Roberta - 5

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molesta punta di verecondia; i suoi occhi non s'erano più vòlti a
guardare in giro, e con una mano aveva nascosto infantilmente un
piccolo nèo che le macchiava d'una macchia graziosa il petto, fra i
due seni.
Poi, di repente, all'orecchio le avevano susurrato una parola, qualche
parola imperativa per la quale ella s'era alzata, aveva asceso la
scala fino alla sommità, movendosi, non sapeva perchè, non meno
leggiadramente che se il suo corpo fosse stato protetto dalle vesti.
Nessuna delle donne al suo passaggio aveva sollevato la testa a
lanciarle gli sguardi invidi, che nella realtà le dilaniavano le
carni. Il silenzio e la penombra incombevano dovunque.
Su, a capo della scala, s'era trovata a seguire un essere bizzarra, nè
maschio, nè femmina; il volto era infantile e le membra, come fuse nel
bronzo, erano glabre, neutre.
La strana guida l'aveva condotta in una sala marmorea, radiosa di
luce.... (Emilia soffriva ancòra la sensazione del marmo freddo sotto
i piedi)...., impregnata di fragranze le quali per un attimo le avevan
dato le vertigini.... Un largo bagno tepido, più limpido del
cristallo, si apriva nel mezzo.... Emilia v'era accorsa, vi si era
tuffata: l'acqua emanava globi d'odori floreali e mormorava discreta
intorno al corpo della donna.
Allora la strana guida accosciata presso la vasca aveva dato principio
a narrare le voluttà che aspettavano Emilia.
Quali parole!... Non mai Emilia ne aveva udito di simili...! Quella
bocca dalle labbra piatte, dai denti aguzzi, sprigionava un fiume
incandescente, soffiava un vento infuocato, così le imagini erano
procaci e le parole schiumanti di lascivia.....
Ritta nell'acqua, la quale giungevale poco oltre i fianchi, e con le
braccia stese ai due lati della vasca, Emilia ascoltava: il liquido
mormorìo era cessato, ma salivano ancòra i globi di profumo; la donna
aveva conservato la sensazione del suo corpo lentamente preso da un
tremito di concupiscenza, e degli occhi dilatati quasi ad afferrare le
imagini fluenti dalla bocca del neutro narratore.... Che cosa egli
prometteva? Che cosa raccontava? A chi era ella destinata, a quale non
comune Iddio di libidine inesausta?
Il viso di lei doveva essere purpureo di vergogna, mentre il suo corpo
si dibatteva sotto la scudisciata delle cùpide visioni; più volte
l'aveva scossa l'impeto di balzar dall'acqua e di fuggire; ma la
curiosità di quella facondia sensuale la tratteneva, con le braccia
spalancate e le mani ferme ai due bordi della vasca.... Se il suo
sguardo vagava, sotto di sè ella poteva veder nel liquido cristallino
il riverbero del seno, del collo, del viso, dei capelli diffusi per le
spale; e si sorrideva, e socchiudeva le labbra ad ammirarsi i denti
piccoli ed eguali.
Le parole soffiavano intanto sopra la sua testa, fischiava il vento
infiammato delle promesse lascive.
E come avviene nei sogni in cui la personalità non è morta intera,
Emilia si diceva: «Ora, tutto sparirà; ancòra un poco e potrò
risvegliarmi e rientrar nella vita; dopo questa tortura, tutto
sparirà.»
Invece la forma umana che parlava, l'aveva afferrata intorno al busto,
le aveva passato sul petto, sulle reni, una mano accorta comunicandole
brividi inenarrabili, con una carezza nuova, con uno sfiorar di piume
sulla vibratile colonna nervosa; onde a poco a poco entro le vene ella
aveva sentito scorrere non sangue ma lava, e dalla bocca le erano
sfuggiti singulti di desiderio.... Era balzata infine dall'acqua, le
membra asciutte quasi per magìa e odoranti un balsamo più intenso dei
profumi che esalavano dal bagno.... Pronta per l'amore, era uscita,
s'era ritrovata presso la gran porta chiusa, al sommo della scala
ricoperta di tappeti doviziosi e di femmine o seminude o nude.
Allora (i polsi le battevano più forte, ricordando) s'era incontrata
nell'uomo al cui capriccio doveva sacrificarsi; e sùbito le mani di
lei avevan tentato invano di celare la nudità, ma comprendendo il
malgarbo dell'inutile movimento, era rimasta dritta in piedi, le
braccia lungo i fianchi, a testa china. Ella avrebbe detto che la sua
vita fisica si fosse in quell'istante sospesa; assorta nella
trepidanza dell'aspettazione, solo il palpito del cuore veemente aveva
segnato l'attimo d'angoscia. «Ti guarda! Non temere; sei bella.» Ma
alzando gli occhi, un grido le era sfuggito. L'uomo sorridendo le
aveva preso una mano appena per l'estremità delle dita. Ella non aveva
visto di lui se non lo sguardo; ma non s'era ingannata, o colui che
doveva possederla era ben lo stesso ch'ella amava nella realtà d'ogni
giorno. Il misterioso lavacro l'aveva così preparata all'amore di lui;
il canto fescennino ricco di promesse infernali le aveva trasfuso il
fuoco nelle vene, perchè ella gli fosse potuta giungere assetata di
voluttà, perchè non avesse più avuto requie se non fra quelle braccia,
perchè il suo corpo si fosse piegato, allacciato a rosee spire sotto
le labbra dell'uomo; perchè non fosse stata infine più nulla di
cògnito, se non una splendida forma armonizzata dalla passione.
Ed aveva seguìto l'uomo con la tremante gioia di essere costretta alla
felicità.
Ma qual terribile cosa, quale scherno satanico era avvenuto poi?
La donna bionda, a sommità della scala, si era gettata fra le braccia
dell'amante, ed egli, sollevatala in un amplesso gagliardo, l'aveva
raccolta trasportandola via.
Sulla soglia della porta invarcabile, Emilia era piombata in
ginocchio, senza il conforto delle lacrime.
Risvegliatasi dal sogno, ella girò gli occhi per la camera. La lampada
notturna era spenta, e l'alba entrava dalle finestre.
Nella mente della donna, le inconfessabili promesse cantate al suo
fianco nel bagno eran rimaste intatte, quasi scolpite sopra tavole di
bronzo; e avrebbe potuto ripeterle in un giorno di delirio; e le
davano ancòra un brividìo di cupidigia e di spavento.
Ora, con le membra estenuate di fatica, dopo il sogno molle e focoso
non aveva tardato a riaddormentarsi, cercando una tranquilla pace; e
sùbito avevan ripreso le figurazioni di malìa.
Erale parso le si fosse aperto innanzi un libro dalle pagine
smisurate, sulle quali le imagini raggiungevano quasi la dimensione
delle umane sembianze; i fogli passavano adagio, svolti da una mano
occulta.
Inutilmente Emilia, aveva tentato di staccarne gli sguardi. La
curiosità era viva; attraente il mistero dei gruppi figurati, e la
donna aveva finito per guardare ad una ad una le pagine enormi,
seguendo tutta la liturgìa d'amore, che di foglio in foglio diveniva
più mordace.
I margini erano all'intorno carichi di ornati massicci, spesse volte
intrecciantisi con l'imagine principe, avviluppandola in tale rigiro
di draghi, di convolvoli, di èdere, di gigli e di grifoni, che il
disegno centrale si faceva oscuro.
Sfilava, in principio, una serie di ritratti femminili; teste di
donne, classiche nelle vicissitudini amorose, delineate con gagliardìa
fino al busto sopra uno sfondo turchiniccio. Ognuna portava, o negli
occhi, o sulle labbra, o sulla fronte, una stimate vigorosa di
passione; ognuna aveva, in diverso grado ed espressi con diversa
perizia tecnica, il senso di vitalità esuberante, la luce
incontenibile, palese sul volto delle donne che amano l'amore e gli si
dànno senza limiti.
L'iconografia partiva da tempi lontanissimi e procedeva attraverso
tutte le epoche, attraverso tutte le nazioni. Vi erano dapprima alcuni
tipi di femmine quasi selvagge, probabilmente fantasticate
dall'artista, meglio che ricordate in una qualunque storia: seguivano
di mano in mano tipi più calmi ed evoluti, i quali avevano qualche
legame di somiglianza con le prime, nella manifestazione di un non
comune calore; e spesso i simboli mitologici rammentavano la loro
divinità, o un diadema sui capelli indicava la loro origine gentilizia
o regale.
Dai margini, i capricciosi avvolgimenti degli ornati concorrevano
talvolta a portare una nota originale, allargandosi dietro le teste
gentili a guisa di verzura iperbolica, formando con quei visi eburnei,
e quei capelli bruni e fulvi uno stridulo contrasto, creando nuovi
intrecci o qualche coppa non mai veduta, da cui sorgevano e la testa e
il busto, sveltamente.
Eran così forse passate centinaia di ritratti, ed a similitudine di
rapide meteore avevan lasciato negli occhi d'Emilia una pertinace
luminosità, lo strascico di molte scintille.
Concludeva la serie una figura di donna,--questa, tutta intera da capo
a piedi--con intorno al corpo e sulle reni avviticchiato un mostro
ributtante, verde, in forma di ragno smisurato, gli occhi
fosforescenti a fior di pelle; il quale teneva confitti i suoi
tentacoli nella carne viva della femmina, passandoli sopra le spalle a
serrarle anche i seni ed il ventre in un abbraccio furioso. I
tentacoli possedevano un rilievo quasi tattile, e la bocca era
tremenda, appoggiata alle reni della vittima, da cui suggeva sangue e
midollo. Ancòra dritta e prona innanzi, la donna s'affaticava a
divincolarsi dall'amplesso viscido, e con le braccia stillanti gocce
porporine, resisteva alla stretta che la soffocava. Sul volto,
l'impronta di raccapriccio era formidabile, la bocca aveva un _rictus_
di strazio, gli occhi schizzavano dalle orbite, e dietro la schiena la
chioma nera s'avvolgeva attorno alle branchie del mostro orrendo.
Non pareva, quello, il simbolo eterno delle anime passionali? Non era,
il mostro, una cupidità salda ed ostinata?
Ma lo sgomento del dramma terrifico era sfumato in Emilia al
succedersi di pagine liete, in cui una fantasia senza confini aveva
trovato un'espressione priva d'esitanze.
Le scene si svolgevano dissimili, gli abbracci strani e contorti, i
gruppi numerosi.
La dormente non riusciva ad afferrarli tutti. Il cuore aveva rialzato
il battito, una morsa di ferro le aveva attanagliato la gola, e con
gli occhi immobili nel sogno ella stava a scrutare.
Che cosa avveniva?
Un caos, un turbine, lo straripare di un torrente in dirotta; ed ogni
scena pareva di prim'acchito semplice e casta; a ciascun foglio, si
sarebbe detto che la fantasia stanca si fosse compiaciuta di un
riposo, disegnando idillii ed atteggiamenti pudichi.
Ma le linee si spostavano sotto gli occhi della spettatrice; il
quadro, in cui eran raccolte le cose stridenti che nella realtà si
escludono e nel sogno si sposano con tranquilla inverosimiglianza, il
quadro scopriva presto, il suo concetto afrodisiaco.
Corpi femminei e corpi maschili, antichi mostri e simboli nuovi
foggiati dall'ingegno balzano, contorni sfrontati, figure d'una
temerità insultante, ogni creazione sfolgorava linee di demoniaca
audacia.
Strette le mani, stese le braccia, aggomitolato il corpo
spasmodicamente, Emilia convergeva nel sogno gli sguardi immobili, la
bocca un po' schiusa al respiro tronco.
No, ella non avrebbe mai supposto una sì lunga scala di secreti
piaceri....
Inorridiva, e soffriva la tentazione di ridere senza fine,
d'atteggiare la fisionomia al ghigno lubrico onde si illustravano i
volti degli ossessi, che le sfilavano innanzi e le si accavallavano
nella memoria. Provava l'ambascia di un solletico mortale, abbinata
colla sensazione dolorosissima della nuca, ove l'epidermide sembrava
ristringersi gradatamente. Non poteva gridare, nè di spasimo nè di
rivolta, e tuttavia aveva informi nel cervello lo parole, e le si
aprivano le labbra e si movevano invano.
La fatica greve dell'incubo, la luce ormai chiara che, tormentandole
gli occhi chiusi, arrossava anche le imagini, finirono con lo
spossarla.
Ella vide ancòra passar due Centauri, maschio e femmina, rapidamente
in una prateria soleggiata; dell'una, intese con la vista una grossa
treccia bionda, il petto superbo; del Centauro, la rincorsa avida, il
raggiungere, l'impennarsi....
Poi il corpo d'Emilia si ribellò a un tratto, inarcandosi come un
vimine che brucia....
Ed ella battè due volte con le reni sul piano del letto....


XI.

Sembravano due ragazzi accaniti in una gara ingenua, ed eran due odii
che si cercavano, una coppia che travisava la lotta dei sessi, la
quale finisce con un abbraccio, e qui non aveva speranza di finire se
non con qualche impreveduta violenza. Tale era divenuta a poco a poco
l'intimità fra Cesare e Roberta, che il dottore e la fanciulla non si
chiamavano più coi nomi loro, ma con nomignoli bizzarri. Cesare per
Roberta era «pipistrello», e Roberta era «cavalletta» per Cesare.
Trascinato dal giuoco, egli s'era fatto più audace di lei, ed ella
doveva talora cercare un cantuccio nascosto del giardino per leggere
in pace i suoi libri; dove il Lascaris arrivava, agitando in aria un
grosso ranocchio o un ispido vermiciattolo, minacciando di
gettarglielo sulle vesti. Stavano in agguato delle debolezze
reciproche per cavarne il tema a uno scherzo o a un'insolenza; si
disegnavano il ritratto sopra un pezzo di carta, prodigando linee
buffonesche, musi spaventevoli, capelli incolti; le fogge di vestire
non isfuggivano alla critica; l'inesperienza di Roberta a descrivere
una scena e ad esporre un lungo racconto, offriva a Cesare
l'opportunità di contraffare la ragazza crudelmente. Sentivano nella
implacabile guerriglia una attrazione quasi sensuale, aspra. Cesare
aveva bisogno di tutta la sua prudenza per vigilarsi, per costringere
lo scherzo entro i confini e non eccedere.
Illuminata dal male, Roberta appariva certi giorni veramente bella: un
viso bianco e giovanile, che già si piegava a scrutare i vuoti abissi
del nulla, un corpo fragile di cui Cesare conosceva quasi intere la
forma e l'attraenza.... Poi, la giovanetta, anelante alla bellezza, si
faceva di ora in ora più seduttrice, con molta incoscienza, la quale
era un'altra seduzione; e nel giuoco sfoggiava una naturale arte
femminea, dando alla voce alcuni coloriti di preghiera e d'ironia, che
vibravano a lungo e sembravano commuovere lei medesima. Si vestiva con
cura minuziosa; aveva strappato a Emilia il permesso di portare gli
orecchini di brillanti e i gioielli inibiti ancòra alle ragazze.
Attillata, guantata, coi cappelli fantastici allora in moda,
vivificata e rosea per la piccola febbre che la distruggeva
lentamente, somigliava qualche volta a sua sorella, e, predestinata
dalla malattia, qualche volta era di sua sorella più capziosa.
--Non Le sembra,--aveva detto a Cesare un giorno, in cui era scoppiato
il temporale, e voleva ottenere ch'egli chiudesse la finestra, alla
quale ella non osava affacciarsi,--non Le sembra che La preghi
deliziosamente, con una voce da sirena?...
Aveva intrecciato le mani, composto il viso a timida umiltà, pel
timore che il Lascaris non si giovasse dell'incidente a vendicarsi
delle spesse cattiverie di lei....
Ma quella sera eran giunti anche più oltre. Per difendersi dal
fulmine, Cesare aveva suggerito a Roberta la consuetudine dei
pusillanimi che si nascondono nudi fra due materassi....
--È un'idea,--aveva aggiunto, incapace a frenarsi.--La provi.
Supponiamo che il fulmine cada nella sua camera, mentre Lei è così al
riparo; non imagina che gioia, che trionfo?
Aveva taciuto un attimo; quindi, pazzamente:
--Badi però di non dimenticare in quale posizione Ella si trova.
Sarebbe piacevole che balzasse fuori dal nascondiglio, tutta nuda, e
venisse ad annunziarmi gravemente il pericolo scampato!...
Andare da lui, tutta nuda? L'imagine s'era presentata assai monca alla
fantasia della giovanetta, ed ella non vi aveva visto se non la
comicità o il ridicolo; per questo, mentre Cesare già si mordeva le
labbra, risuonò nella camera una lunga risata, e Roberta concluse
negligentemente:
--Sì, sarebbe piacevole, Pipistrello!...
E fu tutto.
Il Lascaris la tormentava con una gragnuola di proverbii, stroppiati,
confusi, mescolato il capo dell'uno con la coda dell'altro; e
interrompeva le parole di lei per lanciare due o tre sentenze così
grottescamente camuffate, ch'ella ricordava e ripeteva.... In tal modo
infilavano discorsi strani, scintillanti qua e là di qualche lampo
d'arguzia spontanea.
Poi, di repente, l'un dei due si faceva serio e parlava di cose gravi;
ciò avveniva più spesso alla presenza d'Emilia, la quale aveva
assistito in parte al nascere della confidenza inaspettata, e non
sapeva giudicarla, attonita. La conversazione diventava saggia, ma
variata per le immancabili puerilità di Roberta; discutevano del
matrimonio, dell'amore, in termini poco definiti, perdendosi. Cesare
non poteva esprimersi compiutamente; Roberta non aveva dell'amore se
non l'idea romantica; Emilia era distratta e nervosa. Seguitavano fin
che l'abitudine della quotidiana guerriglia non li avesse ripresi, e
l'uno non avesse dichiarato l'altra incapace a qualunque ragionamento
più volgare.
Ma con abili scandagli, il Lascaris era riuscito a stabilire che,
sebbene romantica, l'idea dell'amore era completa in Roberta. Senza
madre, non vigilata da Emilia se non materialmente, in dimestichezza
stretta con altre fanciulle, Roberta sapeva e indovinava con una
perspicacia talvolta contradditoria. Non arrossiva mai fuor di
proposito; sapeva benissimo, ad esempio, d'essere vergine, e ignorava
in che cosa la sua verginità consistesse.
La conversazione seria assumeva una vivacità estrema. Cesare si levava
in piedi, camminava pel salotto, parlava come innanzi a un avversario
che si deve convincere.
La fanciulla ascoltava e prendeva poi la parola ad esporre i suoi
dubbii; la facondia dell'uomo le smagava i sogni e le toglieva il
concetto abituale della vita. La spauriva l'insistenza di Cesare nel
definir nettamente i termini della lotta, una cosa nuova per lei,
orribile nelle sue forme infinite. Ella aveva sempre considerato
l'esistenza uno scambio d'aiuti e una gara d'arrendevolezze; non
poteva piegarsi a credere specialmente nel male e a diffidare del
bene.
Le discussioni davan luogo anche a qualche episodio.
Una sera in cui parlavan di matrimonio, Cesare aveva chiesto a Roberta
quale sarebbe stato per lei il marito ch'ella avrebbe idealmente
scelto; e come la fanciulla non sapeva sbrigarsene sùbito, il Lascaris
seguitò, con una fievole punta d'ironia:
--Vediamo, per esempio: io so che sarei un marito eccellente. Se io,
dunque, la domandassi in isposa, Lei accetterebbe?
Emilia drizzò il capo, sussultando. Roberta esitava; nonostante la
confidenza, ella soffriva sempre innanzi a Cesare un po' d'impaccio, e
finita la febbre dello scherzo, era ripresa dalla tema d'offenderlo.
Infine, si decise:
--No,--disse.--Rifiuterei. Non è abbastanza idealista.
L'osservazione fece ridere il Lascaris, forse perchè si sentiva
colpito a fondo; ma Roberta aveva nascosto una verità più cruda. Per
lei, Cesare era brutto, ed ella pensava che la bellezza era quanto si
doveva cercare e portare nel matrimonio.... Ah, la bellezza eterna e
l'eterna giovanezza rappresentavano la fantasia carissima fra tutte
alla fanciulla! Solo aveva sguardi per istudiare il volto degli uomini
e delle donne, la maniera di vestirsi, gli atteggiamenti e le
espressioni....
--Hai visto che begli occhi?--domandava a Emilia, quando
passeggiavano.--Hai visto che bella figura?...
Cesare coglieva il momento in cui passava, qualche deforme, per
chiedere alla giovanetta:
--Ha visto, che bel naso?
La bellezza era il riflesso d'una grande bontà; le anime belle non
potevano stare se non in bei corpi; e non era questa l'opinione più
bambinesca di lei: arrivava fino alle ultime puerilità, fino a credere
una persona elegante assai superiore ad una dagli abiti modesti.
L'ingegno doveva avere un paludamento visibile.... E poi, con
un'inflessione di voce, con un nonnulla nel gesto o nella posa,
risaliva all'altezza della donna e alla scienza della seduzione.
Di tratto in tratto, il Lascaris aveva per l'inconsapevole morente un
lampo di vera tenerezza; la consigliava e la correggeva, quasi una
sorella....
--Andiamo, selvaggia! Andiamo, cavalletta, si tenga bene sul busto,
porti alto il capo.... Su, un poco d'energia, Lei che vuol essere
bella! Perchè s'incurva così?
--Non posso, mi lasci: sono malata,--rispondeva la fanciulla, ora
distrattamente, ora con un'esclamazione di strazio indimenticabile.
--«Sì, non ha un anno di vita,--pensava il dottore.--Perchè la
tormento?»
La condanna crudele, senza scampo, dava giusto al Lascaris tanta
libertà con Roberta. I suoi discorsi non interamente scettici, ma già
troppo scettici per l'inesperta ascoltatrice, la sua intimità ardita,
pericolosa, la quale nessuno sapeva fin dove sarebbe giunta, avevano
scosso lui medesimo; e non si liberava dal dubbio di coscienza, se non
pensando:
--«Muore: non ha dimane. Sarà almeno vissuta.»
Salvare la fanciulla non poteva; crescevagli l'odio per quel fragile e
infrangibile ostacolo alla sua passione; e tuttavia avrebbe voluto
accendere la moribonda giovanezza di Roberta, non lasciarla spegnere
così, semplice larva. In lui, simile tentazione non era nuova; spesso,
innanzi ai casi di fatali malattie con prògnosi sfavorevole, s'era
sentito spinto ad avvertir l'ammalato. Avrebbe detto volentieri:
--«Voi avete diritto a vivere diversamente da noi, che siamo sani e
rappresentiamo l'esempio e l'avvenire. Toglietevi dal volto la
maschera, gettate lungi l'ipocrisia atavica. Siete liberi!»
E pensava al terribile spettacolo di quei morituri, che avrebbero
traversato il mondo in cerca d'una plaga serena, ove sfrenar la rabbia
degli ultimi piaceri.
Ma se in tutti gli altri casi l'uomo era stato vinto dal medico, egli
per Roberta non era più il dottore che compiange e passa: aveva rapito
a Emilia qualche cosa delle sue ribellioni contro il male.
Indi, il combattente si rialzava improvviso da quelle prostrazioni
sentimentali. Egli voleva Emilia; ogni giorno il bavaglio imposto al
suo amore lo torturava vie più; Roberta doveva morire, poichè era
l'ostacolo.... Cominciava anzi a sospettare che la fanciulla si
prestasse all'anormalità dell'imprevista confidenza non per altro se
non per distrarlo e sviarlo dalla sorella.... Lo infiammavano allora
l'inquieto egoismo, la caparbietà di raggiungere un fine con qualunque
mezzo.... No: no: egli non si lasciava sviare.... La tentazione era
forte, senza dubbio: si sarebbe detto che la febbrile audacia di
Roberta dèsse l'adito a tutte le speranze. Ma Cesare nelle sue
inclinazioni, per indole e per sapere era normale: amava la sanità
quanto la bellezza, e non poteva cader vittima d'un inganno momentaneo
dei sensi.
Il giorno stesso in cui aveva secretamente fatto pervenire a Emilia
una lunga lettera appassionata, fu attentissimo a Roberta, fraterno.
Il cuore gli batteva in petto, da spezzarsi; quando Emilia comparve
taciturna e pallida, egli si sentì così goffamente intimidito, che non
osò guardarla in volto, nè dirigerle la parola.
Dovevano recarsi il giorno appresso a una gita, a Mont'Allegro. Vi
andarono, salendo da Rapallo al monte, Emilia sopra una quieta
giumenta, Roberta con un asinello piagato che l'aveva commossa sino
alle lacrime, quantunque avesse poi finito col batterlo; e Cesare a
piedi.
La guida, un ragazzotto esile e sciocco, li esilarò co' suoi
spropositi di storia e di lingua. Dava a Roberta il titolo di signora,
credendola moglie del Lascaris, e di signorina a Emilia, ch'egli
supponeva la cognata di Cesare....
--Signora, signorina, è poi lo stesso,--egli comentava col
dottore.--Io, di queste mariuolerie non m'intendo....
La fanciulla rideva a gola spiegata; anche Emilia trovava qualche
sorriso; Cesare stava presso la ragazza, lasciando la guida a fianco
della donna.
Roberta era a cavalcioni della bestia; per un malinteso, mancava la
sella acconcia, e la giovanetta aveva bravamente inforcato la sua
cavalcatura.
--Su, ritta: i gomiti ai fianchi; nella staffa, appena metà del
piede,--suggeriva Cesare, fingendo una partita d'equitazione.--Non
tormenti il puro sangue colle redini del morso: andiamo, trotto
leggiero! Battute giuste in sella!...
--Oh, insomma,--gridava Roberta, irritata e ridente.--Vuol lasciarci
tranquilli?...
A poco a poco, le dolsero i ginocchi: la presenza del Lascaris la
impacciava, togliendole la libertà di mutar positura. Infine, poichè
l'asinello s'era fermato a brucar tranquillamente l'erba, ella riprese
la sua arditezza infantile e pregò Cesare d'aiutarla a scavalcare.
Fu quello l'istante, in cui l'abitudine mentale di considerar la
giovanetta come una larva che non provava e non comunicava alcun
fluido di desiderio, spinse il Lascaris alla temerità estrema.
Egli cercò di trar Roberta d'arcione afferrandola pel busto; non vi
riuscì, e la cavalcatura avviandosi in quel punto di nuovo, Cesare non
esitò a passare una mano sotto le vesti della fanciulla, ad allargarne
le ginocchia indolenzite, e a strapparla di sella in tal modo,
rapidissimamente.
Poi la sostenne in piedi, e le disse ridendo, impassibile:
--Che nessuno lo sappia!


XII.

Per aprire il cancello cigolante, egli approfittò del fragore d'un
treno che scivolava nell'ombra notturna.
Il vento taceva; le cime degli alberi stavano tutte immote; tra i
filari degli aranci, le lucciole non trescavano più. Risonava di tempo
in tempo la caduta d'un frutto delle palme, o il gracidar già fievole
dei ranocchi, su in alto nel serbatoio delle acque irrigue.
Il giardino grigiastro susurrava con un brivido ignoto alla vita
diurna, e qualche cosa placidamente singolare era fra le lucide
frasche delle magnolie, fra le chiome dei palmizii, fra i cespi dei
fiori....
Cesare entrò.
Il passo cauto sulla ghiaia aveva risvegliato l'attenzione del cane di
guardia, che accorreva latrando. Si udiva il galoppo della bestia; e
quando gli fu vicina, Cesare la chiamò sottovoce:
--_Nero_, silenzio! Qui, _Nero!_
Il cane, un bastardo, di grandezza mediocre, nero col petto bianco,
fiutò l'uomo e tacque; si scrollò e ripartì di galoppo, mandando
ancòra qualche latrato, lontano, per chiasso.
Cesare aveva anticipato di pochi istanti l'ora del convegno. Temeva
d'incontrarsi coi figli del massaio, che lavoravan di notte al torchio
in una piccola casa rustica, dietro la villa. La villa, dal chiosco
ove il Lascaris era giunto, aveva contorni indefiniti, nell'ombra, e,
davanti, i due palmizii immobili sembravano proteggerne il riposo.
L'uomo si sentiva inquietamente felice; pregustava le delizie
dell'amore che comincia, e non possedendo ricordi d'avventure
consimili, non aveva preparato nè una frase nè un gesto; egli sapeva
che la sua passione sarebbe bastata a trascinare lui e la donna
nell'ampio cerchio di luce, in cui tutte le parole sfavillano e sono
grandi.
A mezzanotte precisa, Emilia gli andò incontro e gli tese la mano.
Teneva dall'altra la catena di _Nero_, che s'era imbattuto in lei, e
ch'ella aveva posto al guinzaglio, perchè non disturbasse oltre.
--Accenda!--disse brevemente.
Cesare s'avvide allora che sulla tavola di pietra nel mezzo del
chiosco era preparata una piccola lampada.
--Non tema,--aggiunse la donna.--Il giardino è deserto, questa notte:
gli ulivi ci nascondono interamente.
Al debole raggio della lucerna, sì guardarono.
Emilia indossava un abito bruno; per effetto della luce scialba, o per
la commozione violenta, appariva di una pallidezza mortale. Seduta
sopra un rozzo sgabello di legno, il cane sdraiato a' suoi piedi, era
una figura tragica, davanti alla quale i desiderii arditi dovevano
svanire.
Cesare ostentava una calma, che di momento in momento poteva
mancargli. Il corrugare delle sopracciglia avevagli solcato la fronte
d'una linea scura. Stava in piedi; guardava la donna con un senso di
nuova inquietudine. La sola vista di lei gli richiamava anco una volta
la tristezza, che mai non era giunto a dominare, avvicinando le due
sorelle. Su quelle giovani, su quelle fresche esistenze, il grigio
nembo del destino s'addensava; ed egli aveva voluto sfidarlo con loro,
ed era troppo tardi per isfuggire alla solidarietà paurosa.
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