Roberta - 10

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d'aver messo in quel cuore un gruppo di vipere infaticabili.... Appena
vistala, aveva già forse preparato la frase di speranza e
d'inganno.... E andava da Emilia a parlar d'avvenire!...
--«Costui potrà consolarla,--si disse Roberta.--Potranno consolarsi
tutti in breve!»--
Sentì accerchiante l'impeto di tornare indietro ella pure, di correre
a casa, e di baciare Emilia e d'abbracciarla, d'abbracciarla
furiosamente.
Nè fu libera dalla suggestione se non quando accelerò il passo, e
arrivata a Sant'Erasmo, discese verso Nervi, dove i passanti eran
numerosi e potevano distrarla.
La giornata splendeva; quell'ultimo periodo di decembre recava la
stupenda fragranza dei giardini tempestati di rose, le quali
traboccavan fin dai muri di cinta per una catena ininterrotta di
colori diversi, di diversa ricchezza. Soffiava mordace la fragranza
del mare, denso di tinta, e pur tuttavia dardeggiato di raggi, che
sembravano frangersi alla superficie e lasciarvisi pigramente
onduleggiare.
Sulla piazza di Nervi, a capo del lungo viale fiancheggiato di palme
che conduce alla stazione, Roberta salì in una carrozza, ordinando di
portarla a Genova; e quando fu seduta, avvertì la greve stanchezza
della notte insonne, la debolezza estrema per il sangue perduto in
quello sbocco furioso.
Ebbe paura; il male poteva riprenderla, ucciderla sulla pubblica via.
Ma se fosse rimasta, lo avrebbe forse fermato?
Ella aveva la mente in un cerchio di follia, e si volse d'un tratto a
guardar lo spettro che le stava alle reni, minacciandola di continuo.
La carrozza partì.
Roberta mise sui ginocchi l'involto che teneva fra le mani; era tutta
la sua ricchezza, là dentro, una grossa somma in titoli dì rendita,
ch'ella aveva divisato di vendere a poco a poco; gettandola anche a
profusione, non sarebbe finita tanto presto quanto la vita di lei.
Trasse una lettera, ancòra con la busta aperta; la ripercorse con
l'occhio, temendo che il ribrezzo, l'odio, la certezza della fine, le
avessero suggerito qualche parola di rimprovero o d'ingratitudine. Il
senso ne era calmo ed affettuoso; nessun cenno alla scoperta della
notte; perchè aggravare la disperazione d'Emilia con la possibilità
d'un rimorso?... Ella non aveva se non la colpa di voler trattenere la
sorella, di voler farne un oggetto miserevole su cui sfogare tutta la
ferocia della sua pietà.
Ma come si sentiva male!
Ardevano le tempia, ardevano le mani; dentro il petto era
insostenibile l'artiglio della tortura; di quando in quando, la
sofferenza fisica raggiungeva tal grado da parere una voluttà calda,
che le corresse le membra e le facesse ribollir le vene.... Chiudere
gli occhi, oh chiudere gli occhi al sole fiammeggiante!... Sarebbe
stato più dolce chiuderli sotto freschi baci, che avrebbero potuto
placar l'ardore delle carni.
Voleva distrarsi, guardando.... La strada bianca, fra la spiaggia
ilare e le ville pregne d'effluvio, quanto era crudele di ricordi!
Ben per quella medesima strada le due sorelle tornavano un tempo dalle
loro gite; e le discese ripidissime e la prossimità della via ferrata
incutevano un'ombra d'attraente pericolo. Qualche volta il treno le
sopraggiungeva rapido e formidabile; e il cavallo fermo innanzi alla
barriera drizzava le orecchie, volgeva la testa a guardare. Era
l'attimo più commovente della passeggiata; le giovani si stringevano
la mano sorridendo. Il mare pompeggiava, solenne di quieta potenza; le
ville davano al paesaggio la nota leggiadra o maestosa, incensando
l'aria coi profumi dei giardini, e tagliando il cielo puro coi ricami
aggrovigliati o con le punte argute degli alberi.
Roberta ebbe così l'imagine di quel molle passato, che portò le mani
alla fronte con un gesto di sbigottimento; poi restò attonita, gli
occhi fissi sul sedile vuoto innanzi a lei, per non più vedere, per
non pensare, per non obbedire alla sorda voce, che le gridava
nell'intimo, che gridava dalle cose tutte:--«Ritorna! ritorna! Non
trascinare altri nella tua rovina!»
Solo dopo Sturla, quando la fiumana della gente, delle carrozze, dei
carri, si fece più tumultuosa sotto il biondo sole, ella abbandonò il
suo atteggiamento inerte; si drizzò e finse.
La vita incombeva. Roberta passava tra la vita e le speranze mostruose
di quegli sconosciuti, e doveva fingere vita e speranze ella pure; già
il suo volto era insolitamente pallido e malato.
Si drizzò sul busto; trovò uno sguardo impersonale per lo stupido
spettacolo.
Alcuni giovanotti fermi in gruppo a chiacchierare, si volsero insieme
e la fissarono.... Ah, il suo corpo e il suo animo! Non avevano ormai
se non un valore d'effimera. L'animo era in agonia. Volevano il corpo?
Avrebbe potuto offrirlo al primo passante cui fosse piaciuto, per
distruggere anche la sua verginità inutile, per sentire una qualunque
nausea degli altri e di sè stessa.
Arrivata a Genova, tenne la carrozza e discese presso varii negozii,
ad acquisti.
Ella eseguiva automaticamente il disegno stabilito nella notte e
calcolato fin nei più minuti particolari di tempo.
Ai commessi parve una strana compratrice.
Era molto distratta; non osservava la merce, e faceva domande alle
quali non aspettava risposta. Dal negoziante di valigie aveva
dimenticato di ritirar l'avanzo di cinquecento lire e avevan dovuto
rincorrerla per consegnarglielo.
I suoi occhi s'offuscavano d'una espressione poco men che atterrita
quando qualcuno le diceva la frase abituale:--«Vedrà, signora, che
questa stoffa _le farà una gran durata_.».
Ed era molto, molto stanca; si sedeva appena giunta e non si alzava se
non per uno sforzo visibilissimo. Dalla sua guantaia, aveva chiesto un
cordiale, un po' di liquore, e aveva trangugiato un bicchierino di
cognac, ch'era parso animarla un istante.
Risalì in carrozza, e si fece condurre alla stazione di Piazza
Principe. Si rammentò, in quel punto, della lettera; pensò che,
inviandola per posta, non sarebbe arrivata se non la dimane, ed Emilia
avrebbe sofferto un'altra notte di dubbii, più spaventosi di qualunque
spaventosa certezza. Chiuse la busta, e quando fu alla stazione guardò
il cocchiere, il quale la conosceva e aveva frequentemente servito le
due sorelle. Poteva fidarsene.
--Voi tornate a Nervi?--gli domandò Roberta.
--Sì, signorina, sùbito.
--Sùbito; bisogna vi andiate sùbito; io vi pagherò il ritorno. Ma vi
spingerete fino a casa mia, e consegnerete questa lettera alla
signora, sapete? l'altra signora che è sempre con me.... Andate
sùbito; non fermatevi per via.... Fra un'ora dovete essere lassù!
Poi, quando l'uomo voltò briglia e traversò la piazza, stette a
guardarlo fin che le si tolse alla vista.... Fra un'ora sarebbe
arrivato.... Oh, solo a vederlo comparire, solo a leggere la
soprascritta della busta, Emilia avrebbe gettato un grido!
La fanciulla si strinse nervosamente le mani fino a farle
scricchiolare; diede un'occhiata in giro ad assicurarsi nessuno avesse
rilevato l'atto; ma non v'erano se non viaggiatori frettolosi e
portatori in attesa di bagagli.
Entrò sotto il peristilio della stazione, seguendo il facchino
impadronitosi degli oggetti ch'ella aveva posato a terra.
Ritirò la tessera. Contava recarsi a Nizza, verso quelle coste di
Francia, ch'ella aveva tante volte sognato, verso quella Parigi, che
le sembrava chiusa da un velario d'oro, oltre il quale erano gioie
insidiose ed ebbrezze ignote.
Proveniente da Milano, il treno per Ventimiglia era in ritardo di
trenta minuti; la giovanetta si recò nella sala d'attesa.
Sedette; sentì che il male e la stanchezza precipitavano su di lei con
peso inesorabile; doveva fortemente resistere per non curvare le
spalle, per tener gli occhi aperti; ma portava spesso la mano al
collo, al petto, dove un'arsura di fuoco la divorava; batteva la
lingua contro il palato, temendo d'assaggiar l'orribile sapor
dolciastro del sangue.
Ebbe di nuovo il movimento brusco per volgersi a guardare se non le
stesse alle reni uno spettro visibile; s'accorse di ciò che faceva, e
rabbrividì pensando che aspettava la morte e poteva giungere la
follia.
Dove andava?... Non aveva scritto in fronte l'angoscia e il
terrore?... Perchè la guardavano tutti?... Che cosa diceva il suo
volto?...
A fatica si alzò e andò fino a un grande specchio nel mezzo della
parete centrale. Il suo volto diceva che in un sol giorno la
freschezza della giovane età era smarrita per sempre; magre e pallide
le guance, accese le labbra, cerchiati gli occhi d'un giro lividastro;
poteva essere bella, per la straordinaria espressione di sfinitezza e
per la grande ombra di malinconia.
Poichè udiva dei passi, il dovere della vita la riprese, e finse
d'acconciarsi il veletto; ritornò al divano, studiandosi d'allargar le
spalle e d'ergere il busto.
Era prudenza, forse, passar la notte a Genova e partire il giorno
appresso.
Cercò il facchino con lo sguardo, per consegnargli le valigie e farle
recare a gualche prossimo albergo. Aveva deciso d'essere prudente, di
fermarsi a Genova, di riposare.
Ma in quel punto, un impiegato gridò la partenza per Ventimiglia.
--Per Ventimiglia?--domandò il facchino, accorso a riprender gli
oggetti.--Va a Ventimiglia, la signora?--egli ripeteva.
--Sì,--disse la fanciulla, ancora guardandosi intorno smarrita.--Per
Ventimiglia!
Fermarsi a Genova? Con quale scopo?... Essere prudente? Per chi?
Da quell'ora, tutte le vicende erano _sue_; ella si trovava sola e
libera. L'aveva desiderata con ogni forza, quell'ora, l'aveva sognata!
Ed ecco, la realtà; ecco, il sogno tramutatosi in fatto: non la
visione di un'esistenza piena di avvenimenti inaspettati e rosei; ma
la visione, più lucida che mai, del proprio cadavere freddo e rigido
sopra un catafalco ricco di drappi funerei, presso una finestra
spalancata in faccia alla campagna eterna...
Trovò posto in uno scompartimento di prima classe, vuoto, sperando di
potere stendersi e dormire, non appena uscito il treno dalla stazione.
E _sentiva_ che già Emilia aveva udito la carrozza fermarsi avanti al
cancello, che già l'uomo aveva portato la lettera, che già la sorella
aveva mandato il grido.... Ritornare? Non trascinare altri nella
rovina?... Cesare Lascaris avrebbe ripetuto con la voce fischiante di
sarcasmo: «Lo sapevo, che la signorina legge troppi romanzi!»
Mentre sotto la tettoja annerita accendevano i bracci a gas, e mentre
i viaggiatori passavano e ripassavano,--romore di treni in moto, globi
di vapor bianco diffusi, cantilene d'impiegati ad annunziare le
partenze, suoni della campana ad avvertir gli arrivi,--mentre la vita
fremeva, Roberta si tolse i guanti, e studiò la morte sulle pallide
mani, dalle dita lunghe e affusolate, dalle unghie lucenti; pallide
mani, che narravan tutta l'anima di lei, facile a smarrirsi, incapace
a calcolare, pronta a violenze ingenue.
La fanciulla piombò in una disperata tristezza così assorbente, che
ella non s'avvide come all'ultimo, quando il treno s'avviava a ritroso
fuor della stazione,--un viaggiatore fosse salito nel suo
scompartimento; ma sollevando gli occhi, ebbe un moto involontario di
stupor timoroso.
L'uomo la salutò, prese posto di fronte, l'avvolse tutta dalla testa
ai piedi in uno sguardo scrutatore, che la fanciulla non aveva mai
sofferto e che la costrinse a volgere il capo, fingendo di guardar
dallo sportello.
Il treno si lanciava sotto la bella luce del tramonto tingente di
carnicino gli edifizii dei sobborghi di Genova e poi la conca azzurra
del porto, reticolata d'alberi di navi, ingombra di barchi massicci.
Chi era lo sconosciuto? La mancanza d'Emilia doleva con nuova forma;
Emilia sapeva bene rassicurar la sorella, diffondeva attorno a sè
un'aura di tanta fiducia, che Roberta ne viveva giorno e notte. Ora,
Emilia non v'era più. Roberta l'aveva abbandonata, e si trovava sola
di fronte ad uno sconosciuto.
Una paura strana l'afferrò; si mise a tremare, irrigidendosi con le
mani nude strette ai bracci del sedile; se l'uomo avesse fatto un
movimento, ella avrebbe gettato un urlo, poichè senz'altro Roberta
aveva stabilito ch'egli era un ladro e che doveva ucciderla....
Ma il viaggiatore trasse dalla valigia un libro, vi cercò la pagina
segnata, e cominciò a leggere; allora, a poco a poco, di tra le
ciglia, cautamente, la giovanetta si sforzò a indovinare il titolo del
volume, e quando giunse a comporre in mente le lettere, e quando
scoperse ch'era un romanzo cui ella conosceva ed amava, il cuore le
battè di gioja infantile, e concluse che lo sconosciuto non era un
ladro, non doveva ucciderla.
Poi, con la medesima astuzia lenta, si studiò a osservare l'uomo,
inosservata.
Egli era giovane ed elegante; nel volto un poco abbronzato luccicavano
gli occhi neri ed acuti; aveva un profilo quasi rettilineo, volitivo;
la testa era bella; la bocca pura, con labbra sensuali, coi mustacchi
piegati in su. Apparteneva alla razza di quelli che mai non hanno
lavorato in nessuna cosa, e mai non lavoreranno. Roberta aveva
incontrato simili uomini ai bagni, ai teatri, ai concerti, ovunque
s'offriva un passatempo di moda o un trattenimento per lo spirito; e
sempre ella aveva avvertito una specie d'attrazione verso i giovani
epicurei, lasciandosi cogliere dalla forma della loro cortesia, dalla
scelta della loro eleganza.
Anche ora, guardando lo sconosciuto, la fanciulla si fermava
all'apparenza; non rilevava una piega amara all'angolo delle labbra di
lui, nè sul volto l'energia fosca di chi si getta ai piaceri
passionatamente, correndo l'alternativa d'uscirne per un mortale
disgusto, o di non uscirne se non insieme con la vita. Pareva uno di
quegli uomini, cui la donna unica può arrestare, salvare, vincere e
domare col dono della propria esistenza, della verginità assoluta, con
la forza d'una sincerità non attesa.
Egli aveva notato nella giovanetta il destreggiar degli sguardi, e pur
fingendo di leggere, si lasciava studiare; ma quando appena s'accorse
che la compagna era tranquilla e sicura (forse, molto aveva giovato
una piccola corona, dominante due cifre intrecciate sopra la targhetta
argentea della valigia),--egli stesso, con maggiore astuzia, non
lasciandosi mai sorprendere, guardò Roberta a lungo.
Fu colpito dalla bellezza malinconica di quel viso giovanissimo, prima
ancòra che dall'aspetto di sofferenza onde il viso e il corpo
sembravano chiedere sollecitudine. La fanciulla sfolgorava negli
occhi, pieni di febbre e tuttavia ignari di sguardi procaci e
ingannevoli; le labbra curve eran deliziose di colorito, un poco
umide; per tutto il volto, la stanchezza, la commozione, la malattia,
avevan diffusa un'ombra grave, in aperto contrasto con la palese
giovanezza di Roberta. Non mai era stata così bella, e il sole morente
che dallo sportello la illuminava senza darle molestia, cresceva forza
al significato romantico della gentile figura.
Lo sconosciuto ritornò al libro aperto, notando un'occhiata della
fanciulla, che sembrava disporsi a continuare il suo studio. In
verità, il giovane attirava l'attenzione di lei potentemente, ed ella
cominciava a farsi delle domande che non trovavano risposta; andava a
Nizza egli pure? come si chiamava? era ammogliato?... Cercò sulle dita
di lui il cerchietto d'oro, ch'ella credeva indivisibile dalle persone
non più libere; ma alla mano destra, nuda, non aveva anelli, e la
sinistra era ancòra guantata. E perchè non parlava? In molti romanzi,
Roberta aveva letto i dialoghi d'un giovane e d'una giovane
incontratisi nel treno; e veniva poi una sfilata, di capitoli
interessanti, che si rannodavano tutti a quel primo capitolo
dell'incontro. Lo sconosciuto non le parlava, non la degnava d'uno
sguardo; credendo fare piacere, aveva tirato la cortina per toglierle
il sole ultimo, e sùbito s'era rimesso a leggere, in modo ch'ella non
aveva potuto ringraziarlo con un cenno del capo, come in quei
romanzi.... Egli pure vestiva un abito grigio, calzava stivaletti di
cuoio giallo,--aveva i piedi piccoli--e il collo della camicia era
molto alto, con una cravatta enorme, di gusto inglese. La fronte di
lui era ampia, con qualche sottilissima ruga, visibile a pena; ma i
capelli erano tutti nerissimi, naturalmente lucidi, un poco
arricciati. Solo, pareva a Roberta ch'egli fingesse di leggere, perchè
non voltava mai pagina; e a un tratto, ella s'avvide con maraviglia,
che lo sconosiciuto non poteva leggere affatto, perchè aveva ripreso
il libro capovolto. Cominciò a temere di nuovo; perchè fingeva? a che
cosa pensava?
In quel punto gli sguardi suoi s'incontrarono con gli sguardi del
giovane, e non sapendo come reggere all'onda carezzevole di quegli
occhi bruni, e sentendo d'arrossire, Roberta cercò in fretta i guasti
e cominciò a calzarli, con la testa china.
Il treno si fermò a Sampierdarena lungamente. La fanciulla guardò in
basso la sfilata gaja dei molti edifizi, dispersi in una pianura
grigia e uniforme; l'ombra cominciava a scendere tristissima. Il
ricordo di Emilia, la visione della villetta, l'intuizione dello
spavento cui la sorella doveva essere in preda, vennero tutti insieme
a turbarla. Che cosa aveva fatto? Dove andava? Aveva commesso un
crimine....
Fra il brusco estollersi di quei pentimenti, una cosa sola poteva
consolarla; ella si sentiva bene, d'improvviso, quanto non s'era; mai
sentita, e irrompeva nel suo cuore una turba di speranze magnifiche,
audaci, sicure; era tuttavia molto affaticata molto languida, ma la
cosa pareva ben naturale, dopo le orribili torture. Sperava, tornava a
sperare violentemente nell'avvenire; la giovane età avrebbe trionfato
de' suoi mali nervosi.
E ritraendosi dal finestrino perchè il treno ripartiva, questa volta
per una ben lunga corsa, Roberta vide gli sguardi del compagno fissi
ai capelli di lei, biondi, copiosi, rutilanti sotto il raggio della
lampada elettrica, la quale pendeva dall'alto della carrozza e
cominciava a dar luce non contrastata dalla luce diurna.
La fanciulla gli fu riconoscente; l'attenzione del giovane significava
l'avvenire e la vita: egli doveva pensare a lei, non come a larva
moritura, ma come a donna vibrante di calda sensibilità, ricca di
delicati sentimenti.
Allora, non sapendo d'agire in modo strano, ella si abbandonò a
quell'attenzione, vi si offerse scaltramente. Perchè l'uomo non avesse
a temere d'essere sorpreso, restò col capo inclinato, ma non così che
il suo volto bianco non si vedesse, non così che i suoi occhi azzurri
paressero spenti; e si dispose un po' in obliquo sul sedile, perchè
tutta la linea dei fianchi acerbi risaltasse sopra lo sfondo
grigiastro.
Provò un gaudio nuovo, a quella dedizione capricciosa; più forte,
accorgendosi che il giovane si lasciava attirare, e la studiava,
l'ammirava con intensità, riusciva a definirla in quanto aveva di raro
e di meno atteso: l'incoscienza virginale e la civetteria mite.... La
curiosità di lui non era volgare e momentanea, ma doveva, certo doveva
risvegliare a poco a poco un sentimento, una brama di non finire così
la muta avventura.
Vi fu un istante, in cui Roberta osò levare il capo, e da tutto
l'atteggiamento del compagno vide perspicua la certezza ch'egli si
accingeva a parlare, a gettare la rete, la quale avrebbe involto lei,
e forse non lei sola, per sempre.
--Ora mi parla!--ella pensò.
Fu come un tremendo schianto, un balzo in una voragine profonda.
La fanciulla avvertì di nuovo l'orribile sapore dolciastro del sangue;
ebbe un sussulto visibilissimo, tossì seccamente due volte, e con la
fronte imperlata di sudor freddo, aspettò.
Poi, quando la prima spuma rosea comparve alla connessura delle
labbra, portò il fazzoletto alla bocca, serrandolo contro, perchè
nulla si vedesse; ma non era un filo di schiuma, e non cessava,
diffondendosi per la pezzuola, empiendole la bocca tutta, minacciando
di soffocarla.
Tossì ancòra; venne ancòra il liquido vermiglio su per la gola; e
smarrendo ogni speranza, ogni senso della vita formale, Roberta balzò
in piedi, afferrò le mani già tese del giovane, e rantolò con un urlo:
--Muoio!
L'impeto enorme del sangue proruppe, non più affievolito dal lieve
ostacolo del fazzoletto; e la figura bianca della vergine
insanguinata, ritta fra le braccia del compagno che la sorreggeva,
precipitò nella spessa ombra d'una galleria come in una voragine
profonda.

FINE.

_Bogliasco, luglio 1896._
_Blevio, febbraio 1897._
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