Il Cavaliere dello Spirito Santo: Storia d'una giornata - 2

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opposizione di principii, che il mio buon senso mi dice: — «Aristofane,
compatisci quest'onagro e non insistere!» — Così entriamo, se volete,
nella maledetta sciampagneria!
Vi rimanemmo sino al mattino, celiando e trastullandoci con le
carezzose danzatrici, attente quanto mai al rilucere delle mie piccole
monete d'oro. Aristofane, da buon greco, non ne trasse fuori manco una.
Poi verso l'alba ce n'andammo per separate strade, Aristofane con un
agile ballerinetto che non professava i miei costumi barbari, io con
la sorellina di costui, una brunetta di Montpellier, che forse non li
professava manco lei.
L'orribile vetturino, panciuto e con la faccia vinosa, schioccava
di frusta gridando lazzi alle pescivendole mattiniere; su la città
marittima nasceva un giorno quasi biondo: il Prado si avventava contro
il mare indolente con un grande ringiovanire de' suoi alberi antichi.
Ora, verso il mezzo inverno, Aristofane mi ha mandata la rivista... Ho
pensato meglio di non farla rappresentare, ma invece la pubblico tal
quale.
G. d. V.
_27 Febbraio 1914._


Gli Uomini; le Donne;
il Cavaliere dello Spirito Santo;
il Fato Moderno;
l'Orchestra in sordina;
la Città.
Giorno di sole o d'ombra, di bufera
o di pace.
=Si apre la giornata.=
(È Compare della Commedia il Cavaliere della Films, Comare la
bellissima etèra Meridiana.
Improvvisa la Commedia un solo e sconosciuto personaggio, il
Cavaliere dello Spirito Santo, che siede mascherato nella nicchia del
suggeritore.
Il Compare o la Comare annunziano dalla ribalta i personaggi.)

=Lo spegnitore di lampioni:=
Ogni notte, quand'è verso quest'ora, cápita fuori il giorno. Bei
ragionamenti! Non è certo possibile che una mattina per caso ricominci
a far buio!... La vita è regolare. Peccato, perchè alla lunga se ne
prende l'abitudine e secca di morire anche quando s'è in miseria.
Sono vecchio, vidi molte cose; dopo l'olio venne il gas, dopo il gas
la luce elettrica; rimane in piedi qualche decrepito lampione, ma
sembra un lumino da morto nel mezzo d'un cimitero. E cosa verrà dopo?
I mestieri d'una volta vanno dolcemente a farsi benedire; adesso per
campar la vita bisogna che un povero cristo ne sappia quasi come un
professore d'Università.

=Il professore d'Università:=
A torto vi lamentate, buon uomo! Volete ascoltare le mie lagnanze? Ho
sposato un mostro con la speranza d'avere almeno una donna di casa.
Invece mi ha partorito ben quattro figli pestiferi e da vent'anni in
qua non riesce che a farmi sudar bile. Per conto mio, mi sono digerita
l'Enciclopedia Universale: so tutto e non capisco niente. È una bella
commedia anche il Sapere! Fra un'ora, nonostante i reumatismi, devo
trovarmi all'Ateneo: ho duecento imbecilli da rendere più imbecilli
che mai. Senza dubbio l'ultima parola di tutti i sistemi filosofici
è un sillogismo che si chiama: lo Stipendio. Mia figlia, futura
professoressa in belle lettere, oggi vuol imparare il tango.

=Il maestro di tango:=
Fra tutte le definizioni che si vollero dare dell'uomo, credo che
ancora non si sia trovata la giusta. Secondo me l'uomo è un animale
che vuol ballare. Vuol ballare a tutti i costi, anche quando la sua
struttura non glielo consente. Il ballo è un tentativo di bellezza ed
è uno sfogo di vanità; se un professore di tango sapesse descrivere
tutte le cose ridicole che ha vedute, farebbe senza dubbio un grande
capolavoro.
A Rosario di Santa Fè scopavo la sala d'un maestro di scherma; venni
a Parigi, ed una sera qualcuno, — anzi era una venditrice di sè stessa
leggermente morfinomane, — scoverse che «ho la linea...» Feci fortuna
con rapidità, — (si capisce: cinque luigi all'ora!) — e adesso godo
buon nome fra quei burloni di Montmartre che hanno inventato il tango
argentino.
È un secolo il nostro, nel quale sopratutto si fa fortuna coi piedi.

=L'aviatore che ha fatto il cerchio della morte:=
Sopratutto coi piedi in aria, caro Professore! Ai battaglioni d'Affrica
faceva caldo; lassù fra le nuvole si gela. Il mestiere che ho scelto
è quello di potermi rompere il collo ogni due secondi, per dimostrare
quanto sia capovolgibile un apparecchio Blériot. Ma le «backfische» di
Berlino m'hanno scritte in compenso molte lettere d'amore; questo fa
onore alla Francia, ch'è il paese più eroico del mondo.
Volete sapere la mia storia? Un giorno stavo precipitando a capo fitto,
quando un colpo di vento filantropico mi raddrizzò l'apparecchio: avevo
compiuto il cerchio della morte. Mi venne l'idea che si potesse farlo
anche apposta... La celebrità è un caso fortuito.
*
* *
(Mentre la Città rabbrividisce mirando per l'alto spazio le impennate
su l'ala, i cerchi di morte, i voli a capopiè dell'acrobata prodigioso,
il Compare, Cavaliere della Films, guida la bellissima etèra Meridiana
verso l'aula Magna dell'Ateneo, dove una tesi elegante sarà controversa
fra Classico ed Avvenirista.)

=Entra il Dialogo fra il Classico e l'Avvenirista:=
— Tu, Boezio, credi nel passato, io nell'avvenire; questa è la
differenza. Ti piacciono i libri che paion scritti da un greco
blenorragico o da un romano scrofoloso; hai tanta muffa su la tua pelle
di cartapecora, quanta una conchiglia marina. Il bello che tu ammiri
è ciò che parve bello una volta; l'età dell'oro per il tuo spirito, è
quella già consumatasi nei forni crematorii del progresso, e che non
allunga più nessuna propaggine verde, nessun ramoscello in fiore, nella
nostra presente vita.
— Per la barba di Giove, o novo-parlante Edison, hai detta quasi la
verità! Deh! non rinnovelliamo le nostre invano controverse accademie!
Non farete mai d'un classico persona che finisca in «oide», ovvero in
«ista», ovveramente in «ano», come a voi piace di sentirvi denominare.
Non l'Inamovibile, bensì l'Indistruttibile siamo! Le Decadenze portano
voi; noi portano i Rinascimenti. E il propileo del Tempio greco,
al pari della georgica di Virgilio, sono immortali come la vita,
per quanto voi ci proponiate architetture da far gracidare le rane
di Aristofane, od esametri frantumati e claudicanti, come i laiti
sconnessi d'un bimbo che in sogno veda Belzebù!
— Boezio, nell'anima tua stalattitica e scatarracchiante, la goccia
mortale dello stillicidio sarà sempre un rumore più costruttivo, che il
peana dei torrenti da noi lanciati nelle nostre turbine! Che tu me lo
dica è ozioso, perchè so bene quanto il terrore della parola magnifica:
distruzione, ti faccia tremare come una foglia gialla. Voi avete il
brivido solo nei cimiteri; noi negli arsenali, nei laboratorii, nelle
piazze, dove convulsamente si fabbrica la vita di domani! Per voi è
grande l'arco di Traiano; per noi la dreadnougth superterribile che
scivola giù verso la battaglia, infiammando lo scalo, e buttandosi nuda
con impetuosa lussuria su la potenza del mare! Non importa che ridano
le ranocchie di Aristofane! Ridono anche le nostre eliche furenti,
quando passano come vorticose meteore sui vostri cranii classici!
sui vostri cocuzzoli divenuti calvi nel compulsare i manoscritti che
scelleratamente non bruciò il sublime incendio d'Alessandria!
— O novo-parlante Edison, le tue folgori non incendieranno pertanto
i nostri calmi e colmi granai! Urlate, urlate al novo del mondo!
squassate, squassate fiaccole incendiarie! I vostri baccanali han
sempre l'animo inespresso d'atteggiarsi a Convito, ma l'agape novella
si compone di pessime vivande; le driadi vostre sono facinorose
prostitute che nelle feste dionisie vanno intorno cercando di
gabellarsi per Muse. Voi raccogliete gli amígdali della nostra cena,
e vi pascete con avidità di quello che destinammo per il cane di
Alcibiade. Costui pure fece una bella novità, mandando in giro per
Atene il suo molosso con mozza la coda; e posso dirvi, ameni Erostrati,
che vi sono molte innovazioni le quali somigliano a pennello, non tanto
alla facezia d'Alcibiade, quanto al pezzo di coda che il suo molosso
perdè.
— Boezio, non guastiamoci il sangue... Sarebbe assai peggior causa
batterci per la coda del cane che non per i begli occhi d'Elena di
Sparta! Poichè, se nessuno ascolta, confessiamoci d'una cosa tutto
quello che uomo fa, classico ed avvenirista non lo fa sempre a spada
tratta per i begli occhi d'Elena di Sparta?
— Sì, vero-parlante Edison; da un rabbuiato esordio hai tratta limpida
conclusione: sempre l'antico e 'l novo battagliano a cor fenduto, a
lancia dritta, per gli occhi belli d'Elena di Sparta.
*
* *
(Rallegrati assai per l'ammenda onorevole ch'entrambi fecero i due
beffardi competitori, di buon animo ritornano il Compare e la Comare
traverso le vie che riboccano d'una fervidissima vita in quell'ora
piena d'opera e di forza che brilla su la Città mattutina. Quivi
entrano a far compere in un negozio, là s'indugiano ad ammirare qualche
spettacolo della strada; or si dilettano di seguir passo passo una
coppia loquace, ora, incontrando persone di conoscenza, ristanno
piacevolmente a conversare.)

=Il parrucchiere da signora:=
Adesso anche le contadine portano capelli finti. Sono parrucchiere
da signora ma tuttavia non mi manca un granello di filosofia: questo
è proprio il secolo dei capelli finti, delle pietre false, dei fiori
di stoffa e dei fuochi artificiali. Quand'è l'epoca dei balli di
beneficenza in poche ore devo mettere la testa in ordine a tutte
le signore della città. Non è facile, vi assicuro che non è facile.
Inoltre mia moglie è gelosa. Perchè ho preso moglie? In gran parte,
perchè il negozio aveva bisogno d'una manicure, così alle unghie delle
clienti pensa lei. Veh! la bella combinazione: mio fratello fa il
callista, mio suocero l'ortopedico, mia cognata la «masseuse», mia zia
la levatrice, mio cugino l'assicuratore... posso dire in coscienza che
siamo una famiglia la qual lavora su la pelle del prossimo! E non fan
tutti così?

=Il filantropo:=
Certo, carissimo parrucchiere! Me compreso che dò la mia pelle per il
prossimo e sono un maniaco dell'altruismo. Là dove si ride, io non
sono punto necessario; se non paresse un controsenso, vorrei dire
che mi sento profondamente felice solo quando cápita, che so io? un
naufragio un nubifragio una pestilenza, quando lavora il capestro o
la ghigliottina, quando corrono le lettighe della Croce Rossa, quando
scoppia un massacro o isquallidisce una carestia. Perchè il male
degli altri è il mio mestiere: sono un filantropo, cioè un uomo che ha
bisogno di veder soffrire.

=La ragazza da marito:=
Voi dunque potreste provvedermi uno sposo, ch'io soffro quanto mai
d'esserne senza. Oggi purtroppo i giovini signori parlano prima col
nostro banchiere che con noi. Quel parrucchiere diceva: Perchè ho preso
moglie? Io mi domando: Perchè le ragazze non possono far a meno di
prender marito?

=La suffragetta:=
Ve lo spiego subito, carina... perchè disprezziamo ancor tanto noi
stesse da credere un uomo indispensabile alla nostra felicità. L'uomo
è la creatura sopraffacente che per secoli ci ha premute sotto di sè!
Baie! Non vogliamo più essere suppellettili! È finita l'epoca dei
soprusi. Carina, venite con me su la piazza e grideremo ben forte!
così forte che sappiano finalmente cos'è una donna quando grida! Perchè
finora il torto di noi donne fu di starcene troppo zitte.

=Il prete:=
Signora suffragetta, è un bel pezzo che non venite a confessarvi;
questo non mi piace. Sono disposto ad ammettere anche le vostre
bizzarre idee, ma la Chiesa innanzi tutto! Sono disposto ad ammettere
tutte le innovazioni, di qualsivoglia genere, purchè la Chiesa, cioè
il prete, vada innanzi tutto. Per noi, pur troppo, soffia un vento di
Fronda, e viene dalla Francia cattolicissima dove ci hanno derubati.
Ma San Pietro è grande: la Francia se ne pentirà. Intanto noi ci
preoccupiamo di gridare il crucifige a quell'oscena danza che si chiama
(segno della Croce) il tango!
Devo confessarmi d'un peccato grave: sere fa mi son messo in abito
secolare, con un po' di nerofumo su la tonsura, per appagarmi la
curiosità satanica di veder ballato questo ballo in un luogo da
saturnali... ma... devo essere schietto? speravo meglio, speravo
meglio, dico la verità!
Sono i giornalisti che fanno la campagna, e forse tra poco verrà
l'Enciclica: _«Noli tangere.»_

=Il giornalista:=
Per questa calunnia, venerabile prete, vi potrei facilmente denunziare
all'Opinione Pubblica della quale sono il fabbricante, ma invece vi
perdono da buon cristiano. Per conto mio sappiate che sono la tromba e
non il trombettiere. Anch'io pur troppo devo ubbidire alle maggioranze,
sopratutto alle maggioranze d'azionisti e d'abbonati. L'uomo che spende
un soldo ha il diritto di confutare le nostre opinioni, e noi dobbiamo
illustrare con molta varietà la vita ch'è monotona. Ogni giorno
mettiamo in vendita qualche pagina di storia... la fabbrichiamo, si
capisce! Credete voi che la storia succeda tutti i giorni? e sia quella
che si chiama storia? Manco per ridere! La storia, sono i banchieri.

=Il banchiere:=
Per essere franco, io faccio solamente una cosa: i miei interessi. Può
darsi che le nazioni faccian altrettanto, per il che si chiamino storia
i bilanci attivi e passivi dei popoli.
Mi si accusa di speculare con il denaro altrui, ma in confidenza, cari
amici, volete una definizione commerciale? Si chiama denaro la carta
monetata che ingombra le tasche del prossimo, e risparmio, cioè moneta
fuori corso, quel rame che abita presso di noi.
D'altronde, se accumulo ricchezza, non ho il tempo di goderla;
se cerco il tempo di goderla, non ne accumulo più; adesso che son
divenuto ricco, soffro di gotta e non digerisco niente; mio figlio è
un fannullone libertino, sperpera quel che ho preso e lo rende alla
società. Il denaro, fra gli uomini, è un fiume che non si ferma.
*
* *
(Mentre intorno al Palazzo della Borsa ferve con accanimento l'urlìo
degli speculatori, il Compare, Cavaliere della Films, vede un povero
cenciaiuoio che bestemmia, seduto sui gradini dell'Ospedale. Si
sofferma, e gli fa l'elemosina )

=Il cenciaiuolo:=
Pregherò per i suoi morti, buon Signore! Guardi: ho la gamba gonfia
come un barile! ci vollero tre ore di spasimi per trascinarmi fino
all'Ospedale; ma dall'Ospedale m'hanno espulso perchè dicono che son
nato fuori dal Comune. Santa Maria! che bel talento aveva mia madre, a
non sapere nemmeno fin dove arrivasse il dazio!
*
* *
(Frattanto la bellissima etèra Meridiana interpella su questo caso il
medico di guardia).

=Il medico:=
Ha ragione, Signora, ma se gli ospedali dovesser ricevere tutti quei
poveri diavoli che ne han bisogno, cáspita! la Città non sarebbe che
una sterminata infermeria. Poi, c'è un errore: la gente crede che
noi si faccia il medico, non tanto per sbarcare scientificamente il
lunario, quanto per un apostolico amore dell'infermità... Pregiudizî!
Il medico ha un ideale, che si chiama la scienza, ed uno scopo, che si
chiama la carriera, ossia l'onorario. L'essenziale non è per ora che
i malati guariscano, bensì che sovr'essi la scienza indaghi l'indole
delle malattie. Non bisognerebbe mai fuorviare le questioni dalla
loro linea giusta: per noi l'ammalato, il vero ammalato, è il nostro
cliente, quegli, per esser espliciti, che paga; — gli altri sono
pazienti, ossia gente che deve aver pazienza ed aspettare che la natura
li guarisca.
*
* *
(Di lì partendo, Compare e Comare traversan per isvago un ammirevole
giardinetto pubblico dove si trastulla e canta e corre, giocando con
le palle, un coro leggiadro di minorenni traviate. È il tempo gaio del
mattino che le fanciullette mandano più lontano il trillo delle fresche
lor voci; la serenità e l'innocenza dei giochi allettevoli ai quali si
danno seduce grandemente l'animo della bellissima etèra Meridiana.)

=Entra il Coro delle Minorenni Traviate:=
(_Nell'Orchestra, cavatine a pizzico, arioso ventoso, andante
appassionato._)
... quel giorno soffiava sì forte,
che la gonnella s'alzò...
Chi soffiava era il vento, e noi lo sentivamo venir su per le gambe,
curioso, curioso...
Nelle giornate di vento, sarebbe meglio non lasciar la mano della
mammina, perchè nelle giornate di vento è molto facile cadere... sì,
cadere su l'erba, o cadere dovecchessia...
Badate, bambine piccine, alle giornate di vento!
E adesso camminiamo su la punta dei piedi, per non svegliare la
mammina... La mammina dice sempre: non voglio vedere su la veste nè
pieghe nè fili di paglia...
Però, tra le nostre mammine, ve ne sono alcune, anzi molte, che
ci hanno spiegato cos'è «il vento», ed hanno aperto la mano... per
lasciarci prendere la piega dei fili di paglia...
Noi siamo bambine piccine, con la boccuccia rossa, il nasino volto
all'in su...
Giochiamo ancora con le palle coi volani e con le bambole, ma qualcuna
di noi deve regalare le sue bambole al suo fantolino piccino... qualche
altra invece, più birichina, preferisce... rompere la bambola prima che
venga al mondo il fantolino...
E la mammina dice: — Come siete cattive, le mie bambine! Mai non fate
durare una bambola neanche nove mesi!... Ah, birichine!
Tutte noi, siamo persuase che mai più saremo buone, mai più felici, e
che il vento sia la rovina delle bambine piccine, ma...
... quel giorno soffiava sì forte
che la gonnella s'alzò.
(Le osserva con sollazzo un amabile deputato, il quale in men che meno
lega discorso con una fresca ballerinetta, la quale parla come danza e
danza come gioca al volano, il che varrebbe a dire con agilità.)

=Il deputato:=
Ma no, piccina mia, cosa dici? È uno scherzo! figurati che bella
indennità: neanche venti lire al giorno! meno di quello che guadagni
tu... e dico ballando!

=La ballerina:=
Eh, caro onorevole, anche per noi volgono tempi tristi! Perchè il
pubblico del giorno d'oggi è fatto in massima d'intellettuali, e non
basta più ballare su le punte: bisogna che le punte esprimano qualcosa.
Ora, capirà, sono entrata nel corpo di ballo che avevo nove anni, ed a
quel tempo chi poteva immaginarsi che verrebbe di moda la testa di San
Giovanni Battista e l'epilessia di Salomé?
Lei si lamentava, onorevole, perchè la sua paga è inferiore alla
nostra; ma infatti ha meno da fare, e soprattutto meno spese. Con una
marsina, Lei fa la sua bella figura; io, caro onorevole, se non esco in
pelliccia e non m'affibbio un paio di paradisi, povera me, sono bell'e
perduta! Quando si dice ballerina, sembra una parola che debba mettere
allegria... sapesse invece com'è triste il mio mestiere! Ci sfruttano
finchè valiamo qualcosa, poi ci buttano via come una sigaretta spenta.
Abbiamo una mamma che ci alleva male, un amante che ci tratta male,
molti ammiratori che ci pagan male, un'orchestra che suona male,
un'affittacamere che ci... creda a me, caro onorevole, tutto male!

=L'affittacamere:=
Vede, a casa la mi chiama zietta, e qui mi calunnia! Passavo, e la
sento che ciarla su di me; allora vorrei dire soltanto questo: che
quand'ero giovine facevo anch'io la ballerina...
*
* *
(Di lì, vanno il Compare e la Comare verso una passeggiata piena di
bella società mattiniera, ove tra gli altri camminano lato a lato un
irresistibile ufficiale di cavalleria ed una signora molto elegante.
Un'automobile dai vetri lucidi come specchi li segue a piccoli tratti
lungo il filare d'alberi; per il viale s'incrociano pariglie dalle
collane candide con motori che fremono di velocità contenuta; sotto
gli alberi è tutto un chiacchierìo di dame con dami e d'istitutrici con
bimbi; per il galoppatoio passano caracollando manipoli di cavalieri.)

=L'ufficiale di cavalleria:=
Il prestigio dell'uniforme? Che mai, Contessa! Ora si grida volentieri:
— abbasso l'esercito! I borghesi ci applaudon solo quando c'è la
sommossa in piazza o qualche torbido alla frontiera; non vogliono
saperne di spese militari, però critican tutto e vorrebbero avere un
esercito potente.
Lei sa che noi facciamo il mestiere di andare alla guerra... questo
forse varrebbe la pena d'una certa considerazione, da parte di coloro
i quali non vedranno la morte se non sotto la forma d'un aneurisma o
d'un'indigestione. Insomma, se suona la carica, io vado avanti! mentre
per i borghesi, tutte le fanfare suonano, ahimè! la ritirata! Non
escludo che sia ragionevole, ma, che vuole?... non è molto militare!
Noi siamo ancora quelli che sappiam vivere con un'idea diversa da!
denaro: appunto per questo dovrebbero darcene un poco di più.
Cosa ne dice Lei, Contessa?

=La signora elegante:=
Caro tenente, io le dò mille ragioni. Per conto mio sto con la divisa.
Tutte le signore del mondo hanno avuto nella loro storia un tenente
di cavalleria; e guai se la donna futura disimparasse questa piccola
passione per il tenente di cavalleria. Non c'è nulla che rappresenti
l'uomo come il tenente di cavalleria; un capitano, non è per adularla,
ma vale già molto meno.
Si parla dei nostri destini, è vero? Ebbene guardi: io sono venuta al
mondo per fare la signora elegante; non ho altro scopo che di fare
la signora elegante. È uno scopo frivolo, se vuole, ma necessario;
la mia sarta ha bisogno di me com'io della mia sarta; il gioielliere
mi considera come una vetrina, — e sono infatti la vetrina della
frivolità: Non ho mai ritenuto che il piede fosse fatto per camminare,
ma per esser piccolo e per calzarsi bene. Del resto in ogni donna v'è
una particella di quel che sono, perchè noi dobbiamo innanzi tutto
piacere... eh, sì, piacere! L'operaia vi riesce con un nastro, io devo
trascinare su lo scalone del mio palazzo una pelliccia di cinquantamila
lire: ma è la stessa cosa. Noi donne abbiamo il dovere d'esser belle
anche quando siamo brutte, e questo dovere è così forte in noi che non
si chiama frivolezza nè lascivia, ma solamente femminilità.
Ho due bei bambini che sembrano due piccole stampe inglesi; un marito
autorevole con la sua bella barba grigia, e, com'è naturale, un amante
clamoroso. Ho detto «naturale»... via, non si spaventi! perchè se pure
non l'ho, il mondo «vuole» ch'io l'abbia, ed è «naturale» che il mondo
voglia farmi avere un amante!
Così, Lei non deve domandarmi se sono felice... il mio mestiere è
d'essere bella, non d'essere felice.
*
* *
(Ma un velario di nuvole scende su questa primavera elegante, mentre
già di lontano risuona l'eco d'una festevole canzone.
Dice il Compare, Cavaliere della Films:
«Nobili Uomini, Dame Compiute, questo canto che giunge a noi da quasi
tutte le abitazioni della immensa Città, è la marcia nuziale di quei
mariti che vanno insieme con il Fato Moderno, ed han presa l'onorevole
decisione d'accettare l'inevitabile come un fatto compiuto. Sono i
mariti più evangelici del mondo, perchè hanno detto all'adultera: «Se
tu rimanessi per avventura senza peccato, _io_ ti scagnerei la prima
pietra!»
E l'adultera non disubbidì.)

=Entra il coro dei Cornuti Felici:=
(_Nell'Orchestra in sordina, tempo di ballabile gaio, modulato sui
corni._)
Tu sei quel che fui
e sempre siam tre:
nè lei senza lui
nè voi senza me.
Noi siamo l'istituzione più antica del mondo, e siamo i capri
espiatorii dell'iniqua letteratura.
Evoè, Bacco, evoè!
Beviamo a Don Giovanni Tenorio! beviamo all'eterna Peccatrice! beviamo
ai Cornuti nostri simili, che han riso volentieri degli altri e meno
volentieri di sè!...
La Ronda è la Triade Gioconda, che serve per servi e per re...
Noi siamo i Cornuti Felici! Evoè, Bacco, evoè!
Nei tempi antichi, per una infedeltà si distrussero imperi; l'adultera
conobbe il rogo la ruota il capestro la gogna; fu immersa nel fiume
cucita in un sacco, e ignuda, sovra un caval brado, fatta cavalcare a
ludibrio per le vie della città.
Così facevano i servi; così facevano i re;
la Donna è la donna degli altri... Evoè, Bacco, evoè!
Nei tempi antichi si amava la vendetta; oggi, più cristianamente, si
ama il perdono. V'è ancora qualche nevrastenico, ma l'uomo ha compreso
dopo una ribellione secolare, che le disgrazie universali e perpetue
son quasi una felicità. Non di rado inoltre, la moglie adultera è la
consorte più affabile che ci sia; rende la vita piacevole, mentre una
fedele, per vendicarsi della sua fedeltà, l'avvelena.
Cucire la propria moglie in un sacco, è oggi severamente proibito, come
non sarebbe forse una vendetta esemplare quella di mandarla per le vie
del tutto nuda, — e sebbene a cavallo, — dal momento che seminuda è già
quand'esce per le strade, come suole ogni giorno, a piedi.
Spiegano i medici che il microbo d'ogni più funesta epidemia finisce
con diventare innocuo, forse benefico, nelle vene dell'uomo; sono
i pretesi cicli delle grandi malattie. Con tutta rassomiglianza,
il microbo del male di Menelao che dava sintomi di rabbia canina,
pare ormai si vada calmando e voglia vivere in pace, come un utile,
casalingo abitatore delle nostre vene acclimatate. Ma siccome
flagello non muore, senza che più grande gema, così vedremo le sorti
capovolgersi, e nella triade immortale, due saranno ancora felici, un
terzo ne farà le spese, per il piacere insignificante di chiamarsi:
«Lui!»
Cornuto non sei,
ma io men di te:
nè tu senza lei,
nè voi senza me.
*
* *
(Quivi Compare e Comare trascinano alla ribalta, nonostante le sue
riluttanze, un conferenziere di grande fama, il quale sotto il fragore
dei battimani s'immodestisce quanto può.
Nel ritrarsi, dopo iterate ovazioni, egli fa brevi confidenze al
proprio segretario, mentre un anarchico fra i più temuti arringa
bollentemente la sala.)

=Il conferenziere:=
Ho la parola facile, senza dubbio, ma non so mai bene su quale
argomento mi convenga parlare. Vero è che non occorrono idee per
tenere una conferenza, come d'altronde non occorrono per scrivere,
per filosofare, per governare, per niente insomma. L'importante
è la Parola: idee se ne trovano sempre. Ma quando c'è una platea
che m'ascolta, io la faccio ridere o piangere come se aprissi un
rubinetto dell'acqua fredda o calda, a volontà. La Parola è tutto
nel mondo, perchè infatti contiene le idee; gli uomini che seppero
parlare fabbricarono la vita, e dalle loro parole quelli che tacquero
inventarono le idee.
Mi sembra di aver detta una cosa profonda, perchè, a ben esaminarla,
come tutte le cose profonde non significa niente.

=L'anarchico bombardiere:=
O popolo, fantoccio di sego, mucchio di letame!... la società è un
porcaio, le forme di governo sono apparecchi di tortura, i preti
son l'ultimo animale antidiluviano che deve sparir dal globo: la
rivoluzione è il respiro della vita! Io fabbrico la bomba, ossia trovo
il mezzo di rendere davvero efficace un'idea; ma sono persuaso che
per mutar l'ordine delle cose bisognerebbe dinamitare tutta l'umanità.
Bombardo quindi per la grazia di Dio; bombardo con lo scopo infernale
che il rumore della mia macchina faccia tremare le invetriate della
storia!
*
* *
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