I coniugi Varedo - 08

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misero subito a disposizione di Diana, che per le occupazioni di
Alberto restava sola la maggior parte della giornata. Comandasse
liberamente, in qualunque cosa potesse occorrerle; scendesse da loro
di mattina, di sera, senza cerimonie, ogni volta che desiderava avere
qualche notizia o scambiar qualche parola. O se preferiva che
salissero essi da lei non aveva che da chiamarli; o l'una o l'altra
delle sorelle, o tutt'e due insieme sarebbero venute col loro lavoro.
Così, pure approfittando con parsimonia delle larghissime offerte,
Diana era entrata presto nelle confidenze de' suoi padroni di casa.
L'enciclopedico signor Giacinto le parlava delle sue cure di _pater
familias_, della responsabilità che si era assunta col tener presso di
sè la cognata, dei pensieri che gli dava l'educazione dei figliuoli, e
veniva pian piano a discorrere degli organici del Ministero ove
c'erano favoritismi indegni che l'onorevole conosceva sicuramente ma
ch'era vano sperar di togliere fin che non cambiassero gli uomini al
Governo. In quanto a lui, non era che un povero _travet_, e gli
conveniva usar prudenza. Non aveva che un unico modo di protestar
contro gli abusi; ed era quello di andar all'ufficio meno che fosse
possibile.
Anche la signora Amalia Feana s'apriva volentieri con la Varedo circa
alle inquietudini da lei provate per la sorella ch'era una testa
debole, e se non la guidavano, sarebbe stata capace di qualche
corbelleria. E sì che a quarantacinqu'anni (gliene cresceva quattro) e
dopo quello che aveva patito avrebbe avuto l'obbligo di ringraziare il
Signore che le permetteva di godersi in pace quel po' di ben di Dio
che l'era rimasto. Manco male che c'era chi stava in guardia.--E
poi--soggiungeva la signora Amalia nei momenti di maggiore
espansione--non abbiamo l'obbligo di cercare, mio marito ed io, che i
nostri figliuoli i quali son pieni d'attenzione per la zia, non siano
defraudati in favore d'un estraneo di ciò che può spettar loro in
futuro?
Diana se la cavava con monosillabi, senza scandalizzarsi troppo di
questa curiosa interpretazione del dovere... Non si scandalizzava più,
ormai.
Con la stessa mite ironia ella stava ad ascoltare gli sfoghi della
_sofferente_, se questa riusciva a coglierla sola. Volevano farla
passare per malata (in verità non ne aveva l'aspetto, bianca rosea e
grassa com'era) volevano tenerla sotto una campana... tutto per paura
ch'ella riprendesse marito. Ella non aveva nessun proposito deliberato
di passare a seconde nozze; ma, in fin dei conti, una donna a
trentasei anni (se ne calava cinque) non può mica imporre al suo cuore
di non batter più... E ad illustrare questa dichiarazione il cuore
della _sofferente_ emetteva un sospiro che gonfiandole il seno
voluminoso faceva scricchiolar le balene del busto. Un altro sospiro
le strappava il ricordo di una sua bambina mortale a trenta giorni e
che adesso sarebbe stata quasi una ragazza da marito... Ma! Se quella
benedetta fosse vissuta, ella, dopo la sua vedovanza, si sarebbe ben
guardata dall'accettare le offerte di suo cognato e di sua sorella.
Così ragionava la signora Daria, quando non c'erano testimonî; ma in
presenza dei Feana ella ripigliava la sua maschera d'impassibilità, il
suo sorriso languido di donna grassa ed apatica, a cui pesa ogni
fatica del corpo e dello spirito. Discorreva poco, stava lunghe ore in
ozio, sonnecchiando in una poltrona.
C'era al terzo piano, un'altra inquilina con la quale Diana Varedo non
tardò a far conoscenza. Era costei una pittrice inglese, da parecchi
anni stabilita in Italia, Miss Olivia Harrison, d'età incerta,
intrepidamente brutta come le inglesi sogliono essere quando non sono
bellissime, schietta di modi, originale di carattere e d'ingegno.
Amava il nostro paese come pochi di noi lo amano; parlava, forse, in
virtù del suo lungo soggiorno in Toscana, un italiano, se non fluido,
corretto e preciso, cercando talvolta la frase, trovandola sempre.
Miss Olivia concepì una schietta simpatia per la Varedo fin dalla
prima volta che la vide. Indovinò in lei una donna non volgare, e, ciò
che più la interessava, una personalità non ancora ben sicura di sè,
ma vagamente desiderosa di affermarsi e di svolgersi. Ella pure, Miss
Olivia, era stata una ribelle; nella sua passione per l'arte, nella
sua smania d'indipendenza, aveva abbandonato la famiglia e la patria,
e mentre avrebbe potuto goder tutti gli agi nella casa paterna
preferiva di viver meschinamente del suo lavoro peregrinando in paesi
stranieri. Perchè c'era questo di singolare; che malgrado il suo
ingegno, la sua coltura, il suo finissimo senso estetico, ella non era
che un'artista mediocre. E sapeva di esser tale, e vi si rassegnava
con dignità, e non attribuiva all'ingiustizie del mondo la sua scarsa
fortuna. Non però accettava la sentenza che vieta ai mediocri i campi
dell'arte.--Sciocchezze!--ella diceva.--Ognuno faccia lealmente ciò a
cui le sue inclinazioni lo portano. Se non riesce, non è colpa sua.
Riuscirebbe ancora peggio nel resto. Io sono una cattiva pittrice.
Pazienza. Sarei stata una pessima maestra di scuola, una pessima
sarta, una pessima contabile, una pessima impiegata ai telegrafi. Così
almeno respiro l'aria che si confà ai miei polmoni, m'inebrio delle
visioni che si confanno ai miei occhi. Se copio male una Madonna di
Raffaello o del Perugino, ho almeno il conforto d'aver tentato di
penetrare nell'anima di quei due sommi; se non posso rendere ne' miei
acquarelli la maestà della campagna romana ho la gioia religiosa e
profonda d'interrogare, ammirando, quegli orizzonti e quelle rovine.
Vivere con sincerità, ecco l'essenziale. Non lasciarsi traviare
dall'ambizione o dal tornaconto, adattarsi a essere oscuri,
incompresi, derisi, pur di seguir docilmente gl'impulsi dell'anima,
ecco il dovere d'ogni creatura che si rispetta.
Date queste idee, è facile immaginarsi come Miss Harrison
incoraggiasse la Varedo a coltivar le sue attitudini letterarie. Diana
gliene aveva parlato per celia, ma ella, l'Inglese, aveva preso subito
la cosa con la serietà della sua razza, e non si stancava di eccitarla
a tentare la prova, magari coprendo i suoi primi saggi col velo
dell'anonimo. Carlo Dickens aveva cominciato così: Maria Evans era
rimasta nascosta per un pezzo dietro il nome di battaglia di George
Eliot.
--Ha un bel dire, lei--rispondeva Diana ridendo.--Lei non ha marito,
non ha figliuoli.
Miss Harrison, alla quale non isfuggiva la gravità dell'obbiezione,
tentennava la testa. Era un arduo problema che, per conto suo,
ell'aveva risoluto negativamente. La famiglia tende a sminuire
l'individuo; ella, nella sua smania sfrenata d'indipendenza, aveva
fatto a meno della famiglia. Lo capiva bene che l'esempio non poteva
trovare molti imitatori e non disconosceva i pregi d'una istituzione
accettata da tutti i popoli civili. Ma per lei non era virtù quella di
sacrificare interamente sè stessi all'esigenze tiranniche di un ente
collettivo; era una rinunzia pusillanime degna di spiriti piccini.
Le due donne discutevano non intendendosi che a mezzo; tuttavia Diana
sentiva che, in fondo, ella era d'accordo con Miss Olivia in molti più
punti che non avrebbe voluto. Anche visitando Roma (vista una sola
volta nella confusione del viaggio di nozze) sia che Alberto, con uno
sforzo meritorio, consentisse ad accompagnarla in rapida corsa, sia
che le facesse da guida Miss Harrison o qualche conoscente
presentatole da suo marito, sia che fosse sola soletta col suo
Baedeker, ella notava una profonda diversità fra le impressioni e
l'emozioni provate adesso e quelle di pochi anni addietro. Allora
ell'accettava facilmente le opinioni fatte, oggi aveva una ripugnanza
invincibile ad accogliere i giudizi che udiva pronunziare intorno a sè
o leggeva stampati nei libri. Le accadeva di rimaner fredda dinanzi a
vantati capolavori e d'esser colpita invece da ciò che la sua Guida e
i suoi ciceroni non degnavano menzionare, e di fantasticarvi su a
lungo, indifferente a tutto il resto, e poco curandosi se altri
interpretavano a rovescio la sua aria distratta. Una notte non dormì
avendo sempre negli occhi un ritratto femminile d'una galleria privata
sotto cui era scritto: _Ignota d'ignoto_. C'era tanta dolcezza nel
viso di quella donna sconosciuta, morta da' secoli; c'era tanta
passione, tanta pietà, tanto amore nel suo sguardo. Pietà, amore per
chi? Forse per l'uomo, sconosciuto anch'egli, che la ritraeva?
Pur le Gallerie ed i Musei non esercitavano la maggiore attrattiva su
Diana. Già le pareva una pretensione assurda quella di gustare i
grandi maestri fermandosi pochi minuti dinanzi alle loro opere.
D'altra parte, se stava troppe ore lontana da Bebè (e naturalmente ai
Musei non poteva condurla) le si metteva addosso una tale inquietudine
da toglierle la serenità necessaria alla contemplazione artistica. Ciò
ch'ella preferiva era di girellare per la città in compagnia
dell'Irene che non le dava disturbo e della bimba che pareva
divertirsi un mondo in queste gite all'aperto. Di rado prendeva il
_fiacre_; andava spesso a piedi, talora in tram o in omnibus, sostando
di preferenza nelle vicinanze del Foro Romano o del Colosseo; o,
spingendosi oltre il Tevere, scendeva a San Pietro, saliva al
Gianicolo, si fermava a contemplare da San Pietro in Montorio il
panorama di Roma. Dinanzi al grande spettacolo il sangue le correva
più rapido nelle vene, s'agitavano nella sua mente i forti e virili
pensieri, seppellendo in un oblìo momentaneo le sue piccole cure, i
suoi piccoli crucci, il piccolo dramma della sua esistenza sciupata.
Quasi tutto il giorno ella viveva nella Roma del passato; gli echi
della Roma contemporanea giungevano al suo orecchio la sera. Alberto
arrivava a pranzo carico di gazzette, vibrante ancora dei dibattiti
appassionati della Camera, degli uffici, dei corridoi, a vicenda
sfiduciato e baldanzoso, secondo che le sorti del Ministero abborrito
parevano più sicure o più vacillanti. A Torino era taciturno; qui alla
capitale la vicinanza del campo di battaglia lo rendeva loquace.
Checchè pensasse di Diana, comunque giudicasse lo scarso interesse
ch'ella prendeva alle aspirazioni ambiziose di lui, egli, quasi avesse
bisogno a ogni costo d'un uditorio, continuava con sua moglie i
discorsi interrotti con gli amici e con gli avversari politici, le
parlava delle prossime discussioni, dei prossimi voti, trinciava
giudizi su uomini e cose. Non erano momenti lieti per l'Italia; il
disagio economico si faceva sentire in tutte le classi sociali e in
tutte le parti della penisola; la gravezza dei balzelli, la scarsità
dei raccolti, la rovina di molte industrie esacerbavano gli animi,
alimentavano le inquietudini per l'avvenire. Di là dal mare i nostri
possessi d'Affrica apparivano sempre come un formidabile enigma, e
benchè non vi fosse guerra aperta inghiottivano vite e danari. Ma
peggio della miseria interna, peggio dell'Affrica, era la corruzione
che dilagava, era la quotidiana rivelazione d'abusi, di scandali,
d'indulgenze colpevoli, onde si proiettava una luce sinistra sui nomi
cari alla patria, e nell'animo delle moltitudini periva ogni fede, e
la stessa risurrezione politica, già nostro vanto ed orgoglio, pareva
macchiarsi d'una postuma infamia. Varedo aveva parole roventi contro i
prevaricatori; a loro imputava il decadimento della nazione, a loro
l'imbaldanzire dei partiti estremi, che trovavano un aiuto nella
coscienza pubblica offesa dai vizi delle classi imperanti. Ah, colpire
bisognava, colpire inesorabilmente, mostrar che la giustizia e la
legge non erano simboli vani, ristabilire la moralità, risollevar
l'ideale... Ma che sperar dalle mummie che s'aggrappavano al potere?
Mai essi avrebbero avuto l'energia necessaria. E come averla, se
neppure la loro riputazione era illesa? Se d'alcuni si diceva che
spendessero oltre alle loro forze, che non si peritassero di ricorrere
a quei banchieri e a quegli affaristi ch'essi avrebbero avuto
l'obbligo d'invigilare? Gente nuova ci voleva, gente a cui le
debolezze proprie non imponessero di chiuder gli occhi alle debolezze
altrui...
Di tratto in tratto le filippiche eloquenti di suo marito riuscivano a
scuoter lo scetticismo di Diana. Se fosse vero? Se realmente gli
ardesse in cuore la sacra fiamma del bene? S'egli fosse realmente
destinato a grandi cose? Che scusa avrebbe avuto ella, sua moglie, di
condannarlo come ambizioso? Ma l'ambizione che si volge ad alti fini
non è vizio, è virtù, e solo gli spiriti gretti possono farla oggetto
dei loro sarcasmi. E non era forse anche lei, Diana, inconsapevolmente
ambiziosa? Non si lasciava montar la testa da Miss Olivia, non sentiva
risorgere i desideri lungamente repressi, non vagheggiava la gloriola
di scrittrice e di romanziera?
Questo ella diceva fra sè, e avrebbe voluto pronunciar di nuovo le
parole piene di calore e di fede, ond'ella, a Torino, incoraggiava
Alberto disputante con gli amici beffardi. Ma non c'era verso. Una
forza maggiore di lei le paralizzava la lingua, mozzava sul suo labbro
le frasi già incominciate. Troppi rancori personali, troppe bizze,
troppi puntigli facevano capolino nei discorsi di Alberto Varedo
perchè le disposizioni benevole di sua moglie potessero durare a
lungo. Peggio se, come gli accadeva talora, egli portava a pranzo o un
collega del Parlamento o un rappresentante del cosidetto quarto
potere. Erano, così almeno affermava Varedo, i migliori uomini del
partito; non mercanteggiavano il voto, non bazzicavano negl'Istituti
di credito, non s'impicciavano in losche speculazioni; eppure, che
povertà d'ideali, che intemperanza di linguaggio, che fiacchezza di
convincimenti! Quel San Giustino, il preconizzato Ministro, che
delusione era stata per Diana! Con che voluttà strana e feroce aveva
egli, uomo di governo, narrate dinanzi a lei, che conosceva appena, le
cronache del Quirinale, ripetuti i pettegolezzi che correvano sulla
vita intima di questo o quello fra i membri del Gabinetto, sollevando
tutti i veli, penetrando in tutte le alcove!
Ma nulla nauseava Diana quanto certi voltafaccia improvvisi, onde il
deputato, il giornalista ieri coperto d'obbrobrio era giudicato oggi
con singolare indulgenza, se si poteva sperare di tirarlo a sè, o di
strappargli una lode.
--Povero diavolo!--si diceva.--Val meglio della sua fama.
--È guastato dall'ambiente, ma il fondo è buono.
--E non è senza ingegno, nè senza cultura.
Che miserie, santo Dio, che miserie! E come Diana ne arrossiva per suo
marito, per gl'interlocutori di suo marito, per l'abbassamento morale
di cui questa mobilità d'opinioni era uno dei sintomi più eloquenti!
Comunque sia, ella non sempre si lasciava vincere dallo sconforto; non
tutto era a' suoi occhi privo di nobiltà e di grandezza in questa
terza Roma precocemente invecchiata. Forse ciò che vi era di nobile e
grande mostrava meglio l'intima virtù sua resistendo alla prova dei
tempi corrotti. Ben potevano essere impari all'ufficio la Reggia, il
Parlamento, la stampa; restava sempre il fatto maraviglioso di questa
Italia ridestata dopo un sonno di secoli, affermata nella sua capitale
di fronte all'eterno nemico della sua unità e della sua indipendenza.
Diana aveva assistito a un paio di sedute della Camera; nè alcuna voce
di potente oratore era salita fino a lei, ma ell'aveva visto nella
tribuna diplomatica gli ambasciatori stranieri seguire intenti la
discussione, e aveva pensato che mezzo secolo addietro l'Italia era
chiamata un'espressione geografica; in due occasioni ell'aveva
incontrato il Sovrano, ne' dalla persona di lui l'era parso emanasse
alcun fascino particolare; ma egli era il Re d'Italia, era il simbolo
intorno a cui si raccoglieva le sparse membra della nazione... Ah,
questa nazione che vibrava d'un unico palpito dall'Alpi al Mar Jonio,
perchè non si sarebbe risollevata, dalle umiliazioni presenti, perchè
non avrebbe adempiuto le promesse mirabili del suo riscatto? Intanto
qual degno studio per un pensatore, per un filosofo l'investigar le
ragioni onde lo sviluppo del risorto organismo s'era arrestato per
via, e i caratteri s'erano infiacchiti, e allo spirito di sacrifizio
era succeduta la caccia agli onori e alle sinecure, la smania dei
godimenti, la febbre dell'oro che non conosce scrupoli e freni? Quanti
germi morbosi ereditati dagli avi s'erano desti in noi col nuovo
calore di vita che aveva rimesso in movimento il sangue nelle nostre
vene? Quanti vizi avevamo acquisiti dagli altri? Quanti ce ne venivano
dall'oppressione straniera e domestica a lungo patita? Quanti dalla
libertà male usata?
Problemi che non ella, debole donna, avrebbe risolto; che già le
pareva prosuntuoso enunciare. Più accessibile alla sua mente, più
conforme alle inclinazioni del suo spirito era un altro modo di
considerar la questione. Prendere un uomo, un giovinotto di 18 a 19
anni nel 1859, vigoroso, intelligente, entusiasta, appassionato,
sensuale; condurlo, spettatore ed attore, attraverso tutte le vicende
italiane contemporanee, dalle battaglie dell'indipendenza alle dispute
del Parlamento; farlo salire, salire ai gradi supremi, esposto a ogni
specie di tentazioni; farci assistere alle sue lotte con gli avversari
e con sè stesso, alle sue vittorie e alle sue cadute; mostrarcelo ora
levato sugli altari ora travolto nel fango; portarlo sino ai confini
del secolo che muore, e dare per sfondo alla sua matura virilità, alla
sua imminente vecchiezza questa magnifica Roma, ove dal Campidoglio,
dal Vaticano, dal Quirinale parlano tre diverse epoche della storia,
s'affacciano tre diversi aspetti dell'umanità; che quadro, che romanzo
da invogliare un redivivo Manzoni!
--_Non nobis_--ella doveva soggiungere;--_non nobis_. Il protagonista
del suo romanzo ideale giganteggiava per modo che il suo occhio non
riusciva ad afferrarne i contorni; il gran quadro si spezzava in cento
quadretti di genere ove si movevano piccole figure subalterne
illuminate solo da una luce riflessa. Erano i tipi ch'ell'aveva
sottomano; erano i Bardelli, era Quinzani, era lo zio Gustavo, era
l'Adelaide Nocera, erano i Feana con la _cognata sofferente_, era Miss
Jane, la sua antica governante, e Miss Olivia, la pittrice inglese,
era Varedo, anche lui... e anche lui, oimè, una figura subalterna,
nonostante il suo ingegno, la sua dottrina e la sua interminabile
opera sul _dovere_.
Passavano e ripassavano tutte queste figurine sotto gli occhi di
Diana, si modificavano, si elaboravano nella sua fantasia, ed ella
sorrideva loro con tenerezza materna, e le vedeva col desiderio
acquistar forma e rilievo sotto la sua penna, e pregustava l'emozioni
d'autrice.
Finora però ella resisteva valorosamente alla tentazione. Anzi
negl'istanti in cui la fregola letteraria le si faceva sentir più
forte, ella come per antidoto, prendeva in collo Bebè ed
esclamava:--Io sono una sciocca. Devi esser tu, tu sola, il mio
romanzo, la mia letteratura, la mia gloria.


XIII.
Una festa che principia male....

Alberto Varedo, seduto al tavolino fra due riviste aperte, finiva di
scrivere una lettera:
«... e vi sarò grato se in forma puramente obbiettiva vorrete rilevare
la vacuità e superficialità di quella critica della _Revue des
sciences sociales_, raffrontandola, se così vi pare, all'articolo alto
e sereno comparso intorno al primo volume della mia opera nell'ultimo
numero della _Deutsche Rundschau_. Da un lato tutta la leggerezza e
presunzione francese; dall'altro la coscienziosità e la dottrina
tedesca. Bisogna pur convenire che oggi _Germania docet_.
«Del resto, la mia povera persona è il meno, e voi sapete ch'io non
vado in cerca di panegirici. M'irrita solo il veder disconosciuto dai
nostri vicini d'oltralpe il risveglio scientifico del nostro paese.
«Fraternamente, come sempre,
Vostro
ALBERTO VAREDO».
Il professore piegò il foglio e lo ripose in una busta già pronta,
indirizzata
_All'illustre signor cav. Ugo Soardi-Morini_
Direttore della _Rassegna giuridico-economica_
MILANO
Indi chiuse con dispetto la _Revue_ che lo tartassava, chiuse con
amore la _Rundschau_ che lo portava alle stelle e si accostò alla
finestra.
Ma un suono di passi lo fece voltare.
Era Diana che teneva per mano la bimba.
--Ecco Bebè che viene a darti il buon giorno--disse Diana.
Varedo si chinò sulla piccina, e le stampò un bacio sulla guancia
morbida.--Buondì, Bebè.
Un'occhiata di sua moglie lo avverti ch'egli dimenticava qualcosa ed
egli soggiunse:--A proposito, mille auguri.
--Su, Bebè, non rispondi?--sollecitò Diana che s'era spolmonata fino
allora a insegnar la lezione alla sua figliuola.
--_Azie_, papà.
--Mostragli--continuò la madre--mostragli che cos'hai di bello.
Bebè, alzando le sue manine, additò le buccole che le pendevano dagli
orecchi e ch'erano appunto un regalo del babbo pel suo secondo
anniversario, ricorrente oggi 27 Marzo.
--E chi te le ha date quelle buccole?
--Papà.
--Dunque?
--_Azie_, papà.
--_Azie_, _azie_; non dirà mai _grazie_ questa bricconcella?... E...
senti, Bebè, quanti anni compi oggi?
Bebè aggrottò le ciglia, cercò la risposta negli occhi materni e
finalmente pronunziò schietto:--Due.
--Brava la mia piccina!--esclamò Diana palpeggiando Bebè in uno
slancio d'entusiasmo.--Chi sa che bravure faremo l'anno venturo!...
Oggi intanto la giornata è in onore di Bebè... Andremo stamattina a
spasso a piedi... Andremo più tardi in carrozza... col vestito nuovo
che ha mandato la nonna... E noi che cosa abbiamo mandato alla nonna?
--Baci.
--Non era troppo grande quel vestito?--chiese Varedo.
--Era un po' grande... L'ho fatto ridurre... Ora sta a pennello... Tu
non verrai fuori con noi?
--Io, cara mia--disse Alberto,--uscirò subito dopo la posta e non
tornerò che per pranzo... Ho seduta agli uffici, seduta alla Camera e
si finirà tardi perchè i deputati vorrebbero cominciar le vacanze
sabato sera... Anche il Ministero ha fretta di congedarci, tanto per
guadagnar qualche giorno... Ma ormai è bell'e liquidato, e al
riaprirsi della sessione gli daremo il benservito.
--È più d'un anno che gli cantate il _de profundis_--osservò Diana.
--Sì, ma questa volta son pronto a scommettere che non campa tre
mesi--ribattè Varedo fregandosi le mani con l'aria soddisfatta d'un
deputato italiano che fiuta una crisi.
--Vedremo--disse Diana.--A ogni modo, ti raccomando d'essere a casa
per le sette e mezzo.
--Procurerò... Se no, mettetevi a tavola senza di me.
--Non far questo torto alla regina della festa.
--Oh, la regina della festa, quando ha un pezzo di dolce, è
arcicontenta.
--Abbiamo altri commensali; i Feana e Miss Olivia.
--Dio, quei Feana, che noia!
--Son pieni di premure che bisogna ricambiare.
--Non avrai mica invitato i figliuoli, spero?
--Non ci sarebbe stato nemmen posto a tavola. Pranzano da una zia...
Quieta, Bebè, cosa fai?
Bebè, ch'era seduta sopra alcuni vecchi giornali sparsi sul pavimento,
s'era levata una scarpina e una calza e guardava con grande
ammirazione uno de' suoi piedini nudi. Anzi lo spettacolo pareva aver
per lei una tale attrattiva che quando sua madre volle calzarla di
nuovo ella protestò con tutte le sue forze.
--Per amor del cielo, mandala di là--disse Varedo che non aveva
pazienza pei capricci infantili.
--Ora la porto io... Saluta il papà, Bebè... Buondì, papà, buondì...
Via, Bebè, non esser cattiva il giorno della tua festa.
Ma Bebè non era punto compresa dalla solennità della giornata, e
anzichè salutare il suo babbo strillava disperatamente, agitando le
braccia e le gambe.
Entrò in buon punto la Lisa, la cameriera, con la posta della mattina;
un fascio di lettere e di giornali. Dietro di lei un fattorino con due
pacchi.
--Son per la signora--avvertì la Lisa.--E c'è anche qualche lettera
per lei... Oh, Bebè...
--È pessima--dovette confessar Diana, mortificatissima. E la consegnò
alla cameriera perchè la desse all'Irene.
--Via, via, presto--seguitava a dire il professore, mentre firmava la
ricevuta dei pacchi sul libro del postino.
La bimba ricalcitrante e divincolantesi slanciò dalla soglia lo strale
del Parto.--Papà _citto_.
Da qualche tempo s'era detto a Bebè ch'era ora di finirla con
quest'antifona del _papà citto_, ma ella con la precoce malizia
infantile infrangeva spesso il divieto, e a costo di provocar la
collera della mamma, pronunciava con più gusto la frase incriminata.
--Bebè!--intimò Diana in tono di rimprovero.
Ma la Lisa, da donna prudente, aveva già chiuso l'uscio dietro di sè e
allontanata la piccola ribelle.
Senza mostrar di curarsi delle bizze della figliuola, Varedo diede a
sua moglie un giornale e un paio di lettere, di cui sbirciò la
soprascritta.--Una è della tua mamma--egli disse.--E una di Bardelli.
--Saranno auguri per Bebè.
--Ed è certo di Bardelli anche questo scatolone di dolci che vien da
Torino.
--È di lui sicuramente... Mi pareva impossibile ch'egli dimenticasse
l'anniversario della bimba.
--L'altro pacco poi--riprese il professore,--arriva da Venezia.--Di
chi sarà mai?... Forse te lo spiegherà la tua mamma.
--No--rispose Diana che aveva già scorso rapidamente l'epistola della
signora Valeria e si accingeva a legger quella di Bardelli.--No, la
mamma non accenna all'invio di nessun pacco.
--Pazienza allora... Scioglieremo l'enigma più tardi--soggiunse
Varedo. E cominciò ad aprire la sua corrispondenza. La quale pare non
fosse quel giorno di grande importanza perch'egli aveva già rimesso
nella busta le sei o sette lettere ricevute prima che Diana avesse
finita quella dell'antico assistente di suo marito.
--Per bacco!--esclamò il professore.--Bardelli ti scrive un volume?
--Non un volume, ma quattro pagine fitte.
--Per far gli auguri a Bebè e annunziare l'invio d'una scatola di
dolci?
--L'annunzio dei dolci e gli auguri non occupano che una mezza
facciata. Il resto è per te.
--Per me?... che novità ci sono? È un gran buon diavolo quel Bardelli,
ma è anche un gran seccatore.
Diana passò il foglio a suo marito, e ripigliò:--Sembra che il
concorso di Bologna gli prepari una nuova delusione. Povero Bardelli!
Ha la fortuna contraria, ed è sempre vittima di qualche intrigante,
senza che i suoi amici si affannino troppo ad aiutarlo.--
Varedo fece una spallucciata.--O che pretende?
E di mano in mano che andava innanzi nella lettura, la sua impazienza
cresceva, e i suoi commenti diventavano più acri.--Bardelli è un
imbecille. Si lagna perch'io non son voluto entrare nella Commissione
di concorso, come se entrandoci avessi il mandato imperativo di votare
in suo favore.
--Non questo--interpose Diana.--Conoscendolo a fondo, avresti potuto
illuminare i tuoi colleghi.
--In qual modo?... Ma che idee vi fate di una Commissione di concorso
alle cattedre universitarie? Si giudica sui titoli che sono
presentati; chi ha titoli maggiori riesce.
--E se uno s'è procurato i titoli con un atto di malafede come il tuo
Quinzani?
--Che mio?--protestò Varedo.--Io non ho predilezioni nè pel _mio_
Quinzani, nè pel _tuo_ Bardelli, e se non volli entrare nella
Commissione si è appunto perchè vi son fra i candidati il mio antico e
il mio nuovo assistente.
--E dunque Quinzani rischia di trionfare per merito di una gherminella
indegna,--ribattè Diana.--Perchè hai visto come stanno le cose? Hai
visto che il titolo principale di quel caro signore è un lavoro di cui
Bardelli gli fornì in massima parte i dati e le idee? E ciò dopo aver
promesso che il lavoro sarebbe stato condotto a termine solo nell'anno
venturo, e non avrebbe servito pel concorso di Bologna.
--Ho visto tutto--rispose il professore,--ho visto anche che Bardelli
vorrebbe ch'io mettessi sull'avviso la Commissione. Ma non capisce la
sconvenienza della sua domanda?... Appena uno scolaretto di ginnasio
commetterebbe una goffaggine simile.
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