La freccia nel fianco - 09

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Ella ne faceva una passione; egli era calmo e sdegnoso. Gli pareva
d'esser tornato ai giorni in cui tutto gli diceva ch'era un balocco
tra balocchi di lusso; e si prestava al capriccio d'Armanda piuttosto
per dare piacere a lei, che per far piacere a sè medesimo. Spesso
mancava ai suoi appuntamenti; s'era distratto per via; o vi giungeva
annoiato e sbadigliando; o sorrideva un poco alla felicità della
ragazza che lo teneva come un suo dio crudele ed estroso.
Ed era in verità crudele per ignoranza, perchè non sapeva che cosa
fosse la passione e non faceva alcuno sforzo per simularla.
Guardava indifferente ai suoi piedi la ragazza discinta, coi capelli
biondi prorompenti giù per le spalle, e s'ella non lo baciava, egli si
dimenticava di doverla baciare.
Chi era? Perchè piangeva? Che cosa doveva dirle per consolarla? Dal
cuore non gli veniva alcuna parola, e la lasciava piangere, annoiato,
seguendo con l'orecchio il ritmo di quel singhiozzo soffocato e
guardando con curiosità le bianche mani dalle unghie dipinte che si
rattrappivano in una stretta d'angoscia.
Poi si scuoteva, indovinando d'essere troppo cattivo, e la carezzava
leggermente perchè non si rotolasse più sul tappeto come avesse
mangiato funghi velenosi.
--Io, vedi,--le disse un giorno,--non sono fatto per essere
adorato.... Quando mi dici che mi adori, mi sembra di diventar
d'avorio giallo, come un piccolo idolo, con la pancia solcata di
grinze. Ne ho visto uno, non so più dove....
E Armanda, per non morire, per non diventare pazza, dovette lasciarlo
libero, non dargli più appuntamenti, rinunziare alla terribile gioia
di possederlo.
Egli mandò dal petto un grande «Auf»; e quello fu il suo primo amore.
Altri avvenimenti lo distrassero subito.
Lo zio Francesco era morto, lasciando, per bontà estrema, duecentomila
lire al conte Fabiano, e il conte Fabiano aveva fatto una corsa in
Italia, solo, da una settimana all'altra, per raccogliere l'eredità.
Gli giungeva in buon punto a rinsaldar la baracca, la quale tentennava
pei venti che soffiavano da tutte le parti.
Egli aveva ormai quarantacinque anni, era un po' curvo, con la barba e
i capelli interamente bianchi; ma i suoi occhi scuri splendevano d'un
fuoco singolare e intenso.
Aveva mutato abitudini da qualche tempo; e con le abitudini il
carattere.
Era diventato sospettoso e misantropo; non sorrideva più col suo fine
sorriso canzonatore; si guardava intorno come fosse stato tra nemici;
ogni giorno si lagnava di qualche malvagio tratto dei suoi compagni,
di qualche prova d'ingratitudine, di qualche mancanza di cortesia, che
gli venivano da quelli che più aveva careggiato.
Gli piaceva, a lui che della socievolezza era stato maestro e del
rumore aveva fatto la sua vita, e sangue delle emozioni e del rischio,
gli piaceva non veder troppa gente intorno; qualche volta non voleva
veder nessuno; e i domestici ricevevano ordine di dire ch'era assente.
Non si poteva più rubare; il maggiordomo se n'era indignato e aveva
preso congedo, perchè sua signoria rifaceva i conti con una
meticolosità che rasentava la grettezza, e con la persuasione
preventiva che lo avevano svaligiato e andavano svaligiandolo.
Toccava a Bruno e al Salapolli, ambedue silenziosamente inquieti,
aggiustar le cose, riparar le ingiustizie che il conte Fabiano
commetteva, sanar le offese che faceva, spiegare le sue scortesie
involontarie.
Del figlio non chiedeva novelle per lungo tempo; e poi, lì per lì, se
ne ricordava, lo voleva con sè, lo stringeva fra le braccia, ne
carezzava febbrilmente il capo, lo faceva chiamar di notte, perchè
Fabiano soffriva d'implacabile insonnia.
Bruno era la sua speranza, diceva, l'ultima radice della sua vita;
sapeva d'esserne amato, e il giovinetto lo avrebbe difeso, contro
tutto e contro tutti.
--Dimmi, dimmi,--susurrava, tenendolo contro il petto e
accarezzandolo,--dimmi che cosa farai. Sarai grande? Porterai alto il
nome dei Traldi?... Salapolli mi ha annunziato che sarai scrittore,
poeta, che certo la gloria coronerà il tuo capo.
E appuntandogli l'indice nel mezzo della fronte, chiedeva sottovoce,
come avesse temuto che lo ascoltassero:
--Hai molto ingegno qui? molto, molto ingegno, qui?
Bruno doveva dire che sì, sarebbe stato celebre; che sì, aveva molto,
molto ingegno.
Non era più ironico, non era più beffardo; era sgomento e trepido:
guardava suo padre con occhio dubbioso, e sedeva ai suoi piedi per
ore, cercando distrarlo e badando a dargli sempre ragione.
Avrebbe versato tutto il suo sangue perchè egli fosse tornato quale
era, giuocatore, amante del gaudio, divoratore di patrimonii, lepido,
forte, noncurante.
Sentiva d'amarlo con le più delicate fibre del cuore, d'essergli
legato per mille affinità che gli si eran chiarite col tempo innanzi
agli occhi.
Gli serbava gratitudine per quella medesima esistenza disordinata che
aveva fatto di lui, Bruno, un uomo, quando gli altri eran fanciulli,
che gli aveva dato la precocità dell'intuizione, la mobilità
dell'intelligenza, la forza libera e superba della solitudine, tutte
le energie che gli dormivano ancora inoperose nel cuore, e che gli
avrebbero permesso di sforzar gli ostacoli.
--Per vederlo ridere,--egli esclamò un giorno col Salapolli, in un
impeto d'angoscia,--per vederlo ridere come una volta, io mi lascerei
accecare!
E accarezzava la testa bianca di suo padre, con una tenera carezza,
studiandone l'occhio, sperando ad ogni istante di vederlo sorridere.
Ma era ogni cosa vana, e il giovanetto andava mormorando col
Salapolli:
--Io non capisco!... Io non capisco!...
Capiva e sapeva.
Alcuni medici, introdotti abilmente dal Salapolli presso il conte,
avevano detto ch'era ammalato; o meglio, che andava ammalandosi. Uno
aveva espresso la diagnosi, chiara e cruda: mania di persecuzione. Un
altro aveva avvertito il Salapolli che ben presto il conte sarebbe
diventato pericoloso e occorreva sorvegliarlo; in ogni caso non era
prudente lasciarlo la notte col figlio.
L'appartamento di via Glück, così gaio e festoso per lo passato, così
ben frequentato da uomini di grido e da donne incantevoli, era stato
abbandonato da tutti; Bruno aveva fatto vendere i cavalli da sella e
la pariglia.
Studiava. Non appena il padre lo lasciava libero, correva in
biblioteca; spesso leggeva, accanto al padre o seduto ai piedi di lui,
nella sua posa abituale.
Il conte Fabiano gli aveva dato la direzione della casa, le chiavi, i
valori, che ammontavano in quel tempo, compresa l'eredità dello zio
Francesco, a circa duecentocinquantamila lire ben collocate in titoli
sicuri.
Poi inaspettatamente suo padre gli aveva ritolto ogni autorità, aveva
ricomperato i cavalli, pagandoli prezzi incredibili, e faceva spese
insensate.
Il professore Salapolli, con discrezione ma con insistenza, pregava
Bruno d'impedire quello sperpero, o un giorno si sarebbe trovato sul
lastrico.
--Perchè pagare cento ciò che vale uno?--diceva.--Son cose che
strappano lagrime ai sassi!
Egli vedeva colar l'oro e sfuggir di tra le dita del conte Fabiano, e
ne sentiva una malinconia invincibile, non per l'oro, ma per le belle
cose che si sarebbero potute comperare.
Bruno alzava le spalle.
--Lasciatelo divertire!--diceva.
E attirati dall'odor di cuccagna, i parassiti più impudenti eran
calati sulla casa e avevano sostituito la società fine e arguta che la
frequentava in altri tempi.
Il parrucchiere del conte che veniva tutte le mattine a pettinarlo,
gli aveva portato via egli solo diecimila lire, col pretesto di
collocarle in azioni d'una Compagnia mineraria; un tipo sinistro,
sbilenco e tossicolante, che si chiamava Bongrive ed era disceso non
si sapeva donde, s'era fatto prestar cinquemila lire per tentare
un'esperienza scientifica, ch'egli stesso non poteva definire.
Tutti bevevano e mangiavano a ufo, e qualche volta comperavan roba
presso i fornitori del conte, onde ad ogni poco bisognava pagar lunghe
note di oggetti che non eran mai entrati in casa ed erano andati ad
abbellir la casa degli altri.
Bruno si teneva in disparte, cercando di non dar di gomito a quella
geldra famelica; ma per giungere a suo padre, doveva pure sorridere al
signor Bongrive e al parrucchiere, che gli stavano di continuo alle
costole.
E un giorno il conte Fabiano scacciò tutti, accorgendosi di punto in
bianco della devastazione che la gentaglia aveva fatto in casa sua, e
ne tenne Bruno responsabile, perchè non lo aveva avvertito in tempo.
Entrò in furore, contro il figlio, contro il Salapolli, contro i
domestici, minacciando rovine e vendette; aveva l'occhio fosco,
fremeva, fiutava in aria, s'aggirava per le stanze come una belva.
Bruno dovette rassegnarsi con le lacrime agli occhi a chiamar due
infermieri; il Salapolli scrisse in tutta fretta alla contessa,
avvertendola di quanto avveniva. La contessa rispose che partiva
all'istante per Parigi e consigliava nel frattempo di far chiudere il
conte in una casa di salute.
Il professore Salapolli temette di diventar pazzo a sua volta, quando
vide trasportar fuori il conte Fabiano, con l'occhio vitreo e un
ringhio continuo tra le labbra contratte. Era serrato ai polsi e
intorno alle spalle e al busto da larghe cinghie formidabili; e Bruno
gli si avvinghiava al collo, baciandolo, carezzandolo, chiamandolo coi
più dolci nomi trovati nei ricordi della sua infanzia.
Non voleva che glielo togliessero; il suo passato intero se ne andava
con lui, le commedie con le marionette, il Re moro, le battaglie coi
soldatini, la bandierina con l'asinello che recalcitrava. Sentiva che
malgrado tutto, il papà era stato il grande compagno della sua vita,
colui che gli voleva bene anche quando correva dietro alle carte e
alle donne....
Non voleva che glielo portassero via, e s'avvinghiava alle balze che
imprigionavano suo padre, e si lasciava trascinare a terra, dietro di
lui.
Clara Dolores sopravvenne in quel punto.
S'incontrarono così, in anticamera, il conte che partiva per la casa
dei pazzi, la contessa che giungeva da Vienna, leggiadra e
impellicciata.
Ella afferrò Bruno e lo trasse lungi, aiutata dal Salapolli.
Bruno crollò al suolo pesantemente, e vi rimase, non seppe mai quanto
tempo; poi udendo una voce nota che lo confortava, cercò intorno
smarrito, sollevò lo sguardo, lo fissò freddo e nemico sui capelli di
sua madre: fatto più pallido, pareva che il volto gli si fosse
rimpicciolito nello spasimo.
--Ah!--disse con voce rauca.--Sei diventata bionda?...


XVII.

La signora Nicoletta Barbano era uscita con la carrozza chiusa a due
cavalli, per portar le carte da visita a due vecchie dame alle quali
era stata presentata la sera innanzi durante un ballo.
Le due dame abitavano ai due capi opposti di Milano; e sul ritorno, il
cielo già freddo e grigio aveva lasciato sfuggir qualche fiocco di
neve; poi piano piano i fiocchi s'erano fatti più spessi, turbinavano,
giuocavano, danzavano col vento, scendevano a terra e vi si
attaccavano.
Era la nevicata prossima, copiosa, che mandava avanti i primi
annunziatori, e in breve avrebbe coperta Milano intera d'un morbido
mantello.
Nonostante il berretto e la pelliccia d'ermellino, Nicoletta si sentì
penetrar dal freddo, un freddo strano che pareva lambirle l'anima più
che le carni; e quantunque fosse a pochi metri da casa, tirò il
cordone non appena arrivò davanti la soglia d'un caffè elegante, e
fece fermare.
Era un piccolo capriccio. Nella sua casa, bella, tepida, raccolta,
avrebbe trovato tutto ciò che le fosse piaciuto; ma presa dalla voglia
di bere un tè, s'era arrestata subito.
Scese di cassetta lo staffiere, aprì lo sportello, e la signora balzò
dalla vettura nella prima sala.
A quell'ora, le tre del pomeriggio, non c'era nessuno. S'udiva venir,
da una sala nel fondo, lo strepito dei dadi agitati in un pirgo
d'argento e buttati sopra il tavolino di marmo. Qualcuno giuocava.
Nicoletta si fece servire il tè, e ricoveratasi in un angolo, tutta
chiusa nella pelliccia, si rallegrò egoisticamente del piacere
infantile che si largiva. Le pareva gran cosa d'essere entrata sola in
un caffè, sebbene la carrozza l'aspettasse fuori, e di rimanervi pochi
minuti. Non l'aveva mai fatto, non gliene era mai venuto il pensiero.
Quel giorno era stata fermata per via dall'innocente ghiribizzo, e
aveva obbedito come a un ordine. Centellava il tè, e con la sinistra
andava sfogliando i giornali illustrati che un cameriere le aveva
posto vicino, sopra una sedia.
D'ora in ora dava un'occhiata alla via deserta, già tutta bianca.
Sotto la nevicata silenziosa i due roani stavano immobili a testa
alta. Si vedevano qua e là pei negozii accendersi le lampade: e
ombrelli passar frettolosi in lontananza, punteggiati di fiocchi
candidi.
D'un tratto Nicoletta sussultò; sentì un fremito che la percorse
tutta, da capo a piedi.
Aveva udito una voce.
Impallidì; non osò voltarsi; forse era un'allucinazione.
Aspettò che la voce ripetesse.
--Nicla!
La donna si volse e balzò in piedi.
--Tu!--disse con voce ansante.--Brunello!
Le stava innanzi un giovane, chiuso fino al collo da una pelliccia
nera, asciutto e pallido; una lieve pelurie appariva sul suo labbro
superiore; dentro gli occhi grandi la luce era viva ma irrequieta.
--Nicla!--ripetè.--Mi riconosci? Ti ricordi ancora?
--Vieni!--ella disse con la stessa voce ansante.
Gettò sulla tavola alcune monete d'argento, e quasi trascinando Bruno,
uscì, salì nella carrozza; e durante il brevissimo tragitto dal caffè
a casa, prese le mani del giovane, dicendogli:
--Brunello, bambino caro, amore mio!...
Egli chiuse gli occhi sorridendo, per assaporar quelle parole dette
con quella voce, per tornar d'un colpo indietro di dodici anni e
ritrovar la propria anima d'allora e l'anima di Nicla, per riprender
la vita dal punto in cui era stata interrotta, sulla riva del lago,
dall'uomo con la barba rossa mal rasata e i capelli radi chiazzati di
bianco.
Ma non appena furono in casa ed ebbero gettate, passando
nell'anticamera, le pellicce al domestico, Nicla si ravvide; squadrò
Bruno e gli disse, uscendo dal breve sogno:
--No, non è possibile! Non devo darti del tu. Non sei più un bambino!
--Lo credo,--rispose Bruno con un sorriso.--Ho vent'anni!
Si guardò intorno: erano in un piccolo salotto, addobbato con una
stoffa a liste verticali argentee sul bigio; la luce falsa della
nevicata dava un chiarore albale ai mobili di stoffa bigia a liste
argentee.
--Dimmi,--seguitò Nicla ansiosa.--Quando sei arrivato?
--Da due giorni,--rispose Bruno.
Egli stava seduto di fronte a lei e si tenevano ancora per mano.
--Col tuo papà?--riprese Nicla.
Un velo di dolore calò sul volto del giovane.
Nicla esitò: aveva toccato una ferita.
--Mio Dio,--interrogò a bassa voce.--Non c'è più?
--C'è,--disse Bruno sordamente.--Ma sta male: da quattro anni in una
casa di salute.
--In una casa di salute!--ripetè Nicla, presa da un formicolìo di
raccapriccio.
--Non me ne parlare!--mormorò Bruno, stanco.
Ella si alzò ad accarezzargli i capelli folti e ondulati.
--Ti chiedo perdono!--susurrò dolcemente.--Egli è stato sempre buono
con me; mi ha dato pel primo tue notizie, quando sei partito....
Bruno le fermò la mano e vi posò un attimo le labbra.
--Allora con la mamma?--riprese Nicla.
--Sì,--disse Bruno.--Veniamo da Roma; siamo stati a Roma quattro
anni....
E mutando voce, gaiamente soggiunse:
--Ora tocca a me interrogare. Dov'è tuo marito? Sei felice? Quando mi
presenterai al signor Barbano? Che cosa hai fatto in questi lunghi
anni?...
Si guardò in giro, a terra, come vedesse piccole cose o piccoli esseri
corrergli incontro:
--E i tuoi bambini dove sono?
Nicla aveva ripreso il suo posto, e non distaccava gli occhi dal volto
del giovane; lo riconosceva, lo ritrovava a poco a poco, con un
segreto palpito di gioia.
Era quel caro volto, un po' smagrito, dalle linee decise, con la piega
sdegnosa all'angolo destro della bocca, era quello sguardo dritto
negli occhi scuri, era quella voce, fatta più maschia, ma uguale,
senza soni falsi, che le portavano innanzi lutto il suo bel passato
radioso di fanciulla.
--Aspetta, aspetta,--disse ridendo.--Mio marito non tornerà che per il
pranzo; è tutto il giorno nel suo stabilimento e spesso non lo vedo
nemmeno a colazione. Lavora troppo, e ne sono inquieta. Bambini?
neppure uno, piccolo, piccolo così....
Il suo sorriso si fece incerto, scomparve un istante dalle labbra.
--Non ho bambini. Sì, sono felice: oggi più che mai. Mio marito è
l'uomo leale, degno, delicato, che può far felice con la sua bontà la
donna più difficile. È impossibile non volergli bene; anche tu gli
vorrai bene subito.... Che cosa ho fatto in questi lunghi anni?
S'interrogò brevemente, gettò uno sguardo ai dodici anni trascorsi,
poi constatò, come sorpresa:
--Nulla! Non ho fatto nulla! Ho vissuto: sono invecchiata!...
E sorrideva con la bocca fresca e rosea, come ai giorni lontani.
Bruno l'aveva ascoltata, scrutandola attento. Si alzò, si mise a
passeggiare.
--Dunque esisti, esisti davvero?--egli disse fermandosi, dritto in
piedi a guardarla ancora dall'alto in basso.
--Tu credevi che io fossi sfumata nell'aria?--rispose Nicla,
alzandogli in volto gli occhi limpidi.
--Sì, io credevo che tu fossi sfumata!--ripetè Bruno senza
sorridere.--Quante, quante volte mi son chiesto in questi ultimi tempi
se tu esistevi, o se non eri piuttosto una creazione della mia
infanzia fantastica! Ti ricordavo così bella, così dolce, così diversa
dalle altre, che avevo paura di rivederti.... Avevo paura di ritrovare
una donna placidamente volgare (mi perdoni?), priva di tutte le
bellezze d'anima e di persona che la mia imaginazione di fanciullo ti
aveva donato.... E invece esisti....
S'interruppe come per assaporar con gli occhi la svelta figura che gli
stava innanzi: e Nicla senza civetteria e senza ritrosia si lasciava
guardare per rievocare il sogno di lui.
Era veramente, veramente Nicla, dai capelli bruni, dagli occhi scuri
intorno ai quali s'era adunata una lievissima ombra di stanchezza che
ne aumentava la luce; e il busto forte e agile balzava su dalla curva
dei fianchi con tutto lo slancio giovanile dei più freschi anni;
pareva fosse rimasta intatta, salvo la piccola ombra intorno agli
occhi profondi. E la bocca rosea, finemente disegnata, era essa sola
una giovinezza serena, diceva essa sola la purità tranquilla
dell'anima.
--Come mi fa bene,--esclamò Bruno, accarezzando d'un tratto la testa
della giovane con mano lieve e fraterna,--come mi fa bene rivederti
così bella!... Sei ancora la mia Nicla....
Ella rispose, abbandonandosi a quella carezza:
--Sì, sono ancora la tua Nicla! Non mi avevi detto d'aspettarti, che
saresti tornato?
--Ti ricordi!--disse Bruno.--È sempre vivo il mio vetturale, Vico
Malerba...?
--È vivo e allegro, e lavora!..
Tacquero un istante; poi Bruno riprese, allontanandosi:
--Perchè tu devi farmi dimenticare. Ho visto troppe cose....
Si fermò passandosi una mano sugli occhi.
--Tu devi strappar dalla mia vita alcune pagine d'orrore. Potrò
sedermi ancora ai tuoi piedi, a cuccia, ascoltarti.... E ti dirò io
l'antica poesia nostra.... Io la so; e non l'ho mai detta a nessuno,
l'ho portata nel cuore per tutti questi anni, insieme al desiderio e
al timore di rivederti....
Nicla ascoltava immobile, avvolta ella pure nell'illusione, con un
sorriso piccolo sulle labbra, che diceva un piacere infinito.
Parevano essersi staccati, ella e lui, dal mondo, avere obliato il
mondo, come se la neve che cadeva ininterrotta in un silenzio mortale
avesse drizzato intorno a loro un palazzo candido, un grandioso
palazzo di sogni, entro il quale occhio umano non poteva penetrare.
E il palazzo si sfasciò d'un tratto, crudelmente.
Era comparso sulla soglia un domestico. E annunziò:
--La signora è chiamata al telefono
--Chi è?--chiese Nicla, scuotendosi.
--Il signore.
--Aspettami!--disse Nicla a Bruno.
Bruno aspettò con la fronte appoggiata ai cristalli d'una finestra,
pensoso, come quando, piccino, soffiava sui vetri e disegnava pupazzi
col dito nel velo del fiato.
Nicla tornò.
--È mio marito,--disse,--che mi avverte che verrà a pranzo più tardi
del solito.
Bruno la guardò e non rispose.
--Ascoltami,--ella soggiunse.--Bisognerà che io ti presenti. Vuoi
questa sera stessa?
--No,--disse Bruno.--Domani. Mi aspettano a casa. Quando ti ho
incontrata, ero con Salapolli; non mi ha più visto, e avrà creduto che
io sia scomparso nella neve....
--Rapito!--corresse Nicla.--E Salapolli è sempre con te?
--Sì, povero vecchio! Mi vuol bene, e vuole anche molto bene al mio
papà....
--È un brav'uomo; l'ultima volta mi ha scritto pel tuo duello,
pregandomi di lodarti e d'incoraggiarti. Io gli ho risposto,
facendogli comprendere ch'era un insensato.
E rise.
--Ah il briccone!--esclamò Bruno.--Non mi ha mai detto nulla!
--Ascoltami,--riprese Nicla.--Non potremo darci del tu....
--Lo so,--disse Bruno.
--Non potrai sederti ai miei piedi....
--Lo so,--ripetè Bruno.
--Nemmeno quando saremo soli,--aggiunse Nicla, esitando un poco.
E sentendosi arrossire, volse il capo perchè Bruno non vedesse.
--Nemmeno?--egli pregò con voce supplichevole.
--No. Non è possibile!--confermò Nicla.
--Abbiamo sognato!--disse Bruno dolente.
Nicla gli sorrise e gli prese le mani.
--T'inganni,--rispose.--Io sarò sempre la tua Nicla; io ti ho
aspettato sempre. Ma lo saprai tu solo....
E con voce tremante soggiunse:
--Lascia che ti chiami ancora Brunello, per l'ultima volta, amore mio,
bambino caro....
Poi, d'un tratto, come trascinata da una follia, afferrò la testa di
Bruno e l'avvicinò alle labbra:
--I tuoi occhi hanno visto troppe cose d'orrore,--disse.--Io ti farò
dimenticare!
E lo baciò sulla fronte e sugli occhi; egli ebbe un brivido e si fece
pallido.
--Ti ricordi,--riprese Nicla, tenendolo ancora per mano,--ciò che mi
disse un giorno tuo padre?... Eravamo nel bosco; egli venne a
ringraziarmi perchè stavo sempre con te. E mi disse: «Lei potrà fargli
molto bene, signorina!».
--Sì, sì, mi ricordo!--esclamò Bruno.--Tu mi recitavi la poesia....
--E io ti farò molto bene!--promise Nicla.--Ora va; aspetto visite.
Non voglio che tu ti confonda con gli altri; non voglio distruggere
quest'ora con discorsi insignificanti.
Sulla soglia, Bruno si volse, si chinò a baciar le mani di Nicla, una
dopo l'altra, ardentemente.
--Sei mia!--disse.
Ella col capo gli fece un cenno di promessa, sorridendo.

XVIII.
Dopo averlo aspettato per quasi un'ora, il professore Salapolli si
decise ad andarsene dal caffè e ad aspettare Bruno a casa.
Gli anni non eran riusciti a curvar la sua adusta, alta figura; ma
aveva perduto fin l'ultimo capello, e in compenso s'era lasciato
crescere la barba, una barba lunga e sottile, di cui prendeva in bocca
e masticava la punta allorchè meditava sopra un'edizione aldina o
sopra qualche gran caso della vita.
Per quella figura e per quella barba e per la saviezza facile con cui
aveva condotto sempre la sua esistenza, Bruno lo chiamava qualche
volta Pantalone.
Aveva trascinato seco, partendo da Parigi, la biblioteca raccolta coi
più duri sacrifici; e da Parigi a Roma, e da Roma a Milano non l'aveva
mai abbandonata.
Egli contava di lasciarla morendo al suo alunno, ormai diventato un
maestro che ne sapeva più di lui.
Non aveva nella casa alcun ufficio speciale; faceva da bibliotecario
pei libri suoi e pei libri di Bruno, e serviva a questi da segretario,
quando Bruno non aveva voglia di sbrigare la sua corrispondenza con i
conoscenti di Parigi, di Bruxelles, di Vienna, di Roma.
Conoscenti, diceva Bruno, calcando sulla parola; perchè amici, veri
amici ai quali potesse confidarsi, non ne aveva e forse non voleva
averne. Il solo amico era il Salapolli, il quale era stato testimonio
di quasi tutta la sua vita; gli dava del tu; e il Salapolli da anni lo
chiamava conte e nulla aveva potuto ridurlo a trattarlo più
familiarmente.
La devozione per il conte Fabiano, l'affetto e l'ammirazione per
Brunello, i ricordi felici e tragici d'un passato che apparteneva
insieme a lui e a quei due signori, gli imponevano di trattare il
bambino di ieri con tenera fiducia, ma con forma rispettosa. Talora si
lasciava scappare, parlando con Brunello, anche qualche «Signoria» che
faceva ridere il giovane.
Messosi dalla finestra a guardar nella strada, il Salapolli vide
tornar Bruno in una carrozza padronale, tratta da una pariglia di
roani tarchiati.
Aveva già comperato i cavalli? Aveva già trovato amici?
Non disse nulla, ma andando incontro a Bruno, nel vestibolo, non potè
non notare un'espressione di gioia nervosa, di soddisfazione mal
contenuta ch'era in ogni gesto di lui e che gli faceva rilucere
stranamente lo sguardo.
--Ah, ah, Pantalone!--esclamò il giovane ridendo.--Mi avrai aspettato
per un bel po', non è vero?... Che vuoi? Sono stato rapito, in un
turbine di neve, da una fata bianca!
--È arrivata molta posta per lei!--annunziò il Salapolli, il quale non
aveva capito niente.
--Andiamo in biblioteca, e così vedremo!--rispose Bruno.
Consegnò il cappello e la pelliccia al domestico, e precedette il
Salapolli nella biblioteca, a pian terreno.
E camminandogli innanzi, seguitò
--Che vuoi, Pantalone mio? I bei ragazzi trovano le fate all'angolo
della strada.
Poi, non appena fu nella biblioteca, fece tre o quattro salti, tre o
quattro piroette, sotto il naso del Salapolli trasecolato.
--Ah com'è bella!--esclamò.--Com'è bella, giovane, pura! Com'è ancora
lei! Ed è mia, mia, tutta mia!... Ha ancora diciotto anni!... Io sono
ancora un bambino.... Non sognavo, quando la vedevo così, unica al
mondo, col cuore preso, invaso dal suo ricordo!... Mi ha sempre
aspettato, ha sempre fidato nel mio ritorno....
Fece ancora una piroetta con tale velocità, che il Salapolli si trasse
indietro per non esserne rovesciato.
--Ma, signor conte!--disse, strabiliando.
--E tu sei una bestia, vedi?--riprese Bruno, fermandosi di contro al
Salapolli e appuntandogli l'indice sotto il naso.--Le hai scritto che
mi sono battuto, e le hai detto d'incoraggiarmi!... Dio degli Dei, che
bestie sono questi bibliomani...!
--La signora Nicoletta!--esclamò il Salapolli.--Ha ritrovato la
signora Nicoletta!...
--Nicla, Nicla, Nicla!--esclamò Bruno.--La mia Nicla!
E il suo grido risonò tra i vecchi libri come il nitrito fremente d'un
puledro.
Soggiunse:
--Era la fata bianca, veramente. Aveva pelliccia d'ermellino, un
berretto d'ermellino, era tutta bianca, come fosse nata nella neve. E
mi ha portato via nella sua carrozza, e mi ha baciato sulla fronte e
sugli occhi. Caro Salapolli, io oggi sono felice!
S'arrestò, il suo pensiero corse lontano, rapidamente.
--Felice quanto mi è possibile essere!...--soggiunse in tono più
basso.
Il Salapolli rimaneva a guardarlo, con le mani in mano, confuso e
meditabondo; poi disse:
--Mi pare un grosso imbroglio!...
--Che cosa? Che cosa ti pare un grosso imbroglio?--domandò Bruno
ridendo.
--Questo incontro con la signora. Quanti anni ha....?
--Aspetta. Io ne ho venti.... Dunque lei deve averne circa trenta....
--Fiore di donna!--definì il Salapolli.
--Fiore di donna, fiore di bellezza, fiore di virtù, fiore di bontà,
fiore di tutto!...
--E la signora l'ha baciato sugli occhi!
--Naturalmente. Anch'io l'ho baciata. Non è mia sorella? Non è stata
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