Il Cavaliere dello Spirito Santo: Storia d'una giornata - 4

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=La signora che non ha mai avuto un amante:=
E mio marito crede che l'abbia fatto per amor suo! No, è più semplice:
ho tardato nel risolvermi ed ora mi sono avvezza a non avere un amante.
La rinunzia d'una cosa che non si conosce può benissimo diventare
un'abitudine... Chi non esercita una facoltà la perde; io mi sono
dimenticata d'esercitare l'infedeltà. E siamo in molte ad aver commessa
questa dimenticanza, molte più che non credano i fabbricatori di luoghi
comuni.
Certe vite di donne sono aride, sterili, come giardini morti.

=Il padrone del teatro delle pulci:=
E qui s'impara come certi animalucci derisi abbiano spesso maggiori
attitudini ad ammaestrarsi che una persona barbara la quale, per un
lieve prurito, li schiaccia!
*
* *
(Ma frattanto venuta è l'ora che debbano a lor volta, Compare e
Comare, fingere una parte nella Commedia, e mentre ancora qualche
avventizia maschera sdottora e blátera dal proscenio, il buttafuori
li richiama e li sollecita perchè vadano a travestirsi. Già parecchie
volte nel decorso della Commedia la bellissima etèra Meridiana, ed
il Cavalier Compare con lei, ha mutato i suoi regali abbigliamenti;
anzi la famosissima per le sue favolose guardarobe etèra Meridiana,
secondo il volgere d'ogni ora indossa una più bella e ricercata veste.
Apparve da prima circonfusa d'un colore d'incipriato, in bianco raso
e trasparenze di finissimo tulle con un corsaletto in cintola di così
bionde squamme che pareva una ghirlanda intrecciata con spighe di biada
e portava nella sua fibbia un gran mazzo di bei fiori d'argento. Poi di
turchino si vestì, con pizzi d'Irlanda che ragnavano su la sua pelle
delicata; poi di roseo, con orlature di piumoso cincilla e calzari
di raso luccicante come una corteccia d'oro. Quindi mise una veste
indefinita che nulla potrebbe somigliare tranne il muoversi d'un'acqua
tetra qua e là percorsa da repentini guizzi di sole; poi mise un abito
folto e greve, di velluto, sul quale nevicava una grande bianchezza
d'ermellini, con un mazzo all'incrocio delle guaine, più sotto che la
scollatura, di grandi fiori vampanti che parevano rose rosse.
Ora verrà semplicemente vestita, con i suoi meravigliosi capelli
raccolti da un nodo solo, nudi gli avambracci fino al gomito, il collo
terso che nascerà da un'apertura di leggera mussola, nè ingioiellata
nè dipinta, quasi principessa che per iscopo di teatrare avesse voluto
illeggiadrirsi nell'eleganza d'una suonatrice d'arpa.
Così ugualmente il sontuoso Cavalier Compare verrà nell'abito non
negletto ma quasi umile d'un musicista ebbro d'ispirazione, con le
sembianze atteggiate a quelle d'un romantico poeta che tutte abbia
mandate a memoria le rime sospirose di Alfred de Musset.
Un robusto applauso di mani a tal uopo noleggiate dall'impresario,
saluta quivi l'entrata in scena del Compare Cavaliere della Films e
della Comare, bellissima etèra Meridiana, i quali vengono per «sentir
d'amore.»)

=Entra la coppia degl'innamorati.=
(_Nell'Orchestra violini profumati, arpe voluttuose, flauti che
respirano con ebbrezza._)
Noi camminiamo tenendoci per mano, ed il fiore nostro, la nostra
parodia che non temiamo, è questo mazzolino di viole del pensiero. Non
v'è per noi più innamorata lascivia che la lascivia di guardarci negli
occhi, negli occhi dove l'anima sale come una visibile paura e piena
di voluttuoso tremito cerca un'altr'anima che la guardi. La nostra
dolcezza diviene un tormento quando cerchiamo di comprendere che cosa
sia l'amore.
Io sono te.
L'amore non è forse che uno stato essenziale della vita, un passaggio
per il quale varca ogni cosa nata e vi dà il suo più forte lampo
innanzi di finire. Vi sono tre cose nell'universo: la vita, l'amore, la
morte.
Tutte le creature venute su la terra, fecero quello che facciamo noi:
guardare con disperazione con incanto negli occhi d'un altro essere,
guardare la cosa amata per comprendere l'amore. L'amore, ch'è la febbre
più sensuale, fa conoscer l'anima; l'anima conduce ai sensi.
Io sono te.
L'amore non abita nei sensi e neppure nel cervello soltanto: è il
legame che li unisce, anzi è il confine dell'essere che li soverchia
entrambi. Nessuno, pensando, andrà più lontano che non vada l'amore.
Amare significa mescere in noi stessi la bellezza nativa del
mondo, farne dono senza perderla e non volere la pace. Noi siamo
gl'innamorati, cioè possediamo una forza ch'è solamente «nostra» e ci
mette su la via dell'infinito, quantunque perda ogni senso all'infuori
di «noi».
Io sono te.
Ascoltare la voce l'un dell'altra è una musica veramente armoniosa,
cioè che invade l'essere come beatitudine immateriale. Tenerci con la
mano la mano sembra una cosa innocente, ma è terribilmente colpevole;
tanto colpevole che a noi sembra talvolta l'infinito amore tutto e solo
consistere nel tenersi una mano. Si può godere sino allo spasimo la
persona amata senza nemmeno prenderne il respiro, chiudendo gli occhi,
e senza conoscere d'amore.
Io sono te.
Il «sempre», il «mai», nacquero forse da questo desiderio senza
fine. La bontà è anche nata nell'amore. L'odio anche. Si compie una
purificazione sublime nello spirito della creatura che ama e v'è
inoltre nell'amore una memoria di cose alle quali non si è pensato mai.
Fu il solo dono bello che la natura chiuse nella vita e fu tuttavia la
paura più grande, poichè solo nell'amore si capisce con perfezione lo
spaventoso terrore della morte. Ecco perchè noi camminiamo tenendoci
per mano...
Io sono te.
*
* *
(Quivi un leggiadro applauso è fatto al Compare ed alla Comare
che bellamente sentirono d'amore, poichè ai patroni della Commedia
l'uditorio è per usanza cortese. Vanno quindi a mutarsi d'abiti, ma
prima conducono verso la ribalta una squallida e solitaria vergine, «la
quale, dicono, meglio assai che non facemmo ricercherà d'amore.»)

=La zitella:=
Ho aspettato, aspettato, per l'intera giovinezza... e finalmente credo
che non attendo più! Mi sembra d'esser rimasta dieci anni al cancello
d'un giardino, e sono diventata io stessa il cancello che mi chiude.
Sono calma, e quando penso al passato mi ricordo che avere vent'anni
voleva dire precisamente — solamente — stare al cancello d'un giardino.
Raccontano che le zitelle siano stizzose; non è vero; hanno vergogna,
ma sono calme. Diventan rosse ove si parli di nozze, non per lo sposo
ma per timore dell'ironia.
È una lunga storia l'amore, ma finisce; finisce quasi brutalmente, come
una ruvida poesia. Un giorno lo specchio ci dice: basta. E se non è lo
specchio è l'anima, la quale s'accorge d'essere stanca. Il sentimento
compie la sua parabola, mentre l'egoismo lo vince a poco a poco.
Innamorata, fui molte volte: di me stessa, che non piacqui a nessuno,
e di tutti gl'innamorati che vidi, nella mia vita grigia come polvere,
amare un'altra...
Mi pareva d'essere in una stanza buia e di guardare, traverso le
fessure dell'uscio, in una grande inebbriante festa da ballo, tutta
fiori lascivie musica e baci. Tra quel buio languivo di sperdimento...
Ma ora il ballo è finito, la sala sgombra, i candelabri muoiono. Entro
e vedo per terra qualche fiore appassito, qualche trina lacera; su
la tastiera del cembalo sembra che dormano due mani pesanti; qualche
violoncello ha le corde rotte, filtra l'alba, i candelabri sono morti.
La storia d'una ragazza vecchia è sempre un'immagine, perchè le sue
voluttà non furono che sogni.
*
* *
(Quivi ritorna il Cavalier Compare, in elegante abito da passeggio,
discorrendo con un signor grave in tuba e marsina che lo intrattiene
d'argomenti serii.)

=Il socio della Lega per la protezione degli animali:=
Ho veduto stamane un pavone senza coda, un'anitra zoppa, un asinello
gonfio di bastonature, un uccellino in gabbia, un luccio agonizzante,
la coda d'una volpe conservata come trofeo... nè saprei dire quanti
altri segni delle inique torture che l'uomo infligge al regno animale.
Soltanto il popolo inglese ha leggi draconiane contro chi sevizia
le creature inferiori, e questa non è l'ultima fra le ragioni che lo
condussero all'egemonia. Terrò su l'argomento una conferenza.
Intanto proibisco a mia moglie di portare piume d'uccelli paradisi o
pellicce alla moda; così, mentre diminuisco la strage di questi poveri
animali, faccio anche una pietosa economia. Se mio figlio trapassasse
con uno spillo una farfalla viva, credo che lo rinnegherei; l'uomo
che cammina sopra un formicaio non può essere buon padre di famiglia e
merita che lo si arresti.
Questa è la mia opinione.
*
* *
(Il Cavalier Compare, da buon compare, gli dà tutte le ragioni e
volentieri accede a far parte di questa lega operosissima la quale
fra poco avrà salvato il bestial genere così dalle fruste come dalle
roventi padelle dell'uomo. In quel mentre scocca fra le quinte
il rimbalzo di due sonori schiaffi, ed un pover'uomo d'aspetto
quasi cenobitico vien spinto a forza nel mezzo della scena da un
attaccabrighe battagliero come Orlando, che dopo averlo percosso con
virulenza, ora con enfasi lo deride.)

=Lo spadaccino:=
Sissignore! Le ho camminato sui piedi, le ho dato due schiaffi, adesso
le sputo in faccia, e se non le accomoda, mi mandi due padrini!
*
* *
(Il Cavalier Compare, da buon Compare, libera il malcapitato e dà
un poco di ragione a tutt'e due. Ma il cenobita rifiuta le armi e
il mangia-spade non decampa, sicchè, udita la causa dell'incidente,
il Cavalier Compare propone che la vertenza venga sottoposta ad un
Giurì d'Onore. Le parti accedono. Il Cavaliere della Films li prega
di sedere, nonchè di soprassedere a qualsiasi ulteriore commento su
la faccenda, rimanendo chiuso nella più cavalleresca impassibilità
fin tanto ch'egli vada in cerca di tre integerrime persone disposte a
costituire il triumvirato salomonico.
Per avventura passa di lì un perito giudiziario al quale dal Cavalier
Compare viene offerta la presidenza. Questi accetta, facendo nondimeno
qualche premessa.)

=Il perito:=
Noi abbiamo per insegna la Virgola della Sibilla Cumana e per
osservatorio la specola di Cagliostro.
Il Perito è un uomo che si trova in imbarazzo, che mette in imbarazzo,
che lascia in imbarazzo; per uscirne, vadasi da un altro Perito.
*
* *
(Per l'appunto in fondo alla scena che rappresenta ora, benchè
semivuota, l'elegante sala d'un «tea-room» alla moda, siedono a
due tavole non distanti un giovine filosofo alcoolista, il quale
già disamina il settimo whisky della sua giornata, e un ben rasato
marchese, giovine di bel mondo che fa colazione un po' tardi
con qualche panino di giambone burrato e con una tazza di tè
roseo-nuvolata. Il Cavaliere della Films conosce quest'ultimo.)

=L'uomo che centellina il suo settimo whisky:=
Osservare la gente traverso l'invetriata d'una bottiglieria non è la
stessa cosa che guardarla dal terrazzo d'una casa. Qui la si comprende
meglio, perchè l'alcool incatena forse leggermente i piedi, ma
rischiara di molto il cervello. L'alcool è il vero amico dell'uomo, gli
si affeziona più che il cane e invece d'abbaiare canterella.
tiri — tiri — tiri — tiritì!
Il Blak-and-White Whisky non ha mai potuto nuocere neanche ad un
tubercoloso, anzi uccide i microbi. È la bevanda più salutare che sia
mai stata fatta per sostituire l'acqua, elemento neutro dove infuriano
milioni di bacilli. L'acqua io la capisco nel bagno dove, per sentir
l'odore della pulizia, la rinforzo con l'energico alcool della menta
pepata; oppure la capisco nel suo stato solido inquantochè serve a
raggelare i coak-taïls.
Chi ha scritta quella favoletta: — il fuoco l'acqua e l'onore?...
Graziosa, ma io direi senz'altro: — il fuoco il whisky e l'onore;
perchè il Blak-and-White Whisky è la filosofia dell'uomo di spirito.
Quando si dice uomo si dice anche donna; i contrarii esprimono sempre
la stessa cosa.
pere — pere — pere — perepè!
I miei amici contano i whisky che bevo per sapere come devono
trattarmi; il «barman» li conta per farmeli pagare; il solo che non li
conti sono io, per modestia, perchè non tengo ad umiliare nessuno. Toh!
mi fischia l'orecchio sinistro, lato del cuore... È probabile che si
parli di me; forse la mia amante mi sta facendo le corna... A me non
importa quasi niente.
Il Blak-and-White Whisky è migliore che la donna.
curu — curu — curu — curucù!

=Il giovine marchese:=
La signora elegantissima di cui sono — sia detto inter nos — l'amante,
mi ha telefonato ieri al club per domandarmi se potessi accompagnarla
al tè-tango della principessa. Pur troppo sono giunto in ritardo,
perchè stavo giocando a baccarà e non ero, fra l'altre cose, in
«dorsay.» Mi son presa quindi una ramanzina coi fiocchi, due anzi:
la prima da lei, molto ironica; la seconda, molto affettuosa, dal
marito... pazienza! Il mio mestiere è di fare il giovine marchese: non
so veramente se mi diverto più io, o si divertono più gli altri. La mia
vita somiglia molto al meccanismo d'un prodigioso fantoccio di stoppa;
ho da quando son nato la soddisfazione di sentirmi chiamare signor
marchese; so che la gente mi crede un imbecille, e quasi quasi lo
credo anch'io. Ma non ho mai sentito il bisogno d'essere intelligente;
forse questa è la ragione per cui non lo sono. Si può vivere con molto
spirito senza darsi la pena d'essere intelligenti. La vita è stata per
me un bel tappeto di damasco e vi sono passato sopra senza lasciarvi
nessuna impronta. Le donne mi hanno amato, gli amici mi hanno adulato,
gli uomini d'ingegno m'han fatto qualche bell'inchino; so vagamente
che si può esser poveri, mangiar male, aver sfortuna, trovarsi presi
nella tragedia... ma tutto questo è quasi una piccola storia che mi
sembra d'aver letta in un bizzarro libro. So per conto mio che lo scopo
della vita è questo: godere per abitudine, godere con noia, godere con
facilità. Mi resta solo da decidere in cosa consista il godimento. Alle
volte provo quasi la tentazione che mi capiti una disgrazia, per poter
godere anche il dolore, quest'unica gioia che non ho sofferta mai.
*
* *
(Con affabilità il giovine Marchese accoglie, sebbene occupatissimo,
l'invito del Cavalier Compare a far parte di questo Giurì, e per
amore di sollecitudine il Marchese presenta il Cavaliere della Films
al giovine filosofo alcoolista, che offre da bere, indi accetta. Il
triumvirato quindi si ritira, e nell'attesa del responso le parti
contendenti se ne vanno per i fatti loro. Ma già quivi la bellissima
etèra Meridiana ritorna constellata della veste più bella che mai
mettesse, cerulea tanto che par tessuta con l'aria d'un giorno di
primavera. Una rete impalpabile ricopre la stoffa eterea, dentro questa
rete s'impigliano gemme. Così bella è, che tutta una schiera di giovini
le muove appresso per corteggiarla.)

=Entra il Coro degl'Incompresi:=
(_Nell'Orchestra in sordina voci funebri ma irate; sinfonie di
strumenti bizzarri; ocarine, oboè._)
Nunc et in hora mortis nostrae... Amen.
Noi siamo la Genialità che il mondo non vuol conoscere, siamo le
finestre dalle quali non guarda mai nessuno, i fuochi ai quali anima
viva non si scalda.
Altri agitano il tirso che in sè non portano alcun Dio; noi viviamo in
campi d'ortiche mentre il lauro cresce nei giardini altrui. L'epoca non
ci comprende; siamo nati cent'anni prima della nascita nostra, pensiamo
col cervello d'una gente che verrà. Il solo conforto è per noi leggere
le biografie di quei sublimi, ch'ebbero gloria quando furon polvere.
Nunc et in hora mortis nostrae... Amen.
Di questi giorni è il tempo dei mediocri, talora degl'infimi; riesce
oggi chi puttanescamente si vende al favor popolare. Laddove si celebra
l'immortalità d'un poeta che scrisse persino un endecasillabo con
dodici piedi, io diedi alla mia terra un poema primordiale in 61 canti
che nessuno volle stampare e nessuno lesse; laddove girano il globo le
operacce di maestri che non sanno il contrappunto, (e sono debolissimi
nell'orchestrazione,) tu, Flavio, nella tua «Sinfonia delle Foglie
Gialle» hai spinto di qualche passo più oltre l'anima beethoveniana.
Mentre un pittor d'affreschi murali passa per Tiziano risorto (— e
falla in tutte le prospettive per disconoscenza del disegno! — ) tu,
Clodomiro, nel tuo «Notturno in luoghi Morti» hai ottenuto forse la più
grande rarefazione di colore, il più profondo singhiozzo di luce che
mai pittura tentò di esprimere...
Ma che serve? Tutto questo piace alla Beozia regnante, come piacerebbe
alla mummia d'un Faraone!
Sì, le parole più significative della vita nuova noi le abbiamo dette,
solo non furono comprese! La Fama, che sarebbe nostra donna d'amore,
passa davanti a noi scordevole, o co' suoi veli trasparenti ci adesca
mentre va in letto con altri...
Così noi camminiamo per via malinconici, a fronte bassa, con il fegato
un po' gonfio, mentre la strada plaude sfrenata perchè si corona
imperatore un Asino!
La nostra famiglia è grande; vi sono Incompresi anche fuori dall'arte;
inventarono, amarono, vollero, fecer mille prove per venire a capo
di un'idea fissa, tentaron senza tregua di spiegarsi, ma non furono
compresi mai... Poveri e tetri, la nostra parola è forse questa: — mai.
Nunc et in hora mortis nostrae... Amen.
*
* *
(Non anco è fuor di scena la irata e lamentosa teoria, che già viene
avanti una schiera più calma e più forte, quali solitarii, quali a
brigatelle che in bel modo e con acuta ponderatezza, di amene favole
vanno insieme ragionando. Son costoro i colpevoli dell'aver condotto
a sì amare tetraggini quei delusi corteggiatori della bellezza o della
fama, ed or vengono per iscusarsi dinanzi alla Patronessa di beltà, la
ceruleo-vestita Meridiana.)

=Entra il Coro dei Critici:=
(_Nell'Orchestra sinfonia cadenzata ma talora quasi gaia di stromenti
d'ogni genere; qualche solitario violoncello, moltissimi tamburi._)
Microscopio. Lente.
Siringa. Tanaglia da dente.
Noi, con mansuetudine, avveleniamo la vita degli artisti.
Noi, con beatitudine, conduciamo a spasso le nove sorelle Muse.
Noi, con rettitudine, facciamo sì che non tutti i maschi e non tutte
le femmine della specie umana, dal demente all'analfabeta, si mettano
a creare opere d'arte.
L'opera d'arte è la cosa che l'uomo, — anche la donna, — partorisce
più volentieri, senza doglia, e con instancabilità. Se non ci fossero
i Critici, l'umanità finirebbe sotto il diluvio delle opere d'arte. Ma
per fortuna ci siamo noi con
microscopio; lente;
siringa; tanaglia da dente.
Noi crediamo che il vizio d'essere artisti fu imparato nell'antica
Grecia, e prima dell'Ellade gli uomini — anche le donne — avessero
qualcosa di meglio a fare che crear opere d'arte.
Però non ne siamo sicuri, tanto questo vizio è radicato nel cerebro e
nella carne della specie umana.
Se non si fosse Critici, forse anche noi ci abbandoneremmo alla
foia del creare opere d'arte. Ma fors'anche no, tanto è grande la
delusione che provammo nel condurre a spasso le nove sorelle Muse.
Inoltre dobbiamo dirvi che la madre di queste nove fraschette era una
bella matrona che la si chiamava per l'appunto Critica; onde noi, che
fornicammo con la madre, non si potrebbe senza vergogna donneare con le
sue garzette.
Oh, se gli artisti potessero comprendere la nostra malinconia!
Per leggere un bel verso, noi dobbiamo andarne diecimila che pungono
come ortiche o salivano come bisce!
Per vedere una tela semplicetta, una semplice statuetta, la quale ci
riconcilii con la forma del corpo umano, dobbiamo traversare una tebe
di goffaggini e risalire un nilo di terrifiche mostruosità!
Le nove sorelle Muse, ohi noi! si danno anche a sodomia, e questo fanno
quasi cotidianamente, forse perchè vengono dalla Grecia, paese dov'era
costume.
Or chi farebbe la critica dei critici se non la facessimo noi?
quand'è venuto in evidenza che per essere buoni giudici d'un sonetto
bisogna per lo meno conoscere la scienza del finito nell'infinito e
dell'infinito nel finito, nonchè saper mettersi nell'intuizione come in
una comodissima trottola che giri a maraviglia da sè?
Tuttavia noi Critici siamo ancora più numerosi e più smaniosi di
partorire che i sullodati creatori d'opere d'arte; così per uno di noi
che la matrona Critica di leggieri accolse nel talamo de' suoi deliri,
dieci al fiume li mandò perchè prendessero anguille con la barbaia.
Sicchè fra noi stessi dobbiamo scegliere con
microscopio: lente:
siringa: tanaglia da dente.
*
* *
(Or avendo la Comare Meridiana indossata una così bella veste, súbito
la voce per intorno vola, nè passa gran tempo anzi che vengano insieme
a visitarla due giovini vagheggiatori della bellezza muliebre, assidui
del paro nel suo culto ma non da essa con egual sorte ricompensati. Di
séguito poi vengono taluni altri personaggi, non tanto bramosi della
etèra che porta una veste cerulea, quanto chiamati a fiutar l'aria dal
rumore della novità.)

=Entra il Dialogo fra l'Uomo che ha fortuna con le donne e l'Uomo che
non ha fortuna con le donne.=
— Veramente, o Paride, non è la tua persona più allettevole che la mia;
d'età siamo gemelli e ci vestiamo dal medesimo sarto. Vuoi dirmi, o
Paride, perchè mai tutte le donne ti rincorrono, mentre fuggono me?
— Ascolta Menelao; non vorrei farla da saccente, ma temo che tu non le
sappia forse prendere per il lor verso.
— Veramente, o Paride, abbiamo fatto i medesimi studî; la nostra
cultura non divaria gran fatto, e per quello ch'è fantasia, nè tu mi
ritardi nè io t'avanzo. Tu se' forse un po' stanco di troppi certami
d'amore, laddove io sono sovreccitato per non poterne far mai. Ho il
rovescio della tua sorte: ogni sera devi tu scegliere fra cinque belle
che si contendono i tuoi baci, ogni sera io mi corico amaramente,
pensando a cinque belle che m'hanno detto di no. Spiegami qual'è il
sortilegio che fai per essere così amato.
— Ascolta, Menelao; non faccio sortilegio alcuno. Questa è la mia
sorte: s'io guardo per avventura una donna pensando al mio cane,
costei con evidenza mi sorride, arrossisce, impallidisce. Se vado a
trovare la moglie d'un amico per darle una cattiva notizia, la moglie
dell'amico mi conduce nella sua camera nuziale. Se in un albergo suono
per la cameriera con il proposito di farmi attaccare un bottone, la
cameriera d'albergo, giovine donna e soccorrevole, cade fra le mie
braccia. Quando ne' treni passeggio per il corridoio nell'attesa che
l'impiegato prepari la mia coltre, vengono le americane a domandarmi
vuoi quant'è lunga la galleria sopravveniente, vuoi se in Italia
qualchevolta nevica... Ho tre casse piene di lettere amorose, io che
mando solo cartoline illustrate. Ascolta Menelao: poche sere or sono,
avendo invitato a cena una provatrice d'abiti — (i francesi, molto
meno afflitti da un bell'idioma, le chiamano «mannequins») — trovai
la provatrice d'abiti petulante come un diavoletto e mi parve che
fosse ragazza di molto navigata. Lo sciampagna, come ben sai, è un
vino allegro, e dopo cena la condussi a casa mia. Quando fummo a lumi
semispenti, e tardi alquanto per ripentirci della penombra, ella mi
confessò con umile candore che aveva creduto bene farmi dono della
sua lunga verginità... Menelao, devi prestarmi fede: era semplicemente
vero. Che vuoi? la donna è un rettile commovente! Ma per quante n'abbia
conosciute, le ho comprese, o Menelao che a malincuore sei casto, ancor
meno di te!
— Veramente, o Paride, quel che tu narri alla mia fame suona tormento,
come al digiunatore di tre settimane la storia dei banchetti d'Epulone.
Ma in cerca vado più che mai d'intendere la nostra inegual sorte,
poichè, ne' suoi rifiuti costanti, nelle sue civetterie perniciose, ne'
suoi giochi amari, ho studiata la donna con intelletto, e penso ch'ella
non sia tanto illogica nè tanto incomprensibile come tu dici.
— Ascolta, Menelao, questo fu il tuo torto: studiare la donna. Facesti
come colui che studiasse la quadratura del circolo, il moto perpetuo,
l'altre chimere!...

=Interviene l'Uomo che cerca le Chimere:=
Sì, passo i miei giorni tentando di quadrare il circolo e di trovare
un movimento che non s'arresti mai più. Appunto perchè nessuno v'è
riuscito, la mia certezza è che si debba riuscire. Difficile non è
tanto render possibile un Assurdo, come dimostrar la ragione per la
quale una cosa debbasi ritenere assurda.
Vi pare proprio possibile che una data quantità possa contenersi nella
forma rotonda e non — fino al milionesimo di millimetro — nella forma
quadrata?
Se ne siete certi, mi dispiace per voi, o microcefali! Per conto
mio seguiterò a cercare la quadratura del circolo, il moto perpetuo,
l'altre infinite Chimere, finchè un tale non mi dimostri con evidenza
qual diversità corra in eterno fra la sua Certezza e la mia Chimera.

=Interviene l'Ombra dell'Indefinibile:=
Il Vero come il Non vero sono entrambe Verità indefinibili. Questo
cercatore di chimere ha espressa un'evidenza che pare falsità.

=L'Uomo che ha fortuna con le donne:=
— Ascolta, Menelao; non lasciarti sedurre dai cercatori di chimere!
Ammetto che si troverà forse la quadratura del circolo, ma non si
troverà mai l'uomo che comprenda la donna. Questo non è necessario
d'altronde; perchè il giorno in cui l'avessimo compresa, ella
perderebbe la sua maggiore bellezza. Lasciate che le donne siano
assurde, e che siano assurde con novità! Noi pure ai lor occhi dobbiamo
talvolta sembrar tali. Ecco, tu volevi una ragione? Fors'è questa:
Paride sembra loro assurdo, Menelao no.
— Veramente, o Paride, se questa è la ragione, cercherò d'essere o di
parere assurdo anch'io.
— Ascolta, Menelao: compiresti un tentativo dannoso e vano. Assurdi
si può essere solo per incoscienza ed ogni riflessione bandisce
l'assurdità, che fra tutte le cose del mondo è forse la più bella.
Non ti provare, non ti provare! perderesti oltre che il tempo anche la
pace.
— Veramente, o Paride, ch'io la perda ma che si tenti ancora questo
mezzo estremo! Voglio pur io, prima che la giovinezza fugga, profumare
di sciolte capigliature il mio guanciale tepido, vedere due belli e
turbati occhi piangere di svenimento, e per commosso amore piangere
di me! Voglio pur io, ne' miei tardi giorni di vecchiaia, posseder
qualche lettera un po' gialla da rileggere sotto il lume! Poichè
vedi, o Paride, tu forse hai sfogliato le rose a' tuoi piedi senza
conoscere quanto sia dolce il profumo delle rose... Quelli soli che non
sfogliarono ghirlanda, san comprendere il profumo che v'è nel calice
d'una rosa.
— Ascolta, Menelao; non sono lungi dal darti ragione. Certo non se' tu
il primo a conoscere che la rinunzia è il più fino epicureismo della
vita, laddove il possedere addormenta e sfiducia come tutte le verità.
Da buon amico e da fratello vo' che tu sappia questo: io t'invidio per
il tuo digiuno e per la tua sete, per la tua febbre che non si pacifica
e per l'anima tua che nel desiderio spera! T'invidio, perchè davanti
a' tuoi occhi vive ancora un'immagine che ho perduta: la Donna, e regna
nel tuo spirito ancora un miracolo nel quale non credo più: l'Amore.
— Veramente, o Paride, io darei tutte queste belle cose per un bacio
comprato senza denaro, e mi piacerebbe assai che la tua sconsolatezza
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