Roberta - 1

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LUCIANO ZÙCCOLI
ROBERTA

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1919.


PREFAZIONE.

Sarebbe difficile dire quali fossero esattamente le intenzioni
dell'autore di _Roberta_ allorchè egli scrisse, tra il 1896 e il 1897,
quel romanzo. Certo, non intendeva compiere una rivoluzione
letteraria, nè fondare una scuola; scriveva allora così sinceramente,
per impeto di passione e per commozione d'animo, come scrive oggi.
Egli viveva in una villa di quella incantevole Riviera di Levante, di
cui sono nel libro parecchi tentativi di descrizione. Gli venne
l'estro dallo spettacolo del mare, dalle luci stupende, dalla gioia
della natura che è, per tutta quella plaga, così ricca e possente? Gli
venne l'ispirazione da qualche ora di vita vissuta, più notevole e
strana, perchè infinitamente malinconica in quella ridente cornice?
Forse e per l'una e per l'altra cagione scrisse _Roberta_; per la
tristezza dei casi umani, per la bellezza degli spettacoli naturali; e
l'una e l'altra gli consigliarono una forma calda fino alla violenza,
bizzarra e impreveduta, carica d'imagini e di comparazioni originali.
Poi diede il libro alle stampe e non se ne curò più.
Ma rileggendo oggi il volume, per questa nuova edizione messa fuori
dalla Casa Treves, l'autore s'è accorto che veramente c'era ragione a
schiamazzare come schiamazzarono i critici di quel tempo.
In _Roberta_ la forma--l'ho detto--è libera, strana, senza freno,
impetuosa, ardita. Sfogliamo insieme qualche pagina, e troviamo
qualche esempio. L'autore si sforza di personificare ogni senso ed
ogni sentimento e di chiudere un pensiero nel più stretto cerchio di
parole che gli sia possibile. «Mai,--dice sul principio--mai come
quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra, mai
come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora avevan
sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si chiama
ribrezzo». «I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre
sul disco bianco della luna». «Doveva attraversare le foreste
millenarie della passione, che tutte le donne pari a lei, avevano
attraversato». «La sua giovanezza era una chiara fonte in un parco
abbandonato». «Le vecchie regole morali erano goffe come una
processione di gesuiti attraverso a una folla di donne scarlatte». «E
le idee dei tempi rosei mutavano in una fuga di statue a cui il cuore
appendeva corone di rimpianto e di rimorso».
Curioso a dirsi; nel mentre vado sfogliando quel romanzo e citando
poche imagini tra mille, mi soprapprende il pensiero che l'autore di
_Roberta_ sia stato un precursore. Oserei dire, un precursore del
futurismo; ma d'un futurismo che non sconvolgeva nè il vocabolario nè
la grammatica, e che voleva essere prima di tutto sintetico e pronto,
immediato e dritto. Pare che _Roberta_ volesse dire una parola meno
usata in quei tempi, vent'anni or sono, in cui o si imitava il
D'Annunzio, o si scriveva pedestremente, conversando alla buona col
lettore e mescolando la propria personalità con la personalità delle
figure che dovevan vivere la loro vita nel romanzo. E l'autore, qua e
là, nelle sue pagine, riduce l'imagine e il pensiero, per brevità, «al
motto d'un anello», come direbbe Amleto; e ne esce una musica delle
più inattese, che può essere bella, che può essere brutta, ma che non
è la fanfara festiva e stridente a cui siamo abituati.
E così, per dare alcuni altri pochi esempi, ecco «la giornata
simmetrica che si dissolve nel circolo del tempo», «gli amici, figure
scialbe divenute più pallide in quell'ora di porpora», ed ecco imagini
anche più inquietanti: «Egli avrebbe potuto comporre un facile poema,
se avesse avuto l'espressione letteraria e la pazienza d'arrestare gli
scoiattoli molleggianti sulle branche della fantasia». «Era dunque
possibile che le agili e bianche dita salissero al corpetto e
intonassero la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano?».
Con questa sinfonia, chiudiamo; quantunque per tutto il libro, per
tutte le pagine; siano sparse largamente imagini così poco usate; e
mentre stiamo per riporlo, ci cade sotto gli occhi ancora questo
inatteso pensiero: «la voluttà più astuta non lascia traccia se non in
ricordi simili a pigmei, i quali corrano dove son passati i giganti».
Bisogna dirlo: un libro simile, e in quei tempi, non poteva passare
inosservato; e mentre l'autore di _Roberta_ aveva scritto con
ingenuità sincera, cercando d'animare innanzi a se stesso le fantasie
che gli eran care, tutti i critici gli furono addosso, accusandolo
d'aver voluto sforzar la nota, d'aver cercato a tutt'i costi una
originalità violenta, d'aver dato un esempio pernicioso, il quale non
poteva servire che a fondare una scuola più pazzesca che nuova.
Lo si trattò veramente a guisa d'un precursore: e quale precursore fu
mai trattato bene? Si battagliò intorno al libro con una passione e un
vigore che oggi i critici non hanno più. In una sola cosa furono
d'accordo coloro che giudicavano sui giornali: nel gridare al pericolo
delle imitazioni, le quali avrebbero precipitato la letteratura in un
abisso di follia. Avancinio Avancini, chiamando l'autore di _Roberta_
palloncino gonfiato (_Risveglio Educativo_, 12 giugno 1897) e pur non
negando che nel cervello di lui una certa dose di fosforo ci fosse,
alzò la voce perchè la tesi di _Roberta_ era immorale: e «questo
precursore del secolo ventesimo» diceva «nasconde sotto l'artifizio
retorico una grande povertà di buon senso».
E Luigi Pirandello, il quale dava conto dei libri nella _Rassegna
Universale_ di Roma con lo pseudonimo di Giulian Dorpelli, si turbò al
pensiero che _Roberta_ potesse dar vita a una serie numerosa
d'imitatori. E falciando largamente tra le imagini onde il romanzo
traboccava, e citandole ad esempio da fuggirsi, dichiarava che
l'autore con quella sua barca parata di pennoncelli sarebbe presto
andato a finire «sulle secche della follia»; ma, aggiungeva con
tristezza, «sentirete come batteran le code i pòmpili seguaci tra la
scìa spumosa......
I pòmpili seguaci non ci furono; per avvivarli e tirarseli dietro,
occorreva che l'autore di _Roberta_ scrivesse un altro libro di quel
colore, un altro poema balzano; e il futurismo sarebbe stato fondato;
un futurismo, intendo, di sostanza e di pensiero, rosso d'imagini e
protervo d'idee. Ma l'autore di _Roberta_ non fu tanto sgominato
dall'urlar della critica, quanto dal timore di dover presto rispondere
di tutte le corbellerie che gli imitatori avrebbero scritto in suo
nome.... Il precursore non diede il secondo volume, non calò il
secondo colpo; e poichè gli anni--1898!--volgevano tristi per il
paese, si diede alla politica, e stette dal 1898 al 1902 silenzioso
per tutte le forme d'arte letteraria.
Così i pòmpili seguaci intravisti dal Pirandello guizzarono per altre
acque, dietro altre barche con altri pennoncelli; e l'autore di
_Roberta_ non deve rispondere oggi d'una scuola, ma di un giovanile
tentativo di rivolta, d'un'orgia poetica ch'egli si largì per
divertire se stesso innanzi agli altri. Fu ebbro, liberamente; ruppe
gli argini alla fantasia, lasciandola prorompere, dilagare, infuriare;
parlò di passione e di morte, d'odio e d'amore; cantò la bellezza
femminile, la gioia della vita, la fatalità della morte, la ricchezza
della natura invitta e crudele.... Poi tacque cinque anni, battendosi
tra le fazioni politiche e cercando istintivamente l'impopolarità la
più pericolosa.... L'autore di _Roberta_ non trovò, per questo, non
dico la forza, ma la voglia di fondare una scuola letteraria, e non la
troverà mai.
Posso andarne mallevadore, perchè l'autore di _Roberta_ sono io.
LUCIANO ZÙCCOLI.


ROBERTA


I.

La prima volta che Cesare Lascaris entrò in casa delle due sorelle, il
cielo sfarfallava di lampi infaticabili a levante e a ponente, come
per un'alternativa di colori liquefatti e largamente diffusi sopra una
cupola immensa.
Roberta era stata ripresa dal suo male.
Una leggera spuma rosea le era sgorgata dalla bocca, mentre innanzi
alla finestra seguiva col binocolo un vapore, che all'ultima linea
delle acque passava sotto il tumulto dei lampi, sotto il cumulo più
nero delle nubi. Aveva deposto sùbito il cannocchiale, e volgendosi a
Emilia con la pezzuola umida di sangue, aveva detto:
--Ecco!--rispondendo alla sorda inquietudine, che dalla prima comparsa
del morbo le aveva confitto gli artigli nel cuore.
Il giorno, levatosi per le due giovani tranquillo come gli altri,
divenne repentinamente funebre; l'uragano addensato fuori, parve ad
ambedue il quadro naturale in cui il dramma doveva svolgersi, e l'aria
pregna di correnti elettriche, solcata dalle luci minacciose, le
avvolse e le fece vibrare di spavento.
L'Implacabile risorgeva.
Avevan voluto dimenticarla, fuggendo dalla città, aspirando i germi
vitali nel paesello ligure inapprezzato dal capriccio misterioso della
folla. Tutto della loro vita era stato tacitamente disposto per
raggiungere quell'oblio. Scorrevano ogni giorno lungo tempo sulle
rocce più inoltrate nel mare, fin dove l'onda s'accartocciava
ribollendo passeggiavano adagio, metodicamente verso il crepuscolo,
dov'era men facile incontrare i carri, che sollevavano nugoli di
polvere; la villetta era aperta sempre a finestrate di sole, a fiumi
d'aria pura. Roberta seguiva i consigli dei medici, ed Emilia si
studiava d'allontanarle ogni causa di malcontento.
Se si fissavan negli occhi per leggervi il medesimo pensiero
inconfessato, gli occhi tentavan sùbito d'esprimere pensieri frivoli e
pieni d'avvenire. Il male sembrava cosa antica, pessimo sogno
pessimamente interpretato dagli uomini della scienza. Guardavano
innanzi a sè, lasciandosi addietro il ricordo della malattia breve e
furiosa, cui Roberta s'era sottratta per una generosità de' suoi
diciannove anni.
E l'Implacabile risorgeva; e quella spuma sanguigna voleva dire la
Morte, e quei colpi di tosse che riprendevano, erano la Morte, e
tutto; era la Morte, la Morte, la Morte nel giorno denso di luci
minacciose, divenuto il primo periodo d'un dramma del quale
s'ignoravano gli episodii futuri e s'intuiva la fine.
--Non spaventarti,--disse Emilia con la voce tronca.--Non è nulla....
Sai che non può essere nulla.... Mando a chiamare il medico...
Roberta era caduta sul divano, e nell'ombra dell'angolo si vedevan
l'abito turchino a merletti bianchi, il volto cereo ed ovale. Le
braccia erano abbandonate lungo il corpo. Sotto l'atteggiamento
incerto, covava il terrore di chi aspetta un nuovo segno infallibile:
ella attendeva un altro colpo di tosse, un rigurgito di sangue, la
rottura d'una arteria, che la soffocasse in un lago di sangue; poichè
nessuno meglio di lei conosceva tutte le possibilità spaventose d'una
soluzione certa.
--Sùbito dal medico; venga sùbito; lasci qualunque cosa.... Hai
capito?--ordinò Emilia alla cameriera accorsa.--Sùbito, sùbito,
sùbito.... Vuoi andare a letto, Roberta? Ti aiuterò' io.... Fatti
coraggio....
E mentre parlava riprendendo il suo posto innanzi alla sciagura, si
irrigidiva per resistere alla tentazione di fuggire, mandando grida
laceranti.... Piegarsi, prosternarsi brutalmente alla fatalità,
piangere fino al torpore e sentire il tempo uguale, infinito, passare
su di lei e sopra le cose, doveva essere una voluttà divina.
Ella non era creata per tener fronte alle avversità: con la morte del
marito dopo un anno di matrimonio e con la prima malattia di Roberta,
due volte una ribellione di inerzia era nata in lei; il bisogno di
sfuggire a sè medesima e all'azione, era divampato così furibondo, che
le era avvenuto d'inginocchiarsi a pregare perchè fosse mutata in una
statua dal gesto eterno, dalla insensibilità eterna....
Ma si riprese per quello stesso spirito di rivolta, il quale d'ora in
ora aveva forme così diverse; allungò le mani alla sorella e l'aiutò
ad alzarsi, riuscendo a sorriderle.
Sulla soglia della sua camera, Roberta si arrestò un istante sotto un
nuovo attacco del male; il fazzoletto si arrossò, una sottil bava
sanguigna le scese lungo la connessura delle labbra, si ruppe....
Allora, sciogliendosi dalle mani d'Emilia, la fanciulla corse al
letto, strappò gli abiti, slacciò i cordoni delle sottovesti, gettò
ogni cosa a terra, fu pronta, e si ricoverò tra le coltri, dicendo
febbrilmente:
--Vedi, che è proprio il male? Vedi, che bisogna morire?... Non
parlare, hai capito? Non dir nulla.... Il medico, non lo voglio.... Va
via, anche tu....
Emilia rimase in piedi presso il letto, fisicamenta assorta nei romori
della tempesta, che dalle sbarre delle gelosie proiettava il suo
livido ghigno nella camera.
Così, spoglia d'ogni attraenza materiale degli abiti, Roberta era
l'ammalata.
Sotto l'epidermide bianca, una miriade di piccoli punti rossi, qua
diffusi e là raccolti in nucleo, segnava la persistenza del morbo; il
seno, questa gloria incomparabile del sesso e della giovanezza, era
crivellato dai nuclei rossastri e s'affondava, invece di protendersi
esuberante.... Di quel corpo virgineo avvolto fra le lenzuola, non
rimaneva attenta, vivente, perspicace, se non la testa coi capelli
biondi e disordinati; ma ancòra sotto la pelle della fronte e sulle
guance, comparivano le piccole macchie rosse incancellabili. Gli occhi
erano d'un azzurro vitreo, le labbra tumide, i denti bianchissimi, il
profilo netto e puro, quasi ellenico. Il resto delle sue forme non
aveva linea e valore, se non corretto dalle mani scaltre delle
cucitrici e lusingato dai colori festevoli o ingenui delle stoffe.
Per la camera semioscura aleggiava un profumo indefinito d'acque
odorose; i mobili modesti delle case d'affitto variamente ricoperti e
senza stile, parevano l'avanzo di diversi addobbi; il letto solo in
mogano lucidissimo era elegante e nuovo. Sui tavolini, sui divani,
s'ammucchiavano i libri rilegati o sciolti, una collezione di romanzi,
da Walter Scott agli ultimi autori russi, che Roberta leggeva senza
posa e senza scelta, fino ad averne l'emicrania.
Ella era ancòra la fanciulla tipica, angariata e deliziata dai sogni
un po' umoristici del romanticismo; si costruiva in testa una favola
di principi e di re, si assegnava una parte nella favola, mutava e
rimutava gli episodii, vivendo, con qualche residuo dei preconcetti
acquei di collegio, in assoluto ritardo, in voluta contraddizione con
tutto quanto era vita intorno a lei.
Emilia, seduta a fianco del letto, tenendo fra le sue una mano di
Roberta, stava sempre attenta ai romori esterni, poichè nella camera
era piombato un silenzio di malattia, che la riconduceva a dieci mesi
prima, richiamando a galla i terrori, le stanchezze, le disperazioni
di quei giorni.
Fuori, a levante e a ponente, i lampi gareggiavano; sulla casa il
tuono si trascinava con lunga eco; di momento in momento, la camera
era infiammata da una vampa lividiccia, cui seguiva il crepitio secco
d'una scarica elettrica. Roberta si drizzava a sedere, guardava Emilia
negli occhi, e ricadeva sui guanciali.
In quei passaggi di pesante angoscia, esse comprendevano, o
chiaramente o vagamente, che nè per loro nè per altri la vita non
aveva indulgenze, che i benigni non esistevano, e che la lotta non era
solo in grandi giorni di battaglia, ma in tutti i meschini giorni
dell'anno, in tutte le piccole ore del giorno.
--È finito?--disse Roberta ansiosa.--Guarda se è finito.... Mi fa così
male...
Emilia andò a guardare, socchiudendo le imposte. Per quanto si vedeva
da quella finestra sul fianco della casa, l'uragano pareva cominciasse
allora. Il monte di Santa Croce era fosco sotto le proiezioni oscure
della nuvolaglia, e la collana d'uliveti che ne discendeva e si
propagava sul versante, aveva preso il colore sinistro e scialbo dei
giorni di tempesta. Le case a tinte vive, secondo il concetto degli
antichi marinai, i quali da lontano volevano riconoscerle e salutarle,
aspettavano silenziose la cavalcata delle nubi, illuminandosi al
riflesso dei lampi.... E a un tratto, per la violenza del tuono, le
nuvole si spalancarono come porte gigantesche e mostrarono il fulmine
ricurvo, dorato, arme classica e divina, che si sfoderò precipitando
dietro la montagna.... Susseguì il vento, la pioggia sferzò, ora
verticale, ora a sghimbescio, a capriccio del vento, e l'uragano si
stabilì sopra il paese.
--Siamo alla fine,--rispose Emilia, accostando le gelosie.--Come stai,
cara? Va meglio?
La sorella teneva le palpebre calate e sul volto le era scesa una
maschera di sublime indifferenza per ogni cosa mortale.
--Vuoi dormire?--soggiunse Emilia con voce più cauta.
Roberta scosse un poco la testa; ad occhi chiusi sembrava assorta
nell'ascolto del male,--dava tregua o saliva di grado in grado senza
ostacoli?--e il mutismo d'una rassegnazione interamente fisica le
aveva invaso l'anima. Emilia, rimasta a guardarla, fece un gesto
perduto, a sgombrar le visioni di certezza che andavano stringendola
intorno. Con le mani serrate, immobile a' piedi del letto, ella
pensava alla morte prossima; sua sorella doveva morire, forse quello
stesso giorno, soffocata dal sangue rigurgitante nelle caverne dei
polmoni. La fantasia, rinforzata dalla meccanica dei racconti uditi e
delle memorie, dipingeva l'avvenimento, a grandi tratti prima, e poi
ne' particolari più minuti e dolorosi: la donna si sentiva già
piangere e mormorare le parole profonde, dissennate, che echeggiano
inutilmente nelle case tragiche per la morte. Aveva gli occhi fissi al
letto, e lo vedeva vuoto.
--Vuoi il ghiaccio? Devo prepararlo?--ella domandò, scuotendosi e
avvicinandosi.
Ma a quel ricordo della malattia antica, Roberta alzò faticosamente le
palpebre e negò con la testa. Emilia le toccò il polso, la fronte, le
tempia.
--È fresca; non ha febbre. Non ha mai febbre,--mormorò, quasi parlasse
con le visioni di certezza ch'erano intorno.--È la febbre, da temersi.
L'altra volta l'aveva, ed è stata così male. Oggi non ha febbre; è
fresca....
E se avesse obbedito all'istinto, avrebbe seguitato, gestendo contro
le ombre del terrore: «--Capite, capite, che non può morire? Si
salverà pure questa volta; continueremo la nostra via, l'una a fianco
dell'altra, come ci siamo promesso.».
Non era passata un'ora dalla ricomparsa della malattia, ed Emilia
aveva già smarrito ogni senso della vita abituale, quasi soffrisse da
mesi, da anni. La mattinata semplice e monotona s'era dispersa tra le
memorie bianche; la giovane ritrovava in sè medesima lo stato un po'
febbrile, l'espressione laconica, il gesto attivo e silenzioso dei
momenti solenni.
--Roberta,--disse con l'inesorabile ostinazione della paura,--stai
meglio? Vuoi riposare?
L'ammalata sbarrò gli occhi cercando per la camera: vide la sorella a'
piedi del letto e la fissò a lungo, ancòra con l'indifferenza serena
di chi è già per altre vie lontane e mute.
Poi, senza tosse, senza fremiti, recò alle labbia la pezzuola, e
l'arrossò ampiamente.
--Dio!--esclamò Emilia, accorrendo a sostenerla.
Il sangue sgorgava, non più roseo ma purpureo, una fontana vitale
entro la catinella che Emilia teneva con una mano.
--Coraggio, cara, fatti coraggio,--susurrò Emilia.--È una crisi
momentanea, lo sai....
Il sangue sgorgava, e le due sorelle s'erano avvinghiate intorno al
busto tenacemente, guardando quella vita liquida, quella morte
liquida, cui alcuna scienza umana non avrebbe potuto arrestare. Emilia
era curva sotto un peso invisibile; Roberta non dava segno di terrore,
ma stava rigida nell'attesa fredda e spaventevole, ritrovata fra le
abitudini delle sue sofferenze.
La crisi cessò, il sangue ristette.
--Ti porterò il ghiaccio,--disse Emilia, posando la catinella
insanguinata--Il ghiaccio ti guarisce, non è vero?
Ma non appena uscita dalla camera, traversando il gran salotto
centrale, Emilia s'aggrappò a un mobile. Libera di naufragare nella
disperazione ampia, senza difese, ella vedeva immancabilmente certa la
soluzione; era destinata a seguitar tutta sola la sua strada, poichè
la compagna le sarebbe caduta al fianco fra breve. E per una satanica
raffinatezza della fantasia, una folla di episodii rosei le corse
incontro; e per malvagia associazione d'idee, ella ricordò alcune
pagine lette sbadatamente o alcuni discorsi distrattamente ascoltati
sulla legge di selezione, sulla matematica necessità della morte
precoce.... La fanciulla era senza dubbio inadatta a sostenere gli
attriti dell'esistenza, e portava in sè le mortali ferite d'una
vecchia razza esausta.
Ella pareva essere stata concepita in una notte di nevrosi, per un
desiderio fiacco e metodico: imperfetta opera di due creature
incatenate da vincoli legali e fittizii, Roberta aveva già troppo
resistito alle raffiche forti e alle acute brezze micidiali; poichè,
prima di lei, i fratelli erano stati travolti, e dopo lei, Emilia sola
aveva rievocato il buon tipo originario; e dopo Emilia, i fratelli di
nuovo erano tutti scomparsi in piccola età.
Ora, cotesta differenza di nervi, di muscoli, di forze, aveva più
volte in Emilia risvegliato l'antipatia latente dei sani per i malati,
l'antipatia bruta d'un corpo vivido e fresco per un corpo fradicio e
passo.
--«Tu ti leghi a un mostro,--le susurrava lo spirito loico.--I tuoi
sforzi non serviranno se non a prolungare un'agonia e a trasmetterti i
germi, dai quali per maraviglia di natura ti sei salvata.»
E alla sentenza, che sembrava macabramente scritta con le ossa d'uno
scheletro sulla via sperduta dell'avvenire, tosto succedeva la
reazione generosa, esagerata; e per punirsene, Emilia avrebbe dato
intera l'esistenza propria, e contratto volonterosamente i germi della
malattia atroce.
Poichè il sordo antagonismo non giaceva soltanto in fondo alla sua
coscienza; ma con disperata tristezza erasi dovuta persuadere che
anche nell'anima di Roberta andava cristallizzandosi un rancore quasi
animale contro la sanità e la procacità inconscia di lei, contro il
suo avvenire, contro la facoltà di goder le gioie, cui ella, Roberta,
non avrebbe avvicinato mai.... Certi misteriosi allontanamenti, certi
risvegli di violenta simpatia, nei quali la fanciulla soffocava una
voce imperiosa e sconsigliata, avevano quella sola spiegazione. Mai
come quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra,
mai come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora
avevan sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si
chiama ribrezzo.
Anche in quel giorno in cui lo spavento rinasceva con la tenera
sollecitudine, l'istinto oscuro aveva arrestato Emilia, uscita appena
dalla camera di Roberta:
--«Perchè ti affatichi?--le fischiava all'orecchio.--L'ha detto ella
stessa: il suo male ritorna e bisogna ch'ella muoia. Vuoi contrastare
il passo a una legge sovrumana?»
Una scampanellata la richiamò interamente; doveva essere il dottor
Noli, il medico del paese, che con l'esperienza di chi ha visto
innumerevoli casi d'una stessa malattia, aveva fortificato, la sua
teorica mediocre.
Emilia andò ella medesima ad aprire; la mano tremava d'impazienza,
volgendo due volte la chiave nella toppa,
Sul ripiano stavano la cameriera e un uomo, che Emilia non ravvisò
sùbito.
--Il medico non c'era,--disse la domestica.--È andato a Genova; mi
hanno indicato il signore; è medico anch'egli e si trova qui per i
bagni. Ho pregato lui di accorrere; non voleva, ma l'ho persuaso,
perchè il dottor Noli non tornerà fino a domani.... Ho fatto bene? Le
pare?...
Mentre parlava la cameriera, Emilia aveva dato il passo all'uomo.
Cesare Lascaris entrò, mormorando un saluto. Emilia gli gettò uno
sguardo: era alto, elegante, bruno in viso; dimostrava alcuni anni più
dei trenta. La giovane lo conosceva per averlo visto in paese qualche
volta.
--È dottore, lei?--gli domandò bruscamente, guardandolo dritto in
faccia.--Perchè non sta a Genova? Come può essere qui in ozio, se è
dottore?... Si tratta della vita di mia sorella....
Cesare Lascaris consegnò l'ombrello gocciolante alla domestica, e
sorrise tranquillo.
--Se si tratta d'un caso grave, sarà forse inutile perder tempo in
spiegazioni che darò dopo,--rispose.--Non appena giungerà l'amico mio
dottor Noli, gli cederò il posto; ma intanto, se si tratta d'un caso
grave...
Si fermò, annoiato di dover ripetersi, della diffidenza che
l'accoglieva, della penombra che le imposte chiuse stendevano nel
salotto e che gl'impediva di veder bene in volto la sua nemica; ma
l'abitudine gli smorzò sùbito la voce un po' vibrante.
--S'accomodi,--offerse Emilia, vergognosa del primo impeto.--Mia
sorella ha avuto stamane uno sbocco di sangue....
Allora, innanzi di passar nella camera dell'ammalata, Cesare Lascaris
propose una serie di domande imbarazzanti su Roberta, mentre Emilia a
testa bassa di fronte a lui rispondeva precisa e chiara, con una mal
celata animosità contro l'uomo, il quale aveva diritto a conoscere
ogni fatto intimo della vita fisica d'una vergine.


II.

Uno scoglio scabro crivellato dalle trafitte secolari dei marosi, si
tuffava nel mare ardendo sotto il sole: era uno scoglio grigio, su cui
il piede s'incastrava fra le spaccature; spesso era uno scoglio bruno,
quando la spuma crepitante giungeva a superarlo, colando ai fianchi in
piccoli torrenti lattei.
Nella cabina drizzata a ridosso delle rocce sovrastanti alla spiaggia,
Emilia vestì l'abito pel mare; un abito tutto candido, costellato di
fioretti d'oro con le foglioline d'oro; i piccoli piedi ricoverati nei
sandali, ella tentò studiosamente lo scoglio che li afferrava come nel
pugno d'un innamorato; s'avanzò, cercò il proprio riflesso nell'onda,
si buttò a capofitto, sparve, riapparve lontana, tagliando con le
braccia nude l'acqua ritmicamente.
L'acqua! Emilia l'aveva sempre temuta e vi si abbandonava con un
piacere non privo di fremiti.... L'acqua che poteva essere la morte,
l'onda che aveva la forza di dieci leoni scatenati, l'acqua e l'onda
l'attiravano, le parlavano, la cullavano perfidamente, ed Emilia non
sapeva se un giorno non si sarebbero chiuse sopra la sua testa,
eternando la conquista giovanile.
Il corpo di lei, peregrinando nell'abisso tra le gòrgoni, avrebbe
seguito le correnti sotto il piano del mare; con gli occhi spalancati
avrebbe visto gli scafi delle navi sommerse, i resti dei naviganti
deformi e tentacolari per i filamenti delle alghe.... Laggiù avevan
tomba molti cadaveri d'uomini e di donne, ancòra paludati dalle vele
entro le barche, o avviluppati ancòra tra le erbe viscide.... Ma non
godevano quiete e sentivano la vita mostruosa che pullulava intorno a
loro.
Pel brivido che quei pensieri le scandevano sulle reni e sugli òmeri,
Emilia si spinse allo scoglio, lo risalì, e in un accappatoio bianco
dal cappuccio aguzzo stette a guardare la superficie maliarda, un po'
gonfia all'orizzonte. Il sole violento bruciava lo scoglio e la
spiaggia; la donna, i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani,
tornò a imbrancarsi nel gregge silente delle sue fantasie, delle
memorie senza forma, delle sensazioni vibrate a un tratto nel
cervello, le quali parevano uscire un attimo da una guaina di cose
vissute.
Emilia non era più fanciulla, ma era stata donna per così poco tempo,
che i guanciali del suo letto avevan dimenticato l'impronta d'una
testa maschile e la luce del suo corpo risplendeva nell'alcova
deserta. Era vedova da due anni; ma il desiderio di chiudere la
solitudine dell'anima le faceva sembrar quel tempo assai lontano.
Aveva gli occhi grigi; i capelli neri avvolti intorno alla testa e
attorti presso le orecchie, davano qualche riflesso d'acciaio.
Ella entrava sola nel talamo e sola riposava. Le era avvenuto forse di
svegliarsi nella notte e d'irritarsi per uno di quegli arguti sogni,
che non lascian tregua, popolano la mente di fiamme, soffiano sulle
carni; le era avvenuto forse di stendere le braccia disperatamente
nell'ombra, e di piegarsi ad arco sotto lo spasimo del sogno che
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