Parvenze e sembianze - 4

Total number of words is 4428
Total number of unique words is 1857
35.9 of words are in the 2000 most common words
50.3 of words are in the 5000 most common words
58.2 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
“Parve che a quelle misere, al suono di queste voci, uscisse l’anima e
svanisse lo spirito„; e sola ad una rimase la forza di interrogarlo.
Ah! — egli si era introdotto in Palazzo e già aveva saputo che
“mancavano pochi minuti alla comune felicità, quando una straordinaria
allegrezza di quei matti di là dentro lo aveva fatto cadere negli abissi
delle miserie„.
E cosí avvenne che tutte quelle signore se n’uscirono piangendo e
lamentando dal luogo ove eran entrate piene di letizia. — Ma io dubito
molto che questo riassunto possa lasciare in chi mi legge la vivace ed
efficace impressione che il piccolo libro lasciò in me, nauseato lettore
di cose del seicento.
————
In proposito del qual _Puttanismo_ vo’ riferire un’altro aneddoto non
inutile anch’esso alla conoscenza del Leti e dei suoi tempi.
Nel 1675, a Ginevra, fu spedita a Gregorio Leti una lettera da certa
Suor Agnese Mansola, la quale godeva rinnovarglisi nella memoria come
colei che già molt’anni innanzi aveva servita da cameriera la sorella di
lui, a Milano, e da lui stesso, quando la chiamavano ancora Bellottola,
aveva ricevute non poche carezze. Ed essa gli raccontava che morta la
sua prima e buona padrona era stata traviata da un marchese e poi da un
abate romano, il quale l’aveva indotta a recarsi a Roma, ove in breve
era divenuta cortigiana famosa acquistandovi il pomposo nomignolo di
_Regal meretrice_. Ma in quell’anno del giubileo il Signore le aveva
tócco il cuore sí che aveva fatto dono di dieci mila scudi al monastero
in cui s’era rinchiusa. — “Mi son riservati — ella finiva — cento scudi
romani, ch’è il salario ricevuto dalla sua signora sorella, e della metà
ne farò dir messe per il riposo dell’anima di questa e dell’altra
preghiere al Santo Spirito per la sua conversione, oltre alle mie
preghiere particolari„.
Il Leti rispose: “.... Di lei non ne avevo inteso parlar minima cosa
dalla morte in poi della mia sorella, né mai avrei pensato che
Bellottola di Milano fosse fatta la Regal meretrice di Roma, della quale
ne avevo inteso far conti tali, che aveano dato la volontà all’autore
del _Puttanismo di Roma_ d’infilzarvela dentro con gratiose maniere
vantaggiose a tal sua professione.... Le dirò intanto che per una nuova
convertita il mentir cosí sfacciatamente mi dà da pensare. Mi scrive
d’aver abbandonato il peccato, in luogo di dire ch’è stata dal peccato
abbandonata. La mia sorella è morta sono appunto trent’anni: quattro di
servizio, son trentaquattro, e ventuno che aveva quando entrò a
servirla, son cinquantacinque; et intanto si loda d’aver abbandonato il
peccato? Anzi doveva scrivermi che per dispetto al peccato, che l’aveva
abbandonata erano quindici anni (giacché in Italia, passati li
quarant’anni, si mandan le donne al diavolo), aveva presa la risoluzione
di far la penitente.... Non so comprendere questo suo zelo di voler
salvar la mia anima per gli obblighi che aveva alla mia sorella.....
Perché non conservar meco quest’obbligo.... co’l farmi suo erede?; che
senza scrupolo avrei ricevuta l’eredità„. E consigliandola d’impiegare i
cento scudi romani, invece che in messe e in preghiere, in elemosine,
conchiudeva: “Si ricordi talvolta che non è il giubileo che l’ha
convertita, ma la sua età„.⁵³

V.

Ma per tornare ad Alessandro settimo, egli morí davvero poco dopo
l’imaginato conclave di quelle tali donnine, e della sua morte e del suo
viaggio all’altro mondo Gregorio Leti seppe e narrò assai cose
piacevoli. La qual satira — _Il sindacato di Alessandro VII con il suo
viaggio nell’altro mondo_,⁵⁴ — è di quelle la cui essenza, tutta di
pasquinate, trova disposizione in una tela semplice ma ingegnosa di
fatti. Cosí mentre il morto pontefice è spedito dritto dritto in
Purgatorio e là giú tenta invano di procedere come in vita, e solleva
gran discorsi di sé, quassú in Roma passa dinanzi ai Conservatori e a
Pasquino e Marforio, l’uno fiscale e l’altro scriba nel congresso, la
moltitudine di coloro che hanno da significare i torti ricevuti da lui:
monsignori e cardinali tristi, de’ quali non è stata appagata abbastanza
l’avidità e l’ambizione; preti miserabili, vittime dell’ingordigia dei
maggiori; fidati impudenti rivelatori delle proprie per rivelare le
colpe altrui; gentiluomini stranieri pieni di nausea per la politica e
la corruzione di Roma: una fila lunga di persone, a cui non manca
espressione; tra cui è anzi piú d’una macchietta a tratti rapidi e
vivaci.
I conservatori ascoltano in silenzio il racconto delle piccole colpe o
dei delitti nefandi; ma, per contro, discorrono assai Pasquino e
Marforio, il primo strapazzando spesso i querelanti, e ammonendoli il
secondo; e dando l’uno notizie e argomento di dispute all’altro: giacché
lo scriba e il fiscale, quantunque siano i due amici che tutti sanno,
non si trovano sempre d’accordo per cagione del loro carattere molto
diverso.
Pasquino è sagace e senza paura e irascibile; Marforio, meno pronto di
testa, meno sicuro d’animo, difficile ad infiammarsi: l’uno, quando è il
caso e può, cerca di salvar capre e cavoli e s’imbroglia; e l’altro si
stizzisce. “Tu sei nato per farmi crepare, Marforio, con queste tue
procediture — dice Pasquino —, le quali servono a farti stimare un poco
meno cattivo di me; ed in fatti tutti parlano di Pasquino: Pasquino qua
e Pasquino là: le punture, le ferite, le maldicenze ed ogni sorta di
mormoro s’applica a Pasquino; in somma non si parla, quando si tratta di
mala vita, che di Pasquino; a tal segno che hanno dato titolo ad ogni
sorta di satira, di _pasquinate_; ma di te non si parla che poco o
niente, e sinora non s’è inteso mai dire _marforiata_. E perché questo?
Perché io parlo con libertà; perché quello che ho nella bocca ho nel
cuore, e nel cuore non resta che quello che va fuori dalla bocca; perché
sono amico degli amici e nemico dei nemici; perché non faccio
distinzione di qualità di persona, menando al pari i grandi con i
piccoli....; ma tu, al contrario, vai sempre risarcendo quello che rompi
e cerchi di rompere quello che mostri di risarcire..... Se io sapessi
fingere come fai tu, non averei la testa rotta....„ —
Risponde Marforio ch’egli nacque non ai tempi in cui nacque lui, ma
quando i piú “nascevano con due faccie, l’una ricevuta dalla natura nel
luogo ordinario e l’altra dietro le spalle: non esser meraviglia se
ritiene della natura propria a molti di quelli che è andato praticando.„
Non meno piacevole e ugualmente intessuta di pasquinate è l’_Ambasciata
di Romolo ai Romani_⁵⁵.
Gli annali sacri e profani di Roma, “già compiuti da parecchie autorità
per ordine di Romolo„, erano letti ad alta voce in cospetto di tutti i
numi, i quali con diversa commozione ascoltavano i grandi fatti e le
grandi sventure dell’alma città, e la gloria a cui l’avevano innalzata
con meravigliosa alleanza la fortuna e la virtú, e le ruine in cui
l’avevano precipitata il papato, i barbari e Carlo quinto, allorché
Mercurio si presentò tutt’afflitto alla suprema raunanza e, mancandogli
la voce, spiegò la causa del suo dolore con fogli che dié a leggere a
Romolo stesso. Contenevano tre poesie di rammarico in morte di Clemente
nono; e dalla lettura loro Romolo ricevette tanto cordoglio che si mise
a piangere, e cosí, con il capo tra le mani, a pensare i mezzi di
salvezza per la sua città, su la quale minacciava di nuovo la tirannia
del nipotismo.
Andar egli a riporvi le cose nello stato d’una volta in un tempo in cui
“gli ecclesiastici non potevano soffrire altro dominio che il proprio„,
era certo impresa troppo arrischiata: meglio spedire un ambasciatore che
sotto apparenza di consolare il popolo romano per la morte del buon
pontefice, ricercasse s’ei fosse disposto a vivere nel regime del
paganesimo; e giacché agli ambasciatori conveniva fasto e nobiltà, gli
parve ancor meglio inviarvi Remo suo fratello. E Remo con una lettera
“credenziale„ per i Romani e con gli ammonimenti del fratello, e a capo
d’una scelta comitiva, si mise subito in viaggio. Aveva di piú, per “non
rincontrare in quei viluppi in che sogliono cadere bene spesso quei
ministri che vanno a negoziare senza conoscere l’umore delle nazioni„,
una memoria intorno “i costumi de’ principali popoli d’Europa„. Nella
quale tra le altre cose, era detto che:
in statura
il Tedesco è grande;
l’Inglese di bella presenza;
il Francese di bel garbo;
l’Italiano mediocre;
lo Spagnuolo spaventevole....
In amore:
il Tedesco non sa l’arte d’amare;
l’Inglese ama bene in pochi luoghi;
il Francese ama per tutto;
l’Italiano sa come bisogna amare;
lo Spagnuolo ama bene.
In scienza;
il Tedesco sa come un pedante;
l’Inglese come un filosofo;
il Francese di tutto sa un poco;
l’Italiano sa come un dottore;
lo Spagnuolo è profondo....
In ingiurie e benefici:
il Tedesco non fa né bene né male;
l’Inglese fa bene e male;
il Francese scorda il bene e il male che fa e che riceve;
l’Italiano serve con affetto e si vendica con ira;
lo Spagnuolo ricompensa il bene e il male.
In pasti:
il Tedesco è un briaco;
l’Inglese è un ghiotto;
il Francese delicato;
l’Italiano sobrio;
lo Spagnuolo scarso....
In costumi:
Il Tedesco è rustico;
l’Inglese crudele;
il Francese cortese;
l’Italiano civile;
lo Spagnuolo disprezzante....
In magnificenza:
il Tedesco è magnifico in privato;
l’Inglese in mare;
il Francese nella corte;
l’Italiano nella chiesa;
lo Spagnuolo nell’armi.
In bellezza:
il Tedesco è come una statua;
l’Inglese come un angelo;
il Francese come un uomo;
l’Italiano come può;
lo Spagnuolo come un diavolo....
In presenza:
il Tedesco di rado ha bel garbo;
l’Inglese ha la vista né di savio né di matto;
il Francese un garbo stordito, et è in effetto;
l’Italiano ha la vista di savio et è matto;
lo Spagnuolo ha la vista di matto et è savio....
In matrimonio:
il Tedesco è padrone;
l’Inglese servidore;
il Francese buon compagno;
l’Italiano carceriere;
lo Spagnuolo tiranno.
Le donne:
in Germania fanno risparmiare, ma sono fredde;
in Inghilterra sono regine e libertine;
in Francia dame e lascive;
in Italia prigioniere e cattive;
in Spagna schiave et amorose....
In viaggio:
il Tedesco viaggia per costume;
l’Inglese per capriccio;
il Francese per osservare i fatti d’altri;
l’Italiano per imparare;
lo Spagnuolo per necessità.
E Remo, da buon italiano, s’istruiva assai viaggiando di cielo in terra,
tanta gente incontrava che gli dava a leggere satire e tanti
l’accompagnavano per discorrergli delle tristi condizioni di Roma.
Meno male che giunto nella eterna città fu consolato dall’elezione d’un
ottimo cardinale a pontefice: l’Altieri, che prese il nome di Clemente
primo.

VI.

Quest’anima satirica di Gregorio Leti, anzi che infiacchirsi o
addolcirsi, nella vecchiaia resistette e rincrudí, e oramai settantenne
egli diede fuori quella _Critica delle lotterie_, per cui un ministro di
Luigi XIV fu indotto a dire: “So bene perché il re di Francia ha fatto
la guerra a tanti suoi particolari nemici, ma non so trovar la ragione
che abbia possuto muovere il sig. Leti a farla a tutto il genere
umano.„⁵⁶
Infatti, giú botte da orbo a príncipi, ad ambasciatori, a generali; a
tribunali, a senati, accademie, università, eserciti, nazioni; a nobili
e a plebei; a ricchi e a poveri; a letterati e ad idioti; a religiosi di
ogni chiesa e a increduli; a stampatori, a donne, a sé stesso.
E in tempi che per reo costume l’adulazione e la viltà ruinavano la
società tutta, queste satire acerbe piacquero come opere sincere e
forti; né fastidiscono oggi chi le riguardi; non foss’altro perché noi,
gente temperata e morale, ripugnamo sí dalla maldicenza infamante e
dagli scandali de’ nostri giorni, ma ci volgiamo poi con certo gusto
alla ricerca di vecchi scandali e infamie vecchie; vecchie, siano pure,
di due secoli.


PUNIZIONE⁵⁷

Ammirata dell’opera fine e vivace delle miniature la signora aveva molte
esclamazioni e troppe interrogazioni per ciascuna pergamena che le
ponevo sott’occhio: — Che significa quest’allegoria? — Che festa solenne
sarà questa a cui concorre sí lunga fila di dame e gentiluomini? — Chi è
questa regina che scesa dalla carrozza a sei cavalli s’inginocchia
dinanzi a un cardinale? — Che bel teatro, e quanta gente, e curiosi i
comici in scena! Forse è un teatro di Bologna? — Sono scienziati o
diplomatici costoro in grave radunanza?; — ond’io piú d’una volta mi
confusi a rispondere o non risposi, ed ella levò a me gli occhi, ahi!,
sorridenti, come le labbra, di sottile sarcasmo. Però quando fummo a una
rappresentazione dello Studio ed ella accennandomi gli scolari — Come
bellini! E come dovevano vivere lieti! — parve desiderare qualche
notizia intorno ai loro costumi, e pure non sperarla da me, sentii
giunta finalmente l’occasione a punirla un po’ della curiosità sua e piú
della sua malignità, e cominciai:
— Vivevano lieti, ed è piú facile trovar ricordi dei loro sollazzi e
delle loro monellerie che dei loro studi. Cosí, se ai giovani capaci
d’ogni gentile adoperare anche al principio del seicento veniva in
premio l’amore, anzi tutto è da credere che le donne si disponessero a
compiangerli allorché traevano la dolce pienezza dei suoni dal piú
leggiadro degli istrumenti: il liuto. Sonavano pure il clavicembalo e la
viola e cantavano a libro commovendo con diverse arie diversi affetti:
l’arie lombarde accendevano l’animo all’ardire, le napolitane invece lo
intenerivano, le francesi l’inacerbivano con veemenza, e le spagnole al
contrario lo rendevano mansueto; l’arie toscane temperavano in cuore gli
affetti. Ma giacché le donne furono sempre crudeli a pungere chi manchi
di prontezza e sagacia nei discorsi, gli scolari del secolo
decimosettimo cercavano con assai cura i motti arguti e le parole soavi,
le quali avevano piú agio a profondere nei tardi giri e nei riposi
frequenti della _pavana_. Per questo la pavana era sempre uno dei balli
preferiti; ma a porre in mostra la grazia e l’agilità della persona
tornavan meglio le _gagliarde_ e ai giovani che, come si diceva allora,
facevano professione di cappa e spada, conveniva esperienza di molti
altri balletti, tra cui alcuni un po’ licenziosi. Tale la _nizzarda_,
per cui i ballerini movevano in fretta tre passi abbracciando la donna
in guisa che pareva la baciassero; ed io, signora....
— Non c’era educazione in quei tempi!
— Veramente in conversazione riusciva non di rado piacevole certa
grossolanità di atti e di parole, e, per esempio, una dama poteva punire
con “una solenne pianellata„ l’innamorato troppo audace in richiedere, e
quegli rispondere allegro: — “Buon destriero non teme calcio di
cavalla„ —, ma poi la sottigliezza dei precetti a distinguere e
rispettare i vari gradi delle persone era tanta che, stia certa, darebbe
gran pena a noi oggidí. Il tormento peggiore era forse a girare in
compagnia, perché passeggiando uno con persona degna di deferenza doveva
sempre guardar di lasciarla alla parte piú onorevole, la quale cambiava
nei luoghi diversi; e se in un giardino poteva essere determinata dalla
vicinanza della porta d’ingresso, sotto un portico era invece dal lato
del muro, e in una sala dalla disposizione degli usci e delle finestre.
Per strada, in Lombardia camminava a piú onore colui che stava rasente
il muro, dove nelle città di Toscana e a Venezia sempre colui che si
teneva alla destra. E quando tre andavano insieme, in mezzo stava la
persona di maggior grado, ma se i tre si sentivano uguali, ognuno,
secondo l’usanza spagnola, prendeva il mezzo di tratto in tratto e di
tratto in tratto passava alle parti e l’orgoglio di tutti era salvo.
Bensí a spasso con un principe o con un gran personaggio non si penava,
perché, rimanesse egli a destra o a sinistra, lo distinguevano tutti
egualmente. A cavallo, in due o piú, d’estate riceveva onore chi
precedeva; d’inverno, chi seguiva gli altri: in carrozza, il padrone
secondava i gradi di coloro che l’accompagnavano con l’ordine dei posti;
in camera, dinanzi al fuoco, faceva sedere il visitatore nel sito
mediano; fuori o dentro la porta di casa.... La storia è lunga,
lunghissima poi per gl’intrecci di regole e di eccezioni che il barocco
galateo stabiliva riguardo agli incontri per via, i quali potevano
essere tra maggiori, inferiori, uguali; in istrada “propria„ o “altrui„;
tra persone a piedi e persone a cavallo; tra carrozze recanti signori e
carrozze vuote.
Bisognavan riguardi non pochi anche ai conviti, in cui sarebbe stata
offesa grande alla gravità e all’assennatezza dei commensali offrir loro
ravanelli, cervella e sale; e pe ’l sale era anzi un proverbio: “Né
moglie, né acqua, né sale a chi non te ne chiede non gliene dare„, quasi
che essendo male educati o ignorando l’adagio si potesse offrire la
moglie agli amici. Ma oggidí, signora....
— Non esca di carreggiata e parli un po’ piú degli scolari.
— _Contra pupillos omnia jura clamant_; e alla “spupillazione„ — ciò era
“la ricognizione d’un paio di guanti o d’una dozzina di stringhe di
seta„ che i nuovi studenti pagavano a quelli della nazione o città ove
andavano a studio, — conveniva acconsentire per amore o per forza: ai
neghittosi erano rubati i ferraioli e svaligiate le camere senza
misericordia. Uccellavano gl’incauti “pupillotti„ anche i bidelli, i
quali avendo una ricompensa da ogni scolaro che si laureasse,
conducevano al loro dottore piú discepoli che potevano. Visitare i
lettori era dovere; piaceva gridar viva ad essi nelle scuole e fin per
le strade. Ma piaceva anche a non pochi ridere, susurrare, sbadigliare,
zuffolare, discorrere forte, stropicciare i piedi durante la lezione;
onde i maestri erano costretti piú d’una volta a scendere di cattedra:
si vendicavano pungendo con motti i disturbatori.
Per altro a quei tempi infelici non tutti i lettori erano uomini di
profonda dottrina e molti si disprezzavano e mordevano a vicenda. Cosí
ad uno che disse a un suo emulo: — “V’intendete di fagioli, non di
leggi —„ l’avversario rispose pronto: — “Sí certo che m’intendo di
fagioli, poiché non a pena vi vidi, che per tale vi conobbi.„ Ma se gli
scolari studiavano meno d’adesso, non giocavano meno. I giochi del
secolo decimosettimo erano molteplici e leciti e illeciti: tra questi,
quello dei dadi; tra quelli, il lotto, la _farinazio_, il _giretto_ e la
_morra_. Gli scacchi e la dama dilettavano come giochi “d’ingegno„;
d’“ingegno e fortuna„ lo _sbaraglino_, la _primiera_ e gli altri di
carte, per i quali giovavano certe norme fissate in proverbi come:
“Sette e fante dalli a tutte quante„, e “ambasso fatti avanti un passo„,
e “non si può far assi senza risicare„; d’“ingegno, fortuna e agilità„,
la palla, il pallone e il maglio; solo d’agilità, ma piú convenienti “a
soldati che a scolari„, la corsa ed il salto.
Se non che agli scolari del seicento piacevano altri giochi, e non
badando che “si trovano molti fiaschi rotti con le vesti nove„ — il
detto è d’allora — pericolavano a smarrire la “grazia dell’aspetto„ e a
ingiallare: ma ai dí nostri, o signora....
— Su quanti libri avrà sudato vossignoria per apprendere tutte queste
belle cose!; — e stanca rifinita allontanava da sé le pergamene
maledicendole tacitamente.
Io volli compiere con la punizione la lezione: — Al signor Annibale
Roero, nel 1604 non per anche laureato dottore e tuttavia occupato,
com’egli scriveva, nel “viluppo delle legali materie„, parve bene
rivolgere la sua esperienza e dottrina di scolaro all’università di
Pavia in profitto di quelli che si disponessero allo studio del giure, e
imaginando sé stesso a ricevere consigli e istruzione dal signor
Saglijno Nemours, dalla signora Caterina Roero Nemours e dal conte
Galeazzo Roero, per via di quattro dialoghi diede l’“idea del perfetto
scolare„. E poiché non solo raccolse le norme seguendo le quali i
giovani avvantaggiassero di piú nella scienza, ma stese ancora le regole
a procedere saviamente e gentilmente, nel libro dello _Scolare_, tra le
nobili sentenze di filosofi e di poeti e gli umili proverbi, tra gli
aneddoti antichi e nuovi e i racconti di nuove burle, tra i motti
ridevoli e le risposte avvedute, restano non poche notizie de’ costumi
ch’erano propri alla miglior società nel principiare del secolo
decimosettimo. Signora, vuol leggere il libro curioso?
— Grazie: preferisco Daudet.


MOLTO RUMORE PER NULLA

I.

Questa, a linee brevi d’umile prosa, la figurina di un giovane che a
mezzo il secolo decimosettimo derivasse dalle mode francesi la virtú di
piacere molto alle donne e piú a sé medesimo.
Di sotto il cappellaccio bigio, povero di falde e ricco di nastri e
fiocchi a vari colori, l’onda dei capelli, naturali o finti, diffusa su
’l largo collare; diffusa su lo stomaco e sfuggente dall’apertura del
farsetto di “gialdiccio„, la camicia sottile e candida; i calzoncini
strettissimi, verdi, a liste di passamani, trattenuti da lucide stringhe
sotto il ginocchio; e quindi le calze rosse o bianche (bianche ne’
partigiani dei Francesi e rosse degli Spagnoli) a seconda dell’opinione
politica. Ma al diavolo la politica!; e per seguire in tutto la moda di
Francia, meglio che le scarpette coperte in punta da grandi rose di seta
e d’oro, due stivalacci coi calzari a rovescioni su ’l collo del piede.
E come belle le mani senza guanti, la sinistra poggiata all’impugnatura
della breve spada e la destra, con un grosso anello di giavazzo nero
nell’indice e un anellino d’argento o di rame nell’estremità del
mignolo, intesa talvolta ad appuntare i baffi rivolti in su a punti
interrogativi! Le donne rispondevano con sorrisi, ma secondo una
canzonetta, forse maligna, pretendevano troppo:
Con le donne d’oggidí
Ci vuol altro, per mia fé
Che portar raso o tabí!
Stracciato e nudo
Se ’n vada il drudo,
Ché amor vero, allor sarà
Se per vestir altrui si spoglierà!⁵⁸
Tuttavia i donnaioli non andavan nudi per strada, anzi, potendo,
vestivano in conformità delle mode, che allora “variavano come la
stagione„⁵⁹. Però se è difficile seguire le vicissitudini delle foggie
negli abiti degli uomini, i quali, per esempio, a distanza di pochi anni
sostituirono ai calzoni stretti “bragoni scialacquati„, a mala pena si
può cogliere la volubilità della moda femminile ne’ suoi momenti piú
singolari; e se è noto che a metà del secolo il guardinfante, ricoverto
di lunghe gonne e sottogonne, era in uso comune ed utile a nascondere
gravidanze legittime ed illegittime e piú d’una volta amatori furtivi, e
in uso comune erano i corsetti a “basche„ con le maniche a sboffi e le
ampie gollette di pizzo, non è poi facile rendere idea del come
mutassero e rimutassero le forme secondarie e le cose minori d’una
_toilette_ compiuta. Anche accadeva troppo spesso che qualche dama vaga
di novità apparisse vestita e acconciata in maniera diversa dalle altre
e traesse tosto molte altre ad imitarla.
Cosí fece quell’una vista e ritratta da don Agostino Lampugnani, la
quale portava in testa un cappello di feltro con la falda tenuta a
rovescio da un fermaglio di gioie; alla persona, una casacca alla
francese di seta colore incarnatino, intessuta d’oro con maniche corte e
con fiocchi di camicia bianchissima fuori dei gomiti; una gonna
all’inglese d’“ormesino cangiante„, succinta tanto da lasciar vedere le
gambe coperte da calze di seta color porpora; nei piedi, scarpette di
raso con un dito di tacco e con due gran rose pur esse di color porpora;
nelle mani, guanti logori e stracciati per porre in vista numerosi e
preziosi anelli; al collo, un monile di granati; a un solo orecchio, “un
pendente d’odorata mistura nera„; e a sinistra del petto un pugnale e a
destra un piccolo archibugio a ruota. Dio ne scampi dal rinnovamento di
moda sí fatta!
E neppure risorga mai piú l’usanza che in certo periodo del seicento
costrinse le signore a farsi salassare per derivarne pallore e magrezza
e a mangiare una terra detta _bolarmico_ per cui l’avorio dei denti
rimanesse “incastonato d’ebano„: aberrazione di gusto, che ebbe forse a
causa e scusa il rovello delle gentildonne al vedersi imitate ed emulate
dalle umili cittadine nella profusione della biacca e del minio su ’l
viso e su ’l seno. Odiose borghesi, le quali smaniavano di copiare le
dame in tutto! Almeno al tempo in cui usavano i manti era come stabilito
per legge che le gentildonne li portassero di seta e le “cittadine e
mercadantesse di criniletto; e guai a quella di queste che si fosse
arrischiata di portarlo di seta, perché era certa che le sarebbe stato
strappato d’attorno„, e talvolta per mano delle dame medesime!
“Usanza — aggiunge il Ghiselli —⁶⁰ che sarebbe da desiderarsi che fosse
stata mantenuta, ché non si vedrebbe al presente quella confusione che
produce quel trattamento, ch’accomunato a tutti piú non fa comparire
quella bella distinzione fra le persone di diversa condizione; contro
l’uso d’oggidí, nel quale piú non si conosce dalla suntuosità del
vestire una dama da una moglie di uno speziale o di qualch’altro uomo di
piú bassa condizione.„

II.

Scrittori che deridessero e sferzassero le mode barocche e le costumanze
corrompitrici abbondarono pure nel secolo decimosettimo, ma per arte e
per ironia acuta e fremebonda, che fa rammentare il Parini⁶¹, Gabriello
Chiabrera superò tutti in due de’ suoi sermoni e piú mirabilmente in
quello all’amico Jacopo Gaddi:
Gaddi, ch’oggi sull’Istro e per li campi
Della fredda Lamagna ami battaglie
La gioventude, e sia disposta all’armi,
Negar non oso, e negherò via meno
Che dentro i dicchi della bassa Olanda
Si rimirino popoli feroci....
Dico che nella Fiandra e nella Francia,
E che dovunque il sol mostra i capegli.
Nascono destre da vibrare un’asta.
Da stringere una spada, ed avvi gente
Da piantar palme sulla lor Tarpea:
Tutto vi posso dir; bella fanciulla
Appiattar non si deve, e similmente
Però cosí parlai: ma d’altra parte
Forte contrasterò che né per Fiandra,
Né per dovunque il sol mostra i capegli,
Gente leggiadra mirerai, che agguagli
La leggiadria dell’italica gente.
Chi muoverassi a contraddirmi? E dove
Calzar potrassi una gentil scarpetta?
Un calcagnetto sí polito? Arroge
I bei fiocchi del nastro, onde s’allaccia.
Che di Mercurio sembrano i talari.
Io taccio il feltro de’ cappelli tinto
Oltre misura a negro; e taccio i fregi
Sul giubbon di ricchissimi vermigli.
Chi potrà dir de’ collarini bianchi
Piú che neve di monte? Ovvero azzurri
Piú che l’azzurro d’ogni ciel sereno?
Ed acconci per via che non s’asconde
Il gruppo della gola, anzi s’espone
Alle dame l’avorio del bel collo?
Lungo fòra a narrar come son gai
Per trapunto i calzoni, e come ornate
Per entro la casacca in varie guise
Serpeggiando sen van bottonature.
Splendono soppannati i ferrajoli
Bizzarramente, e sulla coscia manca
Tutto d’argento arabescati; e d’oro
Ridono gli elsi della bella spada.
Or prendasi a pensar quale è a mirarsi
Fra sí fatti ricami, in tale pompa.
Una bionda increspata zazzeretta
Per diligente man di buon barbiere
Con suoi fuochi e suoi ferri; e per qual modo
Vi sfavilli la guancia sí vermiglia,
Che può vermiglia ancor parer per arte;
E chi sa? forse, forse.... O glorïosa,
E non men fortunata Italia mia,
Di quella Italia che domava il mondo
Quando fremean le legïon romane!...
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Parvenze e sembianze - 5
  • Parts
  • Parvenze e sembianze - 1
    Total number of words is 4346
    Total number of unique words is 1818
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    50.5 of words are in the 5000 most common words
    59.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 2
    Total number of words is 4457
    Total number of unique words is 1914
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    49.3 of words are in the 5000 most common words
    56.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 3
    Total number of words is 4559
    Total number of unique words is 1896
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    50.3 of words are in the 5000 most common words
    57.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 4
    Total number of words is 4428
    Total number of unique words is 1857
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    50.3 of words are in the 5000 most common words
    58.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 5
    Total number of words is 4436
    Total number of unique words is 1898
    33.0 of words are in the 2000 most common words
    48.1 of words are in the 5000 most common words
    55.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 6
    Total number of words is 4559
    Total number of unique words is 1689
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    50.1 of words are in the 5000 most common words
    58.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 7
    Total number of words is 4561
    Total number of unique words is 1711
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    52.9 of words are in the 5000 most common words
    61.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Parvenze e sembianze - 8
    Total number of words is 2174
    Total number of unique words is 1039
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    52.2 of words are in the 5000 most common words
    59.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.