Il Cavaliere dello Spirito Santo: Storia d'una giornata - 3

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(Quivi il Compare, Cavaliere della Films, prega la Comare, bellissima
etèra Meridiana, che non trascuri di giocare al lotto, poichè spesso
la fortuna entra nelle case come i ladri, e noi talvolta la perdiamo
per aver messo troppe serrature. Così giungono ad uno di quei tenebrosi
botteghini, dove asseconda e trastulla i sogni del suo popolo questo
affabile Governo italiano. Là incontrano svariati personaggi.)

=L'impiegato del lotto:=
Come dice, signorina? Se i suoi numeri sono buoni? Mi pare di sì, mi
pare di sì!... Hanno un vantaggio su gli altri, sa quale? Che li scrivo
con il desiderio di farla vincere...
Oh, non rida! e sopratutto anche lei desideri con molta, con moltissima
forza di vincere, perchè sono persuaso che in tutte l'estrazioni a
sorte, nel lotto come nella vita, non sia la fortuna che decide, ma il
desiderio più forte!
Ho scritto migliaia di numeri, e mi può credere... Senta: quando il
bambino bendato mette la mano dentro il sacco per pescare il numero, vi
sono migliaia di volontà che tentano d'afferrargli il polso, ma ve n'è
una, la più furiosa, la più disperata, che lo guida. E sorte non c'è.
Ora mi ripeta i suoi numeri, bella signorina; 29, poi?...

=Il contorsionista:=
Lei è una maestrina elementare? Io un contorsionista. Sicuro, proprio!
Aspettando il comodo del signor impiegato, le racconterò che lo
scheletro è un'opinione; se ne fa quel che si vuole. Per vivere ho
dovuto riuscire a cacciarmi la testa fra le gambe in guisa da baciare
la vertebra dove gli uomini antichi avevano la coda; faccio la
spaccata intera e mi gratto la spalla destra con la scapola sinistra;
mi gonfio come un mantice o divento sottile come una biscia. La sola
cosa impossibile è di non mettersi ogni giorno qualcosa nello stomaco.
Sono così slogato che ho paura di perdere una gamba od un braccio
quando cammino; del resto poco male: nella cassa da morto avrò il tempo
d'irrigidire. O anche se vincessi al lotto, non le pare?

=La maestrina d'asilo:=
I miei numeri sono: uno, due, tre; perchè vede, in tutte le cose io
sono rimasta all'a-b-c... La vita degli altri, i bambini degli altri...
e vengono i capelli grigi. Che fare? piangere, no; sorridere, nemmeno;
continuiamo: a-b-c...

=La serva della favorita del principe reale:=
Eh, sì! Cento lire su un terno! Proprio! La mia padrona è, come potrei
dire?... la principessa del Principe Reale! Sicuro, e mi ha detto: — va
a giocare queste cento lire perchè Nostra Altezza ha sognato un terno.
La mia padrona mi fa ridere quando mi dice: — non so mai se devo
chiamarlo Vostra Altezza o mio Peppino: mi confondo.
E io l'avverto: — basta che non si confonda col nome d'un altro!...

=L'automobilista:=
Non c'è niente che somigli alla distanza come una strada. Quando il
motore turbina e lo spazio vola, sento che il mio cuore potrà sempre
correre più veloce che la più furibonda strada!
Frattanto gioco i numeri della vettura che ho investita.
*
* *
(Ora, fervendo accanitissimo nella città il lavoro delle aziende
private o pubbliche mentre appena si desta con larghi sbadigli
l'inoperosa beatitudine dei fannulloni, Compare e Comare guidano al
proscenio due comitive di costoro, nonchè molti personaggi radunati
avventiziamente.)

=Entra il Coro degl'Impiegati:=
(_L'Orchestra in sordina zoppica e raglia come l'asino bendato che gira
intorno al pozzo._)
Il nostro Santo Patrono è il 27 del mese!
Noi siamo la macchina da lavoro, forte, monotona, paziente;
qualchevolta la somma nostra opera è un'attribuzione così elementare
che non basterebbe neanche ad un cavallo. Solamente il cavallo non
avrebbe mai la costanza di continuare a compierla. Siamo davvero i
mediocri, e per questo alcuno vuole che noi si tocchi da più vicino la
felicità. Non è vero.
Il nostro Santo Patrono è il 27 del mese!

=Entra il Coro dei Fannulloni:=
(_L'Orchestra dondola e si bea, con lievi sbadigli, come un uomo in
panciolle._)
Noi facciamo girare il pollice destro sopra il sinistro;
sotto il sinistro il destro.
La nostra occupazione è quella di far niente, cosa che molto spesso
affatica. Pur non facendo niente, si riesce a variare il genere
della cosa che non si fa. Inoltre, per strano che paia, la nostra è
l'occupazione più naturale all'uomo.
I Pensatori che sono arrivati all'apogeo della comprensione umana
trovarono che il meglio fosse non far niente. A questa verità sublime
i Pensatori son giunti con molta fatica; noi l'abbiamo trovata súbito.
In ultim'analisi, l'ideale d'ogni uomo che lavora, è quello di potersi
un bel giorno concedere il lusso di non far niente. Chi meno lavora è
più stanco; per voi che lavorate, la vostra fatica diventa una pace;
per noi che non facciamo niente, la nostra pace diventa una fatica.
È un mestiere anche il nostro, sebbene il prossimo non se n'accorga.
Non crediate che bisogni esser molto ricchi per non far niente; anche
il poverissimo può non far niente. Basta che voglia; è questione di
carattere. V'è una gioia grande nel pensare che si potrebbe fare la
tal cosa, mentre non la si fa; una gioia più grande nel vedere che gli
altri sudano e dimagrano, mentre noi si vive in quiete.
Se davvero, come raccontano, il capitale fosse lavoro, mezza umanità
sarebbe già morta di fame. Invece siamo indistruttibili, e Carlo Marx
ha detto una bugia.
Noi facciamo girare il pollice destro sopra il sinistro;
sotto il sinistro il destro.

=L'ex-garibaldino, repubblicano, mazziniano, e ciononostante
cavallottiano:=
La repubblica è quella forma di governo per la quale tutti gl'imbecilli
possono arrivare al potere supremo. Se ci arriva un uomo d'ingegno, o
sale al trono o finisce su la ghigliottina.

=La bustaia:=
Guai, guai, guai se gli uomini vedessero quel che vedo io!

=L'attore:=
Ho imparato a muovermi a ridere a piangere, a sospirare, ad
arrabbiarmi, a disperarmi, a uccidere, a morire; ho imparato con molta
fatica tutti quei gesti che l'uomo normale compie con spontaneità; ma
fra l'attore e l'uomo normale corre appunto questa differenza: che il
primo cerca sempre di parere un uomo normale, mentre l'altro fa del suo
meglio per essere un buon attore.

=Il giudice:=
Ragione? parola ermetica e proteiforme chiusa nel più satirico poema
della letteratura umana. È un lirismo aver ragione, com'è un paradosso
aver torto.
Se così non fosse, a che mai servirebbero gli avvocati?

=L'avvocato:=
Servono così poco, Eccellentissimo Presidente, che nessuno fra noi si
riduce a far soltanto l'avvocato: uno si occupa di politica, l'altro
di giornalismo, il terzo specula, il quarto fa il cantante, il quinto
scrive drammi, dieci tengono agenzie, trenta fanno l'assicuratore,
migliaia quel che capita, e gli altri, che sono la maggioranza, — non
fan niente.
Perlocchè, Presidente Eccellentissimo, noi si vivrebbe a meraviglia, se
anche Lei scoprisse dopo tanti secoli quel corpo semplice che si chiama
Ragione!

=Il cantante:=
Ho la voce d'oro! Sono il più gran tenore vivente! Non è merito mio:
l'ugola! Oh, l'ugola! Guai se mi cadesse un pulviscolo su le corde
vocali! Quanto mi fanno pena gli uomini che non hanno voce! Come
dev'essere miseranda la vita senza una bella voce! Non potersi godere
il delirio delle platee! l'applauso frenetico di tremila spettatori che
non fanno con seimila mani tanto rumore quant'io ne faccio con un do!
Sicuro, le donne mi scrivono bigliettini profumati!... Carucce!
poverucce! come siete buonine! Vi piaccio? si sa! una voce d'oro! un
bel corpo! Quando sono in scena, osservo che mi guardate le gambe!
Oh, le parti nelle quali posso mettere una maglia attillata, un bel
cappello di piume! Diecimila lire per sera a New York; a Messico mi
hanno staccato i cavalli, e quando sbarco a Buenos Aires la banchina
è una foresta di fiori! Cantare... ecco lo scopo della vita, cantare!
Uh!... chiudete quella finestra! L'ugola, per amor del cielo!
Come dite, Compare? Una serata in presenza dell'Imperatore di Germania?
Peuh... siii... vediamo: quanto mi si offre?
E tu, Meridiana caruccia, domani alle cinque, se vuoi... Ti farò
telefonare dal mio segretario.
Oh, l'ugola! Una sola cosa non comprendo: come possa la gente andare
nei teatri dove non canto io.
*
* *
(Quivi, il Compare fa stendere su l'avanscenio gran copia di soffici
tappeti e morbidi cuscini damascati per riposare la stanchezza della
bellissima etèra Meridiana, che mollemente vi adagerà le sue voluttuose
membra. A tal fatica intende una schiera di personaggi che fanno da
valletti con mansuetudine, quantunque nè d'abito nè di sembianze paiano
venuti al mondo per servire. Compiuta l'amabile fatica, e ciò volendo
il Cavalier Compare della Films, questi buoni diavoli andranno in
cerca senz'ordine di molte maschere, le quali possano leggermente far
sorridere l'ozio della bellissima etèra Meridiana.)

=Entra il Coro dei Buoni Diavoli.=
(_Nell'Orchestra una sinfonia di dolore, opaca e senza lamento._)
Sia fatta la vostra volontà.
Noi siamo i Rassegnati, gli Spenti, coloro che scesero al Giordano per
il battesimo d'umiltà una sera che passava sul mondo il colore della
rinunzia.
Lontani dalle infinite cose che possono dar gioia, godiamo senza
invidia la gioia degli altri, poichè il mondo è tutta una storia di
burattini e di burattinai; chi tiene i fili tira come vuole; ci fa
piegare la testa, in su, in giù, come vuole. Per il nostro gran numero,
alcuno pretende che si potrebbe anche ribellarci; ma ubbidiamo appunto
per il grande numero nostro, cioè per spirito d'imitazione. Migliaia
vanno curvati, migliaia si curvano a poco a poco... e la mano d'una
forza invisibile stringe, preme, pesa, finchè da ultimo ci schianta.
Noi siamo i Buoni Diavoli... sia fatta la vostra volontà.
Così dice il nostro Vangelo:
Saziarsi d'un pan muffito e trovarlo buono; andare incontro alla
disgrazia con un sorriso ben accogliente; patire un'ingiustizia dicendo
ave all'offensore; quando muore la nostra donna, imperruccarci per
servire il ballo altrui; dare la pelle, se occorre, per la livrea che
c'ingoffa; spegnere con un soffio il lume del nostro desiderio, portare
anche la croce degli altri e senza maledire l'umiltà.
Noi siamo i Buoni Diavoli... sia fatta la vostra volontà.

=L'orologiaio:=
Costruisco meccanismi per calcolare la durata d'ogni malanno e
d'ogni allegrezza dell'uomo. Sembrerebbe che le mie sottili ruote,
le mie delicate molle d'acciaio riescano a contenere il Tempo, questo
movimento fatale e grande che ravvolge tutte le cose; ma le mie ruote
non han ragione d'essere senza il quadrante.
Conosco un filosofo povero, al quale accomodo l'orologio quando lo
ritira dal Monte di Pietà. Egli mi ha domandato un giorno: «Caro amico,
siete proprio convinto che il Tempo cammini?» — «Per bacco, sì!» —
«Bene, — ha detto il filosofo, con molta gravità, pensateci meglio;
può darsi che camminino soltanto le vostre sfere, e il Tempo sia fermo.
Anzi non ci sia.»
Costui dev'essere matto!

=Il ladro:=
Quest'orologiaio possiede una bottega ben fornita; ma sono passati i
bei tempi che con un paio di grimaldelli si facevano saltare tutte
le serrature. Oggidì gli americani, ladri miracolosi, fabbrican
tuttavia certe serrature formidabili, veri labirinti d'acciaio, che per
capirli non basta l'acume d'un astrologo! Ai ladri del giorno d'oggi
occorre un'istruzione variata ed una piccola dose di genialità. Così
accade che onesti nel vero senso della parola rimangano solamente i
cretini. L'uomo diventa ladro, non quando ruba, ma quando vien messo
in prigione. Mi sono domandato parecchie volte: perchè rubo? Infatti,
quel che guadagno con la mia professione di ladro mi darebbe un'altra,
senza pericoli e facendomi buon nome. Ho dovuto convenire con me stesso
che rubo solo per istinto. Su le cose degli altri dorme con parità il
desiderio dei galantuomini e dei ladri, poichè l'istinto dell'uomo è
già un furto in potenza, un ladrocinio virtuale.
Senonchè la timidezza degli onesti è la via del paradiso, il coraggio
dei ladri la via della galera.

=La guardia di pubblica sicurezza:=
Ecco lì un mio compagno d'infanzia, che al vedermi scappa, ed io, com'è
mio dovere, lascio che scappi! Mah... la vita mette al bivio; un bel
giorno bisogna decidere: prete o mangiaprete? ladro o questurino?
Io mi sono deciso male, molto male... peggio di tutti! La società mi
confida l'incarico di sorvegliarla e di proteggerla!... O perchè lo
confida proprio all'uomo che non ha niente di suo da difendere, quindi
se n'infischia più che tutti? Volete l'ordine vero? terribile? Fate
una Pubblica Sicurezza di ricchi sfondati! Io, comunque vada, rimarrò
sempre un questurino, ossia quell'aspirante carabiniere deriso come un
prete, che i borghesi disprezzano, i vagabondi accoltellano, le belle
ragazze respingono, lo Stato paga maledettamente male!
E con questi chiari di luna siamo noi, proprio noi, che dobbiamo
difendere la fetentissima società!... Ehi, dico!... Ehi, Lei, si
sciolga! circolare! circolare!

=Il proprietario d'albergo:=
Ho fatto fabbricare una casa con settanta camere in vicinanza della
strada ferrata e sono qui che mi gratto la pancia. La gente arriva da
tutte le parti del mondo con lo scopo essenziale, per me, di abitare le
mie camere. Là dentro si spoglia, si lava, parla, fischia, litiga, fa
l'amore, fa i suoi conti, scrive, mangia, dorme, — paga — va via. Per
me l'uomo ha una importanza inquantochè viaggia: se non viaggiasse non
ci sarebbero alberghi; se non ci fossero alberghi non saprei cosa fare.
Questo ragionamento pare sciocco, ma è tuttavia quello che mi permette
di grattarmi la pancia.

=Il pompiere:=
Oh, se poteste immaginarvi la noia che dà il fumo negli occhi!
Ma in compenso il fuoco dà una gioia così terribile a chi lo guarda,
che dinanzi alle fiamme diventa quasi naturale compiere un atto
d'eroismo. Noi, forse, non andiamo nell'incendio per salvare, andiamo
perchè la fiamma ci attira, e non v'è nulla ch'esalti l'uomo come la
tentazione d'attraversare il fuoco.
L'oceano in tempesta è forse lo spettacolo più grandioso della natura,
ma la montagna che brucia è mille volte più vertiginosa di bellezza,
perchè la tempesta cade, mentre l'incendio sale in alto, sale come il
delirio dell'uomo e tenta con le sue rosse ali di vivere nell'infinito!
E ditemi, qual bandiera sui pennoni dei vostri edifici sventolerà
mai così bella, come la bandiera di fuoco, tragica, rossa, folle,
che d'improvviso tra il delirio delle campane a martello sventola per
l'aria notturna, piantata col suo ferro di lancia nella cupola d'una
cattedrale!?...
... ride tutto il teatro?... O, povero me!... questa volta il
suggeritore ha preso un granchio, s'è dimenticato che parlava un
pompiere!

=Il lustrascarpe:=
M'han raccontato che i miei colleghi americani lavorano coi guanti in
filo di Scozia e si fanno lisciare le unghie dalla manicure. La sera
metton l'abito nero, la cravatta bianca, e vanno al loro circolo.
Ognuno d'essi può dire senza far ridere nessuno: — Io sono un gentleman
che pulisce le scarpe. — L'America è un grande paese.

=Il mercante girovago di tappeti orientali:=
Signorino, comprare tappeto vero Byrutt, 120 liri: tu 10 liri meno.
Non piace? Salam-elek! Guarda: piume struzzo per tua madama che
staranno molto bene; per tu 60 liri paio che io pagare 90. Non piace?
Salam-elek! Vuoi piccola tartaruga viva? Sentire pancia fredda...
quando soffio caldo tirare fuori testa; portare fortuna: 13 liri. Io
mercante onesto; se vuoi rovinare dà 8 liri. — Due liri? non potere...
Salam-elek. Non potere proprio... Salam-elek. Signorino, per 3 liri dò
tartaruga viva e scatoletta locoums serraglio Sultano — sst... sst...
locoums per fare amore dodici volte quattro ore!
Due liri?... solo due liri?... Bono, piglia. Salam-elek. Tu rovinare
povero Abdul che essere andato miseria per sua sempre onestà.
Salam-elek!

=Il Re:=
Comando; non so a cosa, ma comando.
Fra le infinite mie disgrazie, ve n'è una che supera quelle di tutti i
miei sudditi... sapete cosa? — la Marcia Reale!
Ah, basta per bacco! Da quando son nato me la sento strombettare negli
orecchi venti, cinquanta volte al giorno, e sempre la medesima! Ne
ho piene... voglio dire che sarei molto grato a chi me ne scrivesse
un'altra.
Per l'amor di Dio, niente che somigli alla Marsigliese!

=Entra il Giubilato con la Processione delle Amanti.=
Avevo quindici anni e un mese, quando questa cuoca fiorente, che
cucinava con maestria le allodole, scoverse nel suo padroncino un uomo.
La seconda, era un'amica di famiglia, non più di primo pelo, con un
marito che le dava qualche dispiacere coniugale. Fu nel suo salotto,
una sera buia, dopo qualche sospiro, nel mese di marzo.
La terza, canzonettista italiana, cantava in francese:
Ah, les p'tits pois! les p'tits pois!...
La quarta, fu un amore; un amore lungo e tetro. Parlammo di suicidio;
spendemmo in francobolli una sostanza; scegliemmo perfino lo stile
della nostra camera matrimoniale... poi si mutò stile: io m'innamorai
del mio quinto, ed ella del suo «primo» amore.
Il mio quinto fu una chellerina, la quale si permise di non mettere al
mondo un figlio, reputato mio.
La sesta, fu un'avventura d'albergo molto commovente; lagrimava con
frequenza, rievocando in inglese una disgrazia che non ho potuta capire
mai. Era una di quelle donne fatali che s'incontrano spesso nel girare
il mondo.
Con la settima rimpatriai; si trattava d'una signorina conosciuta in un
ballo, e che mi narrò la prima sera d'essere già fidanzata. Le proposi
di rompere, di rompere la promessa, ed accettò non senza qualche
scrupolo. Ma mentre io decidevo per la seconda volta di prender moglie,
ella con disinvoltura prese un altro marito. Piansi. Composi qualche
poesia; mi commossi davanti alle viole del pensiero, e malinconicamente
respirai tutto l'effluvio de' suoi vecchi fazzolettini ricamati. Suo
marito non s'accorse di nulla, come d'altronde non mi ero accorto di
nulla neppur io. Venne a trovarmi qualche tempo dopo le nozze, e la
trovai molto più signorina... Il matrimonio inverginisce la donna.
Consumati questi sette peccati capitali, non ho più memoria nitida se
non di varie amanti che composero un tipo d'amante, che appartennero,
come suol dirsi, ad una categoria.
Ebbi l'amante schopenhaueriana, che mi parve un eclissi di nevrastenia
nel sole dell'amore.
Ebbi l'amante incorreggibile, che mi mise in rotta con i miei più
fedeli amici.
Ebbi l'amante romantica, la quale mi costrinse a legger libri pieni di
puntini, ad ascoltare musiche sfiducianti, a comprendere la bellezza
d'aver freddo perchè il chiaro di luna puro da ogni vetro scivoli,
mentre si ricerca l'ispirazione, sul profumato guanciale...
Ebbi l'amante lussuriosa, quella che tutti i nostri amici conoscono
come posseditrice di qualche ricetta formidabile, di qualche arte
satanica nel gioco dell'amore.
Ebbi tuttavia l'amante indimenticabile, quella che si diede così,
d'improvviso, con una sincerità che parve una rivelazione, senza
pudore, senza terrore, ma in silenzio.
E poi tutte quelle che mi vennero perchè avevo possedute queste prime.
Una mi portò la sua bellezza, perchè la facessi vedere alla gente;
un'altra, molte anzi, mi portaron qualche ora vuota o capricciosa della
lor vita galante, la simpatia momentanea d'un capriccio che appena
confessato sfuma; qualcuna mi diede il suo cuore che non compresi,
qualche altra non comprese che potevo darle il mio.
Frattanto nasceva nell'anima il bisogno di amare, poichè andando presso
il fuoco s'impara a conoscere la fiamma.
Quella che amai, non la vedrete fra queste amanti che mi seguono,
perchè fu una grande tristezza, una tristezza che non guarì... e mi
piace di lasciarla sola.
Invece, dopo avere parecchie volte preso moglie con l'immaginazione,
accadde che una volta, senza quasi riflettere, presi moglie in verità.
Trovai nel matrimonio molta pace, molto ordine, qualche notte di
buona lussuria, ma la mia qualità di amante abitava pur troppo fuor di
casa mia. E non era più la medesima di prima: questo amante aveva un
cerchietto d'oro al dito, il che è una cosa indefinibile.
Mi parve d'essere capace d'innamorarmi ancora, e molto, e forte: ma non
era vero. Seguitavo semplicemente a condurre per le alcove degli altri
o nei profumati spogliatoi della bellezza il mio vizio stanco.
Avvenne che in tutte le donne cominciassi a temere l'ultima...
Avvenne che ogni volta mi dicessi: è l'ultima...
Avvenne che non andai dall'ultima.
Ed ora che sono Giubilato, penso di continuo sotto i miei capelli
bianchi a questa favola triste, maravigliosa, indefinibile, che si
chiama l'amore...

=La venditrice di sè stessa:=
Quando mai la lingua italiana mi regalerà una parola decente e moderna
per esprimere il mio stato civile? È una cosa molto seccante non poter
scegliere che fra cortigiana etèra baldracca meretrice pedina magalda
briffalda puttana, e così via, — tutte parolacce d'altri tempi, che
m'ha elencate con molte altre un mio ammiratore; parolacce le quali non
rappresentano punto nè poco la cosa naturalissima che faccio io. Datemi
un bel nome, o signori Accademici, e ve ne sarò grata!
A proposito, è vero che state fabbricando un certo Vocabolario della
Crusca?

=Il Cruscante:=
Sì, damigella, gli è ben vero. E ci occupiamo sovratutto di quelle
parole che le non servono più. Oh, siamo d'una pedantezza, d'una
pedantuzzeria mirabile, damigella garbata mia! Poichè, delle fresche
voci novelle, faccia il buon popolo quel ch'esso gli garba, (il
popolo di Toscana, s'intende!) — ma le viete le diserte le desuete
le rugginose le anticose le morte, cotestesse le vanno ben riscelte
al vaglio, poi rimonde, poi coltivate, come conviensi a cosa vaghetta
ch'ebbe nel tempo andato fiorimento e gioventù; di quindi per infino
chiovate a custodia perpetua dentro quell'orrevole museo possente, lo
quale avrem donato in piue a la gentile Italia nostra, Fiorenza.
No, parliamoci alla lombarda, vagherella mia; faccio il Cruscante,
ma per ridere; abbiamo avuta inverosì l'ottima idea di costruire un
vocabolario della lingua di mill'anni, con dinanzi un bello e forte
giogo perchè ogni compratore se lo porti a casa trascinato da una
coppia di buoi... ma tutto questo fue per celia!
*
* *
(Quivi, un lungo e ripetuto vagire di fantolino sveglia l'istinto
materno della Comare, bellissima etèra Meridiana, la qual sorge dai
tappeti e vede infatti per gli sfondi aurorali della scena traversare
una levatrice d'infanti che reca un pargolo su le braccia; e vuol
chiamarla, ma d'improvviso un buio come di tramonto rannuvola gli
sfondi e giunge tetro dall'orchestra il canto funebre dei becchini.)

=La levatrice:=
Mi tormenta un dubbio amletiano: — servo io dunque per esprimere o per
sopprimere quelle seccature che possono talvolta chiamarsi neonati?...

=Entra il Coro dei Becchini:=
(_Nell'Orchestra in sordina la messa da morto._)
Noi siamo vestiti di nero, ma il nostro spirito è gaio!
De profundis... De profundis...
I cadaveri escono di casa coi piedi avanti e scendono sotterra con
difficoltà. I cadaveri sono pesanti. I cadaveri sono dispettosi.
Trovano il modo di farci faticare più che possono. I cadaveri sono
ambiziosi, cercano di vestirsi bene. Noi preferiamo quei morti che
fanno molto piangere, perchè sono i più generosi.
De profundis... De profundis...
È un mestiere pieno di controsensi quello del becchino; a forza di
stare fra il pianto viene il cuor gaio. S'impara che l'uomo è un peso:
nient'altro. La fisionomia dei morti tramonta nella carne come la luce
nell'acqua; dopo qualche ora somigliano tutti alla faccia unica della
morte. Intorno ai cadaveri si vedono i loro sogni; con un poco di
praticaccia s'indovina dal morto l'uomo che fu.
La tristezza vola fuori dalle finestre come uno stormo di civette, non
appena i becchini han preso il morto e l'han portato via. Fra tutte le
persone piangenti, ve n'è sempre una sola che soffre «il dolore».
Nel guardarli d'improvviso, pare talvolta che i morti ridano.
Sovente si potrebbe derubarli di qualche bell'oggetto, ma non si osa,
perchè i morti sorvegliano ed è assai più facile derubare un vivo.
A noi qualchevolta il morire sembra una parodia del morire; vi sono
case dove la morte si sdraia come necessità, case dove sbaglia d'uscio
e pare assurda. È terribile come alle volte le belle ragazze morte,
nelle loro camicie fine sembrino più belle che mai!
E si dimentica perfino di lavarci le mani prima di carezzare le nostre
amanti...
De profundis... De profundis...
Perchè la gente ha così paura dei cadaveri? I morti sono dispettosi,
è vero, ma dispettosi con noi che li dobbiamo disturbare; all'infuori
di questo non hanno mai fatto male ad anima viva. L'odore dei morti è
singolare: sembra un odore che sia morto anch'esso e non rimanga su
nessuna cosa, neanche nell'aria, ma solo nel cadavere, proprio sul
cadavere, come un peso freddo.
Amano i fiori e con passione li stringono fra le braccia, ma il fiore
tra le braccia dei morti si assidera. Quanto maggior profumo nelle
camere dove le ghirlande sono poche! Per noi la morte più paurosa è
quando mettiamo sotterra un becchino.
Fra la gente in nero v'è sempre un certo piccolo sorriso nascosto,
che agli altri sfugge, ma che noi vediamo in grazia della nostra
praticaccia, poichè dove c'è un morto, piccola o grande c'è sempre
l'eredità.
De profundis... De profundis...

=Il sampognaro:=
Le mie sampogne son piene d'aria, con quest'aria mi riesce di far
musiche variate; gli uomini credono ch'io «trovi» le mie canzoni, ma
invece nell'aria tutte le canzoni «sono già». Non faccio che portarle
ai vostri timpani, o signori che non sapete suonare la sampogna!

=La padrona d'una casa di tolleranza:=
Le scale mie si salgono con fede, si scendono con rimpianto: però si
torna sempre. Si torna a dispetto, e forse in grazia, della spietata
concorrenza che mi fanno altre scale.

=Il fantino:=
Quando penso che tutto consiste nel tagliare per primo il traguardo,
mi avvedo che la vittoria non è mai questione di pazienza, sibbene di
rapidità.

=L'imbalsamatore di cani:=
Tenere un mops morto nel proprio salotto, vuol dire avere uno spirito
mistico, un cuore pieno di sfiducia, un avvenire incerto e molta fede
nella stoppa.
Sappiasi che imbalsamare non è arte così facile come pare al volgo:
bisogna essere fisionomisti.

=Il maestro di scherma:=
Prima la punta, poi: a fondo!
Sono il rimasuglio del Medio-Evo che se ne va, tra poco agli uomini
civili mancherà perfino il coraggio di fingere d'ammazzarsi.
Prima la punta, in ogni modo, e mi fissi negli occhi!

=La canzonettista:=
Io canto la canzone «Fili d'oro» e «La Signora del tramway»; mi muovo
con molta grazia e avrei magari potuto darmi all'operetta, fors'anche
all'opera seria; solo, mi piace dire qualche piccola porcheria senza
nascondere le mie belle gambe. Il caffè-concerto è un luogo intermedio
fra l'arte e la prostituzione, quindi raduna i vantaggi di ambedue.
Sono bellina e furba; mi chiamano: la divetta Colibrì.
Quand'entro in scena sento per tutta la sala scoppiettare un
picchiettìo d'accenti sull'i. Questo mi fa piacere alla pelle come se
fossi nuda, e mi punge come un bicchiere di sciampagna!
Il teatro non può star fermo quando canta la divetta Colibrì.
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