Il Cavaliere dello Spirito Santo: Storia d'una giornata - 9

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mettere troppo studio nell'armonia delle frasi, le quali armoniosamente
ristuccarono. Gli è poi cosa molto infetta di necrofilia quella di
pretendere che ogni ben pensante uomo, a guisa di cimiterio ambulante,
porti un cadavere in sè, — sia pur questa una vaga e profumata morta,
e ghirlande le si diano quante ne intreccia la primavera.
Ma non possiamo rompere il nostro patto; e per di più a quest'ora
che le vie son deserte, almeno di personaggi notevoli, non sapremmo
in verità quale maschera inviarvi, la quale possa con maggior brio
disannoiare il tempo che la Dama di Luce, bellissima etèra Meridiana,
si cinga intorno al flessuoso corpo la dodicesima sua veste.
Ora e poi, quest'Uomo promette che verrà per farsi conoscere. Non più
nel buio perfetto, ma questa volta nella penombra Egli dice che viene
per discorrere con voi. Verrà, chiuso fino al mento nel suo mantello
buio, con la maschera su gli occhi e un po' lontano dalla ribalta
nonostante la fiochissima luce. Ma vedrete almeno la sua figura come un
ritaglio buio nell'ombra, vedrete almeno i suoi movimenti, l'altezza
della persona, il disegno delle sue membra. Forse vi giungerà un
poco più chiara la sua parlata, perchè anche la parola, sebbene muova
incontro ai timpani, pur s'agevola e molto si rischiara con la luce.
Tutto è oscuro nel buio, anche il suono. Egli vi parlerà prontamente,
senza preamboli, da persona che sia per andarsene. Ricordate il suo
motto rigido?...
Ora e poi, quest'Uomo non chiede applausi.»
Eccolo, e viene.»)

Pausa.
Ridono Violini quasi morti.
Filtra vapore d'Elettricità
quasi morta.
Sui tamburi domina un galoppo
distante.
Volgendo pertanto l'ultim'ora della Giornata concessa per commediare
fra di noi, doveroso mi sembra che voi sappiate, o Personaggi della
Commedia, chi veramente io mi sono. E poichè, mentre tenevate la scena
con bella baldanza, io, nascosto entro la nicchia del suggeritore,
sfiatandomi ed improvvisando, soffiavo nelle vostre alterne voci la mia
voce dissimulata, giustizia vuole, o Maschere della Commedia, che voi
facciate con l'ambiguo Cavaliere, una più libera conoscenza.
Non mi piacerebbe in alcun modo ripetere più che due volte un esordio,
il qual due volte ripete l'identicissima cosa, e vengo dirittamente a
scoprirmi senza raggiri, poichè non vano mi sembra che dell'essere mio
con limpidezza ogni mistero sappiate.
La ressa dietro le quinte or quasi del tutto scema; il buttafuori
non s'affanna più col trovarobe ansimoso e grondante. Quelli de' miei
Personaggi che non hanno più parte, ma già struccati e ravvolti nei
mantelli da passeggio attendono per i corridoi, — quando avrò detto chi
sono, — vadano in pace!
Può darsi che la platea, sempre distratta e più curiosa di belle donne
che del comico nostro cicalare, si vada facendo la stessa domanda: —
Chi è mai questo ambiguo Cavaliere, verbivariato e privo d'ogni buona
creanza, il qual fece dire tante cose arrischievoli, che punto nè poco
vanno insieme con la sua Cavalleria dello Spirito Santo?
Signori sì, ch'io vengo per dirvelo, se pure indugio a bella posta con
l'istrionica malizia d'acuire la vostra curiosità.
Lunghesso la Commedia molti apparvero al proscenio ed ancor pochi
verranno: sappiate or voi, che in tanti quanti furono, e quivi e come
nella vita, sempre in ognuno sta
il Cavaliere dello Spirito Santo.
Cercatelo in voi profondamente al ritorno dalla Commedia verso i
placidi vostri focolari; ed anche se non avete un focolare, non una
sorella nè un'amante che v'abbia messa la rosa nel bicchiere presso
quei letti gelidi e solitarii nei quali v'addormenterete.
Sì, o Maschere... nulla è forte come il bisogno che l'uomo prova
d'offendere la sua propria sensibilità; e quantunque su la terra sia
l'egoismo la più barbara potenza, pur nell'anima dei vivi rugge oscura
profonda la voluttà morale della propria uccisione.
Vi regalerò uno specchio; miratevi! Se alcun altro vi osserva,
cercherete di vedere nello specchio le bellezze che avete.
Ma se d'improvviso, quando siete soli del tutto, lo specchio vi
rimandi la vostra immagine pressochè inavveduta, voi Maschere, senza
riconoscervi, per un primo istinto la troverete brutta.
Se non vi garba il mio specchio, rompetelo in frantumi!
Vi regalerò adunque uno specillo da chirurgo, per cercare nelle vostre
ferite quella invidia piccola o grande, forse non complessiva ma
parziale, che sempre l'uomo porta in sè d'un altr'uomo, quand'anche
alle volte, o magari sovente, quel medesimo che fa invidia molto
inferiore gli sia.
Vi darò inoltre una pietra magica per allontanare dal vostro animo,
quando siete nel compiere una qualsiasi cosa, la convinzione illecita
ma fondamentale che un altro possa compierla meglio di voi. Così del
paro allontana, questa pietra magica, il dubbio sottile ma invincibile
che tormenta sempre l'uomo su la purità e su la forza dei proprii
sentimenti.
Maschere, avete mai creduto nell'amore «degli altri» per «gli altri»?
— Mi risponderete: Sì.
Maschere, avete mai fatto a voi stesse la domanda: — È proprio un
«vero» amore il «mio amore»? un «vero» sacrificio il «mio sacrificio»?
— Mi risponderete ancora: Sì.
Ebbene, la pietra magica sfata l'irrisione sorda, l'ambigua
inimicizia, l'antipatia singolare che ogni uomo professa, in modo forse
inavvertibile, contro il proprio io.
Dunque: uno specchio, uno specillo, una pietra magica. Ma voglio farvi
ancora un dono... il corno acustico «per capire il riso», non il riso
degli altri, ma quel riso ch'è in noi.
Per la mia prodigalità folle, dovrete certo suppormi un ben dovizioso
Cavaliere... Affatto, affatto, Maschere! povero sono come Giobbe;
senonchè Giobbe era una lumaca, laddove io sono
il Cavaliere dello Spirito Santo!
Ormai son persuaso che il mio carattere vi sia limpido come quello
del Principe di Danimarca, del dottor Fausto, del divino che amò la
battaglia cavalier Sancio Pancia, e — per lasciare in pace Bergson, —
del Monista di Haeckel, profeta immortale sotto il nome di Redentore
della coda, filosofo che per troppa evidenza donò al secolo della
scimmia volante l'Asino di Buridano!
Forse nella letteratura d'oggi non troverei chi mi somigli, perchè la
letteratura d'oggi è un poco strana: somiglia più volentieri ai libri
degli altri, che agli uomini d'oggidì.
Ma io divago terribilmente, o Personaggi della Commedia, e non mi
ricordo più che voi soffriate per l'impazienza di conoscere con
esattezza chi sono.
Quasi avrei voglia di andarmene senza parlare, perchè non debba
intraprendere a dirvi tutto il male che penso di me. Ve 'l direbber
gli altri con profusione, se alcuno di voi si recasse nel paese dove
son conosciuto e laggiù domandasse al primo che capiti: — Sapete nulla
forse mai d'un certo Cavaliere il qual si nomina dello Spirito Santo?
E il primo che capiti vi risponderebbe:
«— Sì, per servire Vostra Eccellenza!
Quel Cavaliere lo conosco: è un uomo che va in cerca d'assalire la
potenza, poichè la potenza gli piace. Un diavolo a quattro che si
odia e fracassa tutta la sua vita. Un coltivatore di rosai che non
vuol vendere le sue rose. Cavalca su l'Ideale, negl'ippodromi dove
si corrono poste favolose; ha incendiato la bottega d'un mercante
di paternostri; si dice che sia un assassino... per servire Vostra
Eccellenza!
Taglia nel sonno le capigliature delle donne che dormono con lui;
questo per farne gualdrappe da gettare in groppa del suo ronzino.
La sera qualchevolta, per le strade buie, lo si vede camminar solo e
piangere. Ma entra nei carnovali e, senza ubbriacarsi, balla come un
forsennato; regala tutto il denaro che ha alla prostituta più povera
e va in letto con la più ricca, perchè gli piace, non il brillante, ma
lo splendore che su la pelle incipriata lasciano i brillanti. È un uomo
che si confessa cinque o sei volte al giorno, sopratutto a personaggi
che non capiscon niente; ma sempre muta la natura delle confessioni
e varia la genesi de' suoi delitti; poi afferma d'essere un santo e
fulmina e strepita gridando che odia i confessori. È un mentitore il
qual dice la verità, ossia dice la verità del momento; l'unica vera.
Prende casa dove trova; non viene quasi mai alla finestra; dappertutto
coltiva subito due giardini. Scrive, scrive; qualchevolta ne fa un gran
fuoco e dice al suo domestico: Vedi, ho bruciato la Bellezza. Dice
agli ospiti: — Non state in piedi, mettetevi a sedere; se volete che
me ne vada, la casa è vostra. — Vi sono alcuni giorni dell'anno che la
sua faccia diventa buia come il buio notturno dei cimiteri; poi se ne
va, cavalcando il ronzino Ideale in cerca, dice, d'un fiume. Quand'è
scomparso la gente si ricorda che c'era; quando viene di ritorno, la
gente ha paura di lui. Per tutta una settimana lo si è veduto girare
nei dedali dei sobborghi, e ripeteva solamente una parola, tenendo gli
occhi fissi: la strada, la strada, la strada.
Col suo ronzino ha visitato mezzo mondo, e nessuno può dir esattamente
chi sia, di dove sia; poich'egli racconta in molte maniere il suo
confuso passato. L'anno scorso commise un altro delitto: bruciò la
bottega d'un mercante d'abiti fatti. Ce l'ha coi mercanti! Lo misero in
prigione, ma egli, solo parlando e senz'avere un centesimo in tasca,
riuscì a corrompere i guardiani. Due settimane dopo era in piazza e
gridava: Qui tutti! venite, venite! che stamattina ho deciso d'assalire
la potenza! — Quando si fece un assembramento d'uomini pronti a giurare
su la sua spada, egli si mise a ridere come un matto, e scomparve.
Ha detto una volta che voleva regalare alla sua amante qualcosa di
migliore che tre stelle. Sapete cosa le donò? Tre Rose: una bianca, una
rossa, una rosa. «Poichè, disse, queste hanno profumo.» E l'amante sua
ch'era una pazza come lui, andava intorno giurando di aver ricevuto il
più bel dono che si possa ricevere da un uomo.
Ho detto male: «un pazzo»; egli è un delinquente, non un pazzo. La
logica della sua vita è così temibile, che meglio assai varrebbe
tenersene lontani.
Adesso afferma che traverserà il mondo con questo piccolo ronzino,
e certo medita qualche altro delitto perchè lo si ode ripetere senza
variare mai, con il passo e con gli occhi d'un automa: — la strada, la
strada.
Questo, per far ridere Vostra Eccellenza!...»

Personaggi della Commedia, quel buon diavolo nulla v'ha taciuto, nè su
la tempra della mia lama, nè sul motto, nè su le gentili armi di nomade
che infiorano il mio scudo... Maschere della Commedia, non più potrete
far equivoco sul Cavaliere ch'io sono!
Come io conosca il mondo, e cosa del mondo mi piaccia, vi dirò altrove,
se vorrete ascoltarmi; e dove sarà e contro quanti la mia battaglia
essenziale, — ovverossia la mia morte più deliziosa, — vi dirò altrove,
se vorrete ascoltarmi. Qui solo vi ho date le ragioni spicciole per le
quali molte cose importanti mi sembran degne d'esser volte in burla, e
solo vi ho detto con celerità le prime stravaganze che mi spuntarono su
l'orlo della bocca.
Pure un perdono vi chiederò!
Fatemi venia degli errori di grammatica e di sintassi che avrò potuto
commettere improvvisando nella nicchia del suggeritore; a questi
provvederanno alcuni miei critici — o critichesse — che vedo con
accademica magnificenza svariare nella platea.
Fatemi venia delle facezie che alcuni miei molto rablesiani, o molto
aristofaneschi amici troveranno cretine, appunto perchè a me paiono
profonde... — ovvero adorneranno quanto mai d'impreveduti codicilli,
appunto perchè non sono anfibie nè duplici nè tendenziose nè ambigue
di per sè!... — E fatemi venia per ultimo dell'altre poche onorate
sfacciataggini che ormai, rabbuiandosi l'intelletto, stanco e sfiatato
improvviserà
il Cavaliere dello Spirito Santo.
=«Vale nec parce, spectator!»=
*
* *
(Dice il Compare:
«Mirabilmente nell'ultima ora sua di vita vi apparirà, o taciturni,
la moritura Dama ch'io servo, la Dama dalle Dodici Vesti, la Dama che
simile parve ad un giardino di rosai.
Soltanto la Fragilità è cosa che merita canzone, soltanto ciò che passa
nel mondo come un profumo e nulla più, è cosa che vale per sempre la
tristezza e l'amore d'un uomo.
Io v'ingannai poco dianzi... la dodicesima vesta è breve ad essere
agganciata, poichè, o taciturni, si compone solamente di un velo. Voi
vedeste cose amare, cose turpi, cose avvolte nell'artifizio necessario
della vita; vedrete ora la nudità, la pura e splendida nudità, coverta
solamente da un velo perchè sembri più nuda.
Immaginate che sia la primavera e che al sommo d'una principesca
villa, in altura sul margine del suburbio e quasi finitima con la
campagna, s'apra un terrazzo grande, impergolato, azzurro, sotto la
notte piena di stelle. Immaginate che un possente albero di glicine
tutto lo ricopra nel più impetuoso miracolo della sua fioritura, e che
di fronte, sotto il cielo polveroso d'una rossa vampa, dorma la Città
immensa, la Città maravigliosa come una squadra d'infiniti navigli
fermi su l'ancore nell'anfiteatro d'una rada notturna, ma inghirlandate
per tutti gli alberi con migliaia di lumi!
Immaginate che a questo azzurro terrazzo, come ad un balcone aereo
guardante nell'immensità, s'affacci una donna di cui solo vedrete la
faccia lontana, perchè il suo corpo sarà nascosto, immerso come in
un bagno di grappoli, nella stupefacente fioritura del glicine che la
tiene in sè, che la stringe come un fiore de' suoi fiori...
E poi questa donna si muova, si sciolga dal turchino mantello di
grappoli e venga verso di voi, piano, a poco a poco, movendosi come
il vento nelle biade alte, come la primavera su le fontane, come il
desiderio in noi. E venga sì presso che la vediate nella maggiore
musica del suo corpo nudo, i capelli non sciolti e non serrati, la
ricchezza del seno che paia guardarle verso la bocca voluttuosa, come
se volesse farsi baciare da lei. Nient'altro che un velo nero, avvolto
in quel modo che lo fascerebbe il vento contro una statua nuda, ma
tenuto fermo sovra una spalla da una lunga treccia di brillanti. Che
di brillanti abbia qualche goccia sparsa tra i capelli ombrosi, ma
profonde siano queste gemme come rade lucciole in una siepe gonfia; poi
di brillanti un filo, due fili, tre fili, che brillino su la caviglia
delicata...
Questo velo nero non rimarrà che per alcuni attimi così trasparente;
poi sopra ve ne cadranno altri senza che si veda, sempre altri,
sempre altri, finchè le si faccia una veste d'ombra, ma d'ombra e di
brillanti...
Ecco, o taciturni, quel che vedrete, all'alzarsi della Nuvola, tra poco.
Ed io vi dico inoltre ch'ella vi «racconterà i profumi» vi racconterà
i profumi della Capitale che brucia, lontana, laggiù sotto la cupola
rossa, come un naviglio dondolante...
Ecco, e la Nuvola s'alza.»)

=Entra il Profumo dei Tre Alberi Lontani.=

=Profumo del Glicine:=
Io m'arrampico su le belle ringhiere di ferro battuto, sui poggioli
d'alabastro tepidi e rosei quando nelle primavere tramonta il sole.
Vado su per le facciate rugginose dei palazzi decrepiti a guardare
nelle finestre delle sale ove il tramonto suscita lampi d'oro e
fiammeggia nell'anima dei lampadarii di cristallo. Son l'albero che
guarda giù dalle muraglie dei giardini antichi; tesso nei parchi
silenziosi lunghi padiglioni violetti che dentro il verde vanno a
pergolato, si perdon nell'ombra come una trasparenza quasi glauca
di grappoli in fiore. Più volte fiorisco nell'anno, e nelle sere
d'aprile verso per l'aria santificata un profumo quasi inafferrabile
che somiglia al mio colore. Ho nel grappolo tante ali che invece di
esser pendulo sembro volar via. Quando la mia fioritura soverchia la
fronda rara e seppellisce il tronco, voi vedrete nelle notti d'aprile
vivere tra il quadrangolo dei colonnati una specie di fiume aereo che
si gonfia nella serena ombra e per tutta la corte propaga un miracolo
di fluidità.
Sono allora il ricamo delle cose impossibili a dirsi, e tale sono con
tutto il mio essere: fiore profumo colore; son l'antichità robusta che
lancia dalle ringhiere un arazzo lieve come un soffio di piume; sono la
bellezza delle idee pallide, la poesia della fragilità.
Mi piace sfiorire sul mio tronco spogliandomi da me stesso della
magnificenza che portai, lasciando cadere i grappoli a fiocco a fiocco
in una pioggia che il vento muove, gialla e turchina. Mi piace sentire
il passo d'una ragazza turbata camminar sul tappeto che le faccio con
i miei grappoli caduti e, nei crepuscoli quasi morti, con la mia morta
poesia...
Son l'Albero che fiorisce, sfiorisce, più volte nell'anno,
maravigliosamente.

=Profumo del Tiglio:=
E voi venite a passeggiare sotto i miei rami primaverili, nelle sere
dei giorni di festa, o innamorati poveri della Città. Venite, quando
sui laghetti color di piombo i cigni dondolanti s'addormentano con la
testa sotto l'ala, mentre le bambinaie scordevoli radunano in fretta
i bimbi con iracondo strillare. Per voi, lentissimi innamorati, rendo
soave l'aria della Città che rimane senza maggio, della Città tutta
pietra e ciottolo dove un fil d'erba è primavera. Camminate parlandovi
piano; la vostra obliqua ombra s'insinua fra i miei tronchi e spare.
Mando per voi questo profumo forte che turba i sensi, che avvolge le
cose, anzi le impolvera come d'un polline d'oro. Per ogni finestra
non chiusa lancio su le coltri un brivido insinuante un odore di
voluttà. Se avvolgo fanciulle che sian già quasi donne, insegno loro
a restringersi con fretta e con pudore nelle lunghe camicie da notte,
poi le induco ad affondare la bocca troppo respirante nel guanciale di
piume...
Sono l'odore della colpa che la natura comanda, e brucio nell'aria
delle notti limpide senza lasciar vedere la mia fiamma.
So che talora la mia fragranza è troppo forte: fa chiudere gli occhi,
ubbriaca, fa male...

=Profumo del Cipresso:=
Su gli orli della Città, ove il gran pulsare della vita si addormenta,
ove le case dei morti sono senza finestra, uguali, monotone, su gli
orli dell'opaca muraglia che interrompe tutte le canzoni, là io cresco.
Non sono già fragranza, bensì odore simile a quello d'una resina che
arda sotto la cenere, come arde nell'incensiere il cinnamo sotto la
polvere di gruogo.
Sebbene i distillatori d'essenze non vogliano chiudermi dentr'alcuna
fiala, io vi dico, uomini, ch'è profumo anche la morte.
*
* *
(Dice il Compare:
«Dama di Profumo, Dama che avete una veste d'ombra e di brillanti, le
buone tenere profumate cose che voi diceste fanno piangere, non vedete?
alcuni femminili occhi tra il silenzio dell'Uditorio!... Non tanto le
cose che voi dite quanto la voce vostra che le comunica è forse quella
che fa piangere, ne soltanto la voce, ma quella visione così pura di
bellezza che l'Uditorio vide quando foste nuda... Sì, poichè non sono
femminili soltanto le pupille ch'io vedo rilucere... anche l'uomo
più forte può lacrimare come un bimbo quando scoperta è la strada che
adduce al suo ruvido cuore. E certo le immagini avute con gli occhi son
quelle che più dirittamente scendono al cuore; un cieco può commuoversi
meno spesso e meno facilmente che noi, perchè «ode» solamente il
dolore.
Ma non è il dolore l'unica via d'esser tristi, ve n'è una forse più
grande, che si chiama la Bellezza.
Voi vedeste la Bellezza nuda ed irraggiungibile, che dopo avervi
toccati con l'ala del suo miracolo si allontanò da voi, e quasi
disparve... ecco perchè siete tristi! ecco perchè tanto facili siete
alla commozione!
Dama di Profumo, Dama d'ombra e di brillanti, non parlate più! Lasciate
che un volgare assassino della bellezza, com'io sono, deturpi sfregi
rompa quest'ora di soavità, e faccia ridere l'Uditorio che ha pagato
per ridere, che va nei teatri appunto per dimenticare quel profumo dei
cipressi da voi lodato così bene!
Datemi la mano Dama, che nominerò ancora della Doppia Morte...
lasciatevi prender la mano e venite meco verso il terrazzo a guardare
su la finitima Città. Troveremo ancora un personaggio qualsivoglia che
faccia ridere l'Uditorio, benchè a quest'ora le strade che verso qui
convergono sian quasi del tutto deserte. Guardate con i vostri begli
occhi! Non vedete nulla o nessuno?»
E la Comare dice:
«Ahimè, nulla! nessuno! Qualche ombra lontana, va, si sperde. Fa
quasi buio per queste remote strade, perchè gli archi elettrici sono
rarissimi e stasera chissà mai come, ancora non è passato l'accenditore
di lampioni. Forse non verrà; s'è addormentato, oppure beve.
Pover'uomo! Che può fare un accenditore di lampioni, se non bere?»
Dice il Compare:
«Ma non vedete proprio nulla che sia motivo di svago e di riso per
l'Uditorio taciturno?»
Dice la Comare:
«Proprio nulla! Vedo una piazza grande ma vuota, così grande quanto
è vuota, e i pochi archi ed il chiaro di luna la pavimentano d'una
bianchezza così uguale che par neve. C'è una vettura di piazza, ferma;
il vetturino dorme; nient'altro.»
Dice il Compare:
«Oh, disgrazia! Guardate sempre, Dama! Guardate sempre!»
Dice la Comare:
«Nulla! Una vettura di piazza, ferma; il vetturino dorme; nient'altro.»
Dice il Compare:
«Ebbene, venga un personaggio d'invenzione, almeno fin quando non ne
cápiti un vivo! Guardate sempre, Dama, e fatemi segno se vien gente. Io
frattanto, poichè ho il dono di conoscere il linguaggio degli animali,
racconterò all'Uditorio taciturno i pensieri di quel ronzino che
dondola di sonno fra le stanghe della vettura in quella piazza bianca
di luna, come fosse neve. Non sono proprio i pensieri suoi, perchè non
sono andato a parlargli, — e il pedante mi potrebbe cogliere in fallo
se non l'avvertissi! — ma sono confidenze che ho ricevute da un altro
buon ronzino suo simile, certa notte dell'inverno scorso che v'era
mezzo metro di neve.
E voi. Dama, fatemi segno se vien gente.»)

=Il ronzino della vettura di piazza:=
Avevo un amico, un buon diavolo baio, ancora in gambe nonostante
l'età, e che trovava modo di guadagnarsi la vita sebbene avesse avuto
un mezzo colpo d'accidente e zoppicasse dai quattro piedi. Ci si
vedeva in piazza tutte le sere, si facevano quattro chiacchiere alla
buona; quattro chiacchiere su la biada, su la frusta, sui clienti,
così, dondolando sotto la neve. Da quando il suo padrone ha comprata
l'automobile, non lo vedo più.
Ho domandato notizie ai colleghi, ma nessuno sa niente. Mi
dispiacerebbe che gli fosse capitata qualche disgrazia perchè era un
vecchietto simpatico, forse un po' egoista, ma sempre allegro e molto
spiritoso. Non tirava calci neanche a mordergli la coda, però quando
vedeva spuntare un cliente, uno di quelli che non si sa bene dove si
dirigano, lui faceva tutto il possibile per cacciarlo da me. Quando
poi, come diciamo nel nostro dialetto, mi vedeva «rompere il legno»,
rompere cioè quella fatica legnosa e fredda che ristecchisce tutto
il corpo nello star fermi sotto la neve, quando mi vedeva insomma
costretto a fare la corsa, lui, quell'ipocrita, mi diceva magari
una parolina di conforto, ma sotto i baffi rideva. Per questo dico
ch'era un egoista; ma i colleghi son quasi tutti così. Quando c'è di
mezzo l'interesse, l'amicizia è bell'e sciolta; non si deve del resto
giudicare il nostro prossimo da queste piccole cattiverie che sono
perdonabili data la durezza della vita Un buon cavallo è quello che non
vi ruba la biada, che non vi dà uno spintone per farvi andar per terra,
o, quando siete per terra, cade magari anche lui ma non vi cammina
sopra; quello che ha buon cuore insomma e non è superbioso de' suoi
finimenti un poco più fini, un poco più frusti...
Conosco un irlandese aristocratico il quale ha una grande simpatia
per me; tutte le volte che passa mi sorride; se c'incontriamo alla
porta d'un teatro mi dice un mondo di cortesie. Ve ne son altri che
invece non vogliono parlare; si danno certe arie da nababbi e fanno
uno scalpitamento indiavolato che si direbbe siano chissà chi! A me
non importa niente; ormai sono vecchio e prendo le cose con filosofia;
se non vogliono parlare, li lascio ai fatti loro. Avranno la pancia
piena ma sono molto più imbecilli di noi, poveri cavallucci di piazza,
che possediamo l'esperienza della vita. Eh, sì, ne ho visti ben altri
che si davano troppe arie! un giorno poi finiscono anche loro sotto
il tassametro, a mangiar la biada ch'è mezza crusca e mezza polvere!
Allora posson chiamarsi fortunati se trovano un buon diavolo come me
che non serbi rancore.
La cosa più difficile per noi cavalli di piazza è lo stare in piedi.
Con le strade che fanno adesso curve lisce dure, se appena gela
un poco, non si cammina più; si pattina. Io, se sapessi fabbricare
una strada, me la farei tutta dritta, piana morbida, con ogni tanto
qualche sacco di biada Ma le strade le fanno quelli che noi dobbiamo
trascinare in vettura, per modo ch'essi non ci pensano, e bisogna che
noi s'inventi la maniera di tenerci dritti alla bell'e meglio, come si
può.
Io sono andato sempre d'accordo con i miei padroni, forse perchè ho
un carattere dolce, e quando non esigono troppo li contento. Il mio
padrone d'adesso è un vecchietto come me, che tiene la frusta solo
per eleganza ma non l'adopera quasi mai. S'è accorto che tanto non
ne cavava nulla, perchè io, più presto di quel che mi par giusto, non
vado. Vi sono certi cavallini ancor giovini, un po' senza criterio, che
a picchiarli con la frusta vanno più forte, e magari vanno così forte
che si rompono il collo. Questo vizio l'avevo anch'io da polledro, ma
finalmente ho capito il mestiere, e adesso la velocità me la giudico
io, perchè in genere il padrone è un tipo che non si contenta mai:
dopo il trotto vuole il galoppo, dopo il galoppo vuole la carriera, se
gli fate la carriera pretenderebbe di volare! Dunque ho presa questa
risoluzione: — ogni volta che mi frusti, io faccio un salterello per
non irritarti, ma poi vado più adagio di prima. Così almeno capirai. —
E di fatti ha capito. Questo esempio l'ho preso dagli asini, che sono
cavalli mancati.
Sicuro, la vita bisogna subirla come viene; cercare d'adattarsi al
caldo, al freddo, alla fame, alla frusta, e nel medesimo tempo avere
la rassegnazione di sentirsi magari felici. È un peccato che se ne
vada la gioventù perchè si perde la forza, ma invecchiando viene un
certo buon senso, una certa calma, che fa sorridere su tutte le ubbìe
della gioventù. Io, per esempio, non sono mai stato un cavallo focoso,
ma mi ricordo che anni fa, quand'ero un bel grigio svelto e vivo, non
troppo alto di statura, ma fatto, — non lo dico per vantarmi, — fatto
a meraviglia, c'era una certa cavallina, anche lei grigia e tutta
pomellata, con una coda e una criniera come non se ne son viste più,
così carina che al guardarla mi pareva di sentire un certo non so
che... una cosa bella, brutta, inspiegabile... una cosa che non ho mai
potuto capire.
Finalmente una sera, stando in una scuderia di campagna, feci la
conoscenza con un pezzo di stallone grosso e forte che pareva un
selvaggio. Questo cavallone aveva una voce potente, e se appena sentiva
l'odore d'una femmina, eccolo che diventava quasi matto, strappava
tutto, corde cavezza finimenti... nessuno lo teneva più.
Io lo credevo proprio matto, ma invece, prima di addormentarci quel
cavallone si è messo a farmi le sue confidenze d'amore. Non potevo
capir bene, sicchè gli venni a chiedere spiegazioni, e lo stallone che
rideva della mia voce sottile, mi istruì su la faccenda. — Diavolo! ma
chi mi ha fatto questo?...
Infine, meglio così; meno delusioni, meno grattacapi. Ho dato maggiore
importanza alla biada, e me ne trovo bene.
Ahi! se non m'inganno, quei due clienti mi vengono a rompere...
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