Parvenze e sembianze - 6

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paura alcuna, anzi per ispasso ci ballavano e giostravano l’uno contro
l’altro sicuramente„.
————
Un disinganno anche per le mamme che all’osservazione ingenuamente
sagace del bimbo o della bimba prorompono tutte amore in una risata e
dopo un movimento della testa, il quale significa — che ne dite? —,
commentano serie serie: — I ragazzi d’una volta non erano certo cosí
acuti e furbi. — Pur troppo, aggiunge il nonno, “il mondo va sempre di
male in peggio e ne sa piú oggidí un putto di dieci che già un uomo
vecchio di sessanta o settant’anni„. Ma don Lancellotti allora sorride e
tende il dito alla verità: “Se fosse vero che l’istessa malizia
precorresse piú oggidí gli anni di quello che faceva, e che andasse
tuttavia crescendo e precorrendo, seguirebbe che non solo si potrebbe
pensare che si fosse per giungere, ma — stando che piú di 1500 anni sono
dicevano il medesimo, come asserisce Orazio, — che saremmo già a tal
termine che un putto d’un anno e manco assai starebbe a fronte di sapere
e d’operare con molti attempati„. E con un ragionamento press’a poco
uguale induce a ricredersi coloro i quali pensano che gli uomini “sono
_oggidí_ piú deboli e di statura piú piccoli di quello che mai fossero„.
————
San Giovanni Grisostomo, poveretto!, si riscaldava in particolar modo
perché i giovanotti eleganti del suo tempo avevano “certi lacci, o
fiocchi che fossero, di seta alle scarpe„, e si doleva del loro
“specchiarsi, pettinarsi, farsi i ricci e profumarsi come le donne„;
Ateneo e Seneca rimproveravano ai loro coetanei “le delicatezze del
camminare e dell’adornarsi fuori di ordine e di misura„, e pure il
Petrarca e san Bernardo si scagliavano contro le vanità maschili. Poi si
verrà a dire:
“Quanto ci vuole _oggidí_ per vestirsi ognuno da par suo! Costano un
occhio i drappi e i panni e siamo venuti a termine che par vergogna ad
una persona di mezzana condizione il non vestir di seta, che già prima
né anche i gentiluomini ben ricchi quasi l’adopravano. Quante foggie
hanno trovate questi benedetti sartori; quante vanità sono introdotte
_oggidí_ da questi oltramontani, e tutte subito abbracciate da questa
nostra curiosa imitatrice de gli abiti forestieri e sciocca Italia!„
————
Manca voglia, ozio e carta, ma molt’altre belle cose proverebbe don
Secondo con la sua meravigliosa erudizione. Proverebbe come sia storia
vecchia anche il digiuno di Succi, poiché “Alberto Magno scrisse aver
diligentissimamente osservato in Colonia un donna per trenta giorni
essersi astenuta di mangiare e bere niente, et un uomo cinquanta giorni,
eccetto che un giorno sí e l’altro no pigliava un poco d’acqua o di
vino„; proverebbe come non è nuova la filantropia di quei medici che
dimandano solo un centinaio di lire per un consulto, giacché anche
Pietro d’Abano, medico padovano del secolo decimoquarto, “quando aveva
da uscire della città per qualche infermo, non voleva manco di 50
fiorini„, e dimostrerebbe “che _oggidí_ non si veggono piú infermità di
prima„; “che l’eccesso del dar titoli, non solamente a’ signori e
príncipi, ma piú quasi a’ privati non è sí proprio d’_oggidí_, come
comunemente si crede„; “che l’uso della neve o del ghiaccio la state non
ha da rinfacciarsi al nostro secolo come eccessiva delizia d’_oggidí„_;
“che ’l comun lamento intorno alle gran doti, le quali bisogna dare alle
fanciulle o per maritarle o per rinchiuderle ne’ chiostri, non ha tal
fondamento di ragione, che ciò debba computarsi per miseria
d’_oggidí....„_
L’_Hoggidí, o vero il mondo non peggiore né piú calamitoso del
passato_⁷⁶ è in somma un gran bel libro per chi sia convinto come sono
io che
ciò che fu torna e tornerà nei secoli.


I NOVELLATORI E LE NOVELLATRICI DEL _DECAMERONE_

.... per nomi, alle qualità di ciascuna
convenienti o in tutto o
in parte, intendo di nominarle.
_Introd. al Decam._

Le novellatrici e i novellatori del _Decamerone_, che io seguii spesso,
ad ascoltarne i racconti piacevoli, ne’ lieti diporti, tornano pur ora
con imagini pronte e sicure e vivaci alla mia memoria: li accenno cosí
come li rivedo seduti a novellare la prima giornata.

I.

Prima la regina, _Pampinea_⁷⁷.
Ella, piú adulta, è anche piú esperta e riflessiva delle altre sei
donne; come Panfilo, il quale le siede a lato, è tra gli uomini il
maggiore in età e il piú avveduto e assennato: per questo l’uno e
l’altra si distinguono dai loro compagni; si distinguono tra loro per
ciò, che Pampinea, come donna, è piú sagace, Panfilo è di pensieri piú
profondi.
È Pampinea che nel tempio consiglia le compagne di cercare con la vita
allegra fuori Firenze scampo alla peste e conforto ai dolori che ad esse
ha apportati; e tiene meraviglioso e lungo discorso, nel quale movendo
dai consigli della fredda ragione, che induce l’uomo a conservare per
ogni modo la vita, s’allarga ad esporre la tristizia dei tempi presenti
e la malvagità che si è introdotta negli animi, e, avvertendo che “nulla
si disdice piú a loro l’onestamente andare che faccia a gran parte
dell’altre lo stare disonestamente„, descrive in fine i piaceri e le
bellezze della campagna con tale vivacità ed ardore, che niuna delle
amiche le resiste dubbiosa, ma tutte lodano il suo consiglio con
desiderio di seguitarlo. È lei che propone d’accettare a compagni
Panfilo, Dioneo e Filostrato, e va essa a pregarli lieta ed ardita a che
“con puro e fratellevole animo a tenere loro compagnia si debbano
disporre„; e ad istanza di lei, perché le cose le quali sono senza modo
non possono durare, si elegge un re ogni giorno, e si delibera di
trascorrere il tempo non giuocando, ché nel gioco “l’animo dell’una
delle parti convien che si turbi„, ma novellando.
Pampinea ama dilungarsi, per ammonire e far riflessioni, nei preamboli
alle novelle che narra e per notare i difetti suoi e degli altri e
rilevare quanto per esperienza ha appreso o ciò che le sembra che meglio
convenga.
Cosí per la novella di maestro Alberto discorre della vanità e loquacità
femminile, e rampogna e consiglia; per la novella di Alessandro
Agolanti, che giacque con la figlia del re d’Inghilterra, della quale ei
divenne marito, considera come la fortuna è mutabile; per la novella del
savio re Agilulf e del palafreniere ardito e avveduto corregge i curiosi
indiscreti: dimostra la verità di un proverbio narrando il miracolo
dell’angelo Gabriello, e narrando dello scolare che fu burlato e burlò,
prova che l’arte è dall’arte schernita, onde è poco senno dilettarsi di
schernire altrui. Assorge anche con la novella del buon re Piero a
princípi di retto governo politico.
Pampinea ammette che amore possa guidare a gravi pericoli, ma tiene
sciocca cosa il pensare che amore tragga altrui dal senno e “quasi chi
ama faccia divenire smemorato„; e la canzone ch’ella canta n’assicura
che pure amando sa serbarsi donna savia e prudente. Il suo amore è senza
pene, senza timori: ella ha la certezza di essere riamata, la
consolazione di “possedere il suo volere„ in questo mondo e la speranza
di aver pace nell’altro per quella intera fede che porta a chi ama: ella
è gioiosa e con la sua gioia allieta le compagne che sono afflitte, e né
pur vuole acconsentire alla tristezza che Filostrato ricerca nelle
novelle al dí del suo reggimento.

II.

Come Dioneo che siede appresso a Fiammetta, _Panfilo_⁷⁸, che il primo
giorno sta accanto a Neifile, dev’essere di Neifile l’innamorato. Ella
infatti canta per volere di lui, ed egli — fatto re — concede ad essa,
ciò ch’ella tiene per grand’onore, di dare prima svolgimento
all’altissimo tema della decima giornata, ed egli loda piú d’ogni altro
la leggiadra novella di lei. Panfilo e Neifile sono due amanti felici;
piú felici di Dioneo e di Fiammetta, perché Dioneo, dubitando nella
veemenza della sua passione di non essere amato quanto egli ama, è
spinto ad invocare la pietà della sua donna, e Fiammetta, nell’ardore
dell’amor suo soffre per gelosia. Ma come Neifile, Panfilo non ha
ragione di rammaricarsi d’Amore, giacché esso è anche per lui soavità,
gioco, allegrezza, e la letizia che gli trabocca dall’animo e gli appare
su ’l chiaro viso è tale che a lui
ogni parlar sarebbe corto e fioco
pria n’avesse mostrato pure un poco.
Se non che sin nell’entusiasmo del canto, ch’egli leva pieno di gioia,
riflette e pensa che quand’anche potesse, non dovrebbe dimostrare il suo
piacere, “il quale se fosse sentito da altri gli tornerebbe in
tormento„, e che non sarebbe creduto qualora dicesse il tempo e come
poté indurre a baci ed a carezze la sua donna. Panfilo, al contrario di
Dioneo, riflette sempre, e ammonimenti morali egli trae dalla
considerazione di Dio e della virtú: ammonimenti di religione — ad
esempio — reca nel racconto di ser Ciappelletto; di virtú, nella storia
dell’Andreuola alla quale si avverò il sogno fosco; dei doveri verso gli
amici, nella novella del Saladino. E porge prove di senno ed avvedutezza
se dica i casi della figlia al Soldano di Babilonia, goduta in quattro
anni da nove uomini e maritata poscia come vergine al re del Garbo, o
della Niccolosa che dormí con l’amante mentre sua madre ostessa giacque
con altri che con suo marito, o di Lidia che moglie a Nicostrato e
amante di Pirro fu sí audace e lasciva.
Questo giovane assennato e osservatore sottile non resta od è lasciato
in disparte, come asserisce il Landau, ma anzi è dai compagni avuto
quasi tacitamente a capo; ed infatti egli che è primo a novellare, è
coronato re dopo tutti, come colui che essendo ultimo potrebbe emendare
il difetto degli altri reggenti e novellatori. E re ordina: “Domani
ciascuno di voi pensi di ragionare sopra questo, ciò è: di chi
liberamente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno ai fatti
d’amore, o d’altra cosa„.
Ma se Panfilo, a quando a quando rigido ammonitore, non si abbandona
alla licenza onde Dioneo parla, non è però piú castigato di Filostrato,
e come lui con voluttuosa compiacenza cede alle lubriche frasi e si
spinge alle frasi oscenuccie; e pur predicando “quanto sieno sante,
quanto poderose, e di quanto ben piene le forze d’amore, le quali molti,
senza saper che si dicano, dannano e vituperano a gran torto„, racconta
novelle d’amore poco sante e di poco ben piene: ciò perché Panfilo non
deve solo contrapporre la saggezza propria alla leggerezza di Dioneo, ma
rallegrare pur egli le belle donne che stanno ad ascoltarlo. Ad esse
egli si rivolge ubbidientissimo coi nomi piú dolci, e le chiama amorose
e graziose e reverende e dilettose e carissime. Egli per esse e con esse
non ha gli ardimenti di Dioneo e gl’impeti di Filostrato; è gentile
sempre; è tutto amorevolezza.

III.

_Neifile_,⁷⁹ “non meno di cortesi costumi che di bellezza ornata„, è
giovinetta fra le giovani donne: ha diciott’anni, e di fanciulla
diciottenne l’irrequietezza e la giocondità, la fede religiosa, la pietà
per i forti dolori, l’ammirazione per la potenza d’amore; ha le paure e
le audacie: timorosa quando intravvede pericoli alla sua onestà; audace
ogni qual volta, per non parere ingenua ed inesperta, vuol mostrarsi a
dentro nei misteri dell’amore e nella conoscenza della vita. La
irrequietezza dell’animo suo manifesta quand’è fatta regina, proponendo
con brevi parole di cambiare di stanza, e comandando prestamente per
essere tosto ubbidita e prestamente volendo si ragioni per non perder
tempo; né si cura mai di preparare con lunghi preamboli alle sue novelle
l’animo di chi l’ascolta. E per le gaie novelle diffonde l’allegrezza
che le sale dal cuore: racconta essa di Martellino, che si finge
rattratto; di Chichibio cuoco che la paura fa di spirito pronto; di
Cecco giocatore che rimane in camicia per via.
Niuna delle donne sente come Neifile la pietà religiosa: con la novella
di Abraam giudeo essa prova come Dio si “dimostra verità infallibile
allorché coloro, che di lui dovrebbero dare testimonianza con le opere
buone, fanno il contrario„; con quella di Martellino avverte come male è
“beffare quelle cose che sono da riverire„, e tiene fin disposizione di
Dio s’ella in alcun giorno deve dar principio ai racconti, e da Dio
spera aiuto quand’anche debba narrare le burle di una moglie al marito
geloso: poi fatta regina, esorta di attendere nel venerdí e nel sabato,
piú tosto che a novelle, a preghiere al Signore.
E di che gentile pietà debb’essere capace l’animo suo, se con tanta
dolcezza dice il fiero caso di Girolamo che morí a lato all’amata!
D’amore parla con quell’entusiasmo e quel timore quasi religioso che è
proprio delle giovinette soltanto. L’amore è fatale, ed è impossibile
soffocarlo nel cuore in cui si è acceso, e male è il tentare di
soffocarlo, ché, o si spegne da sé medesimo, o non si spegnerà mai: “Oh
meravigliosa cosa è a pensare quanto sieno difficili ad investigare le
forze d’amore„! Ma amore è mite con lei, e di che gioia le sia prodigo
ella giovinetta, “tutta letizia nella stagione novella„, confida alla
sua fresca canzone e ai fiori cui parla, paragonando il suo innamorato
ad un fiore, e ai sospiri che non “aspri e gravi„ ma “soavi e caldi„ le
fuggon dal petto. Tale è Neifile; e le paure sue e la sua rattenutezza
di fanciulla che ama, palesa fin da principio, nel tempio, quando
Pampinea si rallegra per la venuta di Dioneo, di Filostrato e di
Panfilo.
“Neifile tutta nel viso divenuta per vergogna vermiglia, per ciò che
alcuna era di quelle che dall’un de’ giovani era amata, disse: Pampinea,
per Dio guarda ciò che tu dichi; io conosco assai apertamente niun’altra
cosa che tutta buona dir potersi di qualunque s’è l’uno di costoro, e
credogli a troppo maggior cosa, che questa non è (ciò è di accompagnarle
fuori Firenze), sofficienti, e similmente avviso loro buona compagnia et
onesta dover tenere, non che a noi, ma a molto piú belle e piú care che
noi non siamo. Ma perciò che assai manifesta cosa è, loro essere
d’alcune, che qui ne sono, innamorati, temo che infamia e riprensione,
senza nostra colpa o di loro, non ce ne segua, se gli meniamo„.
E come vaga e cara quando, coronata regina da Panfilo, diviene rossa in
volto e resta smarrita con gli occhi bassi, finché cessa il rumore delle
lodi che a lei levano ammirando gli astanti! Pure essa, cosí modesta
sino a che Dioneo non inanimisce lei e le altre donne con le lascive
novelle e non è indotta ad imitare le compagne, queste poi quasi vince
in ardire con la risposta che dà a Filostrato dopo la novella del
diavolo messo all’inferno.

IV.

_Filomena_⁸⁰, “bella e grande della persona e nel viso piú che altra
piacevole e ridente„, è piú volte lodata quale discretissima giovane, e
la discrezione sua prova subito alla proposta che Pampinea fa di
lasciare Firenze, osservando:
“Donne, quantunque ciò che ragiona Pampinea, sia ottimamente detto, non
è perciò cosí da correre come mostra che voi vogliate fare. Ricordovi
che noi siamo tutte femine, e non ce n’ha niuna sí fanciulla, che non
possa ben conoscere come le femine sieno ragionate insieme e senza la
provedenza d’alcuno uomo si sappiano regolare.„
Per questa qualità dell’animo suo ella gode raccontare come
giudiziosamente procedé la donna che senza infamia fece il confessore
inconsapevole mezzano al suo amore, e come cauti procederono i fratelli
di Lisabetta colpevole nell’uccidere il drudo di lei; gode narrare con
quale avvedimento madonna Francesca si levò d’addosso due che l’amavano
contro al suo piacere, e Beatrice ingannò e fe’ bastonare il marito
Egano da Ludovico suo amante. Alle novelle premette anch’essa qualche
volta osservazioni e consigli, ma al contrario di Pampinea, non parla
mai troppo. Né pure al pari d’Emilia e d’Elisa s’accende e s’adira
discorrendo de’ religiosi, ma a proposito di un confessore burlato,
s’accontenta di notare scherzando: “Vo’ farvi accorte che eziandio i
religiosi, ai quali noi, oltre modo credule, troppa fede prestiamo,
possono essere sono alcuna volta, non che dagli uomini, ma da alcune di
noi _cautamente_ beffati.„
Questa cura costante di serbare certa misura è in Filomena non solo
allorché racconta, ma sempre, in ogni suo atto, in ogni suo discorso.
Cosí quand’è coronata regina da Pampinea, vincendo tosto, per non parere
melensa, la confusione in cui resta un momento, afferma ai compagni:
“Non solo il mio giudizio, ma anche il vostro vo’ seguire„; e co ’l tema
che ella dà, “qualora non spiaccia„, a svolgere per novelle, toglie
ragione cosí di dolore soverchio come di riso smodato: desidera si
ragioni di chi “da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza,
riuscito a lieto fine„. E quando dalla dolcezza della canzone in cui
lamenta la lontananza del novo amante sarebbe tratta a svelare tutto
quanto in passato ha goduto e tutto quanto si ripromette di godere per
l’avvenire, presto sa dominarsi:
Se egli avvien ch’io mai piú ti tenga,
— canta all’amante —
Non so s’io sarò sciocca
Com’io or fui a lasciarti partire.
Io ti terrò, e che può, sí n’avvenga,
E della dolce bocca
Convien ch’io soddisfaccia al mio desire:
_D’altro non voglio or dire...._
Né è a maravigliare se cantando lascia comprendere che del novello e
piacevole amore ha sentito piú avanti che la sola vista, poiché la sua
non è la riserbatezza d’una affettata modestia; ed ella che a Neifile,
sbigottita allorquando Pampinea esorta a prendere per compagni gli
amanti di alcune di esse, risponde: “Dov’io onestamente viva, né mi
rimorda d’alcuna cosa la coscienza, parli chi vuole in contrario, Iddio
e la verità per me l’armi prenderanno„, ella può bene anche arrischiarsi
a dire quando accenna al godimento ch’ebbero due amanti una notte:
“Prego Iddio per la sua santa misericordia, che a tali notti conduca me
e tutte le anime cristiane che voglia ne hanno.„

V.

Dioneo re del drappello
Le Grazie afflisse....

_Dioneo_⁸¹, che il Boccaccio animò della franchezza, della vivacità,
dell’ardore suo proprio, meglio che il re è l’anima del drappello.
— “Fra voi tutte, discretissime e moderate, io, qual sento anzi dello
scemo che no, facendo la vostra virtú piú lucente col mio difetto, piú
vi debbo esser caro che se con piú valore quella facessi divenir piú
oscura.....„ — dice egli, umile e carezzevole, alle belle donne innanzi
di raccontare l’ultima sua novella, quasi che loro non fosse piaciuto
subito il primo giorno in cui uscito di Firenze con esse ad esse
dichiarò: — “Io non so quello che de’ vostri pensieri voi v’intendete di
fare; li miei lasciai dentro dalle porte della città..... E per ciò voi
a sollazzare et a ridere et a cantare con meco insieme vi disponete
(tanto dico quanto alla vostra dignità s’appartiene), o voi mi
licenziate che io per li miei pensieri mi ritorni a starmi nella città
tribolata.„ — Però a movere la temperata allegria di Panfilo, ad animare
l’allegria che Filostrato trova a fatica, ad assicurare l’allegria delle
donne spesso dubitanti, egli apporta la schietta ardita irresistibile
allegria dell’animo suo.
Ma all’occasione, e specie allorché le donne stimano proterva e
temeraria la licenza del suo parlare, e temono per la loro onestà,
Dioneo, non piú scemo, dimostra com’esse s’ingannino se credono ch’ei
non sia capace di pensare e sentire nobilmente. Cosí se desidera che
presto finiscano le dolorose novelle di cui Filostrato si compiace, è
perché non solo alle donne, ma anche a lui “le miserie degl’infelici
amanti contristano gli occhi ed il petto„; e se, fatto re, dà al
novellare un tema che pare troppo arrischiato, egli prova che non deve
pentirsi d’averlo scelto. — “Donne, io conosco ciò che io ho imposto,
non meno che facciate voi, e da imporlo non mi poté istornare quello che
voi mi volete mostrare, pensando che il tempo è tale che, guardandosi e
gli uomini e le donne d’operar disonestamente, ogni ragionare è
conceduto... La vostra brigata, dal primo dí infino a questa ora stata
onestissima, per cosa che detta ci si sia, non mi pare che in atto
alcuno si sia maculata, né si maculerà, collo aiuto di Dio...... Et a
dirvi il vero, chi sapesse che voi vi cessaste da queste ciance
ragionare alcuna volta, forse suspicherebbe che voi in ciò foste
colpevoli, e perciò ragionare non ne voleste„. — E questo giovane che
affligge le Grazie narrando di Paganino da Monaco e di Alibech, di
Pietro di Vinciolo e dell’incantesimo della cavalla, allorché l’oscenità
gli sfugge, “arrossa un po’ per vergogna„ e gli dispiace d’“esser troppo
bene compreso„. Ma le donne, “rosse nel viso, l’una all’altra guardando,
appena dal ridere potendosi astenere, l’ascoltano sogghignando„; e ad
esse è caro: Lauretta canta con lui, ed egli accompagna co ’l liuto il
canto d’Emilia, e da Filomena regina ottiene una grazia; onde Fiammetta
è gelosa. Ride Dioneo della gelosia di lei e per gelosia non soffre
egli; non troverebbe anzi nel suo amore ragione alcuna di rammaricarsi
se, tant’è ardente il suo affetto, non lo turbasse il timore che l’amata
Fiammetta non conosca bene l’alto suo desio e la sua intera fede.
........ non so ben, se ’ntero è conosciuto
L’alto disio che messo m’hai nel petto,
(dice ad Amore)
Né la mia intera fede,
Da costei, che possiede
Sí la mia mente, che io non torrei
Pace fuor che da essa, né vorrei.
Perch’io ti prego, dolce signor mio.
Che gliel dimostri, e facciale sentire
Alquanto del tuo foco
In servigio di me; ché vedi ch’io
Già mi consumo amando e nel martire
Mi sfaccio a poco a poco.....

VI.

_Fiammetta_, “i cui capelli eran crespi, lunghi e d’oro, e sopra li
candidi e delicati omeri ricadenti, et il viso ritondetto con un colore
vero di bianchi gigli e di vermiglie rose mescolati, tutto splendido,
con due occhi in testa che parevan d’un falcon pellegrino, e con una
boccuccia piccolina le cui labbra parevan due rubinetti„, Fiammetta,
quale vive nel _Decamerone_, ha pure tutta la leggiadria regale della
donna che nel _Filocopo_ presiede alla brigata intesa a risolvere le
difficili questioni della scienza d’amore; ha pure la grazia della ninfa
che “con atti d’autorità pieni, lieta e ridente„ narra nell’_Ameto_ come
si concedette all’affetto di Galeone, e pur ha non poco della donna
appassionata e gelosa che nel doloroso romanzo si strugge per
l’abbandono del suo Panfilo.
Non piú fidente giovinetta quale è Neifile, ella sa “come Amore vince
tutte le cose„, e canta e lamenta:
...... perciò ch’io m’avveggio
Che altre donne savie son com’io,
I’ triemo di paura,
E pur credendo il peggio,
Di quello avviso in altre esser disio,
Ch’a me l’anima fura (_cioè del suo amante_);
E cosí quel che m’è somma ventura,
Mi fa isconsolata
Sospirar forte e stare in vita ria.
Se io sentissi fede
Nel mio signor, quant’io sento valore,
Gelosa non sarei......
Ma tra le amiche del _Decamerone_ ella riesce ad attutire il tormento
della gelosia e a scacciarne il cupo pensiero, e narra di cortesie e
d’amori, lieta in viso e ridente come tra le compagne dell’_Ameto_. E
ricorda: “Noi siam qui per aver festa, e buon tempo.„ Via dunque ogni
cagione di dispiacere! — e pur raccontando di Tancredi ella è mal
disposta al tema dato da Filostrato; — via tutto ciò che possa
inacerbire gli spiriti! — e dopo la novella dello scolare, la cui
severità ha trafitta lei e le compagne, osservando prima come la
vendetta non dev’essere soprabbondante, narra l’allegra istoria dei due
che si accomunarono le mogli —; via anche ciò che possa muovere
leggermente ad ira! — e la decima giornata, quando nella nobile gara di
chi narri azioni piú nobili, gli animi delle compagne s’accendono
disputando, essa innanzi di dire la sua novella ammonisce: “Splendide
donne, io fui sempre in opinione che nelle brigate come la nostra è, si
dovesse sí largamente ragionare che la troppa strettezza della
intenzione delle cose dette non fosse altrui materia di disputare. Il
che molto piú si conviene nelle scuole tra gli studianti che tra noi, le
quali appena alla rócca et al fuso bastiamo.„
Cosí Fiammetta, dopo le tristi, dà tema alle felici novelle: “Ciò che ad
alcuno amante dopo fieri o sventurati accidenti felicemente avvenisse.„
D’amore ogni suo pensiero, e amore è la sua vita; né fa commento alcuno
a quello che racconta se non per consigliare chi ama o chi è per amare.
Al modo stesso che nel _Filocopo_ risolve la questione di Pola, se piú
alta debba essere la condizione dell’amata o dell’amante, asserendo che
“quantunque la donna sia ricca, grande e nobile piú che ’l giovane in
qualunque grado, o dignità si sia, ella deggia piú tosto dal giovane
essere amata, che quella che alcuna cosa ha meno di lui„, facendosi a
narrare la prima novella del _Decamerone_ afferma: “Quanto negli uomini
è gran senno il cercar d’amar sempre donna di piú alto lignaggio ch’egli
non è, cosí nelle donne è grandissimo avvedimento il sapersi guardare
dal prendersi dallo amore di maggiore uomo ch’ella non è.„ — Bene dunque
Fiammetta figlia di re e Dioneo figlio di mercante fiorentino possono
amarsi e di amore pari a quello di messer Guglielmo e della dama di
Vergiú, dei quali cantano insieme le gioie e gli affanni.

VII.

_Emilia_⁸² non imita Pampinea considerando le passioni umane e i casi
della vita e traendo dalle considerazioni sue ammaestramenti utili e
morali; non ostenta la prudenza e la discrezione di Filomena, e come
mostra di non comprendere dolori quali sono quelli di Lauretta e di
Elisa, vorrebbe far credere di non curare godimenti quali sono quelli
che consolarono e consolano Fiammetta e Neifile: per arte di seduzione
vuole persuadere che dall’amore di sé deriva un piacere di cui nulla e
nessuno la può privare, e sí fatto che ad altro amore non pensa e
d’altro amore non ha né pur coscienza d’aver desiderio:
Io son sí vaga della mia bellezza,
Che d’altro amor giammai
Non curerò, né credo aver vaghezza.
Civettuola! Non s’avvede poi che con l’impeto onde magnifica il
prepotente amore della Simona accerta che non le dispiacerebbe punto di
essere risottomessa alla forza di quella passione di cui si vanta
ribelle, né, per quanto astuta, s’invigila sempre in guisa da non
tradire talvolta un desiderio o i ricordi: cosí, nella sesta giornata
còlta in distrazione da Elisa regina deve pur confessare “soffiando non
altrimenti che se da dormir si levasse, che un lungo pensiero molto l’ha
tenuta lontana.„ Ma, del resto, quale spontanea e graziosa vivacità e
franchezza nel suo carattere! Canta prima di tutte e quando racconta è
impossibile dimenticarsi che lei sola può parlare in quel modo; e però
lo scrittore lascia che per sé medesima si faccia conoscere, e si cura
solo d’avvertire innanzi la sua prima novella ch’essa narra
_baldanzosamente_ e di ripetere innanzi alla decima, l’ultima — quasi ad
imprimere meglio il carattere di lei ripetendo la parola la quale ne
raccoglie l’intera espressione — “che prese a raccontare
_baldanzosamente_, quasi di dire desiderosa.„
Di novellare desiderosa non si perde in preamboli. Rapida sempre, alle
volte è incisiva nel suo discorrere, e ne’ suoi racconti quasi sempre è
un personaggio che dell’animo suo ha l’ardimento e la forza: però sembra
di comprendere la compiacenza di lei quando narra l’animosa difesa di
Giannotto in conspetto a Corrado, o la veemenza con cui Tebaldo in
conspetto alla amata donna maledice ai preti ed ai frati, dei quali
ancora non bisogna perdonare le ingiurie, o la fierezza di madonna
Dianora in presenza al barone amante e la fortezza con cui ella sostiene
la pena che la sua stessa baldanza le ha procurata.
Dunque bene Dioneo si rivolge a lei affinché, date a narrare le burle
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