I coniugi Varedo - 09

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--Bardelli sarà goffo--obbiettò Diana--ma è senza dubbio leale e
sincero. E si può giurare che quello ch'egli dice è la verità.
--Tanto peggio per lui. S'è stato un minchione, se invece di lavorare
per sè ha lavorato pel suo competitore, impari ad esser più accorto
per l'avvenire, nè aggiunga allo scorno del probabile fiasco il
ridicolo di questi pettegolezzi e la confessione della sua
dabbenaggine.
--Sicchè--riprese Diana il cui senso della giustizia si ribellava alle
teorie di suo marito,--sicchè i giudici del concorso dovranno ignorare
il plagio inverecondo commesso da Quinzani?
--In primo luogo--disse il professore--non è il caso di plagio. Può
darsi che il Quinzani si sia valso d'idee suggeritegli e di notizie
raccolte da Bardelli, o che per questo? Se di quelle idee, di quelle
notizie Quinzani è riuscito a far un tutto organico, il merito è suo,
e l'accusa non regge. La paternità d'un'idea? Ma un'idea è di tutti e
di nessuno; un'idea è nell'aria; cento uomini possono coglierla a
volo; essa appartiene soltanto a quello fra i cento che sa fecondarla.
E poi Bardelli è padronissimo di rivolgersi alla Commissione; basta
che non si sogni nemmeno ch'io mi ingerisca in questa faccenda.
--Te ne lavi le mani?
--Sfido io. Non entro mai in ciò che non mi tocca.
--I fautori di Quinzani non avranno di questi scrupoli.
--Avrebbero torto a non averne. Ma Quinzani ha più tatto; non sarà
indiscreto co' suoi amici.
--È vero--notò Diana con amarezza.--Egli usa d'altre armi per vincere.
--Oh!--replicò, infastidito, Varedo.--Voi donne parlate per simpatie e
antipatie. Bardelli t'è simpatico, e ha sempre ragione. Quinzani t'è
antipatico, e ha sempre torto. Io sono più equanime. Vedo che hanno
entrambi i loro pregi e i loro difetti, e son ben contento di non aver
da pronunciarmi fra i due.
--Sì, sì,--soggiunse Diana--ma è triste assai che i furbi abbiano
costantemente il sopravvento sui galantuomini, e non è men triste che
non si possa mai far nulla per un uomo il quale si getterebbe nel
fuoco per noi.
Alberto Varedo allargò le braccia.--Bardelli è l'artefice delle sue
disgrazie. Gli manca il senso pratico della vita, e io non sono in
grado di darglielo... Ma con queste chiacchiere il tempo passa, e io
per le dieci sono aspettato.
Diana capì ch'era inutile trattenerlo, ch'era inutile prolungare il
colloquio. Ell'era forzata a riconoscere che in molte cose Alberto
aveva ragione, che Bardelli si rovinava da sè e che gli uffici ch'egli
sollecitava in suo favore non erano facili a compiersi; tuttavia ella
sentiva come la vantata equanimità di suo marito non fosse che una
maschera accomodata sul proprio egoismo. Egli sapeva ben transigere
con la sua rigidezza quando si trattava degli affari suoi, sapeva ben
trovar gli argomenti che servono ad allargar le maglie elastiche del
dovere. Quelli ch'egli ignorava, quelli che avrebbe sempre ignorati
erano gli slanci generosi che ci fanno intuire anche nei nostri
rapporti coi terzi una giustizia superiore alla giustizia
convenzionale del mondo, e c'inspirano i sacrifici, e c'incoraggiano a
sfidare, in nome d'un nobile scopo, le censure dei formalisti.
--Non vuoi vedere che cosa ci sia nel pacco misterioso?--ella chiese
ad Alberto, riprendendo dalle mani di lui la lettera di Bardelli.
--Vediamo pure, ma subito--diss'egli. E franse i suggelli e tagliò col
temperino i lacci che chiudevano il pacco.
Indi apparve, in mezzo al cotone, una bambola coi capelli biondi, col
viso bianco e roseo, con gli occhi ceruli moventisi in atto
sentimentale.
--E ha un meccanismo nella pancia--notò Varedo.--Aspetta.
Premette una molla, e la bambola rispose:--Mamma! Papà!
--Oh, come sarà contenta la bimba!--esclamò Diana. E cercava sempre un
indizio del donatore, quando, sotto il nastro di seta rosa che cingeva
la vita della pupattola, scoprì un cartoncino su cui era scritto in
una calligrafia a lei notissima: _Auguri a Bebè dallo zio Gustavo._
Le pupille di Diana si velarono di lacrime.--Povero zio!--ella
sospirò.--Si ricorda della sua nipotina.
Il professore senza far motto riadagiò la bambola sul suo letto di
cotone. Poi domandò ironicamente:--La sposa non la sposa la sua
vedova?
Egli alludeva all'Adelaide Nocera il cui marito era morto da un mese.
Diana si oscurò in viso.--Credo che la sposerà dopo passato l'anno di
lutto. E sposandola farà il suo dovere, come dite voi altri.
--O piuttosto espierà i suoi peccati--borbottò Alberto Varedo.--Addio,
addio. Arrivederci.
--Per le sett'e mezzo, mi raccomando.
--A meno di casi imprevisti ci sarò... E, a proposito, credo che
porterò anch'io un commensale.
--Chi?
--Il collega Zonnini.... che conosci.
--Ci starà a fatica, e s'annoierà coi Feana.
--Oh in quanto a starci, magro com'è, occupa poco posto; e pel
rimanente non ti confondere. I Feana, per una volta tanto, possono
esser tipi divertenti.
Appena sola, Diana riprese in mano la bambola dello zio Gustavo e
stette in forse se tenerla in serbo per un altr'anno. Era ancora così
piccina, Bebè.
Ma no, no; ella non aveva il diritto di far questo. Sarebbe stata
usare uno sgarbo allo zio.
Di nuovo i suoi occhi s'inumidirono. Ella provava una tenerezza grande
per quello zio, che senza sua colpa, s'era alienato da lei, provava un
desiderio acuto di riveder il suo viso aperto e gioviale, di sentir la
sua voce, di sedergli sulle ginocchia come quand'era fanciulla...
Sicuro che i suoi difetti egli li aveva, sicuro che non era da lodarsi
quella sua relazione con una donna maritata... Ma era buono e
leale.... così premuroso verso la sorella, così tenace ne' suoi
affetti... Ecco, adesso che l'Adelaide era rimasta vedova egli la
sposava. Fortunata Adelaide!... Anche oggi, come circa tre anni
addietro sulla terrazza del Lido, ma con assai minore acrimonia, Diana
pensava a queste donne che traversano la vita col sorriso sul labbro,
infedeli spesso agli amanti, fedeli sempre all'amore, a queste donne
che la morale austera condanna e che pure hanno in sè qualche cosa che
le fa compatire ed assolvere. E la vinceva una curiosità femminile
d'imparare, non certo per usarne, il loro segreto, di penetrare nelle
loro anime, di farsi un'idea esatta dei loro sentimenti, delle loro
gioie, dei loro dolori. Chi sa, un giorno, quando l'Adelaide fosse
diventata la signora Aldini e lo zio Gustavo si fosse riconciliato con
Varedo e con lei, chi sa? Fors'ella avrebbe potuto, a momento
opportuno, tirare in disparte la sua novella zia e dirle:--Spiegami un
po'....
Diana si strinse nelle spalle. Che idee bislacche le frullavano in
capo? E che stava ella ad annaspar nebbia nello studio di suo marito,
mentre all'altro angolo dell'appartamento Bebè (se ne udiva benissimo
la voce) si sgolava a chiamar _mamma, mamma_, e faceva disperare
l'Irene?
In fondo, Bebè non aveva torto. Perchè sua mamma la trascurava nel
giorno della sua festa?
Per calmarla, Diana andò da lei coi dolci e la bambola e parve un
momento che gli umori della bisbetica fanciulla si rasserenassero. Ma
fu un breve intervallo fra due tempeste. Nella persuasione fallace che
la puppattola dovesse amare le chicche, Bebè le fregò sul viso uno dei
cioccolattini che si trovavano nella scatola di Bardelli, e quando la
madre saggia, per evitare maggiori disgrazie, portò via scatola e
bambola, Bebè, offesa nei suoi diritti di proprietaria, si rotolò
rabbiosamente per terra. In seguito di che, la regina della festa fu
messa in castigo fin dopo colazione.


XIV.
.... e finisce peggio.

Nel pomeriggio, la bimba si mansuefece alquanto, e potè figurare con
onore davanti ai Feana, venuti a portare i loro auguri e a ringraziar
Diana dell'invito a pranzo. Venivano _in pompa magna_, marito, moglie
e cognata _sofferente_, e oltre agli auguri, portavano fiori in
quantità acquistati dallo stesso signor Giacinto in Piazza di Spagna.
Ma la dimostrazione più lusinghiera era quella di aver uniformato il
vestito all'esigenze della lieta solennità. Non solo il Feana aveva
levato dal soprabito il velo ch'era documento del suo mite cordoglio;
non solo la signora Amalia indossava un vestito con sbuffi rossi alle
maniche e tre falde di gale; ma persino _la sofferente_ rompeva il
rigore delle sue gramaglie vedovili con una _blouse_ di color cenere
chiaro che la faceva parere ancor più grassa del solito e dava maggior
risalto alle sue mobili rotondità.
La sorella e il cognato, vedendola ansare, manifestavano ciascuno a
modo suo, la loro amorosa sollecitudine.
--Ecco,--diceva, con un po' di rabbietta repressa, la signora
Amalia,--ecco, non mi hai voluto ascoltare. Ti predicavo d'andare
adagio per le scale.
Ma il signor Giacinto, tutto latte e miele, posava una mano sulla
spalla della diletta congiunta.--Sta tranquilla, cara, non parlare.
--Desidera un bicchier d'acqua?--offerse Diana.
La signora Daria protestò, prima con la mano, poi con la voce.--No,
grazie, signora Varedo, non ho bisogno di nulla.
E rivolgendosi ai Feana soggiunse:--Dio, che casi fate!
Accennò a Bebè di avvicinarsi, l'aiutò ad arrampicarsele sulle
ginocchia, la coperse di baci.
Bebè, cullata in quel mare di gelatina, provava una sensazione
gradevole, ricambiava le carezze, rideva, sprofondava le dita sottili
nelle guance piene, nel collo carnoso della _sofferente_.
Siamo amiche noi, siamo vecchie amiche, non è vero, Bebè?--diceva la
signora.--Come mi chiamo?
--_Signoa Aia_--rispose l'interrogata.
--Cara, cara, cara!
Il signor Giacinto e la signora Amalia discorrevano con Diana del più
e del meno; lui di politica, della Camera, del Ministero,
dell'impiego, del bisogno che il paese aveva d'uomini nuovi, come
sarebbe stato per esempio l'onorevole Varedo; lei della casa, dei
figliuoli, del movimento che c'era a Roma all'avvicinarsi della
Pasqua, della difficoltà di trovar buone persone di servizio,
eccetera, eccetera.
Diana fece girar lo scatolone dei dolci di Torino, e invitò la signora
Amalia a prenderne senza cerimonie per sè e pei figliuoli.
Di lì a un quarto d'ora il signor Giacinto si alzò. Non poteva
trattenersi, pur troppo, in causa della pedanteria dei superiori che
l'avevano già messo in mala vista di Sua Eccellenza, perchè qualche
giorno marinava l'ufficio... Grazie a Dio che Sua Eccellenza aveva i
minuti contati.
Intanto la signora Amalia s'era alzata in piedi pur essa, e la signora
Daria aveva deposto Bebè per terra e pareva accingersi a seguir
l'esempio de' suoi tutori.
--Loro poi non devono aver questa fretta--disse Diana alle due
sorelle.--Non vanno mica all'ufficio, loro...
--Eh, cara signora--replicò la Feana--tre figliuoli maschi son peggio
dell'ufficio.
E soggiunse che aveva il bucato da rattoppare.--Quei ragazzi sciupano
tutto. Proprio mi dispiace, ma devo scendere...
--Resti lei almeno, lei che non ha figliuoli,--insistè Diana verso la
signora Daria, i cui movimenti erano ancora nella fase preparatoria,
come di nave che sta per levar l'áncora.... Passi la giornata qui...
Usciremo più tardi in carrozza con Bebè.
Così fu deciso, dopo una serie di negoziazioni coi coniugi Feana...
Pur che la Daria si coprisse bene. Aveva tanta facilità d'infreddarsi.
--Ma non è vero.... Non mi raffreddo niente più degli altri....
--Se non avessimo giudizio noi!--interpose la signora Amalia in tuono
di protezione.--Basta, ti manderemo uno scialle.
--Degli scialli ne ho io in abbondanza--assicurò Diana.--Non abbia
paura, signora Amalia, usciremo coperte in modo da poter andare in
Siberia.
--E adesso fa un caldo da aprile avanzato--disse la vedova.
--Non è da fidarsene. Ci son tanti sbalzi di temperatura in questa
Roma--notò gravemente il signor Giacinto. Sbirciò l'orologio e
soggiunse con galanteria:--Diamine, diamine.... Da lei signora Varedo,
il tempo vola... Bisogna proprio ch'io dia una capatina in ufficio...
Vieni, Amalia?
--Arrivederci a ora di pranzo.
Libera dall'incubo dei parenti, la signora Daria s'abbandonò a uno dei
suoi soliti sfoghi. Non ne poteva più. Assolutamente non ne poteva
più... Quel voler farla passar per malata era una cosa che le urtava i
nervi fuor di misura.
E per mostrar ch'era sana, e che la sua corpulenza non le inceppava
troppo i movimenti, si mise a giuocar con Bebè. Se la palleggiava
sulle ginocchia, la prendeva sulle spalle, la rincorreva, si
accovacciava per terra con lei. E in verità, benchè soffiasse come un
mantice, e le balene del busto le facessero _crac_, _crac_ e un
rossore intenso le salisse alla faccia, ell'era assai più agile e
svelta che non si sarebbe creduto.
Bebè andava in estasi.--_Signoa Aia, signoa Aia!_
--Badi--ammoniva Diana ridendo.--Non dia troppo libertà a madamigella,
che se sapesse quanti capricci ha fatto questa mattina.
--Oh, lasci fare. In quell'età lì anche i capricci sono graziosi...
Io, io ho tre nipoti grandi e grossi che sono tre furie scatenate...
C'è il maggiore specialmente, tra i quattordici e i quindici anni, che
non so che cosa gli frulli... mi mette sempre le mani addosso.... da
per tutto.... e fossero di queste manine morbide e delicate!
Bebè si divertiva tanto che ci volle del bello e del buono a
persuaderla che si lasciasse portar in camera dall'Irene per farvi la
sua _toilette_ da passeggio. Non si chetò che quando le dissero che
s'era docile, ragionevole, la signora Daria sarebbe venuta anche lei
in carrozza; se no tornava a casa subito.
D'ordinario, Diana si serviva modestamente del primo fiacre capitato;
oggi ell'aveva preso un _landau_ di rimessa.
La carrozza fece un lungo giro. Traversò la Piazza del Panteon, la
Piazza della Minerva, tagliò il Corso Vittorio Emanuele, salì al
Campidoglio, scese al Foro romano, costeggiò il Colosseo. Un bel sole
primaverile splendeva sulle rovine, rievocava la vita in quel mondo
defunto. Fra le colonne infrante, sotto gli archi vetusti passavano i
grandi fantasimi; scintillavano le corazze, gli elmi, l'aste, gli
scudi; si agitavano i brandelli dei vessilli gloriosi provati
dall'ingiurie di tutti i climi; uomini, donne, fanciulli, patrizi e
plebei, fremendo nell'ansie dell'attesa, irrompevano nel Circo; i
campioni della prossima lotta esercitavano in giochi atletici le
membra poderose, mentre forse li assaliva un ricordo delle native
selve germaniche, e la pupilla si velava al pensiero dell'infanzia
lontana, della morte imminente.
Ahi, ma ben presto Diana s'accorse che per lei sola si movevano questi
fantasmi, che a lei sola parlavano queste voci. Bebè aveva posato la
sua testina sulla spalla dell'Irene e dormiva; e la signora Daria
guardava distratta di qua e di là, dondolando il capo sonnolento, e
scuotendosi solo quando si incontrava per la via qualche carrozza di
forestieri. Allora quelle foggie strane, quei tipi esotici, quelle
pronuncie gutturali, sibilanti le suggerivano sempre la stessa
osservazione profonda:--C'è di tutto in questa Roma. Una vera
Babele.--Ella poi confessava candidamente che sebbene ci vivesse da
oltre un anno non ci si era ancora potuta assuefare, e sospirava
Torino dov'era nata o Milano dov'era andata a stabilirsi con suo
marito. Una gran città Milano; molto meno cara di Roma, anche pel
prezzo dei viveri e degli alloggi... Non conosceva Venezia... assai
bella la dicevano.... ma una città in cui non c'eran carrozze e
cavalli non faceva per lei.
La Varedo diede un ordine al cocchiere che rimontò per San Pietro in
Vincoli, traversò Via Cavour e per Via dei Serpenti e Via della
Consulta si diresse alla Piazza del Quirinale ove un gruppo di curiosi
oziava dinanzi alla reggia. La fisonomia smorta della signora Daria si
animò tutta.
--Oh, se vedessimo i Sovrani!
--Niente di più probabile--disse il cocchiere voltandosi da
cassetto.--Spesso la Regina va a passeggio in quest'ora.
L'Irene sgranò gli occhi, e Bebè che s'era svegliata volle seder tra
la signora Daria e la mamma.
--Fermiamoci un minuto lì--disse Diana additando la balaustrata di
marmo di dove si vede così bene San Pietro.
Ma non occorse fermarsi troppo; chè proprio in quel punto si notò un
certo movimento nel vestibolo del Palazzo, una _vittoria_ con le
livree rosse sboccò dal portone, la sentinella presentò l'arma, i
cappelli si agitarono, la bionda regina chinò, risalutando, il capo
gentile, slanciò uno sguardo fuggitivo alla cupola della basilica
vaticana e scambiò una parola con l'unica dama che l'accompagnava. La
carrozza infilò la Via del Quirinale e disparve; solo per qualche
secondo si intese ancora lo scalpitìo dei cavalli rattenuti nella
ripida discesa.
Bebè, ritta sul sedile, gridò:--_La egina!_
--O che la conosce?--esclamò, maravigliata, la signora Daria.
--Conosce le livree rosse. Ogni volta che le vede dice:--_La regina._
--Che bella combinazione è stata!--soggiunse la _sofferente_.--Peccato
che non fosse che un lampo.
--Già sarebbe stata sempre la medesima cosa--rispose Diana,
sorridendo. E ordinò al cocchiere:--Andiamo al Pincio adesso.
--Per il Corso?
--No, è meglio andarci per Via Sistina. Si fa più presto.
--Lei è pratica delle strade di Roma assai più di me--osservò la
signora Daria.
La bella giornata primaverile aveva attirato al Pincio sull'ora del
tramonto una quantità di pedoni e d'equipaggi signorili e di vetture
da nolo; era un brusìo allegro di voci, era una festa di luce, una
fantasmagoria di colori, in quello sfoggio di vesti chiare, in quel
chiudersi e aprirsi degli ombrellini di seta spiccanti sul doppio
fondo del cielo azzurro e della verde spalliera degli aloe e dei
cactus; era un fremito di vita nel ronzìo degli insetti e nelle
fragranze dell'aria.
--_La egina!_--gridò nuovamente Bebè, battendo palma a palma.
--Dove? Dove?--E la signora Daria tese il collo come fanno i colombi
quando vanno in cerca d'esca.
Ma non era la regina. Era, a cassetto d'uno _stage_ a quattro cavalli,
una giovinetta bellissima, avvolta in un gran mantello scarlatto, una
forestiera, forse un inglese.
--Oh scioccherella!--disse Diana.--Ti basta veder del rosso per
credere che sia la regina.
Bebè però ripeteva ostinatamente:--_La egina! La egina!_
Diana la prese sulle ginocchia e le disse:--Guarda laggiù com'è bello!
Dal Piazzale del Pincio si dominava la città nuotante in un mare di
luce; la cupola di San Pietro spiccava grigia tra i vapori del
tramonto; il sole cinto da nuvole d'oro calava lento su Monte Mario.
Di nuovo Diana fece fermar la carrozza, di nuovo le grandi visioni e i
grandi pensieri si affollarono dinanzi ai suoi occhi e nella sua
mente. Nel suo entusiasmo comunicativo, ella insisteva perchè gli
altri ammirassero almeno la splendida veduta.
--Ma guarda. Bebè... Ma guardi, signora Daria... Anche tu, Irene...
Guarda com'è bello!
La signora Daria assentiva per deferenza, l'Irene per soggezione; ma
per loro era spettacolo assai più piacevole quello delle carrozze che
di corsa lasciavano il Pincio, quali scendendo verso Piazza del
Popolo, quali avviandosi per la Trinità dei Monti.
Bebè seguitava a cercar la regina e ogni momento, o sul serio, o per
celia, credeva d'averla trovata.--_La egina!_
Il sole disparve; le rosee nuvolette si scolorarono come bragie
spente, un brivido passò per l'aria, un tenue sussurro si levò dagli
alberi tentennanti il capo in cenno di saluto, quasi dicessero addio
al giorno che moriva.
--La mantellina di Bebè--gridò Diana scotendosi di soprassalto.--Anche
lei, signora Daria, si copra bene.
--Eh, son già avviluppata nello scialle come una mummia
d'Egitto--replicò la _sofferente_.
--Sono responsabile verso sua sorella e suo cognato--soggiunse Diana.
La signora Daria ebbe un sorriso enigmatico, a significare che non
eran quelli i maggiori pericoli che i suoi cari congiunti volevano
stornare da lei.
--A casa per la più corta--ordinò la Varedo.
Un po' perchè i cavalli erano stanchi, un po' perchè le strade erano
affollate, non si giunse a destinazione che cinque minuti prima delle
sette e mezzo. I Feana avevano anticipato, e la cameriera li aveva
fatti accomodare in salotto; Miss Olivia arrivò subito dopo, seguita a
brevissimo intervallo dal professore e dall'onorevole Zonnini.
--A tavola, a tavola!--disse Alberto a sua moglie.--Zonnini ed io
abbiamo fame.
L'onorevole protestò contro questo abuso del suo nome, e s'affrettò a
chieder dove fosse Bebè alla quale, come regina della festa, egli
desiderava presentare i suoi omaggi.
--Ah!--rispose Diana.--Bebè farà la sua comparsa soltanto all'ora del
dolce.
A tavola Zonnini fu invitato a sedere tra la padrona di casa e la
signora Daria. Varedo prese posto fra le due sorelle. Giacinto Feana,
ch'era alla sinistra di Diana e alla destra di Miss Olivia, allungava
il collo per sorvegliar sua cognata, mentre lo stesso ufficio di
vigilanza sospettosa esercitava dall'altra parte la signora Amalia.
Quell'ignoto signor Zonnini accanto alla rispettiva cognata e sorella
minacciava di turbar la digestione dei coniugi. Se fosse stato
maritato, pazienza, ma l'uomo era capacissimo d'esser scapolo. E la
Daria con tutto il suo grasso, aveva una facilità a prender fuoco!
Ecco che già faceva la ruota come un tacchino in fregola.
L'onorevole Zonnini era stato ammonito da Varedo.--Bada di lasciar
tranquilla una vedova che troverai a casa mia e ch'è custodita come un
tesoro prezioso dai suoi parenti.
--È giovine? È bella?
--Avrà quarant'anni, e peserà cento chili.
--Dio liberi!
Messo poi a fianco di quel macchinone ansante e sbuffante, Zonnini
aveva di nuovo rassicurato con uno sguardo l'amico Varedo. Ma ora, tra
per gli occhiacci che i Feana gli piantavano addosso, tra per certe
smorfie della signora Daria, egli cedeva alla tentazione di fare, così
per ridere, un po' di corte alla vedova. Era una corte discreta,
riguardosa, da persona educata che non voleva trascurare i propri
doveri verso la padrona di casa che gli sedeva a destra, nè tralasciar
d'interloquire nelle quistioni sollevate da Miss Harrison.
Miss Harrison era in quel giorno estremamente battagliera e
aggressiva. Certi bizzarri progetti edilizi annunziati dalle gazzette
avevano esasperato il suo malanimo contro i profanatori di Roma.
--Siete peggio dei Vandali--ella esclamava. Quelli almeno si
contentavano di distruggere. Voi distruggete... e rifabbricate.
Ov'erano cose belle d'una bellezza eterna, sacre all'arte e alla
storia, voi avete edificato le vostre moli grottesche e disarmoniche;
avete ucciso la poesia delle rovine e della solitudine per sostituirvi
il frastuono d'una vita artificiale e infeconda.
I due onorevoli protestavano contro questi giudizi. Non si facevano
paladini della nuova edilizia romana; tutt'altro; ma sostenevano il
diritto che ha ciascuna generazione di adattare l'ambiente ai propri
bisogni; l'Italia non aveva proclamato Roma a sua capitale unicamente
per custodirvi le rovine e per mantenervi inviolato il silenzio, ma
per riaprirla a tutte le correnti del pensiero moderno, ma per farne
una vera e rispettata metropoli del mondo civile.
La ruskiniana Miss Olivia si strinse nelle spalle.--È poi civile il
nostro mondo?
--Miss Harrison stasera ama i paradossi--disse sorridendo
Varedo.--Parla su per giù come il Papa.
--Il Papa!--gridò l'Inglese, punta sul vivo, e non riuscendo a
spogliarsi, benchè fosse di spiriti larghissimi, de' suoi rancori di
protestante.--Il Papa (spero che il mio linguaggio non offenda qui
nessuno) è la piaga sempre aperta d'Italia... oh non c'è pericolo
ch'io vada d'accordo col Papa... Ero una giovinetta alla caduta del
poter temporale, e ricordo la gioia che provai quando il telegrafo ne
portò la notizia. Non ne avrei avuta di più per una gran vittoria
delle nostre armi... Amavo, adoravo l'Italia, che non avevo ancor
vista, ma di cui conoscevo già un poco la lingua e di cui, fanciulla,
avevo seguito con ansietà le vicende dal 1859 in poi... Saperla ora
compiuta con Roma per capitale mi pareva l'avverarsi d'un magnifico
sogno... E quanti eravamo, in Inghilterra, uomini e donne, abbiamo
salutato l'avvenimento come uno de' più fausti della storia... Non
c'era miracolo che non ci aspettassimo da voi. E certo siete diventati
una nazione rispettabile; avete navi, soldati, strade di ferro,
vapori, telegrafi; ma dove sono le alte idealità che voi, Italiani,
avreste dovuto bandire, dove la rinnovazione morale che Roma avrebbe
dovuto iniziare nel mondo?
Questa benedetta rinnovazione morale era stata per tanto tempo il tema
favorito di Alberto Varedo che Diana non dubitava di sentir suo marito
far eco alle parole di Miss Olivia.
Ma Alberto aveva la gravità ed il riserbo dell'uomo ch'è presso ad
abbrancare il potere, nè voleva compromettersi con troppo esplicite
dichiarazioni, almeno fin che non avesse afferrato bene il concetto
della sua focosa interlocutrice.
Miss Olivia ripigliò:--Per esempio nella questione religiosa chi vi
capisce? Ora ostentate la maggiore indifferenza, fate quasi
professione d'ateismo; ora amoreggiate con la Chiesa; quando pure non
facciate tutt'e due le cose in una volta, come certi mangiapreti che
mettono i figliuoli in educazione dai Gesuiti o dalle Dame del Sacro
Cuore.
Ahi, l'Inglese aveva toccato un cattivo tasto, perchè appunto
l'onorevole San Giustino, il futuro Presidente del Consiglio, aveva
due ragazze alle Mantellate a Firenze, e perchè nel programma
dell'opposizione a cui appartenevano Varedo e Zonnini c'era una
politica conciliativa verso i cattolici. Il Gabinetto che si stava per
buttar giù aveva _radicaleggiato_ in materia ecclesiastica; era quindi
naturale che gli avversari, convinti o no, assumessero un
atteggiamento affatto contrario. Anzi Zonnini, dopo un discorsetto un
po' mistico pronunziato alla Camera, s'era guadagnato il nomignolo di
specialista pel sentimento religioso. E poichè egli stesso, antico
volterriano, aveva bisogno di rafforzarsi nelle sue nuove opinioni,
non gli dispiaceva di far di tratto in tratto qualche prova che lo
rinfrancasse nella sua parte.
--Argomenti delicati, cara Miss Harrison--egli disse posando la
forchetta,--argomenti delicati. Che si affoghi negl'interessi
materiali, in Italia e altrove, non ci sarà chi lo neghi.
Miss Olivia fece un segno d'assenso.
--Squisiti questi tordi--esclamò con un grido involontario dell'anima
Giacinto Feana, ch'era un mangiatore coscienzioso e non si lasciava
distrarre da questioni estranee alla tavola.
--Ma ne prenda ancora--insistè Varedo il quale, dal canto suo, avrebbe
desiderato troncare la discussione.
--Dunque in questo siamo d'accordo--continuò Zonnini rivolgendosi a
Miss Harrison.--E saremo d'accordo anche in un altro punto: che la
prevalenza degl'interessi materiali non può esser vinta, se non dalla
persuasione che la vita ben lungi dall'esser fine a sè stessa si
compie in luoghi o in modi che noi ignoriamo, ma con un senso di
giustizia atto a correggere le disuguaglianze del mondo. Tutto si
riduce lì, cara signora. _Ripæ ulterioris amor_, come dice il poeta.
Amore del di là.
--Naturalmente--replicò Miss Olivia troppo buona anglosassone da non
aver un fondo di fede.--Ma il cattolicismo, che s'impernia intorno
alla Chiesa di Roma comprime, atrofizza, non risveglia, questo
sentimento elevato.
--Piano, piano. È necessario distinguere--ribattè l'onorevole Zonnini;
ma Varedo fu pronto ad interloquire.
--Lo so, il nostro risorgimento nazionale avrebbe dovuto essere
integrato da una riforma religiosa. Il male si è che le riforme
religiose non si fanno che dai popoli credenti, e noi crediamo troppo
poco. Siamo simili a chi abbia sul focolare domestico un mucchio di
ceneri calde. Soffiandovi dentro sul posto si può forse sprigionarne
ancora qualche scintilla; portando le ceneri altrove si ha la
sicurezza di non trovar che della brace spenta.
--Sì, sì--disse Diana che fino allora aveva taciuto.--Ma per me
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