Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4 - 2

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Alcune case hanno piccoli giardini, ma in generale non vi si trova alcun
vòto considerabile; onde sopra un'estensione assai minore di quella
della Mecca, contiene, per quanto mi fu detto, circa 30,000 anime, senza
contare la popolazione dei sobborghi della città.
Non ho veduto in Gerusalemme alcuna piazza propriamente tale, ed i
pubblici mercati e le botteghe sono lungo le strade. Abbondanti vi si
trovano i viveri ed a buon prezzo: una mezza dozzina di polli, per
esempio, pagasi una piastra spagnuola. Il pan comune è una specie di
cattiva focaccia, ma trovasene ancora di assai buono; come pure ottimi
legumi, erbaggi, frutta, e squisite carni.
Essendo quasi centrale fra l'Arabia, l'Egitto e la Siria, è assai
frequentata dagli Arabi di questi paesi, che vi fanno il loro commercio
di cambio. Il principale ramo di commercio attivo della Palestina è
quello dell'olio; ma l'importazione del riso, che tirasi dall'Egitto
bilancia l'esportazione dell'olio.
I pesi, misure e monete sono le medesime degli altri paesi Turchi; e la
piastra spagnuola vale quattro pezze turche e mezzo, ossia cento ottanta
parà.
Pochi e di cattiva qualità sono i cavalli della Palestina; molti e
ottimi i muli, benchè alquanto piccoli. Gli asini cedono in bontà a
quelli dell'Arabia e dell'Egitto, e non si fa frequente uso dei
cammelli.
Benchè assai lontane dalla perfezione, le arti vi fioriscono più che
alla Mecca; ma le scienze vi sono affatto sconosciute, e le più
ragguardevoli persone, che pur vogliono parer costumate, versano nella
più profonda ignoranza. La lingua Araba è la più comune, ma vi si
pronuncia alquanto diversamente che nell'Arabia, accostandosi
all'accento turco.
Contansi in questa città settemila musulmani, de' quali duemila abili
alle armi; più di ventimila cristiani di diversi riti: maroniti, greci
uniti, greci scismatici, cattolici latini, armeni ec. Pochissimi sono i
Giudei nell'antica loro patria.
Quantunque gli abitanti di Gerusalemme, appartenendo a diverse nazioni,
e seguendo culti diversi si disprezzino internamente gli uni gli altri;
pure perchè i cristiani sono assai più numerosi, vi regna una certa
eguaglianza tanto nelle relazioni commerciali, quanto negli affari
domestici, e ne' divertimenti. I seguaci di _Gesù Cristo_ vedonsi uniti
coi settatori di _Maometto_, e questa mescolanza è cagione d'una più
estesa libertà che in tutt'altra città musulmana.
Il governo di Gerusalemme viene affidato ad una persona del paese, che
porta il nome di _Scheih el Rele_, o di _Hhakim_; ed il giudice civile è
sempre un Turco mandato da Costantinopoli che cambiasi ogni anno. Vi è
inoltre un governatore del castello, il capo del tempio, il Muftì o capo
della legge, i quali tutti hanno le particolari loro attribuzioni.
In aggiunta di pochi soldati, Gerusalemme può contare sopra duemila
musulmani in istato di portare le armi. È circondata di mura merlate
assai alte, fiancheggiate di torri; ma incapaci di resistere al cannone.
Ho già fatto osservare, che questa città è circondata in più lati da
precipizj: negli altri luoghi si supplì a tale difesa naturale con fossi
artificiali.
Quando si considera da prima Gerusalemme, circondata da precipizj e da
alte mura di pietre tagliate ben conservate, e ricoperte da numerosa
artiglieria, con una fortezza di bella e solida costruzione, e ben
provveduta di mezzi di difesa; se si fa attenzione al ragguardevole
numero di difensori che può dare la sua popolazione, si è tentati di
crederla quasi inespugnabile: ma esaminandola più posatamente, svanisce
la prima illusione, e si trova incapace di lunga resistenza, perchè per
la topografia del suolo non è possibile d'impedire l'avvicinamento del
nemico, ed è signoreggiata quasi a vista d'uccello in distanza del tiro
di fucile dal monte Oliveto.
La montagna su cui è fabbricata Gerusalemme è affatto sterile, ed è
composta d'una roccia cornea o basaltica, facente transizione al trappo,
come quasi tutte le montagne del vicinato.
La sua ragguardevole elevazione sopra il livello del mare è cagione
della freddezza del clima quantunque vicinissima al tropico. Nel mese di
luglio il termometro esposto a mezzo giorno non segnò più di 23° 5′ di
_Reaumur_, e la mattina scese fino a 17° 3′. Il vento fu sempre
occidentale, e l'atmosfera variabile. Mi fu detto che nell'inverno cade
molta neve, e molta pioggia.
Vi trovai pochi vecchi, ma per altro più che alla Mecca. Le persone del
paese osservarono che gli anni più abbondanti d'olive sono quelli ne'
quali cade molta neve.
Io ho osservato che il vento vi acquista una straordinaria rapidità.


CAPITOLO XLVI.
_Ritorno a Giaffa. — Tragitto ad Aeri, e descrizione di questa
città. — Il monte Carmelo. — Viaggio a Nazaret. — Notizie
intorno ai monaci di terra Santa._

Partii da Gerusalemme ad otto ore e trequarti del mattino il 29 luglio
1807, per ritornare a Giaffa, strada che aveva fatta venendo in tempo di
notte. Dopo la scesa di lunghissima fila di colli, giunsi alle dieci ore
in fondo alla valle, ove trovai un ruscello ed un ponte di due archi; a
poca distanza in su la diritta il villaggio _Alioune_, e presso alla
strada le ruine di un antico tempio.
Di là salito sulla sommità di altre montagne, passai alquanto prima
delle undeci ore presso alle case di Kaskali, poi sceso un poggio, e
salitone un altro, mi trovai in sul fare del mezzogiorno a
_Kariet-el-Aaneb_, villaggio meritevole di essere veduto per una bella
antica chiesa a tre navi, ora abbandonata, e ridotta ad uso di stalla.
Da _Kariet_ montando ancora tre quarti d'ora, si giugne sulla sommità
della montagna detta _Saariz_, appunto nel luogo ov'ebbi l'incontro dei
due vecchi gabellieri. Era stato loro detto essere io figlio
dell'Imperatore di Marocco; onde, pentiti dall'accaduto, mi aspettavano
per iscusarsene, e vedutomi, mi vennero incontro baciandomi le mani, i
piedi e la testa. Mi pregarono a scendere da cavallo, e ad aggradire un
magnifico pranzo preparatomi presso ad una bella fonte, di dove vedesi
il mare.
Poi ch'ebbi mangiato, presi congedo da questi buoni vecchi, e continuai
questa penosa strada a traverso di aspre montagne fino ad Abougos, posto
in miglior paese, ed alle sei ore arrivai a Ramlè. Le montagne di
Gerusalemme fino ad Kariet sono quasi affatto sterili; a Kariet
incominciano le vigne, poi piantagioni d'ulivi, e belle foreste di
alberi fino ad Abougos La soggetta pianura era tutta coperta di frumento
già mietuto, di tabacco, e di frumento della Guinea.
All'indomani 30, partii alle cinque ore e tre quarti, e prendendo la
strada di Far e Nazour, arrivai verso le nove a _Giaffa_, piccola città
regolarmente fortificata, capace di buona difesa, e provveduta
d'artiglieria, con guarnigione turca e mogrebina.
Il porto non ammette che i piccoli bastimenti che fanno il cabotaggio
della Siria, ed i grandi restano in rada sopra una sola ancora per
prendere il largo al primo vento essendo la costa troppo aperta.
M'imbarcai la stessa sera sopra un battello che fece vela alle nove
della sera, e scesi a terra nel porto di S. Giovan d'Acri il giorno
susseguente.
Questa piccola città, dai musulmani detta _Akka_, assai celebre in tempo
delle Crociate per la comodità del suo porto, si distinse ultimamente
per la bella difesa fatta contro i Francesi; dopo la quale epoca le sue
fortificazioni vennero notabilmente migliorate. Il suo porto è molto
angusto, ma la rada può contenere numerose flotte. La sua moschea
fabbricata dal Pascià _Diezzar_ è tanto gentile, che si assomiglia più
ad una casa di delizie, che ad un tempio.
Altra volta era provveduta di eccellente acqua che derivava da lontana
sorgente; ma il governo turco non ha fin ora pensato a rimettere
l'acquedotto rovinato dai Francesi in tempo della spedizione d'Egitto:
onde gli abitanti sono ridotti a bere l'acqua de' pozzi carica di
salenite, e pesante come il piombo.
_Diezzar_ Pascià, per quanto mi fu detto, diede prove in tempo
dell'assedio de' Francesi, di valore e di fermezza; ma egli era
mamelucco, ed educato soltanto nel mestiere delle armi, onde fu estremo
nel male e nel bene, non conoscendo la via di mezzo.
Gli Europei hanno in Acri molta libertà, e vi sono rispettati assai,
tanto dal governo che dagli abitanti turchi ed arabi. La città è situata
nel lato settentrionale d'una vasta baja in faccia al mezzogiorno: e nel
tempo della mia dimora il caldo era insopportabile. All'estremità
meridionale della baja vedesi il monte Carmelo che prolungasi nella
direzione di E. O. fino al mare, ed ha sulla cima un monastero greco
dedicato a _S. Elia_, ed un altro più basso dei cattolici sotto lo
stesso titolo, e tra l'uno e l'altro una moschea turca parimenti sacra
al Profeta _Elia_.
Il 6 agosto decisomi di andare a Nazaret, mentre in compagnia di alcuni
amici usciva di città, fui attaccato da una vomica spasmodica, dalla
quale mi liberai in poche ore con una dose d'emetico, che fortunamente
conservava ancora nella mia piccola spezieria. Fu questo il terzo
attacco di bile ch'io soffersi in trentotto giorni, il primo al Cairo,
ed il secondo a Gerusalemme.
Mi posi in viaggio il giorno 7 alle sei ore del mattino, prendendo la
strada all'est per un terreno prima piano, poi montuoso, di tratto in
tratto coperto di alti alberi, e sparso di casali circondati da campi e
da prati. Trovandomi ancora assai debole camminava lentamente temperando
la noja della strada coll'osservare le numerose greggie che pascolavano
su quelle pendici.
[Illustrazione: VEDUTA DEL MONTE CARMELO DALLA PARTE DI S.
GIOVANNI D'ACRI.]
Non arrivai a Nazaret prima delle quattro della sera, quantunque non sia
distante che sei ore da S. Giovanni d'Acri; ma io era forzato di andare
lentamente, e di prendere riposo ogni due ore. Andai ad alloggiare nel
convento de' Francescani posto nel sito in cui la Vergine fu visitata
dall'Angelo _Gabriele_.
_Nazaret_ di Galilea è città aperta, fabbricata sul pendio d'una
montagna volta a levante, popolata da circa mille Turchi, e da
altrettanti Cristiani. Gli abitanti approfittano del pendio del suolo
per cavare delle camere nella roccia di modo che ogni casa ne ha una
parte sotterranea. Tra i Cristiani i cattolici romani sono di lunga mano
più numerosi di quelli degli altri riti, che pure vivono in buona
armonia. Le donne musulmane sortono col volto scoperto, e le feste e le
allegrie sono comuni ai due sessi, ed agli individui di tutte le
religioni.
La carne, i legumi, o frutta, l'acqua, il pane, tutto è bonissimo
specialmente nel convento. I monaci vi godono piena libertà come in
Europa: portano pubblicamente i sacramenti agli ammalati, e sono
sommamente rispettati dalle persone di ogni culto, perchè la loro
condotta è veramente esemplare e meritevole della riputazione di cui
godono.
Il convento è un grande e bello edificio solidamente fabbricato, e
capace di una buona difesa militare. In mezzo alla chiesa assai gentile,
vedesi una grande scala di marmo che conduce alla grotta ove si effettuò
il grande mistero dell'incarnazione. Per due anguste scale si monta
all'altar maggiore posto sopra la rupe che forma la volta della grotta,
e dietro all'altare trovasi il coro de' monaci; cosicchè questa chiesa è
formata di due piani, quello della grotta nel fondo, l'altro del corpo
principale della chiesa in mezzo, e l'ultimo dell'altare maggiore e del
coro nella parte più elevata. Al di là del coro vedesi pure un altro
piano in forma di tribuna, occupato da un eccellente organo.
Un'angustissima scala fa capo ad un'altra grotta, che si suppone essere
stata la cucina della Vergine, per esservi in un angolo una specie di
focolajo. Altra scala, egualmente stretta, comunica coll'interno del
convento. Questo convento è composto di tredici religiosi, nove de'
quali, compreso il prelato, sono spagnuoli.
I Musulmani credono anch'essi la verginità di _Maria_, e la miracolosa
incarnazione di _Gesù_, spirito di Dio, per l'intromissione dell'Angelo
_Gabriele_; e venerano il luogo santificato da questo grande mistero,
ove vengono frequentemente a fare le loro preghiere. Un giorno vidi una
numerosa processione di montanari maomettani venire accompagnati dalla
loro musica per presentare un fanciullo alla _Vergine_, tagliandoli la
prima volta i capelli in chiesa.
Mezza lega al S. O. della città avvi un luogo detto _precipizio_, che è
propriamente una gola delle montagne di Nazaret sopra la valle
d'_Estrelon_; accanto alla quale la montagna è tagliata a picco dalla
cima al fondo. La tradizione del paese vuole, che i Giudei conducessero
_Gesù Cristo_ in questo luogo per precipitarlo, e ch'egli si salvasse
rendendosi invisibile. Non molto al di sotto della sommità fu cavato un
altare nella rupe, al quale una volta all'anno vi si reca il popolo per
celebrarvi una messa; al quale oggetto fu fatta una strada che
attraversa il precipizio.
Nella valle d'Estrelon avvi un vasto e popolato villaggio dello stesso
nome, ove fu data la celebre battaglia di Nazaret.
Dietro le più autentiche notizie ch'io mi sono procurato in sul luogo,
guarentisco il seguente stato de' monaci cattolici romani in Terra Santa
{ 40 a S. Salvatore,
{ de' quali 25 Spagnuoli
A Gerusalemme { 11 a S. Sepolcro, 8 Spagnuoli
{ 10 a S. Giovanni, tutti Spagnuoli
A Ramlè, o Rama 3 tutti Spagnuoli
A Betlemme 10, 7 Spagnuoli
A Taffa 4 tutti Spagnuoli
Ad Acri 4, 1 Spagnuolo
A Nazaret 15, 9 Spagnuoli
Ad Aleppo 9 tutti Italiani
A Tripoli, Arizza e Latakia 3 Italiani
A Larnica in Cipro 5 Italiani
A Nicosia _ibidem_ 3 Spagnuoli
——————————————————————————————
Totale N.º 124 monaci dei quali
79 Spagnuoli
A Seida avvi un convento pei monaci Francesi ora disabitato. Inoltre
trovansi in Levante quattro altri conventi separati dal corpo di Terra
santa: cioè
Quello di Costantinopoli N.º 4 monaci Spagnuoli
Del Cairo di 8 monaci Italiani
D'Alessandria di 2 _idem_
Di Rosetta di 1 _idem_
——————————————————————————————
Totale N.º 15 di cui 4 Spagnuoli
Le contribuzioni ordinarie che i monaci pagano ogni anno al governo
turco, sono così regolate
Al Pascià di Damasco piastre lir. 7,000.
Allo stesso il solo convento di Damasco 1,000.
Al Pascià d'Acri 10.000.
————————————
Totale lir. 18,000.
Oltre le ordinarie sono inoltre costretti di pagare altre eventuali
contribuzioni, e gratificazioni ai governatori, ec. Il solo Muftì di
Gerusalemme ha esatte nel corso di otto anni 40,000 piastre.
Il panno, di cui vestonsi i monaci vien loro spedito dalla Spagna e
dall'Italia; come pure il cuojo di cui fannosi in paese i loro sandali.
In fine può dirsi, generalmente parlando che i cristiani latini, i quali
in altri tempi sconvolsero il mondo per impadronirsi dei luoghi Santi,
li hanno adesso talmente abbandonati, che senza i soccorsi della Spagna
non sarebbevi alcuno stabilimento del loro rito.
Anche la Francia contribuisce al loro mantenimento colla protezione del
suo ministro a Costantinopoli; ma questa non toglie che i governatori
turchi non vessino di continuo i monaci di Gerusalemme per cavarne
denaro: talchè passano la vita in perpetui travagli, e sono veri martiri
del loro zelo.
Poichè lo stabilimento de' religiosi cattolici romani in terra Santa
arreca grandi vantaggi agli abitanti di questi paesi, io non temo di
raccomandarli alle potenze d'Europa. La diversità dei culti deve
dileguarsi innanzi agli occhi del filosofo che desidera il bene della
umanità: e questo è il sentimento che dirige le mie azioni, e la mia
penna. Senza grandi sacrifici si potrebbe rendere assai migliore la
sorte di queste virtuose vittime dello zelo religioso.


CAPITOLO XLVII.
_Viaggio a Damasco. — Monte Tabor. — Mare di Galilea. — Fiume
Giordano. — Paese vulcanizzato. — Damasco. — Popolazione. —
Grande moschea. — Bazar o mercati, e manifatture._

Partii da Nazaret il giorno 19 agosto in migliore stato di salute, che
riconosceva da quel felice clima, e dopo due ore di cammino fra le
montagne, arrivai a Canaan, celebre pel miracoloso cambiamento
dell'acqua in vino. Da questa piccola città che può contenere al più
cinquecento famiglie, scesi in una valle alla destra del Tabor, montagna
di ragguardevole elevatezza, ove accadde la trasfigurazione di _Gesù
Cristo_, ed alle di cui falde i Francesi diedero la famosa battaglia del
_Monte Tabor_. Dai colli che chiudono la valle a N. E. vidi l'estremità
del mare di Tiberiade, di Galilea; e feci alto presso al villaggio
Stheltinn.
Il giorno 20 dopo aver passata una stretta gola tra le montagne tutte
coperte di boschi, mi trovai quasi sulla spiaggia del mare di Galilea,
che ha sette in otto leghe di lunghezza dal nord al sud, e due leghe di
larghezza. Questo bel catino d'acqua circondato da alte montagne;
l'atmosfera carica di grosse nuvole ammonticchiate che lasciavano appena
sfuggire di quando in quando qualche raggio di sole; la città di
Tiberiade, famosa per le sue acque termali posta sulla riva occidentale;
finalmente il monte Tabor che signoreggia le circostanti montagne,
presentavano ai miei occhi un'interessante veduta animata da numerose
greggie che pascolavano in ogni lato.
La costa settentrionale di questo mare è tutta coperta di basalte, di
lava, e di altri prodotti vulcanici: di modo che se le altre rive da me
non vedute sono composte delle medesime materie, non sarebbe fuor di
luogo il credere che il mare di Galilea fosse altre volte il cratere di
un vulcano.
Salendo il pendio di N. N. E. vedemmo alcuni Bedovini a cavallo, che
osservandomi in atto di difesa non osarono di attaccarmi. Presi riposo
alle nove ore del mattino nel _Khan_, ossia casa del profeta _Giuseppe_,
ove trovai un corpo di soldati mogrebini d'Acri, ed una cisterna
d'eccellente acqua; a quaranta passi dalla quale sono le ruine di una
altra, che la tradizione dice essere quella, in cui i figli di
_Giacobbe_ rinchiusero il fratello _Giuseppe_ avanti di venderlo ai
mercanti Ismaeliti. Ripresi il cammino alle dieci ore, e giunto sulla
sommità d'una collina a N. N. E. mi si aperse innanzi un nuovo orizzonte
di dove vedeva scorrere in profondo letto il fiume Giordano. Ad un'ora
dopo mezzo giorno giunsi al ponte di _Giacobbe_ (_cantara Yacoub_) di
tre archi acuti di pietra sul Giordano, con un'antica fortezza alla
testa occidentale allora occupata da un distaccamento di soldati del
pascià d'Acri: ma circa sessanta passi al di là trovai altro corpo di
soldati del pascià di Damasco. Queste due guarnigioni poste ai confini
dei rispettivi governi, quantunque egualmente composte di turchi, pare
che appartengano a differenti nazioni; tale è lo stato di indipendenza
dei Pascià, e l'anarchia che regna nelle provincie dell'impero ottomano.
In questo luogo il fiume Giordano può avere sessantaquattro piedi di
larghezza, e non è molto profondo, ma scorre rapidamente. L'acqua
quantunque alquanto calda è buona, e le sue rive sono coperte di giunchi
e di altre piante palustri. Siccome noi altri musulmani conserviamo una
particolare riverenza per questo fiume, non mancai di bagnarmi, e di
bere della sua acqua a sazietà. Fui qui raggiunto da una carovana assai
numerosa, colla quale feci alto sulle rive del fiume.

_Venerdì 21._
Partimmo alle quattro e mezzo del mattino, e dopo un lungo e disastroso
viaggio per luoghi alpestri, indi per una sterile campagna, entrammo in
una piccola macchia, in fondo alla quale trovasi sopra un poggio il
villaggio di Sassa, ove si passò la notte.
I campi Flegrei, e tutto quanto può dare un'idea della distruzione
vulcanica, non sono che una languida immagine dell'orribile paese
attraversato questo giorno. Dal ponte di _Giacobbe_ fino a Sassa il
terreno è composto di lava, di basalte, e di altri prodotti vulcanici:
tutto è nero, poroso, tarlato, sicchè ci pare di viaggiare in una
regione infernale: ma particolarmente presso Sassa vedonsi spaccature ed
ammassi così spaventosi di materie vulcaniche, che fanno inorridire,
pensando all'epoca in cui vennero lanciate dal seno della terra
infiammata. Le spaccature, ed i bachi che vedonsi qua e là, contengono
un'acqua nera come l'inchiostro, e per lo più puzzolente.
Da ciò apparisce chiaramente che questi paesi furono in altri tempi
popolati di vulcani; e scontransi ancora varj piccoli crateri sul piano.
Per un singolare contrapposto questo piano è chiuso a settentrione da
una montagna, la di cui sommità inalzandosi fino alla regione delle nevi
perpetue, offre al di sopra delle reliquie degli spenti vulcani
l'aspetto di un perpetuo inverno.

_Sabato 22._
Dopo due ore di viaggio cominciammo a trovare i segni della prossimità
di una grande capitale, borgate e villaggi e giardini ad ogni passo.
Alle otto e mezzo essendo saliti sulle colline che chiudono l'orizzonte,
scopersi all'est un immenso piano, circondato al nord da alte montagne,
tra le quali ne marcai una isolata dalle altre di gigantesca forma
piramidale, alle di cui falde tra un'infinita quantità di giardini
sorgono le torri delle moschee di Damasco; e tutta la campagna è
seminata di villaggi e di alberi fruttiferi.
Riposatomi un istante nel villaggio di Daria posto entro ai giardini di
Damasco, giunsi poco dopo mezzo giorno alle prime case della città dagli
Arabi detta _Scham_.
Il viaggiatore che si avvicina la prima volta a Damasco crede di vedere
un vasto campo di tende coniche; ma avvicinandovisi davvantaggio trova
che queste tende altro non sono che un'infinità di cupole, che servono
di tetto a quasi tutte le camere delle case nei sobborghi esteriori
della città. Queste cupole e per la forma e per la grandezza loro
rassomigliano perfettamente alle colombaie d'Egitto di cui si è parlato
in addietro.
Le case dell'interno della città formate di più solidi materiali hanno
d'ordinario due piani, ed il tetto piatto come nelle città dell'Affrica,
avendo egualmente poche finestre e piccolissime porte, e la facciata
senza ornati: ciò che unito al silenzio che regna nelle contrade dà alla
città un aspetto tristo e monotono. Le strade sono ben selciate con
marciapiedi assai elevati da ogni banda, di sufficiente larghezza, ma
non livellati.
Credesi in paese, che Damasco abbia quattrocentomila abitanti: ma io
sono di sentimento che, compresi anche i sobborghi, non ecceda di molto
i dugento mila, tra i quali contansi ventimila cristiani cattolici,
cinquemila scismatici, ed altrettanti giudei: al contrario delle altre
città del Levante che per lo più hanno maggior numero di scismatici che
di cattolici.
La maggiore moschea è un estesissimo edificio, in faccia al quale
trovasi un magnifico serbatojo d'acqua, con una fontana di venti piedi
di getto. Il caffè presso alla fontana è sempre pieno di oziosi. Sonovi
molte altre moschee che non meritano d'essere descritte.
Damasco, siccome le altre città musulmane, non ha piazze pubbliche.
L'uso di lasciare grandi spazj vuoti in mezzo alle città per renderle
ariose e belle, è affatto ignoto ai musulmani; forse perchè dovendo
provvedere al più urgente bisogno di temperare gli effetti d'un sole
sempre ardente, pensarono soltanto a non dare troppa ampiezza alle
strade, onde più facilmente poterle coprire colle frascate. Per altro a
Damasco trovansi poche contrade abbastanza larghe, specialmente intorno
al palazzo del Pascià, chiuse in modo dalle altre case, che non se ne
vede che la maggior porta. In faccia al palazzo del Pascià trovasi il
_Kaala_, fortezza che può esser utile a tenere in freno la popolazione;
affatto inutile per la difesa della città.
I commestibili e le mercanzie d'ogni genere si vendono nelle botteghe
poste ai due lati delle strade, che chiamansi _Bazar_, o _Zok_; alcune
delle quali sono riccamente provvedute. Quale diversità fra questi
abbondanti magazzini, e le povere e piccole botteghe del Cairo, di Fez e
di altri luoghi, ove pare che il negoziante esponga suo malgrado gli
oggetti che vuol vendere?
A Damasco le botteghe rigurgitano, per così dire, di mercanzie, e
specialmente di seterie, di belle tele dell'India e della Persia; ma più
di tutto di tele fabbricate in paese. Contansi a Damasco più di
quattromila famiglie di fabbricatori di stoffe di seta e di cotone: ma
non vi si fabbricano tele di lino, che non viene coltivato nella
provincia.
Nel nuovo magnifico _bazar_ che si fabbrica adesso di fronte al
_reraya_, vi ho veduto un orologiaio arabo che faceva degli oriuoli da
tavola.
I principali rami del commercio di Damasco sono le seterie, e i
fornimenti da cavallo, facendosi delle prime un estesissimo consumo
nella Turchia, nell'Egitto, nell'Affrica e nell'Arabia; e de' secondi
dagli arabi de' vicini deserti di Bagdad, e di Medina, che non hanno
altro favorito mercato per tali oggetti che quello di Damasco.
Gli armajuoli formano pure una ragguardevole parte delle manifatture del
paese, quantunque più non esista la famosa fabbrica delle sciable
damaschine, risguardate adesso come cosa rarissima, e vendute a prezzi
enormissimi. Dopo queste antiche sciable, le più riputate sono quelle
della fabbrica persiana del Khorassan.
Anche le fabbriche di sapone, i fabri, i calzolaj, ec. occupano molte
contrade, e vi si trova pure una fabbrica di vetri. Ma per avere
un'adeguata idea del commercio di Damasco, basta fare attenzione alla
quantità dei falegnami esclusivamente addetti alla costruzione delle
casse che servono ogni anno ad imballare i prodotti del suolo e
dell'industria. Più migliaja di persone che occupano un vasto quartiere
della città formano ogni giorno parecchie migliaja di casse; benchè non
tutti gli oggetti che si esportano da Damasco vengano incassati.
L'affollato popolo de' _bazar_ forma un singolare contrasto colla
solitudine delle altre contrade ove non sianvi nè officine, nè botteghe.
In tutti i _bazar_ vi sono forni per cuocere continuamente piccoli pani,
focaccie, e varie altre pasticcerie: e le botteghe dei barbieri nelle
vicinanze dei _bazar_ sono ornate di pitture a rabeschi, di specchi, di
cristalli, d'iscrizioni a caratteri d'oro ec. onde allettare gli
avventori. I caffè dei _bazar_ sono pieni di gente tutto il giorno.
Bianchi, neri, mulatti di qualunque casta, di ogni religione, di
qualsiasi nazione, esclusi gli europei, vi hanno un'intera libertà.
Magnifici sono pure i bagni de' _bazar_, e provveduti di tutto quanto si
conviene al comodo, e dirò anche al lusso, ad al divertimento de'
concorrenti. Non dirò alcuna cosa della quantità e bontà de'
commestibili, non essendovi forse altro paese al mondo che vantar possa
più grasse e delicate carni, erbaggi più teneri, più belli e saporiti
frutti, più variato ed abbondante selvaggiume, mèle e latticinj più
deliziosi, più bianco o miglior pane; in una parola, tutto ciò che può
desiderarsi per la vita animale.


CAPITOLO XLVIII.
_Acque di Damasco. — Cristiani. — Commercio, prodotti, clima. —
Razze dei cavalli. — Abiti. — Donne. — Sanità. — Scuole. —
Governo. — Fortificazioni. — Bedovini di Anaze. — Salakhie._

Damasco è in modo provveduta di acqua che tutte le case hanno più
fontane; non servendo le pubbliche che all'inaffiamento delle strade.
Queste acque formano una quantità di canali: ma derivano da due soli
fiumi, che dopo essersi uniti in un solo, dividonsi poi in sette rami,
dai quali viene distribuita l'acqua in tutta la città.
Trovansi nella città di Damasco più di cinquecento magnifiche case, che
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