La freccia nel fianco - 05

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--Io ci perdo la testa!--esclamò.--Perchè tu dimentichi che l'amorazzo
lo avrebbe scoperto in barca! Come si possa scoprire in barca un
amorazzo o un segreto, è ciò che mi vado domandando.
--Hai ragione!--esclamò Maurizio.--E in barca non c'erano che lei e il
conte?
--Sicuro: lei, il conte, e due barcaiuoli,--confermò la signora.--Poi,
mi ha raccontato il conte, hanno preso anche quel bambino, il piccolo
Traldi, e gli han fatto fare un giro, per divertirlo....
--Forse una lettera, caduta dalla tasca del conte?--arrischiò
Maurizio.
--Nicoletta non se ne sarebbe occupata!--ribattè la signora.
--Forse un ritratto?
--Ti pare? Fare una dichiarazione d'amore a una fanciulla, col
ritratto di un'altra in tasca?... Il conte è incapace di questo
cinismo!
--È giusto,--acconsentì Maurizio.--E se domandassimo, chiaro e tondo
al conte medesimo che cosa è avvenuto?
--Potrebbe risponderci di chiederlo a nostra figlia,--osservò
Carlotta.
--Certo, avrebbe ragione!--confessò Maurizio.--Se si potesse farla
parlare, persuaderla a dirci tutta la verità....
--Lo credi impossibile?--domandò la signora.
--È difficile. Lasciamo passare qualche giorno. Tu non dire più nulla.
Poi, mi ci proverò io, con molta dolcezza,--concluse Maurizio.
Tacquero.
Maurizio bevve finalmente il suo terzo bicchierino.
E Carlotta, poichè aveva ancora la rivista squadernata sotto gli
occhi, disse:
--Ma è proprio bello, questo brucia-profumi!

VIII.
Al solito convegno sulla riva del lago, Nicla giunse l'indomani, tutta
attillata in un abito color d'acciaio, con un morbido cappello bigio
messo di traverso a guisa del feltro d'un arlecchino, e coi guanti
bigi lunghi oltre al gomito.
Presso la lancia di casa, appoggiati ciascuno al remo, due barcaiuoli
aspettavano in silenzio.
A poppa sventolava, tutta bianca con un serpentello vermiglio
aggomitolato in un angolo, la bandiera di Nicla.
Bruno andò incontro alla sua amica e la guardò senza parlare.
Aveva con se la goletta, per la quale aveva fatto fare dalla
governante una bandierina di seta bianca identica a quella di Nicla;
ma invece del serpente aggomitolato, suo padre gli aveva dipinto in un
angolo un asinello che sparava calci all'aria.
Quell'asinello era stato causa di molte discussioni tra padre e
figlio.
Bruno non lo voleva: se ne sentiva offeso, e Fabiano gli aveva
spiegato, con un ambiguo sorriso, che c'era più forza nella groppa
dell'asino che nella testa del serpente.
Del resto il serpente era un emblema femminile.
--Tu, alla tua età,--aveva soggiunto Fabiano col suo bonario sorriso
canzonatore,--non puoi avere per emblema che l'asinello. Specialmente
considerando la vasta coltura che possiedi!
Bruno s'era infine persuaso o almeno rassegnato; ma udita la cosa,
Nicla ne aveva riso fino alle lagrime.
--Il tuo papà ha ragione!--aveva detto.--L'asino rappresenta una forza
che io non ho, e puoi contentartene.
Così la goletta aveva fieramente spiegato sui flutti la bandiera
bianca con l'asinello riottoso, di cui Bruno guardava di tanto in
tanto la groppa, pensando alla forza di quei calci gagliardi.
--Ebbene?--gli disse Nicla stringendogli la mano.--Non mi dici nulla?
E lo fece salire nella lancia; poi gli sedette accanto sui cuscini
bianchi dai bottoni rossi e prese tra le mani i fiocchi del timone.
--Stai molto bene!--rispose Bruno, con l'accento d'un goloso
soddisfatto.
--Allora sei rimasto muto innanzi alla mia bellezza?--disse Nicla
ridendo.
--Proprio!--confermò Bruno.--Così, sei più bella ancora!
--Dove andiamo, signorina?--domandò il primo barcaiuolo, togliendosi
il largo cappello.
--Alla Croda!--ordinò Nicla.
La lancia prese il largo; scintillavano sotto i raggi le pale dei
quattro remi bagnati, come le zanche d'un velocissimo insetto.
Tornando dal bosco la sera innanzi, Bruno aveva pregato Nicla di fare
l'indomani una gita in barca fino alla Croda, ch'era un frangente a
fior d'acqua, a venti minuti circa dalla villa Carlotta.
Di quella roccia grinzuta, morsa e bucherellata dall'onda, con seni e
rientranze e culmini e schiene e venature, Bruno aveva fatto un suo
dominio.
Vi aveva passeggiato altre volte con Nicla, dando nome ai solchi e
alle vette, versando acqua con le mani nelle cavità per farne mari e
fiumi, stabilendo nel mezzo una capitale, animando con la fantasia lo
scoglio grigiastro, come sotto i suoi occhi brulicasse la vita d'un
intero continente.
Ma da più tempo, rapito dal piacere di correre pel bosco, pareva aver
dimenticato il suo isolotto.
E non se n'era rammentato che la sera stessa della gita in barca, con
Nicla e Duccio, per aver pretesto a un'altra gita, la quale
cancellasse dal suo cuore e dal cuore di Nicla la triste impressione,
il ricordo amaro della prima.
Nicla aveva capito.
E per fargli intendere a sua volta ch'ella apprezzava il suo sforzo e
che si prestava a chiudere per sempre quel molesto episodio, gli era
comparsa innanzi con l'abito che non aveva mai indossato, con un
cappello nuovo, diversa da quella ch'egli aveva veduta con Duccio,
«ancora più bella».
Egli aveva subito inteso.
E quando furono al largo, sotto il sole, tra la buona aria che
fischiava ai loro orecchi e baciava il loro viso, domandò:
--Non lo avevi mai messo questo abito?
--No, caro!
--E anche il cappello non lo avevi mai messo?
--Neppure.
--Allora li hai messi oggi per andare in barca con me?--esclamò Bruno,
aprendo i grandi occhi in una luce di gioia.
Ma al momento di rispondere sì, di rallegrarlo e di farlo superbo,
Nicla esitò. Non osava.
Una specie di verecondia subitanea innanzi a quel fanciullo delicato e
geloso, che capiva e sentiva come un uomo, la rattenne. Le parve di
far male concedendo qualche soddisfazione al suo amor proprio di
maschietto prepotente.
--Bisogna bene,--rispose,--cambiar d'abito e di cappello, qualche
volta.
Ma scorgendo che un velo di tristezza calava repentinamente sul viso
del fanciullo, soggiunse:
--No, no, caro! Ho messo proprio per te l'abito e il cappello nuovi.
Proprio per te!
--Allora Duccio non sa che tu li avevi?--esclamò Bruno con uno scoppio
di voce gioconda.
--Non sa!
--Allora non ti ha mai veduta così, vestita di ferro?...
--D'acciaio,--corresse Nicla.--No: non sa niente!
--Non sa che tu sei così bella?--gridò ancora Bruno.
--Zitto, zitto!--disse Nicla.
Egli le gettò le braccia al collo e la baciò sulle guance.
--Come mi piace!--esclamò.--Ieri nel bosco eri tutta rossa; oggi sei
tutta grigia.
Tacque per ricordare, indi aggiunse:
--La mamma non veste mai come mi piace. Dice che non m'intendo.
--Ma è elegantissima, più elegante di me,--rispose Nicla.--E poi la
mamma, poveretta....
E con maraviglia s'accorse che ogni altro elogio della contessa le
moriva sul labbro, e un beffardo spirito le fischiò all'orecchio che
la mamma, poveretta, era a Sonnenberg, con Duccio Massenti.
--Tu non sei come la mamma,--seguitò Bruno.--Tu non sei una donna.
--No?--chiese Nicla stupita.--E che sono allora?
--Tu sei una ragazza, come me.
--Sì: una donna ha troppe cose da pensare,--spiegò Nicla.--Una ragazza
non ha nulla da pensare e può perdere il tempo nei capricci. Sarà
così....
--Sarà così!--disse Bruno, quantunque sembrasse poco persuaso.
Sbarcati alla Croda, Brunello mise in acqua la goletta per
proteggerli, mentre più lontano vagava lentamente la lancia, che
rappresentava una corazzata.
Nicla ripensava alle parole di Bruno.
Una ragazza come lui! Ancora quel giorno e altri giorni. Poi la
differenza d'età si sarebbe aperta tra i due quale un abisso. Entro il
breve giro di quindici anni, egli sarebbe stato il giovane che
s'affacciava impaziente di desiderii e d'illusioni, ed ella la donna
placida e delusa, forse la madre, con qualche rimpianto della libertà
perduta.
Non avrebbero mai più trovato il linguaggio che li affratellava; non
si sarebbero compresi, se pur si sarebbero rivisti; ed egli certo non
avrebbe cercato di lei....
Passarono un'ora sullo scoglio, intrattenendosi a riformar laghi e
fiumi. Brunello sosteneva che il suo dominio aveva cambiato figura e
s'eran formate nuove valli, alle quali bisognava dare un nome. Nicla,
seduta sulla parte più alta della roccia, lasciava dire il fanciullo,
che stava accosciato a sbarcare i soldatini di cui la goletta recava
un grosso carico, e a distribuirli nelle varie guarnigioni.
Osservando quella ingenua felicità, fatta di tanto poco, Nicla vedeva
rinascere il bambino che posava la testa sulle sue ginocchia, così
diverso dal piccolo uomo che voleva baciarla dietro le orecchie o far
uccidere Duccio per vendicarne un'offesa. A quale di quelle due anime,
la modesta e candida, o la violenta e appassionata, avrebbe il destino
dato forma e potenza?
--Dobbiamo tornare!--annunziò Nicla, notando che il sole era già basso
all'orizzonte.
E fece segno alla lancia che si avvicinasse.
Una improvvisa malinconia le velava l'anima, senza ragione; e durante
il ritorno, abbandonata in un angolo della barca, con gli occhi che
vagavano nel vuoto, non disse parola.
Bruno cercò d'appiccar discorso, ma dopo un vano tentativo,
accorgendosi che la sua amica era assorta in un pensiero, ne rispettò
il silenzio e tacque a sua volta.
Guardava l'acqua che mutava sotto il riflesso del Sole morente il suo
color verdastro in una lieve tinta cremisi; e di tanto in tanto vi
tuffava una mano, occhieggiando se Nicla non lo sorprendesse.
Ma non appena furono sbarcati e la lancia si allontanò per rientrar
nella darsena, fecero un incontro singolare.
Un tizio che da qualche tempo gironzava sulla spiaggia, si avvicinò.
Era un uomo d'età mal certa, con la barba rossa non rasata, i capelli
radi chiazzati di bianco; vestiva un abito lucido nei gomiti, unto sul
bavero e teneva in mano un cappello di paglia divenuta scura, con le
tese smozzicate.
--È il figlio del conte Traldi, signorina?--disse, indicando Bruno.
Nicla lo squadrò e procedette senza rispondere.
--Signorina, mi scusi,--insistette l'uomo.
La fanciulla, tenendo Brunello per mano, fece una sosta.
--Ho bisogno di sapere dove sia il conte Fabiano Traldi di San Pietro.
Vedo che lei ha il governo del bambino, e certamente vorrà dirmi dove
si può trovare suo padre.
--Non so nulla!--rispose Nicoletta con voce asciutta.
L'uomo non si mosse.
--È possibile?--esclamò.--A villa Florida, il domestico mi ha detto lo
stesso.... E si tratta di cosa grave: della scadenza d'una cambiale di
dodicimila lire....
--Andiamo!--disse Nicla a Bruno, avviandosi.
Era dolente d'aver appreso una notizia gelosa che non la riguardava.
--Forse è uscito per breve tempo,--insistette fastidiosamente l'uomo,
mettendosi al suo fianco.--Forse è andato a far qualche visita, una
gita?...
--Le dico che non so nulla!--ripetè Nicla in tono reciso.
Ma l'uomo fece più dura la voce, e seguitò:
--La prego d'osservare che si tratta di cosa importante, gravissima,
l'onore d'una firma. È possibile che lei non sappia dov'è il suo
padrone?
Nicla si scostò con un tal balzo, che per poco Bruno non ne fu
rovesciato.
--Il mio padrone?--esclamò, volgendosi e piantandosi innanzi all'uomo
dal pelo rosso.--Io non ho padroni! Sono la signorina Dossena, e non
faccio la serva!
--Oh che stupido!--disse Bruno.
L'uomo si curvò immediatamente fin quasi a terra, e la sua voce
diventò piagnucolosa.
--Ah, mio Dio, mio Dio! quale errore! Le domando perdono, signorina
Dossena! Un gran nome delle nostre industrie! Le domando perdono con
tutta umiltà, signorina! Quale errore!
E camminando per alcuni passi a ritroso, borbottando sempre con voce
di pianto, l'uomo si ritirò in fretta, e scomparve in direzione della
villa Florida.
--Era molto stupido!--osservò Bruno.
--Ma il papà dice qualche volta che non c'è, per non vedere quegli
uomini....
--Lo imagino,--rispose Nicla.--Ora, va a casa. A domani!... E al papà
non raccontare nulla. Egli avrebbe dispiacere, se sapesse.
--Tu non hai avuto dispiacere perchè quello stupido credeva che tu
fossi la governante del papà?--chiese Bruno.
--No, no,--rispose Nicla sorridendo.--Addio. Va a casa!
E si chinò a baciare il fanciullo.
Ma tornata a casa, cadde in preda a una più grave, a una più nera
malinconia; e a pranzo non toccò cibo.
--Riflette, riflette!--disse il cavalier Maurizio alla signora
Carlotta, non appena furono soli e poterono scambiarsi qualche
impressione.--Vedrai che finirà col dirci spontaneamente il suo
segreto.
E rise, da furbo, mentre la moglie lo ammirava.

IX.

Fu l'indomani una indimenticabile giornata, che rimase nella vita di
Nicla come una sinistra conferma di presentimenti invincibili.
Era scesa, verso le nove del mattino, nella piccola sala da pranzo
dove abitualmente faceva colazione con sua madre, quando non v'erano
ospiti.
Il cielo era tuttavia carico di nubi, strascico d'un temporale furioso
durato l'intera notte, che aveva impedito alla fanciulla di dormire.
Odorava la terra d'umidità e il vento sconvolgeva il lago.
Oltre le vetrate della sala si scorgevano le onde che parevan venir
dall'orizzonte bigio, coronate di bianca spuma, e che dato un lancio,
si gettavano con incessante fragore e si stendevano sulla spiaggia.
La temperatura s'era abbassata da un istante all'altro.
Nicla vestiva di scuro.
Presso la tavola attendeva il domestico, pronto a servire.
La fanciulla baciò sulle guance sua madre; e questa, prima ancora che
Nicla avesse preso posto, con una voce in cui fremeva il piacere d'un
pettegolezzo e la gioia di poterlo rivolgere in tutti i sensi,
domandò:
--Sai la notizia?
La fanciulla rispose, un po' inquieta:
--Esco ora dalla mia camera. Non so nulla, mamma!
E pensò annoiata che si trattava forse ancora di Duccio, il quale
aveva scritto, o stava per tornare, o chiedeva di giustificarsi; e la
battaglia sarebbe stata rude.
Ma Carlotta aspettò che Nicla fosse seduta e che il domestico, posto
in tavola i vassoi e mesciuto il cioccolatte, se ne fosse andato; e
finalmente riprese:
--Il conte Traldi è scappato!
--Che dici?--esclamò Nicla, sorgendo in piedi.
E in un lampo comprese che non poteva esprimere nè dolore soverchio,
nè compianto; ciò le avrebbe cagionato altre noie.
Pallidissima, tornò a prender posto, e soggiunse:
--È scappato? Sei ben certa?
--Non so perchè te ne stupisca tanto! Sei diventata bianca in faccia,
come se si trattasse d'una disgrazia di famiglia,--osservò sua madre.
--Nervi:--rispose la fanciulla.--Non sempre si è padroni dei proprii
nervi: io stanotte ho dormito poco e male.
E dentro il cuore, una voce le gridava: «Bruno! Dov'è Bruno? Che è
avvenuto di lui?».
--Anch'io non ho dormito,--riprese con un sospiro la signora.--Fosse
il temporale, fossero i pensieri per quella tua scappata col conte
Massenti, non ho potuto chiudere un occhio. Non so quando ci dirai le
ragioni per le quali hai messo alla porta, senza avvisarcene, senza
averne il permesso, quel vero gentiluomo.
Nicla fremeva in silenzio. Bruno? Dov'era Bruno?... E sua madre
parlava di Duccio e del matrimonio e del segreto!
Ma comprendendo che non v'era nulla da sperare, e che su
quell'argomento Nicla non avrebbe dato alcuna risposta, la signora si
volse all'altro, e seguitò:
--Sicuro, è scappato. Ieri erano stati a cercarlo per il pagamento di
cinquantamila lire. Egli non riceveva. Poi ha licenziato tutti, e
durante la notte è scappato coi cavalli, invece che con la ferrovia.
Credo sia pazzo. Viaggiare in carrozza da posta con un tempo
infernale, sotto i fulmini, per non trovar creditori anche in treno, è
veramente un'idea da matto.
--E dove è andato?--chiese Nicla, cercando d'ingoiare la sua bevanda
con la gola serrata.
--Dicono a casa sua, dalla madre e dai fratelli, per estorcere altro
danaro.
--E la villa?
--Credo sia chiusa: ci ha rimesso un mese d'affitto.
--E ha condotto con sè il bambino?
--Senza dubbio. Tu ne avrai dispiacere. È per questo che sei così
agitata?
--Ne ho molto dispiacere--confermò Nicla.--Ma non sono agitata.
--Egli è con suo padre. Non è stato sempre con suo padre?--osservò la
signora Carlotta.--Suo padre ci penserà.
--Come sai tutti questi particolari?--domandò Nicla alzandosi.
--Ma non si parla d'altro, in paese. Stamane son venute dieci persone
a raccontarmi l'avvenimento. Bada che fa fresco; non andare al lago.
Nicla era già uscita.
Le martellava in cuore un'idea sola: «Non lo vedrò più!».
Glielo avevano rapito di notte, durante una tempesta, sotto i fulmini,
per trascinarlo nuovamente a un'esistenza di disordini ansiosi e di
febbrili vicende.
Non lo avrebbe veduto più. Suo padre s'allontanava per sempre dal
paese, forse dall'Italia; il bambino riprendeva la sua strada, dopo un
intermezzo di dolcezza e di gioia; andava incontro alla sua sorte,
qualunque ella dovesse essere; e Nicla sentiva d'essere una intrusa,
la signorina Nicoletta Dossena, una vicina di campagna, e nulla più,
la quale non aveva alcun diritto non che a giudicare, nemmeno a
chiedere e a sapere.
Perchè lo aveva amato?
Lo aveva amato come un bambino suo, più che un fratello. Gli aveva
dato tutta la sua fresca anima libera; ed egli, a guisa d'un piccolo
Amore sbucato impensatamente fuor da una nube, le aveva piantato nel
fianco una freccia di cui ella non sapeva più liberarsi, di cui
avrebbe portato il peso e il segno per tutta la vita.
Sulla soglia del vestibolo, fingendo di cercare il cappello, un cencio
qualunque da mettersi in testa, pianse lagrime roventi.
Una cameriera, che le porgeva il cappello, non osò dir parola, e volse
gli occhi per non essere indiscreta; ma sapeva; tutti in paese
sapevano che Nicla era per il piccolo conte Traldi, meglio che una
sorella, più che una madre.
Nicla uscì e corse a villa Florida.
Il vento fischiava; sulla riva, i barcaiuoli stavano vuotando le loro
barche dall'acqua che le aveva invase; e grandi nuvole viaggiavano
frettolose per il cielo bigio.
La fanciulla guardò sulla spiaggia il luogo in cui Bruno l'aveva
salutata la sera prima, e gli occhi le si riempirono di lagrime.
Suonò alla portineria della villa, e la governante venne ad aprire.
--Oh signorina!--disse.--Favorisca. La casa è tutta sossopra, e vorrà
scusarmi. Una partenza così improvvisa....
E precedendo la fanciulla, la fece entrare nel salotto a pian terreno,
i cui mobili eran coperti di tela giallina, e le pareti di tappezzeria
chiara a righe grigie, sul gusto inglese.
La governante era una donna di circa cinquant'anni, alta e robusta,
con occhi cilestri; portava in testa una cuffia nera orlata di bianco,
e sulla veste scura un candido grembiale.
Ella restò in piedi mentre Nicla sedeva sopra un divano.
--Volevo avere notizie,--disse la fanciulla,--di Brunello.
--Me lo imagino. Oh quanto ho udito parlare di lei, signorina!
Brunello non parlava d'altri, lei era il suo Dio.
--Sì, un dio,--esclamò Nicla involontariamente,--che non può nulla.
--Il signor conte è partito stamane, all'alba, coi cavalli,--raccontò
la governante.--È stata un'idea bizzarra, così, venutagli
d'improvviso, come tante altre. Il signor conte ne aveva di curiose
ogni giorno; era un carattere difficile. Iersera ci ha licenziati,
Antonietta la cuoca, Carlo il domestico, e me. Io sono rimasta per far
la consegna della casa, e potrei rimanerci anche un mese, perchè il
signor conte ha pagato fino a tutto il mese venturo. Carlo non ha
mancato di far osservare al signor conte che poteva partire stamane
alle undici, con un treno che è comodo. Ma egli s'è infuriato: voleva
partire subito; mandò a noleggiare da Vico Malerba una carrozza a due
cavalli, e la carrozza è venuta a prenderlo verso le quattro del
mattino. Sono partiti così, e non erano a cinquanta metri dalla casa,
che è scoppiato il temporale.... Vergine santissima, che tempesta!
acqua e grandine e vento! Nessuno di noi si è coricato; pensavamo
tutti al signor conte e a Brunello. Li aspettavamo di ritorno da un
momento all'altro.... Ma sì; neanche i fulmini lo trattengono il
signor conte quando s'è messo in capo un'idea; e non sono tornati.
--Ma dove andavano?--chiese Nicla ansiosamente.
--Chi sa? A prendere la ferrovia più giù, alla quarta o alla quinta
stazione. Il signor conte va a trovar la sua famiglia, per affari.
--E Brunello?
--Brunello dormiva. L'ho vestito io. Veniva a casa la sera sempre
stanco, per le sue grandi passeggiate e per le corse che faceva con
lei, signorina. Dormiva, e l'ho vestito io, l'ho messo io in carrozza,
e l'ho avvolto ben bene di scialli e di coperte, perchè sentivo che il
tempo era incerto. Non s'è nemmeno svegliato quando gli ho dato due
grossi baci.
E tacque. Nicla guardò a terra.
--Non torneranno più?--chiese dopo un istante d'esitazione.
--Vorrei!--esclamò la governante.--Ma io ho ricevuto ordine dal signor
conte di spedir casse e bauli che son rimasti qui all'indirizzo che il
signor conte mi telegraferà.
Nicla si alzò lentamente.
--Non tornano!--disse.--Ma forse il vetturale. Vico....
--Vico Malerba....
--Vico Malerba è già rientrato, e si potrà sapere almeno se Brunello
non ha patito durante il viaggio!
--Mi sembra ancor presto,--osservò la governante.--Ma andrò a vedere
subito. E in ogni modo non dubiti, signorina....
La riaccompagnava a passo a passo dal salotto verso il vestibolo; e
attraversando un corridoio laterale al giardino, la fanciulla vide in
fondo, tra i fusti e il fogliame scuro, una tavola di legno. V'era
dipinto in rosso e nero un soldato in grandezza naturale.
Era il bersaglio del conte, quel bersaglio che Brunello avrebbe
sostituito volentieri con Duccio Massenti.
Le lagrime tornarono agli occhi di Nicla.
--In ogni modo non dubiti, signorina,--diceva la governante,--non
appena avrò notizie, sia oggi, sia domani, sia poi, gliele porterò. So
il bene che lei voleva a Brunello, e l'adorazione che Brunello aveva
per lei.
--Sì,--disse Nicla.--La ringrazio e ci conto.
Salutò con un cenno del capo e uno smorto sorriso, e uscì, mentre la
governante la seguiva degli occhi.
Non v'era più speranza; Bruno era perduto, Bruno non sarebbe tornato
mai più.
La spiaggia, il lago, il bosco, il poggio, tutto quel paesaggio di
felicità, bello e immenso, d'un tratto era divenuto misero, grigio,
deserto, per la scomparsa d'un piccolo uomo che lo animava con la sua
presenza e lo possedeva con la sua voluttà di vivere.
Ma più fortunato, nella sua disgrazia, di chi rimaneva, Brunello
sarebbe stato assorto in altri spettacoli e distratto da altre
vicende: non avrebbe rivisto ogni giorno quei luoghi che parlavano
d'un passato raro e maraviglioso, e facilmente avrebbe potuto
dimenticare.
Nicla restava.
Restava sola a bere tutta la mestizia disperata delle ore cògnite, a
udir le campane che annunziavano da lungi il vespero, le campane degli
armenti che tornavano alle stalle, le campane flebili che mormoravano
a fior d'acqua sul lago.
Dove trovar posa, dove trovare scampo, contro i ricordi che
l'assalivano da ogni parte? Come vivere senza parlare mai del proprio
dolore, senza confidarsi ad anima viva, simulando anzi il piacere pel
piacere degli altri, la curiosità per la curiosità degli altri,
simulando in una parola quella vita che traeva placida e noiosa prima
di conoscere Brunello e la dolcezza d'un casto idillio?
--Hai saputo qualche cosa?--le domandò sua madre, vedendola tornare.
--Non ho saputo niente, perchè non ho chiesto niente!--ella rispose.
E salita nella sua camera, vi si chiuse, e si gettò sul letto a
piangere.


X.
Il viaggio di Fabiano e Brunello era stato spaventevole.
Il conte aveva pensato di partire in carrozza verso l'alba, per
raggiungere una stazione ferroviaria ch'era a dodici chilometri dal
paese. Ma dopo pochi minuti di viaggio, l'uragano furioso era
scoppiato. Fischiava il vento attraverso il fogliame che si disperdeva
nell'aria, tentennavano gli alberi come dovessero ad ogni istante
rovesciarsi addosso alla vettura, rombava il tuono da vicino e da
lontano incessantemente.
Vico Malerba, il vetturale, accecato da nembi di polvere, non vedeva
più la strada, e uno dei cavalli, ombratico e vizioso, tentava di
prender la mano e di trascinare a sbrigliata fuga anche l'altro.
Brunello si svegliò.
--Dove siamo?--chiese.
Cominciarono i fulmini a crepitare, squarciando le nubi dense; e venne
una grandinata soda come fosse fatta di proiettili, che spezzavano i
rami più deboli e strappavano le foglie.
--Bisogna fermarsi!--dichiarò il vetturale.
La carrozza aveva un soffietto che la riparava soltanto a metà, e
dentro precipitava la tempesta, balzando sul legno, schizzando da ogni
banda, battendo sulla groppa dei cavalli. Il vetturale era sceso e
s'era messo alla testa degli animali per frenarli; il conte scese a
sua volta.
--Sta fermo!--ordinò a Bruno.--Vado a tenere i cavalli.
Ma Brunello non badava nè ai cavalli nè all'uragano.
--Voglio Nicla! ~ egli disse.--Nicla!... Dov'è Nicla? Papà, dov'è
Nicla?
Suo padre non rispose: teneva il morso del cavallo di destra, mentre
il vetturale teneva quello di sinistra. Ambedue gli uomini stavano
sotto la grandine, folgorati di continuo dai grossi chicchi, feriti
alle mani, e tuttavia pronti a parar gli scarti e a domar le impennate
dei cavalli. Un fulmine scoppiò poco lontano, fece traballare il conte
e il vetturale; i cavalli diedero uno strappo, furono rattenuti a gran
fatica.
L'aria era così scura, che pareva notte; il vento cantava su mille
toni, con mille voci, ora sottili e gemebonde, ora minacciose e
frementi; a quando a quando sibilava un fulmine, appariva tra le nubi
una linea d'oro, cadeva tra le chiome irte e sconvolte degli alberi.
Poi, cessata la grandine, cominciò la pioggia.
--Ora possiamo andare,--disse il vetturale.--A un chilometro da qui,
anche prima, c'è un'osteria, dove potremo fermarci, perchè i cavalli
per oggi ne hanno abbastanza. Riprenda il suo posto, signor conte.
Fabiano risalì nella vettura e si pigliò Brunello tra le braccia.
--Nicla, dov'è Nicla, papà?--disse il bambino.
L'acqua veniva a torrenti, inondava la carrozza, formava una
pozzanghera nella pianta della cassa, sgocciolava per le fiancate; e
il vento rendeva più aspro e crudo quel diluvio.
I cavalli correvano con tutta la loro lena; drizzavan le orecchie ad
ogni brontolìo di tuono, scartavano ad ogni balenar di folgore, ma
andavano a rompicollo, quasi avessero voluto sfuggire a quell'inferno.
E la pioggia entrando a sghembo nella vettura, aveva ormai inzuppato i
due viaggiatori.
--Dormi, piccolo,--disse Fabiano.
--Perchè mi porti via?--domandò Brunello.
Gli rispose uno schianto formidabile, che fece sobbalzare uomini e
bestie; un fulmine era scoppiato a pochi passi.
Il conte adagiò Bruno e prestò mano al vetturale, che s'era teso ad
arco per trattenere i cavalli, i quali puntavano sul morso e si
sforzavano di precipitarsi finalmente a una fuga rovinosa.
Fu il più difficile episodio della corsa, e fu l'ultimo.
Indi a poco, la vettura poteva ricoverarsi all'osteria indicata da
Vico Malerba, e gli uomini ne scendevano.
Brunello era intontito; batteva i denti, tremava da capo a piedi,
sgocciolava tutto.
Una grossa donna, che conduceva l'osteria, spogliò il fanciullo e lo
mise a letto, ma qualche ora più tardi una fortissima febbre lo colse.
Delirava.
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