.
--E verrà spesso a trovarti?--domandò Gigi.
--Se tu lo permetti....--mormorò Nicla.
Il marito non rispose: Nicla si sentì stringere il cuore, e scrutò il
volto dell'uomo che guardava innanzi a sè, riflettendo.
--Ti dispiace?--ella chiese.
Gigi volse il capo; prese l'una mano e l'altra della giovane, le tenne
strette nelle sue; poi, fissandola negli occhi, quasi avesse voluto
giungere fino all'imo della sua anima, rispose:
--Mi fido!...
Il seno di Nicla si sollevò con un respiro profondo.
Ella sapeva che cosa volevan dire quelle parole; suo marito le aveva
pronunziate un'altra volta, quando un nugolo di giovani e vecchi
corteggiatori, di abili damerini e bellimbusti le si era stretto
intorno, assediandola tenacemente. Gigi non l'aveva sorvegliata; non
aveva dubitato un istante di lei; l'aveva lasciata alla sua coscienza
e alla sua rettitudine. Era libera; non doveva render conto alcuno di
ciò che faceva. Suo marito aveva una troppo alta idea di lei per
chiederle ragione della sua condotta. La guardava negli occhi, e gli
occhi rispondevano sereni e calmi.
Nicla ebbe quel sorriso di gratitudine contenta, che Gigi comprendeva.
--Ha chiesto d'esserti presentato, e verrà domani sera,--soggiunse la
giovane.
--Oh, bene!--esclamò Gigi.--Domani sera conosceremo il bambino di
vent'anni.... Sia detto tra di noi: io penso che quel tuo bambino ne
abbia già fatte di tutti i colori....
--È molto infelice!--ribattè Nicla.
--Lo credo; ma se è figlio di suo padre....
Il volto di Nicla si contrasse.
--Suo padre è chiuso in uno stabilimento di pazzi!--disse con voce
sorda.
--Veramente?--esclamò Gigi Barbano addolorato.--Mi dispiace d'essere
stato leggero e ti prego di dimenticar le mie parole. Una simile
sventura merita il più grande rispetto!
--Ti ringrazio!--disse Nicla semplicemente.
--Certo, certo,--riprese Gigi Barbano, quasi parlando con sè
stesso,--quel ragazzo non può essere stato felice. Noi gli apriremo la
nostra casa ed egli si riscalderà al tepore d'una vita semplice. Deve
parergli strana una vita semplice, a lui, che è stato sempre in giro
pel mondo e ha visto tante cose! Finirà con l'annoiarsi, vedrai! E io
sarò un poco impacciato, confessandogli che non ho mai avuto tempo
d'andare a Vienna e a Berlino e di conoscere bene Parigi. L'uomo di
quarantadue anni ne saprà meno del fanciullo di venti.... Verrà domani
sera, hai detto?... Lo riceveremo soli? Non gli farai trovare qualche
poco di società intorno?
Nicla scosse il capo, sorridendo.
--No, no,--disse.--Lo riceveremo noi soli. Credo che di gente e di
chiacchiere sia stufo....
--E con chi vive ora, a Milano?--seguitò Gigi.
--Con sua madre....
--E sua madre?...
Nicla non rispose: Gigi interpretò quel silenzio e capì; anche la
madre doveva esser leggera come una piuma.
E dopo una pausa domandò:
--È un bel giovane?
Nicla riflettè un istante, poi si mise a ridere.
--Come vuoi tu ch'io sappia?--rispose.--Non lo so davvero. È un
fanciullo: per me è Brunello, col bastimentino sotto il braccio. Tocca
alle altre donne giudicare. Chiamarlo bel giovane, mi sembra
un'ironia.
Gigi trasse la donna a sè e la baciò sui capelli.
--Cara,--disse con tenerezza.--Anche tu sei una fanciulla!...
Ma l'indomani sera, quando Gigi Barbano vide Brunello Traldi varcar la
soglia del salotto, ne fu tutto scosso.
Non era soltanto un bel giovane; aveva quell'indefinibile sottile
eleganza di modi e di portamento, quella misura, quella sicurezza
priva di spavalderia, quella nobiltà nel sorriso, nei tratti, nella
gentilezza medesima della persona, che vengon dalla razza. Pur vestito
di cenci, il passo o un gesto o un modo di guardare l'avrebbero
svelato per un grande signore.
E Gigi Barbano, che sapeva la forza poichè era egli medesimo un forte,
rilevò subito negli occhi del fanciullo una luce e nella bocca una
linea che ne dicevano l'energia straordinaria, la volontà cocciuta,
formidabile. Un guerriero antico, gettatosi a nuoto nel mare, voleva
scalar la nave del nemico; e s'era abbrancato al bordo con la mano
destra; gli tagliarono la mano destra; egli l'afferrò con la mano
sinistra; e gli tagliarono la mano sinistra; egli vi si aggavignò coi
denti; e gli spaccarono la testa; e rimase, cadavere, coi denti
infitti nel legno, in una presa tremenda che nessuno riusciva a
disserrare.
Brunello Traldi doveva aver la stessa forza di volontà cieca e dura.
Gigi Barbano gli si fece innanzi, mentre Nicla guardava, un poco
timorosa, quel primo incontro.
--So che tu sei un fratello per Nicoletta,--disse Gigi.--E ti accolgo
come un fratello....
Gli strinse la mano, poi lo attirò a sè, e lo abbracciò.
Bruno sorrise; andò verso Nicla e le baciò la destra.
Un istante dopo, nel salotto a righe argentee sul fondo bigio, si
sentiva che una fraternità dolce e sincera aleggiava intorno alle tre
persone.
Gigi interrogava avidamente Brunello chiedendo della vita di Parigi,
di Vienna, di Berlino.
--Ma hai osservato tutto!--egli notò stupito.
--Non avevo altro da fare!--rispose Bruno.
Gigi si fece raccontare anche il duello col piccolo conte della
Jonchère; e Bruno raccontò, e rise.
Poi si fermò: aveva udito sè stesso ridere.
--È strano!--disse.--Non ridevo più da dieci o dodici anni.
Un'espressione di tenerezza sollecita si diffuse sul volto di Nicla;
le pareva che una cosa sola stonasse in quella calma ora di fiducia;
egli era obbligato a darle del voi, e il voi le strideva all'orecchio
come un suono falso.
Quando sul tardi, Bruno si congedò, Nicla non potè trattenersi, e gli
disse:
--Addio, bambino! Fa nanna! Gigi e Bruno sorrisero.

XX.

Per addobbare la casa di Milano in via Meravigli, erano stati mandati
innanzi da Roma il professore Salapolli, che doveva curare l'assetto
della biblioteca, e la governante ungherese, Maritza, che doveva
disporre i mobili.
Ma giunti a Milano, Brunello s'era dichiarato contento del lavoro
compiuto dal suo vecchio maestro, e la contessa Clara Dolores aveva
espresso la più viva disapprovazione per il lavoro compiuto dalla
governante.
Aveva ordinato che si tornasse daccapo, trasportando il mobilio dal
secondo piano al primo, dando tutto il primo piano a Brunello, mutando
gli oggetti da stanza a stanza; onde ancora dopo quindici giorni
dall'arrivo, dopo più d'un mese dacchè la governante aveva lavorato,
la casa dava lo spettacolo d'un disordine che somigliava a uno
sgombero interminabile.
Clara Dolores doveva ricevere i suoi amici così, in un salotto in cui
i quadri erano appoggiati a piè del muro, invece di pender dalle
pareti, e le poltrone eran coperte di vecchie stoffe accatastate;
prendeva e offriva il tè sopra un angolo di tavolino, accoglieva
insieme un'amica e il tappezziere e lo stipettaio e il decoratore.
Bruno sbuffava; ella rideva noncurante.
Toccava ormai la quarantina; la sua figura era tuttavia snella ed
elastica; ma i cosmetici del Kallòtrofo e degli altri empirici le
avevan presto avvizzito il volto, e le tinture bionde le avevano
devastato la chioma, bruciandola e tagliuzzandola. Aveva una testa da
vecchia dipinta e rifatta sopra un corpo giovanile e flessuoso; e la
sola bellezza di quel viso erano gli occhi lunghi dalla fiamma
penetrante.
Dopo alcuni giorni dall'arrivo, Bruno, salendo verso le cinque a
prendere il tè, aveva trovato in salotto un signore, la cui fisionomia
non gli parve ignota.
Non ebbe tempo a chiedersi dove l'avesse visto, che già Clara Dolores
aveva fatto la presentazione.
--Il mio Bruno. Il conte Duccio Massenti.
Bruno s'inchinò e si lasciò stringere la mano.
--Il conte è un vecchio amico di casa,--continuò Clara Dolores.--Tu
forse non lo ricordi, perchè eri piccino....
Bruno e il conte si guardarono di nuovo; ambedue rammentavano
benissimo, ma nessuno disse parola.
--Un vecchio amico e un fidato consigliere,--seguitò la contessa.
--Che cosa ti ha consigliato?--domandò Bruno in tono beffardo.
Ma la contessa spaurita dalla domanda insolente, finse di non averla
udita, e parlò presto d'altre cose, dell'addobbo, delle noie che le
arrecavano gli operai, del tempo rigido.
Bruno ingoiò una tazza di tè, sogguardando il conte, fattosi canuto
precocemente ma sempre mellifluo, con un sorriso dolciastro sulle
labbra. Il giovane sentiva in lui l'ipocrisia.
S'alzò, s'inchinò e se ne andò.
Duccio Massenti! Aveva un vecchio conto da saldare; ricordava bene
ch'egli aveva offesa Nicla in altri tempi; non sapeva come, non sapeva
perchè, ma l'aveva offesa.
E gli venne l'idea, non appena fu da Nicla, di parlarne con lei.
Bruno andava da Nicla tutti i giorni, a qualunque ora, spesso
trovandola sola, spesso con altre signore giovani alle quali ella lo
aveva presentato, dicendo in brevi parole ch'egli era stato il suo
fanciullo, il suo protetto; e poichè ne avevano udito parlare più
volte, le signore lo accolsero festosamente.
Quand'erano soli, Nicla e Bruno si davano ancora del tu; l'illusione
era più forte d'ogni ragionamento; e talora Brunello sedeva ai piedi
dell'amica e posava il capo sulle sue ginocchia; ed ella lo
accarezzava lievemente.
Egli sentiva ch'ella era sua come aveva promesso; e invece di
rallegrarsene. Bruno n'aveva quasi sgomento. Nicla s'abbandonava a
lui; s'egli avesse voluto baciarla, accarezzarla, prenderla tra le
braccia, ella avrebbe lasciato fare, nella inesperienza della sua
anima; non sapeva d'essere bella e desiderabile, o credeva che la sua
bellezza fosse così pura agli occhi di Bruno da allontanargli ogni
pensiero cattivo.
Bruno la teneva in mano, inerte e arrendevole; ma sentiva la sua
bellezza ben diversamente da ciò ch'ella supponeva; e per non
atterrirla, si frenava, nascondendo con cura la passione che
cominciava a soffiargli nel cuore.
Quando ella gli diceva di appoggiare il capo sulle sue ginocchia, egli
tentava di rifiutare; quando ella gli passava le mani sui capelli e
sul volto, egli tratteneva un fremito, e con garbo, sorridendo, le
allontanava.
--Non mi vuoi più bene?--chiedeva Nicla.
--Sì,--egli rispondeva con voce malcerta.
--Perchè non lasci che ti accarezzi?
--Non so.
E si alzava di scatto e andava a posar la fronte contro i cristalli
freddi della finestra.
Quel giorno le disse:
--Sai chi ho trovato oggi in salotto, dalla mamma? Duccio Massenti...
--Ah!--fece Nicla, reprimendo un moto di sorpresa.
--È molto antipatico,--osservò Bruno.--Mi ricordo ch'egli ti ha
offesa, e non hai voluto mai dirmene la ragione.
--Non è vero!--esclamò Nicla impaurita.--Non mi ha offesa.
--C'è sempre stato un mistero in quel piccolo incidente della nostra
vita,--riflettè Bruno.--Io voglio venirne a capo. La mamma mi ha detto
che è un vecchio amico e consigliere fidato, e ciò mi ha fatto ridere;
temo sia stato lui a consigliar la mamma a tingersi i capelli color
d'oro.
--Bruno!--esclamò Nicla in tono di rimprovero.
--Non mi vuoi dire dunque ciò che c'è stato fra te e lui?--incalzò
Binino.
--Nulla; ti assicuro che non c'è stato nulla!
--Bada!--minacciò Bruno, alzando l'indice e sorridendo.--Bada che la
tua ostinazione mi fa pensare a molte cose brutte. Io ricordo ancora
(ahimè, io ricordo tutto!), ciò che dicevi quel giorno in barca a me e
a lui.... E oggi più che mai, avrei piacere d'ammazzarlo come un cane.
Nicla s'alzò d'un balzo, tutta pallida, e afferrò Bruno tra le
braccia.
--Se tu mi vuoi bene,--disse,--se tu mi vuoi bene, devi promettermi
che non farai nulla, devi prometterlo e giurarlo per ciò che hai di
più caro...!
Ella lo stringeva sul seno, e il volto di lui era appoggiato alla
spalla della giovane, gli occhi erano fissi negli occhi.
Bruno sentì quel brivido che lo percorreva sempre, allorchè le mani di
Nicla lo toccavano e il profumo della sua persona lo avvolgeva.
Senza cangiar positura, con gli occhi affondati negli occhi di Nicla,
muovendo appena le labbra, disse:
--Perchè devo promettere?
--Per me, per la tua Nicla, per te stesso!--affermò la giovane.
--Io prometto a una condizione,--mormorò Bruno.
--Oh, il vile che si vende!--esclamò Nicla con un piccolo
riso.--Sentiamo.
--A condizione che tu ti lasci baciare sulla bocca.
Impensatamente, dissennatamente, ella gli offerse subito la bocca.
E si baciarono, a lungo, gli occhi chiusi, con l'avidità di due anime
che si confondono, con la bramosìa con cui l'assetato beve, beve,
beve, fino all'ebbrezza mortale, fino alla follia, fino
all'annientamento, si baciarono col cuore che pulsava vertiginoso, con
la gioia di sentirsi vuotar le vene di tutto il sangue.
Poi quando si sciolsero da quella stretta invincibile, si guardarono e
videro gli occhi soli che sfavillavano nel volto interamente bianco.
E tacquero.
Ciascuno era entrato nel cuore dell'altro e aveva capito.
La prima a riprendere la parola fu Nicla; ma la sua voce era nuova,
col tremito che veniva dal terrore d'un'anima sul ciglio d'un abisso
imperscrutabile.
--La tua casa è pronta?--chiese, per dir qualche cosa.
--Non ancora!--rispose Bruno.
Tacquero di nuovo. Era impossibile parlar di cose comuni.
Avevano bisogno ambedue di raccogliersi e di meditare.
Nicla stava aggomitolata, meglio che seduta, in un angolo del divano.
Bruno trovò il suo sgabelletto e lo portò ai piedi di Nicla.
La donna fece un gesto istintivo, come per respingerlo.
--Lasciami!--supplicò Bruno.
Sedette ai suoi piedi, posò il capo sulle sue ginocchia, e pianse in
silenzio.
--Bruno,--disse Nicla, a un tratto, con voce grave e
pacata.--Ascoltami!... Devo dirti qualche cosa che mi costa molto; ma
tu comprenderai.
--Ti ascolto,--rispose Bruno senza muoversi.
Nicla si raccolse, meditò; poi con uno sforzo riprese:
--Oggi ho capito. Tu mi ami, non come una sorella; come una donna....
Arrossì, tacque ancora; si fece forza nuovamente, e soggiunse:
--Tu vorresti che io fossi la tua amante.
Bruno scosse il capo, ma non osò negare in altro modo.
--Ascoltami, Bruno. Io sono tua. Ma bada; tu non mi chiedi l'amore: tu
mi chiedi la vita! Io non saprei ingannare nessuno; e quand'anche
sapessi, no, mio marito, colui che ti ha accolto a braccia aperte e ti
ha chiamato fratello, io non lo ingannerei. L'indomani del giorno in
cui fossi stata tua, mi darei la morte. Hai compreso?... Se tu vuoi
ch'io muoia, chiedimi l'amore: e ti darò l'amore e la vita; ma
sopravvivere mi sarà impossibile.... Hai compreso...?
Egli si alzò.
--Ho compreso,--disse.--Non ti chiederò e non vorrò che il tuo affetto
di sorella.
Nicla lentamente gli asciugò gli occhi arrossati da lagrime che
parevano avergli bruciato le palpebre.

XXI.
Il professore Salapolli con molte circonlocuzioni e con un discreto
timore, interrogò Bruno intorno al libro che intendeva scrivere.
Gli pareva che da quando era arrivato a Milano, il giovane fosse
irrequieto. A Roma, dove aveva seguito per quattro anni i corsi
universitarii, scegliendoli tra le materie che più lo interessavano,
era attivo e pertinace nel suo studio. A Milano si distraeva, stava
quasi l'intero giorno assente, un poco per rivedere la città, molto
per vivere accanto a Nicla. E del libro non diceva più parola, quasi
l'avesse dimenticato.
Il Salapolli passava gran parte della giornata in biblioteca e solo,
perchè al secondo piano c'era un pandemonio, un disordine, un viavai
di visite, che gli rammentavano i peggiori tempi di Vienna e di
Berlino. Come allora, la contessa non si stancava mai di ricevere;
come allora, faceva attaccare i cavalli da un istante all'altro, e
usciva. Si faceva colazione e si pranzava quando si poteva; e sempre
c'erano invitati. Il cuoco, il cocchiere, la cameriera, il portiere,
tutti si lagnavano. L'instabilità della contessa, il suo dire e
disdire, la vertiginosa attività che pretendeva, eran causa che ad
ogni poco i domestici si licenziassero, se non li licenziava ella
medesima per un nonnulla.
Era il regno del capriccio: i fornitori portavano in casa oggetti
svariati ch'ella degnava appena d'uno sguardo e che aveva comperato in
tutta furia un'ora prima, quasi non avesse potuto viverne senza. Le
era accaduto di regalar cappelli, vesti, scarpe, calze alla cameriera,
alla manicure, alla prima donnaccola che le capitava tra i piedi,
senza aver nulla indossato, tutta roba nuova di trinca: aveva visto di
meglio; aveva pensato a un'altra foggia o a un altro colore.
A tavola, tra gli amici e le amiche, in una società elegante,
scintillava di spirito e di grazia; era affascinante a dispetto delle
pitture che si metteva sul viso e dei capelli d'oro. Non si sapeva
comprendere come una donna intelligente e arguta qual'era si lasciasse
abbindolare da tutti i venditori di cosmetici portentosi e di acque
vivificanti.
Non ne aveva alcun bisogno: la figura elastica, ancora bellissima, e
lo spirito indiavolato le davan tutte le vittorie che poteva
desiderare; aveva ai piedi giovani dell'età di suo figlio e uomini
maturi. Il professore Salapolli, il quale, per desiderio di Bruno,
sedeva a colazione e a pranzo con quei signori, e sebbene si studiasse
di tenersi in disparte, era trattato alla pari, vedeva che la contessa
quasi ogni giorno aggiogava qualcuno al suo carro; e col dovuto
rispetto pensava che lo schiavo non avrebbe avuto a sospirare molto.
Il solo che passava imperturbabile tra quel frastuono era Bruno;
abituato al rumore dalla nascita, non si stupiva di nulla, nè che si
pranzasse alle dieci di sera, nè che si cenasse al tocco dopo la
mezzanotte, nè che la brigata intera corresse a una trattoria invece
di far colazione in casa. Aveva già visto tutto ciò con suo padre a
Parigi e a Bruxelles, con sua madre a Vienna e a Berlino. Non se ne
annoiava e non se ne divertiva; prendeva parte a quel bulichìo come un
uomo stretto e trascinato dalla folla. Aveva in breve conosciuto tanta
gente, che non ne rammentava nemmeno il nome, e se gli avveniva
d'esser salutato per via da persona che non ravvisava subito, pensava
fosse un amico della mamma, un frequentatore della casa.
La sensazione delle porte e delle finestre spalancate, l'imagine del
vento che soffiava da tutte le parti involando il danaro, gli erano
abituali.... La sola cosa che lo stupiva un poco, si era che il
patrimonio resistesse ancora e che sua madre non si accorgesse della
rovina imminente.
Spensierata e generosa, ella pareva invasa dalla furia di distruggere
i resti d'una fortuna cospicua, di due fortune cospicue, quella del
conte e la sua. Faceva la beneficenza nella maniera più impreveduta,
regalando cento lire al primo cencioso che batteva alla porta,
mandando mille lire a un comitato che ne chiedeva cinquanta, non per
vanità nè per grandezza, ma perchè le cinquanta e le mille valevano lo
stesso ai suoi occhi.
Bruno lasciava fare. Egli possedeva ancora il fondo della Tralda, di
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