I coniugi Varedo - 15

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ultimi dispacci era firmato da lei? Perchè non aveva ella almeno fatto
rispondere alle parole di conforto, d'affetto che egli le aveva
mandate sulle ali del telegrafo?
Dio, Dio, com'ella s'era, a grado a grado, appartata da lui! E pure
ella lo aveva sposato per amore, e pure c'era stato in principio un
pieno consenso delle loro anime, ed ella pareva appassionarsi pe' suoi
studi, per la sua gloria, pel suo avvenire! Che barriera s'era levata
fra loro.
E Varedo ricordava che la freddezza di Diana aveva cominciato sin da
quando ell'era rimasta incinta di Bebè. La maternità che suole
ravvicinar le donne al marito aveva prodotto su lei un effetto
contrario. Certo ella lo accusava di non aver prodigato sufficienti
tesori di tenerezza alla bimba, di non averle dedicato una parte
maggiore del suo tempo e delle sue cure. Ma non era un'accusa
ingiusta? Possono gli uomini dimenticar ciò che devono alla scienza,
alla patria, alla società? E Diana pretendeva questo, ella che era
intelligente e colta, ella che nel primo anno di matrimonio lo
stimolava alle grandi cose?
In vero una fatalità pesava sulla loro unione, un complesso di
circostanze cospirava a dividerli, a renderli pressocchè estranei
l'uno all'altra. Ma non mai come ora questa fatalità li aveva
perseguitati. L'aggravarsi repentino di Bebè proprio nei giorni in cui
motivi imperiosi lo tenevano assente sembrava l'opera d'un cattivo
genio che provasse la voluttà crudele di nuocere.
Il treno correva, correva nella notte profonda; tutta la vettura
oscillava, scricchiolava, tremava. Alla fioca luce che pioveva
dall'alto, Varedo vedeva i suoi compagni dormire, diversamente
atteggiati: Orsara, rannicchiato in un angolo, coi pugni serrati sotto
il mento; Cataldo con la cravatta sciolta, le braccia ciondoloni, la
testa dondolante, la bocca aperta; Francioni rigido come una sbarra,
con le lunghe gambe distese fin sotto il sedile dirimpetto. Nei
cristalli dei finestrini, chiusi, nonostante il caldo, per paura della
malaria, si riflettevano con linee indecise le immagini del di dentro:
la lampada, le pareti, i divani, le valigie nella reticella, le
persone dormienti... e, insieme col resto, una faccia pallida,
ansiosa.... Di tratto in tratto, con la rapidità di uno strale,
fischiando e rumoreggiando, guizzava, diretto in senso opposto, un
altro convoglio; di tratto in tratto, nel passare senz'arrestarsi
davanti a una stazione secondaria, veniva dall'esterno un chiarore
improvviso, sorgeva, spariva un fabbricato, una tettoia, una pompa,
una grù, una fila di vagoni immobili; poi le tenebre si addensavano
più fitte e più nere.
--Oh... oh... oh...--fece a un certo momento Francioni, agitando le
lunghe braccia a guisa di due assi di un telegrafo ottico.--Ho
dormito?... Ove saremo?... Che ore sono?
Si alzò che, quasi toccava con la testa il cielo della carrozza, e
guardò l'orologio.
--Per bacco! Siamo proprio vicini a Grosseto... Se non mi svegliavo da
me...
--Vi avrei svegliato io; non dubitate--disse Varedo.
--Oh grazie, Varedo... Credevo che dormiste anche voi... Questi qui
sono due ghiri.
In fatti Orsara e Cataldo non si mossero nemmeno quando a Grosseto
Francioni fece aprir lo sportello e discese salutando Alberto Varedo.
--Coraggio... Chi sa ancora... Suppongo che ci rivedremo presto a
Roma, perchè il nuovo Ministero... il vostro Ministero... dovrà
presentarsi alla Camera a far votare l'esercizio provvisorio... Addio,
addio...
E la magra figura donchisciottesca scomparve nell'ombra.
Il convoglio ripigliò la sua corsa sfrenata. Ormai esso non si sarebbe
fermato che a Pisa, e a Pisa Varedo avrebbe trovato indubbiamente un
telegramma da Torino. Oimè, che altro poteva dirgli quel telegramma se
non ch'egli sarebbe giunto troppo tardi per veder viva Bebè?
L'atmosfera era soffocante. Benchè si fosse ancora in piena Maremma,
l'onorevole abbassò i vetri del suo finestrino, mise fuori la testa,
guardò il cielo stellato, sentì, o credette sentire, la voce del mare,
sentì il mormorio dei cipressi carezzati dal vento; indi richiuse di
nuovo la finestra, e stette raccolto nel suo cantuccio cercando di
rievocare il suo trionfo di ieri, le congratulazioni, gli applausi,
rimuginando le parole dettegli quella sera stessa da San Giustino:
_Meritereste un portafoglio_.--Sì certo, presto egli se lo sarebbe
conquistato un portafoglio, e allora sarebbe divenuto arbitro del
Parlamento, iniziatore felice di radicali riforme che avrebbero mutato
faccia all'Italia!... Ah come impallidivano al paragone le gioie, i
dolori privati, com'erano vani i giudizi che poteva pronunziare sul
conto suo una donnicciuola inetta ormai ad abbracciare un orizzonte
più largo di quello delle pareti domestiche!
Ma ai voli superbi della fantasia succedevano le precipitose cadute.
Sarebb'egli stato pari alle circostanze ed alla fortuna? Possedeva
egli veramente le grandi qualità che le magnanime imprese richiedono:
il colpo d'occhio sicuro, il volere tenace, il dominio assoluto di sè,
la prontezza nel decidere e nell'eseguire, il coraggio di affrontare
le responsabilità ed i pericoli, lo sdegno della facile popolarità? E
se falliva alla prova? Se incappava nei lacci che gli avrebbero teso
gli avversari e gli amici malfidi, invidiosi della sua troppo rapida
esaltazione? Se di lì a qualche mese si fosse parlato di lui come
d'una delle tante meteore apparse sul nostro firmamento politico e
dileguate senza lasciar traccia? Vinto sui campi dell'azione, avrebbe
egli potuto trovar la calma, la serenità necessarie a chi coltiva gli
studi? Avrebbe potuto riprendere con buon successo la sua opera
interrotta? O le antipatie accumulate sul suo capo mentr'egli era al
Governo non avrebbero continuato a sfogarsi contro l'uomo di scienza?
Così, in quella insolita depressione di spirito, tutto il suo bel
sogno di gloria si scioglieva in fumo, e nella sua visione interiore
si riaffacciava la scena funebre: una bambina moribonda o morta, una
madre disperata. E quella bambina era Bebè, e quella madre era Diana!
Uno dopo l'altro, automaticamente, mentre il treno s'avvicinava a
Pisa, si svegliarono Orsara e Cataldo.
--Oh bella!--disse Orsara spalancando la bocca a un enorme
sbadiglio.--Siamo in tre soli?
--Naturale--soggiunse Cataldo....--Francioni è disceso a Grosseto.
--E non ce ne siamo accorti?
--Sfido io... Quando si dorme... Voi, Varedo, non dormite in ferrovia?
--Questa notte non dormirei in nessun posto...
--Ah, è vero.... Scusate...
Cataldo tirò giù dalla reticella le valigie sue e quelle del compagno,
infilò un leggero soprabito e aperse i finestrini.
--Auff, si respira...
Un lungo fischio echeggiò nell'aria.
Orsara, ancora sonnolento, si scosse tutto come un cane bagnato.--Ci
siamo.
Varedo scattò in piedi.
--Aspettate qualcheduno qui?--domandò Cataldo.
--Un dispaccio aspetto, o qui, o alla Spezia.
Ma a Pisa non c'era niente, e Alberto, ormai solo in vettura, dovette
rassegnarsi a un'altra ora e mezza d'attesa. Dalla stazione aveva
telegrafato egli stesso a Torino, lagnandosi delle ritardate notizie,
confermando il suo prossimo arrivo.
Spuntava l'alba; la tinta grigia della campagna si staccava dalla
tinta grigia del cielo; indi le cose andavano via via prendendo forma
e colore; un colore prima scialbo, poi più chiaro e più vivo. Tenui
vapori lambivano la superficie del mare che, or sì or no, appariva
all'occhio tra le piante e i caseggiati della costa tirrena.
Ed ecco Viareggio la cui spiaggia salubre avrebbe fra qualche ora
brulicato di vita, e Pietrasanta, e Serravezza, e Massa, e Sarzana,
biancheggianti di marmi che nel silenzio dei crepuscoli mattutini
davano ai luoghi l'aspetto di cimiteri.
E a guardia del suo golfo ecco Spezia, bella e gagliarda, che sorride
dalle sue verdi colline e minaccia dai suoi arsenali e dalle sue
rocche munite.
Prima che il treno si fermasse, Alberto Varedo, sporgendosi fuori con
mezza la persona, cercava di girar la maniglia dello sportello.
Un signore che già da un pezzo passeggiava sotto la tettoia si
precipitò verso di lui.
--Alberto! Alberto!
Più che la fisonomia, Varedo riconobbe la voce. Era l'ingegnere
Gustavo Aldini.
Non si vedevano da tre anni, e non s'erano lasciati amici. Ma le nuove
sventure scancellavano gli antichi rancori.
--Morta?--disse Alberto indovinando il significato di quell'incontro.
L'ingegnere l'abbracciò, salì con lui nello scompartimento.--Coraggio!
E facendo scivolare un biglietto da dieci lire nella mano del
conduttore che rinchiudeva lo sportello, accompagnò l'atto eloquente
con una raccomandazione sussurrata a bassa voce:--Procurate di
lasciarci soli.
--Morta?--ripetè Varedo.--Quando?
--Iersera... Dopo le sette e mezzo... Era tardi per telegrafarti a
Roma... Si poteva, lo so, telegrafar lungo la via... Ma per dar questa
notizia era meglio che venisse qualcheduno... E son corso alla
stazione appena in tempo di prendere il diretto delle 8.15... A Pisa
non era possibile d'arrivare.... A Spezia ero già da due ore...
Alberto chinò la fronte.
--Dev'esser stato un peggioramento improvviso--egli disse dopo una
breve pausa.--Quando son partito io da Torino, il medico mi aveva
assicurato che non c'erano pericoli.... Pregai la mamma d'affrettarsi,
unicamente perchè tenesse compagnia a Diana.
--A noi--soggiunse lo zio Gustavo--fece subito un'impressione
penosissima. Io non l'avevo vista, fuori che in fotografia, ma mia
sorella se la ricordava florida, vispa, sana, l'anno scorso a
Belgirate.
--Era un bocciolo di rosa--gemette Varedo.--Sino a pochi mesi fa...
sino al momento in cui s'ammalò a Roma. E pure io speravo sempre... A
quell'età... E nemmeno le ultime lettere di Diana, nemmeno le lettere
della mamma lasciavan preveder quel ch'è successo.
--Le donne s'illudevano... E poi le cose potevano tirare in lungo...
Per me la bimba era condannata, ma io non mi sarei certo maravigliato
se fosse vissuta ancora alcuni mesi.
--E Giraldi--seguitò il professore--come mai Giraldi non s'accorgeva
della crisi imminente?
--Ah, se i medici fossero onniscienti!... Del resto, se n'è accorto
l'altro giorno... E fu per suo consiglio che Diana ti mandò quel
dispaccio....
--Ero legato--esclamò Alberto Varedo volendo scusarsi.--Legato con le
mani e coi piedi... Non potevo partire.
--È stata una fatalità!--disse l'ingegnere Aldini con un'intonazione
che cresceva gravità alle parole.
--Chi lo nega?--replicò il deputato con veemenza.--Ma non potevo... Si
trattava della mia riputazione, del mio avvenire...
--Ieri ci fu un consulto con Mazzioli--riprese lo zio per evitare una
discussione intempestiva.
--Tardi, tardi...
--In qualunque momento sarebbe stato lo stesso... Mazzioli approvò
interamente la cura seguita dal collega.
Varedo si strinse nelle spalle.--È sempre così.
Poi chiese, esitante:--Soffriva molto?
--No--rispose l'ingegnere.--S'è spenta.
--Non conosceva più nessuno?
--Fino a iermattina la sua mamma... Più tardi nemmeno quella.
Alberto si passò il fazzoletto sugli occhi.
--E Diana--egli replicò.--in che stato è?
--Puoi figurarti.
E adesso quelle due donne son sole in casa... sole con la cameriera e
con l'Irene?
--No... C'è il portinaio, e c'è Eugenio Bardelli che ha voluto restare
a ogni costo!
Varedo tentennò il capo.--Povero Bardelli!... Anche lui ha avuto una
gran disgrazia in famiglia...
--Tutti ne hanno delle disgrazie--mormorò Aldini con voce sorda.
L'altro si risovvenne.--Tu pure. È vero.
Tacquero per qualche minuto. Un'ombra s'era levata fra loro; l'ombra
della donna leggiadra che Varedo aveva insultata e di cui Aldini
portava il lutto sul volto e nel cuore.
E poco più si dissero fino a Genova, mentre, ansando e sbuffando, il
convoglio passava di tunnel in tunnel. Seduti dirimpetto, immersi nei
loro pensieri, i due viaggiatori appena alzavano la testa quando
nell'intervallo di due gallerie il sole irrompeva nella vettura e si
svolgeva dinanzi a loro il panorama incantevole della riviera ligure:
il mare azzurro, scintillante; gli scogli neri, dalle forme
fantastiche, investiti, schiaffeggiati dall'onda; i borghi industri,
popolosi schierati lungo la spiaggia o inerpicati sui monti; le ville,
i giardini ove difese dai venti crescevano le palme e fiorivano i
cedri.
Entrando nella stazione di Porta Principe, Varedo tirò bruscamente le
tendine.
--Se si potesse non esser disturbati...
--Mi sono raccomandato al conduttore... Speriamo...
Non partiva molta gente e non occorse disturbarli. Passando davanti al
compartimento chiuso, qualcuno sussurrò:--Ci dev'essere un malato.
I rivenditori di giornali correvano lungo il treno offrendo i fogli
del mattino con la caduta del Ministero. Un ragazzo più loquace degli
altri gridava tutta una filastrocca:--_La Gazzetta del Popolo appena
arrivata con gli ultimi telegrammi da Roma. La seduta di ieri. Il gran
discorso dell'onorevole Varedo. Centoquindici voti di maggioranza
contro il Gabinetto. Notizie recentissime della crisi._
--Dunque--disse Aldini,--hai fatto un gran discorso ieri?
--Ho parlato, sì... Dovevo parlare.
--E abbiamo la crisi?
--Quella ci sarebbe stata in ogni caso.
--Il Re chiamerà San Giustino?
--Non c'è dubbio... È l'uomo della situazione.
--Tu avrai un sottosegretariato?
--Certo che se San Giustino è ministro, io avrò un ufficio nel
Governo--rispose Varedo.
--Dovrai stabilirti a Roma.
--Appunto... Sarà meglio anche per Diana... Tanto meglio quanto più
presto.
L'ingegnere non rispose.
Successe un lungo, lungo silenzio. Tutti e due, di mano in mano che si
appressavano alla meta, si sentivano invasi da una tristezza più cupa
e profonda.
Alla stazione d'Asti un giornalaio dalla voce stridula e fosca
ricantava l'antifona:--_La Gazzetta del Popolo con la caduta del
Ministero. Il discorso dell'onorevole Varedo._
--Dio, che noia!--borbottò Alberto.
Aldini si sforzò di sorridere.--Sono gl'inconvenienti della gloria.
In quell'ultima ora di viaggio, Varedo fu singolarmente nervoso. Ogni
momento si alzava in piedi, mutava posto. A un tratto, si piantò
davanti allo zio Gustavo e lo interrogò a bruciapelo.
--Credi che Diana avrà difficoltà a venir subito a Roma?
--Senti--disse lo zio uscendo dal suo riserbo,--s'io avessi a darti un
consiglio, ti suggerirei di non prender Diana di fronte, di non
opporti oggi a ciò ch'ella desidera.
--E che cosa desidera?--chiese il professore turbandosi in volto.
--Vuol andare a Venezia con la sua mamma.
--Vuol fuggire da me... Le sono diventato odioso... È inutile che tu
cerchi d'indorar la pillola... Odioso, è la parola... E quanto tempo
vuol rimanere a Venezia?... Un mese?... Due mesi?
--Fidati di noi, Alberto; noi eserciteremo tutta la nostra influenza
perchè vi resti il meno possibile... Ora è meglio non toccar questo
tasto.
--Ah, capisco--proruppe Varedo.--Diana vorrebbe una divisione
amichevole... Ma se presume di avere il mio assenso, s'inganna... Io
le proibirò di partire... Io le imporrò di seguirmi...
Aldini non ismarrì la sua calma.--Tu hai la legge per te... hai la
forza... Considera se ti giova d'usarne.
--Diana affronterebbe uno scandalo?
--Chi lo sa?... Tu la conosci... Quando ha preso un dirizzone...
--Ma insomma--ripigliò Alberto mettendo nel suo discorso quanto più
calore persuasivo poteva,--di che colpe m'accusa?... Come
giustificherebbe dinanzi all'opinione pubblica la sua rivolta?... Sono
un marito che la maltratta, che la tradisce, che la disonora?... Via,
modestia a parte, novantanove donne su cento invidierebbero la sua
sorte, sarebbero orgogliose di portare il mio nome... Se, tre
settimane or sono, non potei, cedendo alle sue preghiere, restare a
Torino, se non potei ieri esserle accanto in un momento supremo della
sua vita, o che le paion queste ragioni bastevoli per distruggere una
famiglia?... Avrebb'ella il coraggio di sostenere ch'io fossi assente
per motivi frivoli?... E la sventura che la colpì non colpisce me
pure?... Come mai?... Il dolore che ravvicina sovente due coniugi fra
cui le reciproche offese avevano scavato un abisso sarà causa di
separazione per noi che non abbiamo nulla di grave a rimproverarci?
Nella naturale rettitudine del suo spirito, Gustavo Aldini era
costretto a riconoscere che c'era molto di vero nelle argomentazioni
di Varedo. Ma, data l'indole di sua nipote, egli si spiegava altresì
la risoluzione manifestata da Diana al letto della bimba
agonizzante:--Mi porterete subito a Venezia con voi... L'uomo che per
non rinunziare a un trionfo oratorio dimentica i suoi doveri di marito
e di padre ha spezzato ogni legame domestico.
Comunque sia, non erano propizi a una discussione nè il luogo, nè il
tempo, e l'ingegnere si limitò a dire:--Diana oggi non può essere
equanime... Bisogna compatirla.


XXIII.
Dinanzi alla piccola morta.

Alla stazione (perchè si sapeva che Varedo sarebbe giunto con quella
corsa) c'erano due o tre colleghi d'Università, un assessore del
Municipio un segretario di Prefettura, incaricato di porger le
condoglianze e di offrire i servigi del signor commendatore Prefetto,
il quale, poveruomo, nell'interregno di due Ministeri, voleva
accattivarsi l'animo dei nuovi padroni senza provocar troppo
apertamente la collera dei vecchi, capacissimi di colpire, _in
articulo mortis_, un onesto funzionario, e ricorreva perciò al
peregrino espediente di essere indisposto.
È inutile avvertire che c'erano pure alcuni _reporters_ di giornali
cittadini, occupati a notar nel loro taccuino i nomi dei presenti e i
gesti e l'attitudine dell'onorevole.
I personaggi ufficiali e gli amici, con l'aria contrita voluta dalle
circostanze, accompagnarono Alberto Varedo fino alla carrozza, non
senza mescere all'espressioni del proprio cordoglio qualche discreta
allusione alla memorabile giornata di ieri.
--Il suo nome è su tutte le bocche--disse l'assessore municipale.
E il segretario di prefettura, che non era ancora cavaliere, arrischiò
una frase più elaborata:--Ella ha dato ieri un grande esempio di virtù
civica.
Distribuite le necessarie strette di mano, Varedo salì in _fiacre_ con
lo zio Gustavo e fino a casa non aprì bocca.
Nell'andito gli venne incontro singhiozzante, la suocera.
--Oh Alberto, Alberto, che disgrazia!
E soggiunse, accompagnandolo attraverso le stanze impregnate d'un
acuto profumo di ginepro:--Se tu fossi arrivato almeno iersera!
--Era impossibile--egli balbettò.--E poi sarebbe stato lo stesso...
Nemmeno iersera sarei arrivato in tempo...
--Per la bimba no... Ma per Diana...
--Diana?... Che cosa l'è successo?... dov'è?--chiese Varedo, turbato
da questa frase sibillina.
--Sempre di là... Sempre... Son tre giorni che non si spoglia...
La signora Valeria s'interruppe per voltarsi verso un ometto tutto
vestito di nero che s'era levato in sussulto da un divano ove sedeva
mezzo assopito.
--Vada, Bardelli, vada a riposarsi per qualche ora... Oh Alberto, che
Provvidenza è stato Bardelli per noi! Come ha dimenticato le sue pene
per venire a divider le nostre!
Varedo, che sulle prime non aveva riconosciuto il suo antico
assistente, gli tese la mano:--Grazie, Bardelli... E perdoni se non le
ho mandato una riga di condoglianza quando mi è giunta la notizia...
--Oh professore--biascicò Bardelli. Ma le lacrime gli fecero un nodo
alla gola e non potè dir altro.
La signora Valeria precedette suo genero nella camera mortuaria.
Curva sul letticciuolo della piccola estinta che ell'aveva, insieme
all'Irene, finito appena di lavare e di pettinare, Diana trasalì
leggermente e senza moversi di dov'era alzò lenta lenta il pallido
viso.
Non però fece un gesto, non disse una parola per respingere il marito
che le si avvicinava. Si sentì egli, prima di toccarla, respinto da
una forza misteriosa; sentì egli al cuore e ai polmoni la stretta
violenta di chi entra improvviso in una atmosfera di gelo. Le sue
braccia che stavano per aprirsi ricaddero inerti, le sue labbra
s'ammutolirono. E fermandosi alla sponda opposta del letto, egli si
chinò a deporre un bacio sulla fronte di Bebè.
Allora, dalla bocca di Diana, uscì un'esclamazione crudele:--Tardi!
--Oh Diana--egli disse, guardandola con aria di rimprovero.--Non esser
spietata.
Ella non rispose, ma sostenne lo sguardo che fra dolente e imperioso
si fissava su lei. Nell'atteggiamento del suo volto non era nè sfida
nè collera; era una tristezza accasciata che pareva significare: A che
prò tormentarci? Quello che si è spezzato fra noi non si accomoda più.
--Diana--egli replicò.--È vero che vuoi andar via con tua madre?
--È vero.
--E se invece io volessi... se ti pregassi di seguirmi a Roma?
--No, no.
--E perchè?... Ho il diritto di chiederlo... e di saperlo.
A questa specie d'intimazione un fuggitivo rossore accese le guance
sparute di Diana, un lampo passò ne' suoi occhi.
Pur si contenne, e additò in silenzio il corpicino di Bebè steso fra
loro.
--È giusto--assentì Varedo.--Non ora, non qui... Più tardi.
Stettero ancora qualche minuto uno di fronte all'altro, divisi dal
letticciuolo ove giaceva la creaturina innocente che, viva, li aveva
disgiunti, che, morta non valeva a riunirli.
La signora Valeria passò il braccio sotto quello di suo genero, e lo
ricondusse fuori dalla camera.
--Avrai bisogno di un caffè, di una tazza di brodo... Ho fatto
preparare nel tuo studio... C'è anche il letto pronto...
E continuò supplichevole:--Permettile di venire a Venezia... Oggi non
potrebbe nè restar qui sola, nè andare a Roma che risveglia in lei
così tristi memorie... Te la riporteremo noi... spero te la
riporteremo guarita.
--Ma io non intendo ch'ella disponga di sè come se io non ci
fossi--ribattè Varedo.--Non intendo che mi tratti come un malfattore.
--Devi perdonare all'eccitazione de' suoi nervi--disse la signora
Valeria.--Ah se aveste ieri sera confuse le vostre lacrime!... Non ne
avrai colpa... non ti giudico... Ma il Signore ha voluto aggravar
doppiamente la mano sopra di noi... Mi concedesse egli almeno di
riuscire a far sì che vi lasciaste in buona armonia!
Sulla scrivania dello studio Alberto trovò un mucchio di biglietti da
visita, di lettere, di fogli, di telegrammi arrivati per lui quella
mattina. E mentr'egli prendeva in fretta una cucchiaiata di brodo e
beveva un sorso di vino, altri biglietti, altre lettere, altri fogli,
altri telegrammi arrivavano via via senza posa. E capitavano pure
ambasciate e richieste di colloqui.--A che ora potrebbe l'onorevole
ricevere?
--Non rispettano neanche questo giorno!--esclamò, scandalizzata, la
signora Valeria.
--Lo vede, mamma, se noi uomini pubblici siamo padroni del nostro
tempo.
--Dà la consegna di non lasciar passare nessuno--insistè la suocera.
--Nessuno, è difficile... A ogni modo, non riceverò anima viva prima
delle tre... a eccezione di Bardelli... che mi aiuterà a sbrigar tante
cose... Non c'è di là, Bardelli?
--Non c'è, ma tornerà prestissimo, non dubitarne.
--Perchè pur troppo ci sono tristi necessità che non patiscono
indugio.
--Di quelle si occuperà Gustavo... Ha detto che può servirsi d'un paio
d'impiegati della sua Compagnia di Sicurtà.
--Grazie... In questo caso...
Varedo prese un foglietto di carta e tracciò in fretta due righe di
partecipazione.
--Basterà inserirle in tutti i giornali cittadini... le partecipazioni
private sono inutili... Ce vorrebbero troppe e si commetterebbero
infinite dimenticanze... Aggiungerete l'ora... È fissata?
--Le nove di domattina--rispose la signora Valeria. E non potè frenare
uno scoppio di pianto.
--Coraggio!--sospirò Alberto.
E nel riaccompagnarla fino alla soglia disse:--Fate tutto voi...
Disponete voi... decorosamente... Circa a Bardelli, siamo intesi...
Appena viene, mandatemelo.
--E non vuoi riposare?
--Mi butterò vestito sul letto per una mezz'ora.
Di lì a mezz'ora, l'onorevole era in piedi.
Camminando su e giù per la stanza, apriva i giornali, le lettere, i
dispacci, gettava nel cestino, o sulle sedie, o per terra le carte
inconcludenti; poi, seguitando a camminare, dettava un telegramma, un
biglietto a Eugenio Bardelli, che, seduto al tavolino con la penna in
mano, aspettava gli ordini. La vita lo aveva ripreso ne' suoi
ingranaggi, le superbe promesse dell'avvenire lo distraevano dalle
tristezze presenti. Era lui che, di tratto in tratto, diceva una
parola di conforto all'altro.
--Si faccia animo... Sia un uomo... Scriva, scriva. Non c'è quanto il
lavoro per stordirsi.
Docilmente, Bardelli s'asciugava le lacrime con la manica del vestito
e si rimetteva all'opera.
E Varedo pensava che mai avrebbe trovato un segretario così fedele,
così devoto, d'una devozione e d'una fedeltà che resistevano a tutte
le prove e a tutti i disinganni. Anche lo pungeva il rimorso di non
aver fatto per Eugenio Bardelli quello che avrebbe dovuto fare. Non
gli aveva conservato il posto d'assistente, non lo aveva appoggiato
nei suoi concorsi universitari, non aveva seguito con l'interesse che
tanti professori mostrano verso i loro antichi studenti lo svolgersi
della sua attività scientifica.
Fu dunque, almeno in parte, l'onesto desiderio di riparare ai propri
torti che gli suggerì la domanda:--Bardelli, accetterebbe ella un
impiego a Roma?
Colto di sorpresa, il giovine alzò gli occhi mezzo trasognato.
Varedo proseguì, a modo di spiegazione:--Andando al Governo... parlo
nell'ipotesi che la crisi si risolva secondo le previsioni generali...
andando al Governo, avrei la facoltà di chiamar presso di me qualche
persona di mia fiducia... Lei potrebbe essere, che so io, il mio
segretario particolare... Ciò non pregiudicherebbe le sue aspirazioni
all'insegnamento superiore... Ma quei benedetti concorsi son così rari
e ci son sempre tanti aspiranti... Neppur la cattedra di Palermo sarà
facile averla...
Bardelli lo sapeva già che a Palermo gli si preparava un nuovo fiasco
e che probabilmente quel fiasco non sarebbe stato l'ultimo; lo sapeva
che le sue condizioni economiche non eran tali da permettergli di
restar lungo tempo disoccupato; e nondimeno sentiva che l'offerta del
professore non era oggi accettabile... Ah, con che cuore l'avrebbe
accettata quattro o cinque mesi addietro! Seguitar a vivere
nell'intimità della famiglia Varedo, veder ogni giorno Diana, veder
ogni giorno Bebè, non era stato questo il suo sogno?... Ora la
famiglia era disciolta; Bebè era morta, Diana non avrebbe accompagnato
il marito a Roma... E se pur si fosse indotta più tardi a
raggiungerlo, avrebbe ella gradito la presenza assidua di un uomo che
aveva osato farle una dichiarazione d'amore? Ed egli stesso, Bardelli,
era sicuro appieno di sè, sicuro di non esser ripreso dalla sua
follia?
Mentr'egli studiava una risposta, Alberto lo levò momentaneamente
d'impaccio dicendogli:--Non importa che si decida subito... Rifletta
fino a domani... Già, per oggi, non c'è nulla di positivo.
E in fatti non c'era ancora la notizia che San Giustino fosse stato
invitato al Quirinale.
Alle tre cominciarono le visite. Venne il Rettore dell'Università,
vennero alcuni professori, e il Sindaco che non s'era potuto recare la
mattina alla stazione, e il Presidente del Consiglio provinciale, e i
direttori di due fogli cittadini, e altri ch'erano o desideravano di
esser creduti in dimestichezza con un uomo vicino ad afferrar il
potere.
Parlavano poco della disgrazia, e molto della crisi, molto del
discorso di Varedo che faceva le spese di tutti quanti i giornali. E
giù elogi, auguri, pronostici di grandezza e di gloria.
Ma Varedo rifiutava gli elogi, gli auguri, i pronostici. Il ricordo di
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