Roberta - 2

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sfiora e sfugge.... Ma giungeva l'alba a quietarla, e il torpore
invece del sonno.... Si guardava nello specchio al mattino, e vedeva
sotto gli occhi puri un livido cerchio.
Anch'ella navigava per un ampio oceano di dubbii; non aveva mai
trovato chi la guardasse senza invidia o senza libidine; stupita che
tutto ponesse capo all'odio o all'amore, avrebbe voluto un senso nuovo
e tranquillo.
I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre sul disco
bianco della luna; si disperdevano, s'interrompevano, riprendevano
tutto il giorno fra lo svolgersi isocrono d'una vita femminile
incapace a mutar l'avvenire con la sola forza della propria volontà.
Emilia era votata al destino, tremendo nella sua indomabile dolcezza,
che aspetta la donna, bella e giovane. Nessuno avrebbe potuto
dubitarne; un altro uomo sarebbe arrivato a conquistarla poichè era
giovane e bella. Doveva vivere le delizie meschine dell'amore;
traversare le foreste millenarie della passione, che tutte le donne
pari a lei hanno traversato.
Ella non possedeva memorie d'amore, le quali non fossero anche ricordi
di morte. Se si chiedeva chi l'aveva baciata, si rispondeva che chi
l'aveva baciata era morto, lasciando la sua giovanezza in mezzo a un
cumulo di rovine; una chiara fonte in un parco abbandonato.
Ma da qualche tempo i sogni molestavano la sua alcova deserta, e anche
sotto la selvaggia prepotenza della luce diurna, Emilia avrebbe potuto
stendere le braccia e sentir fuggire nell'aria i fantasmi quasi
afferrabili, divenutile crudelmente familiari. Il corpo roseo tra la
pelurie bianca dell'accappatoio sembrava chiamar quei fantasmi,
nascenti dalla mollizie del bagno, ridenti nel gorgogliare delle
acque, un istante prima così funeste e minacciose.
Era la vita, l'anima incoercibile della giovanezza, da cui i raggi si
espandevano con lunga chioma di luce; sciogliendo l'accappatoio per
rivestire l'abito da passeggio, tutto il fulgore delle membra
prorompeva, saliva, stupiva ella medesima.... Quante volte non aveva
sentito che la dimane era certa, e la dissoluzione aspettava ogni sua
grazia mortale, così gelosamente ornata di cure assidue?
Ma il giorno era pigro, lentissimo, in quella campagna marina. Dal
sorgere del sole al calar della luna sembravano passare dei secoli;
dal frinire delle cicale al gracchiar delle rane, era un giorno e
un'epopea di sensazioni. Il mare solo, il cielo solo bastavano per una
sfilata gigantesca di spiriti senza nome.
La folla aveva dimenticato il piccolo paese. Non v'erano alberghi:
visto dal mare era un gruppo e una distesa d'edifici spinti fino
all'ultimo limite della terra, ove l'acqua spaziava o si drizzava
nella furia delle tempeste. Dietro il vivente ammasso di case si
snodava la strada, che dall'altro lato, verso le colline, aveva alcune
ville non illustri, coi giardini grigi per il predominio degli ulivi.
E tutti i giorni Emilia tornava, dal bagno alla villetta, ove
l'attendevano Roberta e le piccole cose le quali aiutano a precipitar
le ore: un libro, una lettera, un discorso con Roberta appena
convalescente, una passeggiata per le camere ombrose. Ma, breve come
un lampo o lungo come uno spasimo, imperava il sogno sognato ad occhi
aperti sopra una poltrona a dondolo; e le due sorelle abbandonate
nelle due poltrone, sognavano ad occhi aperti con le mani sulle
ginocchia in atteggiamento da idoli insensibili; mentre quel tempo
precipitava, che esse dovevano piangere in avvenire per l'ineffabile
attrattiva delle cose perdute.
Dì sera, il giardino era tutto una festa; certi fiori non s'aprivano
se non nell'umidità dell'ombra, ed effondevano un odor vellutato, un
odor misterioso di notte romantica ed antica. Fra i bassi filari degli
aranci, migliaia di lucciole nottiludie trescavano, vibrando i piccoli
lampi verdognoli, alternando la loro luce così, da sembrare la
fosforescenza delle acque sotto i raggi di luna. Erano disposte a
brevi intervalli sapienti; volavano e lampeggiavano ad intervalli,
s'innalzavano fin sopra la casa e ritornavano ai filari degli
alberelli e vibravano la luce mite, che bastava a inebbriarle co' suoi
giuochi puerili.
Emilia scendeva nel giardino ad aspirare il profumo selvatico delle
notti serene. Coglieva a volo nelle mani bianche e sottili qualche
lucciola sperduta e la posava tra i capelli, ridendo in su, verso
Roberta che guardava dalla finestra. I cani abbaiavano invisibili, sui
colli neri; i palmizii non si muovevano per alito d'aria; il silenzio
massimo non era calato per anco sulla terra, ma già i romori
s'affievolivano a grado a grado. In breve il sonno penetrava negli
umili edifizii, mentre tutte le cose non umane proseguivano il loro
ciclo eterno, senza fatica.
Ma innanzi al letto, Emilia si chiedeva s'ella pure avrebbe dormito.
Le pareva che inutilmente la sua alcova fosse chiusa: qualcuno vi
passeggiava in ispirito ogni sera. Inutilmente celava il suo corpo
sotto vesti senza linee: qualcuno l'aveva già posseduto in ispirito e
conosceva l'arco mortifero del suo braccio, ove la testa dell'amante
avrebbe riposato presso il seno.
Le vecchie regole morali che avevano fiancheggiate la sua adolescenza,
e a cui Emilia ricorreva per salvezza, si rivelavano goffe come una
processione di gesuiti attraverso a una folla di donna scarlatte.
Altre volte, ogni formula imperativa era agevole, un sentiero diritto
per una campagna senza sterpi; ma procedendo, a poco a poco la strada
invasa da viluppi d'erba tenace, si smarriva in una palude di verde
sdrucciolo.
E le idee scarne assolute dei tempi rosei mutavano in una fuga di
statue, a cui il cuore appendeva corone di rimpianto o di rimorso....

Così, prima che sorgesse il dramma, la giornata simmetrica si
dissolveva nel circolo del tempo.


III.

Mentre Cesare Lascaris percorreva la strada ineguale, a piccole salite
e a piccole discese, tra il villaggio e Pieve di Sori, Emilia comparve
ritornando dal bagno, per un viottolo di fianco digradante al mare.
Aveva un gaio abito lilla, e camminava con passo così leggero, che non
avrebbe lasciato orma se il terriccio fosse stato di cera liquefatta.
Portava alta la testa, un po' indietro; fra le labbra semichiuse
apparivano i denti candidi.
Ambedue i giovani eran diretti verso Pieve, a una passeggiata; da
parecchi giorni non si erano visti. Emilia gradì l'offerta
d'accompagnarla.
Imperava dovunque una molle rilassatezza. La campagna verde, a
sinistra, inturgidiva sotto il calor sensuale; oltre la strada, a
destra, il mare si stendeva ampio; e tra i due azzurri cupi del cielo
e delle acque, una vela, porporina di raggi, somigliava a una svelta
lingua di fuoco. Era uno di quei giorni frequenti, in cui la complessa
vita d'ogni cosa ha una solennità d'indimenticabile concordia; e dagli
umili ai più alti gradi della scala creativa, tutto gioisce d'un
benessere il quale sembra eterno, senza possibilità di mutamenti,
senza ricordi d'altri stati meno giocondi. Nulla rammentava il tempo,
la parabola triste, la decadenza, la morte; era nell'aria una
galoppata di note ilari, un inno d'oblio e d'impassibilità quasi non
crudele per ogni miseria.
Emilia aperse il parasole bianco a merletti: intorno alla testa e alle
spalle, le sfolgorò uno scudo rotondo, una _parma_ di luce
scintillante.
Ella sentiva la gioia d'essere tra quella pomposa gioia di vita;
Cesare al suo fianco, ritraendosi un poco, la studiava furtivamente.
Parlarono, sul principio, di cose leggère, variazioni di temi comuni
cui era troppo difficile sfuggire in quel giorno: la tranquillità
della campagna, i paragoni tra la campagna e la città, furono i temi.
Poi Emilia parlò di sua sorella.
Percorrevano allora l'ultimo tratto di strada nelle vicinanze di
Pieve; a destra, il muricciuolo di riparo era finito, e sul pendio
scendente alla spiaggia, i pini marittimi svelti s'arrampicavano,
chiudendo tra i naturali intercolunnii le trasparenti chiazze
dell'acqua cerulea.
Emilia, di tempo in tempo, guardava Cesare in volto, ed egli vedeva i
due occhi grigi sotto le ale delicate delle sopracciglia fissarsi in
lui con espressione di grande fiducia.
Molte piccole cose significanti erano avvenute, da quando la cameriera
di Emilia era corsa a cercarlo per supplire momentaneamente il dottor
Noli al letto di Roberta.
Cesare aveva preso vivo interesse alla malattia di questa, aveva
confortato Emilia con parole d'amicizia, le quali eran giunte strane e
inaspettate a lui medesimo; e allorchè Roberta s'era infine potuta
levare, l'opera del buon dottor Noli era parsa alle due sorelle ancor
meno efficace, ancor meno provvidenziale che il soccorso opportuno di
Cesare.
E,--fra le grandi cose,--dal giorno in cui la malattia aveva fatto la
sua ricomparsa, qualche legame non visibile aveva aggiogato le due
donne alla sorte del giovane; l'invitto soffio del destino aveva
sfiorato le tre esistenze.
--Dunque,--domandò Emilia, acuendo l'intensità dello sguardo,--Ella
non crede mortale la malattia di Roberta? Fra tanti medici consultati,
non uno mi ha detto chiaramente si trattasse d'etisia.... Se fosse
altro, una cosa semplice? Non è possibile? Mi dica....
Cesare pensava all'immancabile fatalità che tutti quanti sono a fianco
d'un ammalato s'ingannino sull'importanza e sui progressi del morbo.
Il bisogno di sperare è testardo nell'uomo; e Cesare aveva udito
parecchie volte i consanguinei negar l'evidenza, e gioire del
miglioramento che precede di ventiquattr'ore la morte.
--È possibile, senza dubbio,--egli affermò, dopo essersi interrogato e
risposto che non aveva alcun motivo a mostrarsi rudemente sincero.--La
signorina Roberta è assai giovane, e, oltre questo, ogni momento
s'incontrano dei casi di guarigione spontanea.
--Non è vero?--esclamò Emilia, arrestandosi un attimo.--Essa è uscita
dal letto, passeggia, si nutre volontieri; sta proprio bene.... Come
potrebbe riammalarsi?...
Cesare lanciò alla donna uno sguardo non visto. Quella fede assurda,
quell'inganno puerile, in cui Emilia cadeva, pel solo indizio che i
moribondi giacciono a letto e Roberta era in piedi, commossero l'uomo,
il quale sapeva l'avvenire. Trovò dolce essere assurdo a sua volta e
negar l'evidenza, come una sfida al domani.....
--Non dubiti,--soggiunse,--è certo che altre crisi non si
presenteranno.
--Anche il dottor Noli me lo ha fatto sperare.... Sarebbe così
terribile!--mormorò Emilia, rivedendo con la memoria la giornata di
sangue.--Abbiamo tanto sofferto, l'ultima volta!... ed io ho accolto
Lei in un modo abbastanza strano,--aggiunse mentre sorrideva quasi
umilmente.
Oh sì, in modo strano; lo pensava anche Cesare, il quale per
l'abitudine di ricercar le cause, da qualche tempo andava studiando le
ragioni che lo avevano indotto, a frequentare la casa delle due
sorelle; e aveva creduto trovarne una, nella orgogliosa necessità di
farsi ben conoscere, di mostrarsi migliore di quanto egli non fosse,
poichè ancòra gli stillava nell'animo la ferita dell'ingiusta
diffidenza.
Ma pronunziò sùbito alcune frasi comuni, per rassicurare Emilia sulla
impressione di quella accoglienza; ed egli stesso in fondo all'animo
sentiva una curiosa tenerezza per la ruvidità inabituale, che la donna
aveva mostrato nel terribile giorno di paura e di sollecitudine.
--Roberta è tutta la mia vita,--ella disse.--Quando non vi fossero tra
me e lei così stretti vincoli di parentela, basterebbe la delicatezza
della sua salute per rendermela cara, preziosa.... Per ciò, ho diritto
a sapere, come una madre; ho diritto a non essere ingannata
pietosamente.
Ancòra la franchezza delle parole piacque al Lascaris, quantunque
fosse ben lungi dal riconoscere quel diritto, o almeno la necessità di
obbedirgli.
Ella taceva, guardando alcune donne, le quali andavano a rivendere,
con un canestro di pesce o di frutta sulla testa; due carri uno dietro
l'altro, a quattro o cinque cavalli in fila, romoreggiavano
pesantemente, e nella discesa il freno guaiva sui toni più striduli.
Cesare approfittò dell'attenzione ch'ella prestava allo spettacolo
caratteristico, per osservare con qualche agio la sua compagna.
Appariva tranquillamente superba di bellezza; irradiato dal senso di
equilibrio ch'era in ogni cosa intorno, il volto calmo aveva
particolari squisiti: gli occhi grigi a mandorla ornati di ciglia
lunghe, il naso diritto con piccole narici, la bocca purissima dalle
labbra vive.
Conservava fresche le linee, che il male aveva atrofizzate o guaste in
Roberta; onde, la figura era snella, la elasticità delle membra era
nel passo libero e ritmico, nei movimenti di grazia, nella stessa
curva del braccio e della mano, con cui sosteneva l'ombrellino presso
la spalla.
Infine, coi capelli neri, potenti di attrazione, ella risvegliava
l'imagine di una donna orientale, e ancòra molte imagini di obliosa
mollezza in qualche stupendo gineceo.
--Come si sta bene, qui!--riprese, guardandosi in giro.--Noi volevamo
partir dopo i bagni, ma il dottor Noli....
--Certo,--esclamò il Lascaris vivamente.--Sarebbe pericoloso
ricondurre la signorina a Milano durante l'inverno.
--Per ciò, rimarremo. Ho già prolungato l'affitto per tutta la
stagione invernale.... Il paese è tanto tranquillo....
E s'interruppe, aspettando ch'egli dicesse se partiva dopo i bagni; ma
l'uomo tacque, sembrandogli stranamente che l'annunzio avrebbe preso
un significato d'intenzione.
--Siamo a Pieve,--egli disse, con un gesto alle case, dove la piccola
discesa moriva.--Vuole andare avanti?
--No; riposo un poco, e poi ritorno.
Emilia traversò la strada, scelse un rialzo coperto di spessa erba,
verso il mare, e sedette. Cesare restò in piedi, contemplandola.
--«Com'è bella!»--pensò fanciullescamente.
Per vent'anni di vita vera, e per dieci di professione medica, egli
non aveva conosciuto se non il piacere comune, e s'era fatta
l'abitudine di ricevere le lettere femminili che parlassero d'una
voluttà testè morta, e ne promettessero altre per la dimane.
Dell'amore, nulla più gli era noto: non gli ostacoli stimolanti, non i
contrasti gravi, non alcuna delle condizioni per le quali la necessità
fisica si purifica. Egli aveva appena assaggiato qua e là,
gustosamente.
Ma in quell'ora, a fianco d'Emilia, Cesare cominciava a provare una
specie di deliziosa angoscia, turbato dal presentimento del destino.
--Sì, è molto tranquillo il villaggio,--egli soggiunse,--e ci si
diventa molto pigri. Io non mi occupo di nulla, e non trovo tempo di
scrivere agli amici.
--Io pure,--disse Emilia sorridendo,--non ho che abitudini d'ozio....
Essi erano perduti, dimenticati in fondo al paese. I treni passavano
frequentissimi, trascinando gente ignota a ignote fortune; ma in gran
parte procedevano oltre, e non rimaneva nell'aria se non l'eco d'un
fischio stridente, e qualche latteo globo di vapore.
A mezz'ora di cammino, a Nervi, la vita era già più intensa; la
rinomanza de' suoi alberghi e la bellezza della sua marina vi
chiamavano ogni anno una varia folla di stranieri, malati d'anima o di
corpo, o abituati a climi tepenti.
E intensissima, febbrile, tumultuosa, era la vita a Genova, dove
Emilia, per unica distrazione, si recava spesso con Roberta. Lasciata
la carrozza, le due sorelle andavano a passeggio per le grandi vie e
per le viuzze stipate di botteghe, quasi ad un viaggio d'esplorazione,
su per le lunghe salite, a capriccio, felici quando arrivavan da sole
a qualche altura, che dominasse la città, il porto, il mare ampio e
multicolore. Non conoscevano persona, a Genova; non capivano una
parola dei dialetto serrato ed aspro; godevano di sentirsi forestiere,
e di passare a fianco d'una folla che le ignorava; l'andirivieni della
gente, il frastuono dei carri, la sfilata fitta dei negozii, davan
loro l'idea d'un gran mercato sempre in tumulto; e diversamente che a
Milano, ove sapevano a memoria i nomi delle ditte principali, e
credevano sapere tutte le abitudini della città,--gustavano a Genova
ogni volta qualche cosa imprevista, e osservavano l'ansia della vita
romorosa, estranee come a uno spettacolo. Sul tardi riprendevano la
carrozza per tornare a casa, raccomandando al cocchiere di non frustar
troppo. Esse temevano un poco; ma la gita le divertiva appunto perchè
le discese ripidissime, la strada spesso parallela alla via ferrata,
incutevano un'ombra d'attraente pericolo. Qualche volta, il treno le
sopraggiungeva, rapido e formidabile; e il cavallo, fermo innanzi alle
barriere, drizzava le orecchie, volgeva la testa a guardare.
Era l'attimo più commovente della passeggiata; le giovani si
stringevano la mano, sorridendo. Il mare pompeggiava, solenne di
quieta potenza; le ville davano al paesaggio la nota leggiadra o
maestosa, incensando l'aria coi profumi dei giardini, e tagliando il
cielo puro coi ricami aggrovigliati o con le punte argute degli
alberi. Di frequente il sole era tramontato, e la carrozza saliva
ancòra l'ultima ascesa tra Nervi e Sant'Erasmo; i monelli sulle porte
schiamazzavano; qualche carro, con le ruote pesanti affondate nel
terriccio, ingombrava la strada, e nella penombra risonavano gli
aizzamenti gutturali degli uomini, i tintinnabuli dei muli e dei
cavalli inarcati a trarre il veicolo. Arrivavano a casa, le due
sorelle, quando già i fanali modesti fiammellavano sul verde cancello
del giardino; correvano, salivan presto le scale, trovavan l'uscio
spalancato e la cameriera impaziente. Sulla tavola lumeggiata da
un'alta lucerna a colonna, la tovaglia, il vasellame, le posate
mandavano bagliori; e la serata cominciava, tutta bella d'intimità.
Non v'erano se non i radi colpi di tosse, che potessero mettere sul
volto d'Emilia una nube fugace....
--Vuole che torniamo?--disse a un tratto la donna, alzandosi e
incamminandosi.
Essi ripresero la via, involuti nella sensazione della complessa
irresponsabilità delle cose, la quale sovraneggiava ovunque.
--I suoi amici stanno a Milano?--riprese quindi Emilia, più audace
perchè rifletteva sempre troppo tardi.
--Quasi tutti,--disse Cesare.--Ma veri amici non ne ho: colleghi,
compagni di studii, conoscenze: legami, infine, che non resistono alla
lontananza....
Mandò un respiro di sollievo, perchè gli sembrava d'aver detto molto
con la parola _legami_.--«Avrà capito?»--si chiedeva, studiando sul
viso d'Emilia l'impressione della risposta.
Ed Emilia, che camminava con lo sguardo a terra, parve ergersi più
dritta, liberata da un peso invisibile; alzò gli occhi, incontrò gli
occhi del Lascaris, e si trattenne a forza per non sorridergli.
--«Com'è bella!»--ripensò questi, un po' umiliato di non trovare altro
per lei.
Ella non era corpo soltanto, ma uno spirito, un pensiero, un'anima; e
tuttavia dal cuore di lui non salivano con violento impeto, se non
quelle tre parole, che l'avrebbero fatta arrossire, s'egli le avesse
pronunziate.
Emilia fu punta da un brusco rimorso. Aveva dimenticato Roberta.
Perchè aveva potuto dimenticarla e parlarne tanto poco e non insistere
sulla guarigione inattesa?
Disse allora, con voce tutta diversa:
--Dunque, è ben certo, signor Lascaris, che possiamo considerar salva
Roberta? Non v'è pericolo d'una ricaduta, d'un peggioramento
subitaneo?...
Preso all'impensata, in mezzo a visioni così lontane dalla malattia,
dalla morte, da quella giovanetta, ch'egli considerava col dispregio
compassionevole d'un artista per un bel quadro screpolato, Cesare ebbe
la tentazione abbacinante di gridare ad Emilia:
--«Non legarti a lei; è condannata. Tu sei per la vita, ed ella è per
la morte. Tu hai i diritti di quelli, che il genio della specie ha
creato a tutela della sua purezza, e Roberta ha i doveri di rinunzia,
che il suo male e il pericolo del contagio le impongono».
Esitò un lampo a rispondere, e già Emilia s'era arrestata, esclamando
con voce angosciosa:
--Ma Lei non m'inganna, dottore? Non avrà coraggio di farmi sperare
nell'assurdo, se fra poco?... Non m'inganna, non m'inganna?...
Il grido confermò Cesare nell'assoluta necessità d'ingannare. Le ansie
precedenti una catastrofe sono tutte inutili, e più torturanti per
l'incertezza del giorno e del modo. S'egli avesse detto la verità, da
quell'ora Emilia sarebbe vissuta in uno strazio continuo, col dovere
continuo di portare una maschera intollerabile di fronte all'ammalata.
Quando l'inganno non fosse stato più possibile, egli l'avrebbe
confortata, dimostrandole la carità dell'antica menzogna.
Afferrò dunque la mano stesa dalla donna quasi ad implorare, e
stringendola nella sua, rispose con fermezza:
--Le dò la mia parola, signora, ch'io non dubito dell'avvenire.... La
signorina Roberta è guarita....
--Quanto le sono grata!--esclamò Emilia, riprendendo il cammino a
fianco di lui.
Poscia cedettero senza rimorsi al piacere di parlar di sè, obliando
un'altra volta la fanciulla. Quando passarono innanzi al viottolo
digradante al mare, pel quale Emilia era comparsa e s'era incontrata
col Lascaris, lo guardarono ambedue un istante, e trovarono bellissima
la scorciatoia stretta, impedita qua e là dagli arbusti scortesi.
Parlarono degli amici, figure scialbe divenute più pallide in
quell'ora di porpora.
Emilia descrisse le sue conoscenti, sfiorandole con la satira
femminile; Cesare usò la satira maschile, un po' rude, che aveva
talvolta la gravita d'un rancore; e l'iconografia servì a riempire
qualche lacuna, accennando ai luoghi visti in tempi diversi da
ambedue, e alle persone conosciute dall'uno e dall'altra.
Infine, l'ultimo tratto di strada fu silenzioso, angustiato dal
prossimo breve distacco e dal problema d'occupare la giornata, il cui
inizio era sorto pieno di vibranti speranze, di tremanti desiderii.
Ammirarono insieme il ponte della ferrovia, a cinque grandi arcate, le
quali incorniciavano cinque enormi quadri d'orizzonte, d'azzurro, di
verde e di casupole: sfida insostenibile alla meccanica arte umana.
Cesare accompagnò Emilia fino all'ingresso della villetta,
spalancandole innanzi il robusto cancello che cigolava.
Dall'ombra dei palmizii uscì incontro ai due giovani la figura curva e
malaticcia di Roberta; si avanzava adagio, svogliata, trascinando seco
una folla di disgusti, e fra le mani teneva un gran libro di racconti
fantastici.
La fosforescenza, ch'è nel sorriso e intorno al corpo degli
innamorati, si spense tosto intorno a Cesare e ad Emilia.


IV.

Da quel giorno, i pensieri di Cesare Lascaris si fecero così duttili e
balzani, ch'egli avrebbe potuto comporne un facile poema, se avesse
avuto l'espressione letteraria e la pazienza d'arrestare gli
scoiattoli molleggianti sulle branche della fantasia.
La fantasia gli divenne più elastica, e dovunque gli presentò visioni,
lo deliziò coi gesti ricordati della donna e con la melodia della voce
femminile; il paesaggio gli riapparve asservito alla bellezza di lei;
più che quadro, umile cornice.
E visse tra una flora mortifera di figurazioni sensuali.

Erano gli occhi grigi, ch'egli prediligeva? E i capelli bruni, e la
giovanezza, e il corpo alto, sottile? Sì, era tutto questo.
Nell'animo di lei voleva un'indefinita stanchezza, come per atavismo?
Voleva quell'ingenuo senso della vita, che disarma una donna e la dà
intera all'uomo capace di dominarla? Sì, tutto questo voleva.
Ma tutto questo era in colei, la quale il destino gli aveva offerto
nella solitudine della mite campagna. La sua vista gli aveva dato una
tortura insoffribile.
Sarebbe dovuto passare per la solita trafila, prima di giungere a lei?
Aprirle le braccia, non doveva bastare? Si sarebbe offesa, s'egli le
avesse chiesto un bacio senza averle mai parlato d'amore? La sua
bellezza l'attraeva così, ch'egli aveva vergogna di perdersi in lunghe
e successive preghiere.
Perchè non comprendeva ch'egli l'avrebbe amata sempre? Qualcuno
intorno a lei, poteva farsi amare e rapirla?
Essa era tutti i profumi più voluttuosi, tutti i suoni di una lenta
orchestra invisibile, tutta l'iride dell'amore, tutte le promesse dei
paradisi orientali.
Egli doveva dirle che per lei avrebbe dato il suo sangue, la sua vita,
il suo orgoglìo; che avrebbe abbandonato gli amici, sfidato il mondo,
portato superbo il più greve giogo da lei imposto; che avrebbe
rinnegato ogni fede, e avrebbe avuto la sua sola fede, la sua
religione.
Sì, tutto questo doveva dirle; farla sorridere e pensare, turbarla,
agitare le sue notti con visioni ardenti.
Ch'ella non avesse più requie se non fra le sue braccia.
Che gli giungesse assetata di voluttà. Il bacio dell'uomo le avrebbe
comunicato un sì lungo spasimo di piacere, da toglierle la
percettibilità d'ogni altra sensazione; e il suo corpo si sarebbe
piegato, contorto, allacciato a rosee spire sotto le labbra di lui.
Non doveva essere più nulla di conosciuto, se non una splendida forma
armonizzata dalla passione.

Ma eran parole o intricate formule di magìa, capaci di denudare colei?
Dove le avrebbe egli scoperte, in qual lingua, fra quali documenti di
anime appassionate?
Era dunque possibile che le agili e bianche dita salissero al corpetto
e intonassero la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano?

E tuttavia qualcuno l'aveva già posseduta.... Quale uomo? Un uomo
scomparso, travolto nell'eternità, lasciando ad altri, per altri, il
fiore da lui appena schiuso e intravisto.... Ma da tempo sì
lontano--(la voluttà più astuta non lascia traccia se non in ricordi
simili a pigmei, i quali corrano dove son passati i giganti)--da tempo
sì lontano, che il corpo della donna era puro, immemore, e i frutti
del suo seno avevano obliato le labbra tremanti del maschio.

A pranzo in casa di lei, un giorno Cesare potè contemplarla
perdutamente e vivificar le limpide acque della fantasia, in cui
l'imagine d'Emilia si rispecchiò senza più timore di venir cancellata.
Fu un pranzo al chiaro di luna, perchè cominciato assai tardi
aspettando il dottor Noli, che giunse nella penombra del grasso
pomeriggio estivo. La luna, sorta dietro le rocce di Portofino,
interamente rossa in un guazzo rosso a filamenti, era nell'ascesa
diventata a mano a mano pallida, aveva preso la sua espressione di
bamboccio anemico e imbronciato. Al momento di chiuder la finestra e
d'accendere, i raggi entrarono inattesi, le lampade furono
dimenticate, e il pranzo continuò tra il pulvìscolo argenteo.
In faccia a Cesare, Emilia apparve quasi un busto marmoreo.
Pel cielo correvano alcune nuvole fioccose; non velavano ma attutivano
il raggio, facendolo più molle e più serico. La luna restava sullo
sfondo cilestrino a guardar dolente le nubi che sfilavano,
disperdendosi in forme rapide e balzane.
Emilia si levò, mentre sull'astro le nuvole gettavano il velo
traslucido; e si rivolse a prendere un Trionfo d'argento che non
avevan ricordato di porre in tavola. Ritta allora così, col Trionfo
carico di tonde pesche mature e di grappoli d'uva ricadenti, la donna
si fermò innanzi alla finestra, giusto nel punto in cui succedeva alla
gradazione della luce pulviscolare, una più tenue e morbida. Fu
illuminata intera, tra una gloria di bianco lucido, di bianco latteo,
e di bianco....; parve più alta, la testa cinta nel diadema di
nerissimi capelli, gli occhi grigi dilatati dalla notte; una divina
statua.
Cesare fu preso dal bisogno istintivo di parlar sottovoce, d'ascoltar
qualche racconto strano e cadenzato, il quale, come un fresco
ragnatelo d'argento, gli avvolgesse il cuore....
Si rattenne a pena dall'esprimere l'idea bizzarra, per quei due,
Roberta e il dottore, che continuavano a vivere la vita normale. Ma
ebbe il sottil gaudio di penetrar lo spirito d'Emilia, di sentirlo
inebbriato dalla scena fantastica. Anch'ella era lontana dalla vita
normale, in quella sera avvolta nel ricco manto della luna; quasi il
pulviscolo bianco le fosse passato attraverso le carni, dando
all'anima di lei una luminosità maravigllosa, una chiara gaiezza,
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