Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4 - 8

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comunicazione cogli Europei che soli potevano istruirli. Queste cause
aggiunte all'estrema diversità che esiste tra le lingue dell'Occidente e
dell'Oriente, all'effeminatezza che addottarono nell'istante medesimo in
cui si videro possessori di sufficienti capitali per soddisfare alla
propria sensualità, e per ultimo alla mancanza d'educazione dei loro
principi, che passano sempre dalla solitudine di un _Harem_ al trono
ottomano, paralizzarono i loro progressi verso l'incivilimento.
Perciò, quantunque musulmano, sono costretto di confessare, che i Turchi
sono ancora barbari: ne chiedo perdono a coloro che sono di opinione
contraria; ma quando vedo una nazione, che non ha la più piccola idea
del diritto pubblico, e dei diritti dell'uomo; una nazione che appena
conta in mille un solo individuo che sappia leggere o scrivere; una
nazione presso di cui non esiste garanzia delle proprietà individuali, e
nella quale la vita degli uomini è continuamente in balìa dell'arbitrio;
una nazione finalmente, che si ostina di chiudere gli occhi per non
vedere la luce, e che scaccia da sè la fiaccola dell'incivilimento che
gli si mostra in tutto il suo splendore, per me sarà sempre una nazione
di barbari. Che gl'individui ond'è formata abbiano abiti di seta e
ricche pelliccie, che stabiliscano fra di loro un ceremoniale, mangino,
bevano, fumino ogni giorno cento diverse mescolanze, che si lavino e si
purifichino tutte le ore; non lascierò per questo di ripetere; _questi
sono barbari_.
Vero è che trovansi in corte alcuni personaggi, i quali avendo imparate
le lingue d'Europa, ne hanno pure addottata in segreto la civiltà,
almeno in parte; ma il numero è infinitamente piccolo, paragonato alla
massa della nazione.
Concorre pure un'altra cagione a tenere i Turchi nell'attuale stato di
barbarie. Gli Arabi avevano il dominio di mezzo il mondo, quando furono
soggiogati dai Turchi; i quali diventati perciò padroni dello stendardo
del Profeta, dovettero credersi invincibili. Le vittorie ottenute in
Europa contribuirono a confermarli in tale opinione, che malgrado le
disfatte avute negli ultimi tempi, si propagò di una in altra
generazione. Questa superiorità che si arrogano sulle altre nazioni, li
move a guardare con sommo disprezzo chiunque non è Turco. Nè gli
ambasciadori esteri si lascino illudere dalle apparenze di deferenza e
di rispetto che potessero ricevere in Turchia: io conosco gli uomini
della mia religione più che tutt'altri, e posso francamente asserire,
che il Turco unisce alla barbarie ed all'orgoglio musulmano l'orgoglio e
la barbarie particolari della propria nazione.
Tale orgoglio gli fa preferire alle altre professioni quella della
milizia: egli è soldato per la sua religione, perchè ogni musulmano deve
esserlo; ma lo è pure per iscelta essendo il mestiere più utile, e
quello che apre la porta all'indipendenza, ed al dispotismo.
Non è perciò da credersi che il soldato Turco sia un uomo vestito ed
armato in un modo uniforme e determinato, un uomo soggetto a certe
leggi, a militar disciplina, nudrito e pagato dal pubblico tesoro, come
in Europa: egli non è altrimenti tale. Ogni individuo qualunque volta ne
lo voglia si arma di una o due pistole, d'un _khandiar_ o grande
coltello, e di qualunque altr'arma a suo capriccio, e dice: _Io sono
soldato._ Si attacca in allora a qualche divisione di Giannizzeri, ad un
Pascià, ad un Agà, o a qualche altro ufficiale che acconsente di
riceverlo al suo servigio: e quando poi è stanco di far il soldato getta
le sue armi, dicendo: _io più non sono soldato_; e niuno lo molesta, o
gli rimprovera la sua diserzione.
I giannizzeri possono riguardarsi come il principal nervo della forza
ottomana. Il celebre _Reis Effendì_ nel suo trattato della milizia
ottomana ne conta nell'impero quattrocentomila, e pargli che verun'altra
nazione possa presentare un'egual forza, ch'egli chiama _uniforme_. Ma
cosa è il giannizzero? È un calzolajo, un artigiano qualunque, un
contadino, un facchino, che dà il suo nome ad una divisione di
giannizzeri, detta _orta_. Alcune di queste orta non contano più d'un
migliajo di uomini, altre venti, o trentamila.
Quando il nome d'un uomo è scritto nella lista, si obbliga a presentarsi
qualunque volta l'orta si dovrà riunire. Ma sarà egli fedele alla
promessa?... Ciò dipende dalle circostanze, o dalle combinazioni
dell'interesse individuale nell'istante in cui viene chiamato. Non nego
che i giannizzeri non abbiano alquanto di ciò che si dice _spirito di
corpo_, pregevole pregiudizio quando non sia troppo esclusivo: ma ciò
non basta per consigliargli ad ubbidire alla chiamata de' loro capi, se
vi si opponga il loro personale interesse, che è sempre la molla
principale delle loro azioni. Quindi allorchè trovano utile il motivo
della chiamata, prendono subito le armi e si presentano; nel contrario
supposto o non si movono, o si presentano soltanto per formalità,
tornando subito tranquillamente a casa loro.
Se trattasi di adunar l'orta per fare qualche tumulto, o ribellione,
tutti accorrono, perchè tutti sono sicuri della vittoria, o del
saccheggio. Lo stesso non accade quando trattasi di andar contro ad un
nemico straniero; perchè in caso urgente il governo trovasi costretto di
proclamare che il _Sainjaàk Scherif_, ossia lo stendardo del Profeta
sarà portato all'armata, onde riscaldare in tal modo il fanatismo
religioso, che deve tener luogo dei sentimenti d'onore e dell'entusiasmo
patriottico, che non esiste.
Questa risorsa politica non lascia di dare qualche vantaggioso
risultamento, chiamando maggior numero di uomini intorno a questo
_palladio_, che i maomettani sogliono riguardare come un sicuro pegno
della vittoria. Ma perchè lo zelo religioso va di età in età facendosi
minore; quando non sia secondato da un interesse personale diretto ed
immediato, gli effetti di questo stratagemma saranno sempre minori.
L'ultima volta che uscì di Costantinopoli il _Sainjeak Scherif_ si
credeva di vederlo seguito da trenta o quarantamila giannizzeri, ma non
lo accompagnarono che tremila. Questo così famoso corpo non è dunque
paragonabile alle guardie nazionali degli stati Europei, nè ad altro
corpo qualunque organizzato e disciplinato; e non può riguardarsi che
come una _leva in massa del popolo_. Le vittorie de' giannizzeri negli
andati tempi non furono che il risultamento di una grande massa di
uomini armati sopra popolazioni disarmate, o sopra masse più piccole ed
egualmente male organizzate. Oggi che la tattica militare ha combinati i
più piccoli mezzi per calcolare i risultati con una quasi certezza
morale, chiara cosa è che le truppe turche non potranno opporre una
costante resistenza ad un corpo di truppe europee meno numeroso ma
meglio disciplinato. Non farò parola di qualche caso particolare che può
fare eccezione alla regola, perchè ci condurrebbe ad un'analisi, ed a
disamine affatto straniere al mio argomento.
I giannizzeri hanno delle particolari costumanze che meritano di essere
conosciute.
I trofei militari più rispettati da questa truppa sono le pentole di
cuojo nelle quali fanno cuocere la vivanda, che consiste in riso condito
col butirro, detto dai Turchi _pilaw_. Queste pentole, oggetto della più
alta venerazione, allorchè vengono trasportate da un luogo all'altro,
ottengono da tutti coloro che trovansi sulla strada le dimostrazioni di
rispetto che devonsi al principe; e guai a colui che non si affretta di
ossequiarle: egli sarebbe all'istante punito dalla guardia che le
accompagna. Sono queste il punto d'unione di ogni divisione di
giannizzeri; al campo si portano con grande apparato ornate d'orpello e
di altre inezie; e se un'orta ha la disgrazia di perdere le sue
marmitte, viene riguardata come un corpo disonorato.
Quando i giannizzeri vanno con affettata premura a ricevere le razioni,
si può essere sicuri che l'orta è soddisfatta; e per lo contrario è una
prova di malcontento quando vi si recano con aria di non curanza. Se poi
arrivano a non presentarsi alle distribuzioni, allora convien pensare ad
ogni modo a soddisfarli, onde impedire le imminenti violenze.
Quando sono estremamente malcontente le divisioni dei giannizzeri,
portano le loro marmitte innanzi al palazzo del Sultano, e le pongono
sotto sopra la terra. A questo segnale di sedizione i giannizzeri si
armano e si adunano per dettare la legge al governo, chiedendo le teste
dei ministri o capi dello stato, che vengono loro accordate all'istante
senza verun esame, o destituendo lo stesso Sultano come fecero poc'anzi
collo sventurato Selim III. E finchè questa indisciplinata milizia non
abbia riprese le sue marmitte, tutta la città trovasi in disordine e
piena di spavento.
Quando il Sultano accorda pubbliche udienze agli ambasciatori, per dar
loro un'alta idea della sua potenza fondata sulla soddisfazione delle
sue truppe, si fanno prima dell'udienza distribuire le razioni ai
giannizzeri che accorrono tumultuariamente per riceverla in presenza
dell'ambasciatore. Nello stesso modo per dare ai ministri delle corti
straniere una idea della giustizia sovrana, il gran Visir giudica alcune
cause in loro presenza; come per dispiegare innanzi ai loro occhi la
magnificenza imperiale, li ammettono ad un banchetto col gran Visir,
coprendoli di ricche pelliccie, mentre ne vengono date altre meno
preziose alle persone addette all'ambasciata.
È in conseguenza dell'importanza delle marmitte nel corpo de'
giannizzeri, che il nome turco de' capi delle orta equivale a
distributore della zuppa. Tutti i militari di questo corpo portano sopra
la fronte attaccata alla berretta di gala una placca d'ottone, entro la
quale pongono un grossolano cucchiajo di legno di cui si servono per
mangiare il riso, e che viene a formare una parte essenziale del loro
uniforme.
Le persone incaricate in alcune circostanze del castigo de' giannizzeri
sono i _distributori dell'acqua_, i quali camminano armati di un bastone
fornito di lunghe coreggie.
Ogni orta possiede alcune tavolette maggiori di un piede quadrato, che
vengono portate in cima ad un bastone e scarabocchiate di pitture
emblematiche dell'orta. Queste tavolette accompagnano le marmitte.
Quando l'orta marcia in campagna, le marmitte sono accompagnate da
alcuni giovani affatto coperti di grandi haik, cui si dà il titolo di
_el Harem_. Riguardandole come una specie di talismano, e di sacro
pegno, hanno sempre la scorta d'una guardia particolare, che sta in una
tenda vicina a quella delle marmitte; e queste guardie non fanno verun
altro servigio, nè vengono sottoposte ad alcun lavoro; ed i giannizzeri
dell'orta si farebbero uccidere tutti per difenderli e salvarli dalle
mani del nemico; perchè la perdita delle marmitte è ciò che di più
obbrobrioso può accadere ad un'orta.
I giannizzeri passano a capriccio da una all'altra divisione.
Risulta dal fin qui detto, che i giannizzeri lungi dall'essere le truppe
del sovrano, non sono che una inquieta e rivoluzionaria milizia che si
fa giustizia colle proprie mani, anche contro il principe a cui serve.
È vero che alcuni giannizzeri ricevono fino dalla fanciullezza una
specie d'educazione militare: ma tanto è limitato il loro numero che
nulla influisce sulla massa generale del corpo. Altrettanto può dirsi
della loro disciplina, ed organizzazione nelle caserme di
Costantinopoli.
Per contrabilanciare la potenza dei giannizzeri, i Sultani armarono
gl'impiegati dei loro giardini, delle loro case di piacere, e ne fecero
una specie di guardie del corpo col nome di _bostangì_, ossia
giardinieri; cui sono affidate le loro persone. Questo corpo composto di
alcune migliaia d'uomini, ha resi ai loro Sovrani molti importanti
servigi: ma nelle ribellioni d'ordinario si uniscono al giannizzeri, che
sono più forti; e questo contrappeso diventa allora inutile al Sovrano,
come sì è veduto nella rivoluzione che balzò dal trono lo sventurato
Selim III.
Il corpo de' cannonieri e bombardieri è formato di quarantotto compagnie
bene organizzate; ma perchè sulle batterie trovansi ancora varj carri
antichi con ruote di tavole poco atte al maneggio principalmente delle
grosse colubrine, di que' cannoni di mostruoso calibro stesi a terra per
tirar palle di sasso, e di quegli altri cannoni di più bocche; non
possiamo farci una troppo vantaggiosa idea della loro scienza, perchè
s'impiegano nel servigio di pezzi quasi inutili uomini e munizioni, che
più utilmente sarebbero impiegati nel servigio di pezzi ben montati di
un discreto calibro.
Il rimanente delle truppe che compongono le forze ottomane in tempo di
guerra, sono squadroni più o meno numerosi di genti armate mandati dalle
provincie agli eserciti; gli avventurieri volontari che vogliono far
fortuna, i fanatici di buona fede, e quelli che hanno interesse di
parerlo; e per ultimo il contingente di uomini armati che alcuni
possessori di feudi sono obbligati di mandare al campo.
Tutto ciò forma una mescolanza, una così strana confusione, che nel
fondo un'armata turca non è diversa da un ammasso di orde arabe, e
quindi incapace di produrre assai vantaggiosi risultati. Se a tanta
irregolarità s'aggiungano i grossi equipaggi che i Turchi si tiran
dietro, e l'immensa quantità di domestici e d'impiegati non combattenti
che seguono l'armata, potremo formarci un'idea dell'estrema difficoltà
di dare a così pesanti e disordinate masse la precisione richiesta dai
movimenti militari di una campagna.
Il governo di Costantinopoli penetrato della verità di questa
osservazione, volle rimediare al male formando nuove milizie organizzate
e disciplinate all'usanza europea: ma perchè questa novità offendeva
l'amor proprio dei giannizzeri, che avrebbero perduta l'indipendenza;
mentre erano, ed ancora sono al presente i veri despoti dell'impero; si
ribellarono sacrificando alla conservazione della propria potenza forse
le più utili teste dell'impero, e deponendo il sultano _Selim_ III:
deplorabile trionfo dell'anarchia militare, che ritardò due secoli
l'incivilimento dei Turchi. Il Sultano Mustafà successore di _Selim_[5]
è dotato di ottime qualità: ma che può fare il migliore de' Sultani
finchè sarà signoreggiato da una milizia così rivoltosa come i
Giannizzeri? Qual ministro oserà aprire la bocca dopo l'orrenda
catastrofe di cui fu testimonio? Credo dunque di poter conchiudere che i
Turchi non possono da se medesimi incivilirsi.
[5] _Anche questo principe cacciato dal trono più non esiste._
Quando si ode ricordare negli altri paesi il nome del Gran Signore, ci
figuriamo un despota la cui parola è una legge, e che non prende
consiglio che da' suoi capricci. Quanto siamo ingannati! non avvi al
mondo uno schiavo più schiavo del Gran Signore; i suoi passi, i suoi
movimenti, le sue parole in tutto il corso dell'anno, in ogni evento
della vita, sono misurati e determinati dal codice della corte; non può
far più nemmeno di quanto è prescritto; ed è ridotto a far la parte di
vero automa, le di cui azioni sono regolate come risultamenti meccanici,
dal codice, dal Divano dell'Olema, e dai Giannizzeri. Sarà coperto di
brillanti, inebriato d'incensi, circondato da adoratori come il _gran
Lama_, o come una vivente divinità: ma la sua esistenza non sarà punto
diversa da quella di una macchina, e come tale sarà sempre riguardato
con somma indifferenza dai popoli che non possono da lui sperare nè bene
nè male, poichè il potere trovasi in mani subalterne, come lo feci
osservare in parlando della caduta di _Selim_, e della elevazione al
trono di Mustafà, avvenimento riguardato con perfetta indifferenza nelle
provincie turche ch'io scorrevo.
Questa indifferenza dei popoli verso il sovrano è una delle primarie
cagioni che agevolano, e favoreggiano le ribellioni de' Pascià nelle
provincie. Tutti sanno quanti anni sonosi sostenuti _Diezzav_, _Paswan
Oglou_, _Kadi Agà_ ec. ed intanto vediamo _Mehemed Ali_ in Egitto,
_Couchouk Ali_ in Siria, _Moustapha Pascià_ in Bulgaria[6], _Ali Pascià_
in Albania, _Ismail Bey_ in Romelia, e molti altri di minor rango, che
sotto ad un'aria di subordinazione al sovrano sono affatto indipendenti,
non facendo verun caso dei firmani della Porta quando non favoriscono i
loro interessi.
[6] _È questi il celebre Moustafà Baïraktar, che posteriormente
cacciò dal trono il Sultano Mustafà, e che perì nella
sedizione._
Un principe ridotto a tanta subordinazione dovrebbe essere cancellato
dalla lista dei sovrani; poichè l'impero trovasi sempre in mani
subalterne o mercenarie, mentre quello cui si accorda il supremo titolo
è il più insignificante ed inutile personaggio del governo: egli non
vede nè ascolta de' suoi sudditi che il solo gran Visir, e passa i suoi
tristi giorni tra le donne e gli eunuchi; straniero, si può dire a tutti
gli atti d'amministrazione, perchè ogni cosa dev'essere ordinata dal
gran Visir o dal Divano. Il potere del gran Signore si riduce quindi a
zero. Solo a Marocco trovasi il vero modello del dispotismo.
Le mani mercenarie che governano l'impero turco vengono ricompensate
delle loro cure con ricchezze proporzionate alla loro ambizione: ma le
rendite dell'impero vanno ogni anno diminuendo per cagione delle
ribellioni che stendonsi d'una in altra provincia: Pascià
precedentemente nominati poco o nulla mandavano al tesoro pubblico: i
tributi della Siria vengono assorbiti dal Pascià di Damasco sotto
pretesto delle spese occorrenti per la carovana della Mecca, e nel
presente anno (1807) il governo gli aveva inoltre mandate, sulle sue
istanze, alcune migliaja di borse per le spese della guerra difensiva
contro i _Wehhabiti_, i quali andavano di mano in mano sempre più
restringendo i limiti del dominio ottomano, togliendogli ogni giorno
qualche parte di provincia. Le rivoluzioni dalla Servia, della Moldavia
e della Valacchia occupate dai Russi[7], la separazione delle reggenze
barbaresche, finalmente le scandalose dilapidazioni del Pascià e degli
altri impiegati turchi, hanno terminato di esaurire il tesoro. In tale
stato di cose i grandi impiegati di corte non percepiscono gli
appuntamenti annessi alle loro cariche, onde si procurano coll'intrigo
il danaro che non ricevono dal tesoro.
[7] _Una parte di questo prospetto politico si è cambiato dopo
l'epoca indicata da Ali-Bey._
In Turchia è permessa la vendita degl'impieghi, ma in ragione che
l'impero si ristringe, diminuiscono anche gl'impieghi: è però vero
d'altra banda, che se diminuisce il numero degl'impiegati, cresce in
proporzione quello degli aspiranti; e la concorrenza ne accresce il
prezzo; lo che torna press'a poco lo stesso per i cortigiani ma non per
gli sgraziati popoli, perchè coloro che pagarono il doppio ed il triplo
l'acquisto dell'impiego, si credono egualmente autorizzati a duplicare e
triplicare le avanie. I popoli reclamano e si lagnano altamente, ma i
loro pianti non si ascoltano, perchè il frutto di queste subalterne
esazioni entrano nel prossimo anno in mano degl'impiegati di corte. Lo
sdegno e la disperazione armano i popoli, che vengono poi chiamati
assassini e ribelli: se lo stato ha bastanti forze per farli rientrare
in dovere, come spesso accade, si sparge il sangue di molti infelici, e
le cose rimangono nello stato di prima; ma l'impero perde sudditi e
ricchezze; onde poi crescono i bisogni della corte, e per conseguenza le
avanie. Questi mali diventano ogni giorno maggiori.


CONCLUSIONE.
_Partenza per Bucarest in Valacchia. — Itinerario. —
Adrianopoli. — Monte Emo. — La Bulgaria. — Rouscouk. — Il
Danubio. — Bucarest._

Il mercoledì 2 decembre del 1807 secondo giorno della Pasqua dei
Musulmani, Ali Bey andò nel sobborgo di Pera, di dove partì alla volta
di Bucarest in Valacchia il 7 decembre, accompagnato da un Tartaro.
Allorchè partì da Costantinopoli desiderava ancora di accrescere le sue
cognizioni con nuovi viaggi; ma non aveva ancora determinato quali paesi
avrebbe visitati. Fidò quindi le sue carte ad un amico, cui permise di
pubblicare dopo alcuni anni, incerto, se arrivato a Bucarest,
prenderebbe la strada d'Oriente, d'Occidente o del Settentrione.
Mandò da Bucarest il suo itinerario di Costantinopoli, che soggiungiamo
compendiato.
Il 7 decembre alloggiò nel villaggio di _Konchouk Charmagi_ in riva ad
un lago formato dal mare di Marmara.
Il giorno 8 passò per _Bonyouk Charmagi_, _Coruhourgas_, _Boadas_,
fermandosi pochi momenti a _Selivria_, terra più grande delle altre
posta sopra un piccolo scalo del mar di Marmara, con alcune moschee.
Tutti questi villaggi sono abitati da pochi Turchi, e dai Greci più
numerosi, che sembrano esservi alquanto meglio trattati che altrove.
Il 9 attraversò _Kinikli_, e si fermò a _Djiorio_, città di mediocre
grandezza, ove sonovi alcune moschee. Il 10 passò a lato a _Karrestan_,
e pernottò nel villaggio di _Bourgas_; di dove, dopo avere attraversato
_Baba-Eski_, entrò l'11 in Adrianopoli. Questa grande città è posta al
N. di una vasta campagna circondata da colline, sopra una delle quali
trovasi parte della città: contiene molte moschee, alcune belle case,
strade ben selciate, un grande _bazar_ formato da più strade coperte, e
fornito di botteghe d'ogni specie; ed ha un bel ponte sopra la Marissa,
ragguardevole fiume che traversa la città. Adrianopoli è cinto da un
parapetto di terra con una palizzata al di dentro, ed una piccola fossa
esternamente. Vi si trovava allora il gran Visir, generalissimo
dell'armata ottomana. Osservò per altro, che v'erano pochissimi soldati,
e che le strade erano solitarie. Gli fu però detto che osservasse un
accampamento fuori di città. E per tal modo stando il quartier generale
de' Turchi ad Adrianopoli, trovavasi più di sessanta leghe lontano dalle
armate attive.
Ali-Bey si fermò poche ore in questa città, ed andò lo stesso giorno a
Moustafa Bacha ove trovò un drappello di soldati, che sembravano
piuttosto un branco di banditi.
Vide il dodici molti villaggi abitati dai Greci, e dormì a _Karapannar_,
villaggio musulmano assai popolato. Il 13 dopo esser passato per _Zaara_
e per _Kenaanlek_, ove fu invitato a cena dal governatore, viaggiò tutta
la notte, nella quale soffrì assai per una terribile burrasca di vento,
neve e pioggia; indi giunse a _Schipka Balcana_, piccolo villaggio posto
ai piè del _Balcàn_, o monte _Emo_, ove dovette trattenersi due giorni
prima di poter esporsi al passaggio della montagna allora coperta da
grande quantità di nevi.
Il 16 traversò la montagna, lo che non gli sarebbe riuscito di fare, se
non fossero stati mandati prima alcuni cavalli di posta per aprirgli la
strada. Giunto sull'opposto lato del monte passò per un villaggio detto
_Bedjene_, le di cui case di legno erano per metà sepolte nella neve
alta quasi quattro piedi, e continuando la scesa si fermò a _Kaproa_, le
di cui case sono fabbricate parte di sasso, e parte di legno. La catena
dell'Emo che forma il confine tra la Romelia, e la Bulgaria, essendo
coperta di neve non permise ad Ali-Bey di fare veruna osservazione.
Il 17 passò per _Derroba_ e giunse a mezzo giorno a _Terranova_, città
posta sul pendio di due montagne, ed attraversata da un grosso fiume.
Vide molti giardini e vigne, alcune case assai belle, ed alcuni _bazar_
coperti, ma il suolo era tutto coperto di neve.
Di là venne a _ Poulicraïschte_ villaggio, le di cui case sotterranee
non s'inalzano più di mezzo piede sopra il livello del suolo, ed i cui
abitanti tanto uomini che donne si vestono di sole pelli di montone.
Piccolissime sono le donne di Bulgaria, e di grazioso aspetto finchè
sono giovanette; ma tosto passata l'adolescenza ingrassano a dismisura.
Gentili sono i fanciulli, ma tanto piccoli che pajono scimie. Gli uomini
portano l'impronta della schiavitù che li opprime: continuamente
tiranneggiati dalle esazioni della soldatesca, trovansi nella trista
necessità di nascondere sotto terra ciò che vogliono sottrarre alla
rapacità ed alla violenza.
Dopo aver passato il 18 a mezzogiorno il fiume Yantra che ha molta
rapidità e molte acque, andò a _Rouschouk_ grande e forte città situata
sulla destra del Danubio.
Il Pascià Moustafà[8] avendo esaminate le carte del nostro viaggiatore,
ordinò di lasciarlo passare: quindi s'imbarcò la stessa notte sopra un
battello a sei remi, ed attraversato in trentacinque minuti quel
maestoso fiume, sbarcò a _Djíourjoi_ piccolo castello difeso da una
vasta fortezza, allora occupata da un corpo di truppe sotto gli ordini
d'un altro Pascià; ed era questo il più avanzato posto dei Turchi.
[8] _Il medesimo ricordato alla pag. 196._
I passaporti di Ali-Bey vennero di nuovo esaminati; ma il _Diouan_
Effendi cui spettava l'esame, aveva conosciuto in Alessandria Ali Bey,
onde veduto appena il suo nome sul Firmano, gridò: _non v'è più nulla da
osservare, io conosco Alì Bey_; e fatti gli elogi del viaggiatore, gli
mandò una gran _cana_, dando ordine di preparargli i cavalli. In tal
modo Alì Bey uscì dall'impero ottomano il sabato 19 dicembre 1807 allo
spuntar del sole.
Dopo dieci ore di cammino arrivò ad un villaggio ove trovavansi alcuni
esploratori russi, uno de' quali lo accompagnò fino all'avanguardia
dell'armata che occupava una linea di alture e di piccoli ridotti al di
là d'un vasto fiume i di cui ponti erano stati distrutti. Ali Bey lodasi
dalle gentilezze usategli dagli ufficiali Russi. Fu in seguito scortato
fino ad un villaggio più vicino a Bucarest, ove fu assai ben accolto dal
generale che lo lasciò partire alla volta di Bucarest, ove giunse a
notte assai inoltrata. Oppresso dalle fatiche di così disastroso viaggio
dovette fermarsi due giorni per riposare, nel qual tempo gli prodigarono
le più cortesi cure il Console Russo Bahmatiet, ed il Cavaliere Kiriko
Console generale della stessa nazione. Ali Bey non sa esprimere la sua
riconoscenza verso il generale Ulanius, l'arcivescovo Diothitheos, i due
luogotenenti del principe Ipsilanti, e gli altri Bojardi della
Valacchia.
_Bucarest_ è una grande città di un aspetto campestre assai grazioso: le
sue strade sono larghe, diritte e lastricate di legno; basse sono le
case con vaste porte per dare accesso alle vetture che vanno fino alla
scala. La sua popolazione si presume di sessanta in settanta
mil'abitanti. Conta trenta tra chiese e cappelle greche; e la cattedrale
situata sopra un'altura è piccola ma bella. Eranvi, oltre l'arcivescovo,
alcuni altri prelati.
Benchè il rito dominante sia il Greco, vi sono anche dei cristiani degli
altri riti, provveduti di chiese e di preti.
Il governo civile è tra le mani di due _Kaömakan_, o luogotenenti del
principe Ipsilanti, assistiti da un consiglio di dodici Bojardi. Fu
detto al nostro viaggiatore che la Valacchia conta un milione e mezzo di
abitanti. Più della metà di questa provincia è circondata dal Danubio, e
bagnata da molti fiumi. Il suolo assai fertile è sparso di montagne
selvose abbondanti di selvaggiume. Vi sono miniere, ed infine tutto
quanto può desiderarsi di vedere unito in un paese posto al 45º di
latitudine. Si assicura, dice Ali Bey, che il clima è sanissimo, e che
le rendite dello Stato ammontano a quattro milioni di piastre.

FINE DEL TOMO QUARTO ED ULTIMO.


INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO TOMO QUARTO.

CAPITOLO XLIV.
_Haram, ossia Tempio musulmano nel luogo
dell'antico tempio di Salomone_ Pag. 5
CAP. XLV.
_Viaggio al sepolcro di Davide, e ad altri
sepolcri. — Viaggio al monte Oliveto. — Al
sepolcro d'Abramo ad Hébron. — Al presepio di
Cristo a Betlemme. — Al sepolcro della Vergine.
— Al Calvario ed al sepolcro di Cristo. —
Sinagoga de' Giudei. — Descrizione di
Gerusalemme_ » 16
CAP. XLVI.
_Ritorno a Giaffa. — Tragitto ad Acri, e
descrizione di questa città. — Il monte Carmelo.
— Viaggio a Nazaret. — Notizie intorno ai monaci
di terra Santa_ » 34
CAP. XLVII.
_Viaggio a Damasco. — Monte Tabor. — Mare di
Galilea. — Fiume Giordano. — Paese vulcanizzato.
— Damasco. — Popolazione. — Grande moschea. —
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