Vecchie storie d'amore - 2

Total number of words is 4582
Total number of unique words is 1825
33.3 of words are in the 2000 most common words
48.3 of words are in the 5000 most common words
56.2 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
sópravi la figlia traverso il bosco, e la visione e l’impressione dei
sogni perdurandogli nella mente turbata e affievolita, egli ripeteva
spesso anche di giorno: — Ah quel cavallo! quel cavallo!

V.

Un giorno d’autunno, in tanto che madonna Giovanna e una fantesca
distendevano il bucato al sole, arrivò di corsa a Santelmo uno scudiero
del Farneto. — Madonna — disse —, messer Lapo sta male e vuol vedervi. —
Ciò udito madonna Giovanna affollò lo scudiero d’inchieste e Raimondo
fece sellare il leardo.
Presero per via piú breve il sentiero occulto che l’amore di Raimondo
aveva tracciato dentro il bosco. E andando, con l’anima in pena, la
donna si raffigurava il padre morente nella camera ove egli era rimasto
lieto un mattino ad attenderla sposa e poi in un tormentoso abbandono
era rimasto dei mesi ad aspettare la morte; lo rivedeva quale l’aveva
veduto un giorno fanciulla portare di peso dai servi entro la stessa
camera, il volto contraffatto e gli occhi gonfi e sanguigni, brutto,
pauroso; e a secondare cosí con la fantasia commossa il ricordo lontano,
sentiva quasi un conforto risalendo piú addietro nelle memorie della
puerizia, quando per virtú della sua gaja innocenza quetava le ire del
padre, ne raddolciva le asprezze e ne dissipava forse i truci disegni:
su ’l castello gravavano leggende di misteri foschi. Essa, con la
visione precisa dalle cose infantili, ricorreva ora per le camere ampie
fredde e sonore; nella corte chiusa da muraglie umide; nell’orto
incolto; sotto il porticato conventuale; attorno la cinta tutta
screpolata e macchiata di licheni e di muschi, e chiamava il padre con
strilli di terrore e di gioia; ed egli con un pallido sorriso
l’accoglieva nelle sue braccia.
Ma ora egli moriva e forse era già morto senza averla riveduta, dopo
averla invocata e attesa invano: forse era già morto! Ella guardò il
marito che le veniva appresso pensoso e silenzioso.
Sotto i piedi del leardo crepitavano le foglie secche. Nel bosco era una
tristezza lugubre.
————
Giunti che furono al castello madonna Giovanna corse dove ser Lapo,
adagiato sopra un seggiolone e sorretto da guanciali, traeva a stento il
respiro presso un’ampia finestra. Il suo aspetto non era piú quello di
un tempo e non era quello che la figliola s’era raffigurato: nel viso
esangue traspariva la sofferenza di un micidiale dolore per gran tempo
raccolto e protratto, ma l’anima, che aveva conteso il corpo alla morte
e per brev’ora aveva vinto, quasi purificata dalla contesa e dalla
vittoria gli effondeva nel viso esangue una luce nuova di bontà e di
pietà. Gli occhi non piú irosi e torvi guardarono con dolcezza placida,
a lungo; poi dalle labbra raggricciate e livide uscirono finalmente
parole miti e generose. E messer Lapo, che aveva perdonato a’ suoi
figli, volle vedere Raimondo, e riconoscendolo disse: — Muoio.
Seguí un silenzio d’alcuni minuti, eterno, e rotto soltanto dai
singhiozzi della figliola e dal gorgoglioso respiro del padre. Poi
questi, quasi vaneggiasse o afferrasse in una riflessione estrema
un’estrema ricordanza, balbettò ancora: — Quel cavallo.... quello....
O era l’ultima volontà di ser Lapo? Ordinando di condurre nella corte,
sotto la finestra, il leardo, madonna Giovanna indovinava essa l’ultima
volontà di ser Lapo? — Poco dopo il leardo raspava giú nella corte, e la
figlia china su ’l padre — È là — disse tendendo la mano verso il
cavallo.
Il vecchio alzò le pálpebre ed abbassò uno sguardo dalla finestra; lo
vide e parve che sorridesse: ma le pálpebre non ricaddero sopra le
pupille spente.
— Padre! — gridò la donna.
Il sire di Farneto, morto, pareva che sorridesse.

LIBERALITÀ DI MESSER BERTRAMO D’AQUINO

La corte di Carlo primo d’Angiò, dopo la strage di Tagliacozzo e poscia
che da un colpo di scure fu troncata l’adolescente baldanza di Corradino
di Svevia, fioriva di nobili donne e baroni e cavalieri e splendeva in
magnificenza di conviti, danze, tornei e feste mai piú vedute.
Ad una di tali feste messer Bertramo d’Aquino, che tra i cavalieri del
re aveva lode di singolare valore e cortesia, conobbe la moglie di
messer Corrado, suo amico di molti anni, la quale era bellissima donna e
si chiamava Fiola Torrella; e cominciando egli súbito a vagheggiarla, in
breve se ne innamorò di guisa che non poteva pensare ad altro. E giacché
madonna Fiola, non per freddezza di natura o per amor del marito o per
sincerità di virtú, ma per diffidenza degli uomini e timore di scandalo
e troppa stima di sé medesima, gli si mostrava aspra e fiera, messer
Bertramo si perdeva ogni dí piú nel desiderio di lei e per lei
giostrava, faceva grandezze, vinceva ogni altro cavaliere in gentilezza
e liberalità.
Tutto invano: madonna era sorda alle sue ambasciate; gli rinviava
lettere e doni; non gli rivolgeva pure uno sguardo. Ond’egli, che oramai
non sperava piú nulla, nulla piú le chiedeva; e non sentendo alcun bene
se non in vederla, triste e sconsolato, ma sempre con destrieri nuovi e
mirabili, passava tutti i giorni sotto alle finestre di lei e ogni volta
poteva vederla la salutava umilmente: essa moveva altrove i begli occhi.
Un amico, il quale vantava grande esperienza in conoscer le donne,
confortava Bertramo: — O madonna ha un altro amante, ciò che non sembra
da credere, o finirà con innamorarsi di voi —. E Bertramo per mezzi
sottili ebbe certezza che Fiola non aveva altro amante; ma ella non
cedeva, anzi diveniva piú rigida; sí che quell’amico esperto assai delle
donne avrebbe dovuto ricredersi se la fortuna, impietosita delle
angoscie del cavaliere, non avesse trovata una strana via per aiutarlo.
Certo giorno messer Corrado condusse la moglie e una gaia compagnia di
cavalieri e di dame alla caccia del falcone in una villa che aveva poco
lungi da Napoli; e poi che con loro fu stato in piú parti senza molta
fortuna, giunto a una valletta, la quale pareva fatta dalla natura per
cacciarvi, disse tutto allegro: — Ora vedrete se il mio sparviero sa
spennacchiare! — Presto i cani si misero in traccia delle starne e
levandone un bracco un fitto drappello, egli fe’ il getto e gridò: —
Guardate! — Lo sparviero, che era ben destro, scese di furia sulle
starne frullanti e le disperse; una ghermí e stracciò e inseguí le
altre, come un soldato valoroso che piombi sopra una schiera di nemici e
abbattutone uno fughi e persegua i rimanenti.
— Come Bertramo d’Aquino, mio capitano, a Tagliacozzo — disse messer
Corrado; e per dar ragione del confronto tra il suo caro sparviero e
l’amico assai caro, narrò di questo le belle prodezze quando l’avea
veduto irrompere impetuoso nel furor della mischia.
— Certo — aggiungeva — non è alla corte e fuori chi uguagli Bertramo in
piacevolezza di parlare, grazia di modi e generosità e magnificenza
d’animo; e anche il re gli vuole gran bene. — E di Bertramo proseguiva a
narrare piú geste e vicende.
Madonna Fiola ascoltava attenta il marito e le lodi al cavaliere, che
aveva posto ardentissimo amore in lei, le pungevano l’animo di
compiacenza, quasi lodi fatte alla sua bellezza, se la sua bellezza
aveva potuto accendere senza misura uomo cosí perfetto; e come le
lusinghe della vanità nelle donne possono tutto, anche piegare a sensi
miti le piú proterve, ella rivolgeva nel pensiero quante pene aveva
sostenute Bertramo; quanto acerba noncuranza gli aveva dimostrata, e le
pareva d’aver fatto male.
Potenza d’Amore! Essa già sentiva che meglio che una durezza superba e
una fredda virtú soddisfaceva il suo orgoglio l’innalzare a sé il piú
ammirato dei cavalieri, senza piú timore alcuno d’abbassarsi a lui; e
nella esuberante sua giovinezza già serpeva un desiderio vago di
consolazioni nuove e di nuove gioie suscitate e acuite, per lo spirito e
per i sensi, dalla forza della passione e dalla fatalità della colpa.
Perché era fatale che amasse Bertramo d’Aquino, se fino a quel giorno
inutilmente aveva voluto resistergli. Tutto quel giorno pensò a lui; né
sí tosto fu di ritorno a Napoli che si pose al balcone bramosa che egli,
come soleva, passasse di là a riguardarla; e con suo conforto lo vide
giungere all’ora usata. Ratteneva il bizzarro puledro e per quetarlo gli
palpava il collo scorso da un tremito: salutò la dama, la quale smorta e
palpitante risalutò e parve sorridere, e a lui s’allargò il cuore e
chiarí la faccia in súbita allegrezza.
Cosí Bertramo fu pronto a scrivere una lettera a madonna Fiola
scongiurandola di commuoversi a misericordia e di procurargli agio a
parlarle; e n’ebbe risposta: a lei era grato l’amore di lui, ma per
l’onor suo e del marito ella non poteva promettere e concedere cosa che
le chiedesse. Riscrisse egli assicurandola che voleva solo parlarle e
che in ciò solo poneva la salvezza della sua misera vita; ed ebbe
risposta: venisse, ma a parlare soltanto, una prossima sera (e Fiola
diceva quale) in cui Corrado, di ritorno da una caccia lontana e
faticosa, sarebbe andato a dormire per tempo.
————
Ecco finalmente la sera del convegno; limpida sera estiva. Bertramo
s’era dilungato assai fuori della città quasi ad affrettare, ad
incontrare l’ora invocata e troppo lenta a discendere; e quando le ombre
confusero le cose e le stelle si specchiarono nel mare pensò: — Di già
Fiola m’aspetta —; ma non tornò a dietro, ma sentí vivo il piacere
d’essere atteso, egli che dell’attesa aveva patita tutta la pena. Pure
il maligno compiacimento fu breve e se ne dolse; rivolse il cavallo e
gl’infisse gli sproni nei fianchi: via, di aperto galoppo e di piena
gioia, come all’assalto!
Intanto Fiola, visto che ebbe il marito addormentato nel profondo sonno
della stanchezza, consegnò due lenzuoli di tela finissima alla piú fida
delle sue donne, che andasse a distenderli su ’l molle letticciòlo
composto entro una casupola in fondo al giardino per riposarvi nel tempo
piú caldo; ed essa corse a socchiudere la porta dalla quale doveva
entrare l’amante. Ascoltò: nessuno. Allora dalle aiuole e dalle macchie
si die’ a raccogliere le piú belle rose e strappandone i gambi riponeva
le corolle e i petali freschi in un cestello che recava al braccio:
anche vi metteva fragranti vainiglie e gelsomini, e quando il cestello
fu colmo lo porse alla fante e le disse: — Spargi questi fiori su le
lenzuola e acconcia ogni cosa; e poco dopo che messere sarà venuto,
fanne cenno d’entrare. — E stette ad attendere.
Ma alla mente di lei, che con la fantasia si spingeva da un pezzo a
pregustare le voluttà del suo dolce amore, balenò a un tratto il dubbio
non stesse per cadere nella vendetta di messer Bertramo, il quale troppo
duramente e troppo lungamente aveva fatto soffrire; non dovesse, se
messer Bertramo mancasse per inganno al convegno, esser fatta gioco di
lui. E se egli non aveva l’animo che suo marito le avea dipinto, non
poteva ella, con acerbo dolore e vergogna, divenire la favola non solo
di lui, ma de’ suoi amici e di tutta la città, ella, la virtuosa donna
di messer Corrado? Onde si vedeva accomunata dalla colpa e dallo scherno
a quante dianzi spregiava, e si doleva d’esser caduta dalla sua casta
fierezza e malediceva al mal concepito affetto.
Ma ascoltò: — Eccolo! —; e rapida e lieta fu incontro al cavaliere che
entrava e gli aperse le braccia sorridendo e sospirando: — Ben venuta
l’anima mia, per cui sono stata tanto in affanno!
Messer Bertramo la strinse forte: — Mercé dunque del suo grande amore;
pietà, o madonna Fiola, dei suoi lunghi travagli! — Le parole di lui
erano ardenti non meno che gli sguardi di lei; e a lui pareva che ella
avesse una luce intorno il capo biondo, e a lei sembrava ch’egli fosse
ebbro d’amore.
Sedettero sotto un arancio fiorito scambiando piú baci che motti, e come
Fiola pensava — Or ora la fante ci dà il segno d’entrare —, messer
Bertramo, il quale nelle avide strette la sentiva tutta desiosa e del
suo bel corpo indovinava i segreti mal difesi dalla veste sottile, poco
piú tempo attendeva a godere del piacere ultimo e sommo. Ma
meravigliandolo assai una tale accondiscendenza in Fiola, egli volle
conoscere prima da lei perché fosse stata tanto rigida seco e qual
cagione l’avesse indotta da poco a dargli un conforto sí grande.
Ella rispose: — Io non v’amava; ma mio marito, un giorno che eravamo
alla caccia insieme con molti cavalieri e gentildonne, osservando un
nostro bravo falcone precipitare addosso a una brigata di starne e
scompigliarle tutte, si sovvenne di voi e disse che come il falcone alle
starne aveva visto far voi ai nemici nella battaglia. E ricordò le prove
del vostro valore e di voi asseriva che nessuno poté mai superarvi in
cortesia e liberalità. Allora io ammirando l’animo vostro mi pentii
subitamente d’avervi fuggito quasi mala cosa, e ora vi dono co ’l mio
cuore tutta me stessa.
Udite le parole della donna, messer Bertramo stette alquanto silenzioso
e raccolto in sé medesimo per improvvisa concitazione di pensieri e
d’affetti diversi; poi, con uno sforzo che parve e fu supremo, perché
egli rifiutava il bene non di quella sera, ma della sua giovinezza, ma
della sua vita, si levò in piedi e disse:
— Non sarà mai ch’io offenda vostro marito se egli mi ama cosí e se ha
tanta fede in me! E tolte di seno alcune bellissime gioie, le porse alla
donna pregandola di serbarle per sua memoria, e aggiunse: — Per memoria
di voi, voi datemi ora un ultimo bacio.
Madonna Fiola Torrella turbata molto, chi sa se per nuova ammirazione
dell’animo nobilissimo del gentiluomo o piú tosto per vivo rammarico del
perduto piacere, lo baciò sulla bocca, e messer Bertramo, senza piú
toccarla, le disse addio e partí.


II.

«Sempre alla lussuria séguita dolore e penitenza....»

LA SALVAZIONE DI FRA’ GERUNZIO

Da una cella nel monastero di Pentula frate Gerunzio guardava in basso,
lontano, sotto un chiaro lembo di cielo la massa scura di Gerico, né
poteva pregar bene Iddio; e interrompeva piú volte le preci rituali con
preci sue, angoscioso e lamentevole.
— Signore, che restituisti il vedere a Bertimeo, perché lasci cieca
l’anima mia? Perché tu, che risuscitasti Lazzaro e il figliolo della
vedova, non risusciti a te l’anima mia? Perché dai miei occhi non
sgorgano lagrime degne di grazia come le lagrime del ladro e
dell’adultera e io perdo, senza che tu m’aiuti, l’anima mia? Non mi
abbandonare, Signore! Fa, Signore, ch’io oda la tua voce, la stessa mia
voce nelle mie orazioni; fa che io le senta, che io senta nell’anima le
mie colpe come tu su la fronte le spine de’ Farisei! —
Da una torre di Gerico, la città degli amori e delle rose, una schiera
di colombi levò il volo e delineò nell’alto il giro della città; ma alla
veduta di quella tenue candida fila nel cielo azzurro e di quel cielo
azzurro il monaco Gerunzio rimase intimidito quasi a un ammonimento,
muto quasi a una minaccia divina; e chinò gli occhi a terra.
Allora, di súbito, lí innanzi a lui, stesa a giacere, vide una femmina
nuda. Come lucide le chiome nere! Come freschi i fiori del seno turgido!
Vezzi di vergine, riso di peccatrice, beltà d’una dea: era piena di
grazia e rideva, tutta nuda.
————
Tale da piú tempo il tormento di frate Gerunzio. La notte, nelle lunghe
tenebre e nei brevi sonni, aveva torbidi sogni di laidezza, turpi,
nefandi, e al risvegliarsi provava un senso di stanchezza, di nausea, di
esecrazione per quella sua carne che in guerra collo spirito riusciva a
vincere finché alla prima luce e serenità mattutina, quando sembra che
la divinità si ridesti in cuore agli uomini, egli non pregasse e si
dolesse e appassionasse; ma quando il sole diffondeva il calore e la
vita nel mondo, ecco apparirgli altre, ben altre visioni, limpide,
affascinanti, gioiose; ecco ben altre allucinazioni: lusinghiere
giovinette nella prima coscienza ed esperienza delle impudicizie
maschili; audaci etère sapienti d’ogni voluttà carnale; indulgenti
matrone nella piena bellezza del corpo e nella urgente pienezza dei
sensi e delle voglie. E ridevano. Di notte era certo lo spirito della
concupiscenza che opprimeva la sua volontà sorprendendola nel sonno e
nella stanchezza; ma di giorno, allorché volonteroso di bene cercava
star tutto intento a sé stesso, quale era la strana forza a cui
l’arbitrio suo non poteva resistere? Forse era il rigoglio della
virilità, la gagliardia dei muscoli, la potenza imaginativa del
cervello, l’istinto che l’impugnava e trionfava; e perciò pregava Iddio
cosí affannosamente e sinceramente. Invano. E una volta, in
disperazione, la testa fra le mani, si mise a ragionare in questo modo:
— Ero ricco, e dispersi le ricchezze dei miei padri in elemosine e
convertii le pietre preziose in pane per i poveretti: campi e palazzi,
cavalli meravigliosi e vesti di seta che movevano ad invidia i poveri e
a gelosia i compagni, tutto vendetti a soccorso di orfani e vedove, di
piagati e di feriti; e coi miei vini spumanti rimisi vigoria e salute in
estenuati ed infermi; e perché mi dicevano bello, digiunai e imbruttii.
A tutto feci rinuncia, e adesso vorrei distormi da questa mia carne, che
non contengono flagellazioni e disagi, e rendere il mio spirito a Dio.
Dio, accogli il mio spirito che si riposi in te! —
Tacque, e poi con viso e con voce di uomo fatto perverso — Non vuole? —
disse —. E sia cosí! — Uscí dal cenobio; si spogliò della tonaca;
indossò vesti e pelli, e con l’apparenza di un onesto pastore si diresse
alla volta di Gerico.
————
Difficile via, un sentiero sopra e tra monti scoscesi; ma nessuna
fatica, anche piú grande fatica, avrebbe mortificate le membra di frate
Gerunzio; niuna violenza di fede e di rimorso avrebbe potuto oramai
frenarne il passo il pensiero lo sguardo, ed egli affrettava alla volta
di Gerico. I suoi occhi vagavano lungi, ove il Giordano pareva il mare e
il Carit argento limpido sotto il sole, o, se il sentiero piegava dietro
il dorso delle montagne, si contenevano a vista minore, non brillando
meno di gioia, perché da tutto, da un granito e da un salgemma che
scintillasse coi colori dell’iride; da un fiore rosso che rompesse il
verde cupo delle ginestre; da un uccello di varie tinte che levasse il
volo frusciando, i suoi occhi ricevevano e recavano all’anima avvivata e
accesa il senso della natura e della vita. E il suo pensiero, già buio
nella tribolazione dell’intima battaglia e breve e pauroso nelle
racchiuse idee del chiostro, si schiariva a poco a poco in quell’ampia e
lieta libertà del mondo, e si estendeva e rafforzava: nell’attività dei
nervi e dello spirito il monaco dianzi emaciato dai digiuni e dalle
vigilie, affaticato dal misticismo e dalle preghiere e roso dalla
bramosia vana della propria dissoluzione, sembrava d’un tratto
rifiorire, ritemprarsi di nuovo sangue e inebbriarsi d’aria e di luce
come di un vitale liquore. Nell’aperta considerazione delle cose
sparivano i terrori della sua mente; s’era svestito del cilicio, ma
anche si svestiva del sogno ascetico che gli aveva turbata e traviata la
fantasia; ubbidiva allo stimolo dei sensi, ma presentiva il benessere
che verrebbe a tutto lui stesso, spinto e corpo, dalla colpa, necessaria
e umana colpa, la quale andava a commettere.
Scendeva — le montagne digradando a diventare ubertose colline vestite
di palma e dura e tamarigi e pomi di Sodoma —, e come il sole
tramontante divampava dietro le vette piú alte, il colle Galgala
rimaneva nell’ombra: Gerunzio vi ristette e guardò con tutta l’anima
nello sguardo. Ecco Gerico! Ah che il sole stendeva ancora fasci di luce
sulla campagna di Gerico, e la città pareva adagiarsi, luminosa,
splendida, in un letto d’erba e d’anemoni, rose, viole e narcisi!
Gloria ad Adriano! Torri e templi s’ergevano, meravigliosi giganti, su
le rovine di Tito, e la cupola di San Giovanni Battista pareva uno
specchio convesso temprato d’oro. La città di Erode, distrutta due volte
e due volte risorta, obliava Erode e Jele, e scherniva Giosuè profeta:
«Maledetto nel cospetto del Signore l’uomo il quale imprenderà di
riedificare questa città di Jerico! Egli la fonderà sopra il suo
figliuol maggiore e poserà le porte di essa sopra il suo figliuol
minore!»
Gerunzio ricordò la imprecazione di Giosuè. Ma Rahab, per cui il profeta
ebbe sua la città idolatra, non era essa una meretrice? Ed egli entrò
allegro in Gerico.
————
Dietro le antiche terme di Erode, in un freddo e nero angiporto, stavano
le meretrici: una su la soglia, poggiata allo stipite e ritta sulla
gamba sinistra e con la destra piegata su la sinistra, perché se ne
indovinasse la grossa forma; dentro, tre altre, assise su guanciali in
procace attitudine e intese a bere un chiaro liquore, ond’erano ebbre,
rubiconde e loquaci; un’ultima traeva note da un arpicordo e cantava con
voce sommessa. Il monaco Gerunzio, oltrepassando pallido e palpitante,
gettò uno sguardo al sito infame e come udí chiamarsi — vieni! — osservò
innanzi a sé: nessuno. Si rivolse e, avesse pure avuta dinanzi, per la
suburra, tutta una moltitudine, non avrebbe piú scorto alcuno perché
scorgeva la femmina che l’aveva chiamato: Vieni!
Colei che stava su la porta si ritrasse quasi per dar luogo a un
pezzente, ma l’altra, che era briaca, rise, e lisciando la barba
prolissa dell’uomo: — vero — disse —, o pastore, che tu hai buona
moneta?
Gerunzio la seguí alla celletta, avido di peccare. Dal basso giungeva
come un lamento lontano la voce della cantatrice, e dalla cella vicina
un ridere osceno.
Il monaco tese le braccia.
————
Quando Iddio percuote della lebbra il peccatore, a questo s’impiaga
d’improvviso la pelle sí che resta visibile la carne viva, e i peli
s’imbiancano su la piaga: corre per le ossa del peccatore un sudor
freddo, un lungo brivido, uno spasimo lungo; poi la pelle dove non è la
piaga si raggrinza e vi si formano delle tacche bianche verminose e
delle croste gialle e fetide. Perciò la vista del lebbroso è orrenda
come il tormento di lui, e nel Levitico si legge ch’ei deve avere le
vesti sdruscite e il capo scoperto e il labbro di sopra velato, e che
deve gridare: — l’immondo! l’immondo! —; perciò il Signore commise a
Mosé che disfacesse la casa dell’infetto e riducesse in polvere fino le
pietre e lo smalto di esse: chi guarda un lebbroso prova un ineffabile
schifo e trema di spavento, perché vede il segno dell’ira divina.
————
Il monaco tese le braccia; ed ecco che sentí germogliarsi su la pelle,
súbito, dalla pianta dei piedi alla sommità del capo, la lebbra maligna:
si vide; e la meretrice urlò: — L’immondo! l’immondo! — Ma allora
Gerunzio non ebbe piú innanzi a sé una donna nuda; innanzi a sé e in sé
finalmente, ebbe e comprese la luce celeste che gli scioglieva la
caligine dell’anima, gl’illuminava il cuore e il pensiero colla verità
oltremondana, lo infocava di fede, lo santificava; e allora cadde
ginocchioni e sorridendo e levando gli occhi e le mani tranquillo,
sereno, sublime, disse a voce alta:
— Questo castigo, Dio, è la mia salvazione!

_DIO LO VUOLE!_

Con soave accondiscendenza la giovinetta avvolse il braccio al collo di
lui e gli rispose con sommissione pudica; poi, stanca, abbandonò il capo
al cuscino e a poco a poco, chiusi gli occhi, s’addormentò. Riccardo la
sentiva cosí dormire; la sentiva alitare e palpitare, e sembrava che dal
contatto gli derivasse allo spirito commosso una tenerezza mesta e un
trepido senso di pietà: il suo spirito riagitato da un sentimento piú
antico e profondo che l’amore, ma che tuttavia l’amore gli deprimeva
dentro, già tremava e sbigottiva in un presentimento di pene prossime e
fatali.
Rifletteva. Nel giorno aveva visti molti cavalieri apparecchiarsi al
passaggio a cui il principe Edoardo d’Inghilterra e il conte di
Brettagna erano stati chiamati da Luigi il santo, e di quelli egli aveva
compresa e raccolta la gioia impetuosa dell’andare a combattere i nemici
della fede. Ma egli pensava che non poteva partire, per la sua donna.
Per le donne di Antiochia vendute all’incanto, per i fanciulli ceduti
schiavi agli schiavi, per le vergini insozzate dai mamalucchi partivano
i re. Partivano i nobili inglesi e scozzesi per i fratelli cristiani di
Palestina e di Siria minacciati dalla ferocia di Bibars. Ma Riccardo non
poteva partire.
Bibars il sultano feroce aveva distrutti i templi di Maria in Antiochia
e in Nazareth e sparsi al vento e al fuoco i vangeli e sugli altari
scannati i sacerdoti di Cristo; i guerrieri di Soppé e di Safad erano
morti trucidati tutti ad uno ad uno al cospetto di Bibars. Ma Riccardo
non poteva partire.
Sui morti rimasti insepolti a Joppé ed a Safad brillava, la notte, una
luce celeste e i guerrieri di Francia, di Spagna e Sicilia, già in
terrasanta, incontro a Maometto cantavano:
_Vexilla Regis prodeunt:_
_Fulget Crucis mysterium_
Riccardo non voleva partire. Rifiutava l’onore del corpo: alla salute
dell’anima non voleva pensare. Pensava. Quando, ecco parergli che il
buio della camera s’estendesse senza limiti, enorme come quello dei
ciechi, e ch’egli, fuori di sé, vi smarrisse la coscienza corporea:
quando, ecco nella nera oscurità balenare una luce viva da una croce di
fiamma e dalla croce uscire il suono di queste parole sensibili, quasi
luminose anch’esse: — _Dio lo vuole! Va!_
La moglie si destò atterrita al terrore di lui ed egli, tornato in sé
medesimo, affannosamente le diceva della miracolosa visione. — Io ho
paura di Dio — egli diceva —. Mi bisogna andare in questo passaggio —.
Ma la donna tacque, e poi ruppe in pianto e tra i singhiozzi si dolse
che non per sí breve letizia ella aveva sofferto tanto nel suo lungo ed
avversato amore e tante rampogne soffriva ogni giorno dal parentado
ricco e superbo. Pure, dopo molto pregare e piangere, essa fu queta e
persuasa alla volontà divina, e toltosi un anello di dito lo diede a
Riccardo dicendo:
— Questo vi ricordi me e la mia fede e il frutto dell’amor nostro se con
il mio dolore potrà crescere in me. —
Riccardo abbracciò la donna.

II.

Quando Edoardo d’Inghilterra fu sbarcato al lido cartaginese re Luigi
nono era già morto. Invano il Santo ricoperto di cilicio sopra un letto
di ceneri aveva mormorato fra i respiri estremi: Jerusalem! Jerusalem!,
perché il re di Sicilia conchiuse una tregua, levò l’assedio da Tunisi e
affrettò i suoi ed i Franchi al ritorno.
Ma non tornarono essi i guerrieri d’Inghilterra; e per recar innanzi i
vessilli della croce tracciarono dei loro corpi la via fino a Nazareth
quanti, a cento a cento, perirono di caldo, perirono di fame o
avvelenati dal miele dai frutti e dalle erbe che ne ristoravano a pena
la fame. A Nazareth le schiere decimate non trovarono da massacrare che
un popolo d’inermi. E bisognò che ritornassero: senza gloria di geste,
senza ricordi e speranza d’imprese generose, tornare! Tornare senza aver
tócca una ferita combattendo! Cosí Edoardo d’Inghilterra, colpito di
pugnale e a tradimento in San Giovanni d’Acri, non fu tosto risanato
che, quasi fuggisse la maledizione, fuggí di Terrasanta.
E tra alcuni che rimasero infermi in San Giovanni d’Acri fu pure
Riccardo; e vi rimasero poveri in modo che, riavutosi a stento dalla
malattia, Riccardo dovette procacciarsi il pane con umili fatiche. Egli
temeva non rivedere mai piú la sua donna lontana.
San Giovanni d’Acri a quei giorni era peranche la piú bella città della
Siria: una città lussuriosa. Ampio il porto, dove le navi europee
scambiavano merci e ricchezze; alte e dipinte le case; i palagi del re
di Gerusalemme e del re di Cipro e dei principi di Galilea, di Cesarea,
d’Antiochia, di Tripoli, di Tiberiade, Tiro, Sidone erano magnifici, con
vetriate che riflettevano il sole: príncipi e re coronati e gemmati
passeggiavano per le vie incontrandosi con i mercanti di Venezia, Genova
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Vecchie storie d'amore - 3
  • Parts
  • Vecchie storie d'amore - 1
    Total number of words is 4433
    Total number of unique words is 1633
    33.9 of words are in the 2000 most common words
    47.6 of words are in the 5000 most common words
    55.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Vecchie storie d'amore - 2
    Total number of words is 4582
    Total number of unique words is 1825
    33.3 of words are in the 2000 most common words
    48.3 of words are in the 5000 most common words
    56.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Vecchie storie d'amore - 3
    Total number of words is 4507
    Total number of unique words is 1726
    34.6 of words are in the 2000 most common words
    48.3 of words are in the 5000 most common words
    55.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Vecchie storie d'amore - 4
    Total number of words is 4588
    Total number of unique words is 1644
    36.9 of words are in the 2000 most common words
    52.3 of words are in the 5000 most common words
    58.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Vecchie storie d'amore - 5
    Total number of words is 4570
    Total number of unique words is 1677
    36.5 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    59.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Vecchie storie d'amore - 6
    Total number of words is 4442
    Total number of unique words is 1704
    34.3 of words are in the 2000 most common words
    46.8 of words are in the 5000 most common words
    54.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Vecchie storie d'amore - 7
    Total number of words is 614
    Total number of unique words is 370
    43.6 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.