Vecchie storie d'amore - 4

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giorno e notte, nella sua camera, egli manteneva accesa una piccola
lampada dinanzi un’imagine sacra; e, mallevadore il prete cui talvolta
aveva espressi i suoi dubbi, quella luce valeva a garantirgli
l’incolumità del talamo. Infatti nella stanza nuziale madonna Lisa non
aveva peccato mai: a pianterreno c’era una camera da dormire, una camera
in cui messer Tonio ospitava gli amici e in cui egli non aveva messo piú
piede da quando s’era sparsa la voce che ci si vedevano gli spiriti
maligni. Madonna Lisa non temeva gli spiriti, anzi non di rado li
chiamava lei là dentro; pure come il marito s’impauriva leggendo nelle
vite de’ santi padri le descrizioni delle orride forme assunte dal
demonio per spaventare gli anacoreti e vincerne la resistenza in Dio, e
recitava spesso delle giaculatorie che lo difendessero dagli spettri,
madonna Lisa biascicava con lui senza ridere le giaculatorie contro gli
spettri.
In quel tempo era tornato a Forlí un giovane di nome Guido Morlaffi, il
quale allo studio in Bologna piú tosto che a discutere il giure aveva
appreso a donneare e a burlare i mariti gelosi.
Di persona bella e gagliarda e di cervello balzano e sagace, in tali
arti era divenuto maestro con poca fatica; e con meno fatica raccontando
ai compagni le sue gaie vicende, che i compagni narravano di qua e di
là, agli occhi delle donne di Forlí diveniva piú celebre che s’avesse
avuta in testa tutta la glossa d’Irnerio.
Ora, madonna Lisa degli Albizeni voleva esser delle prime a esaminare
come messer Guido si fosse addotrinato in Bologna; né il suo era
desiderio difficile da esaudire. Già egli la vagheggiava; ed ella
incontrandolo per via lo guardava come persona a cui si è pensato piú
volte: alla finestra l’attendeva mostrando d’attenderlo e gli sorrideva
con gli occhi. Poi al sorriso degli occhi accompagnò il sorriso delle
labbra; poi rispose con segni: ella vedeva, ella capiva; e sospirava.
Guido Morlaffi cominciò dunque a scriverle delle lettere tutte miele e
tutte fiori, quali s’imparavano solo a Bologna; e le gettava per la
finestra; senza fallare. A cui, per bocca d’una servicina, la quale
aveva istruita meglio a queste che alle altre faccende, madonna Lisa
rispose che essa non aveva pace, tanto ardeva di lui, ma che il marito
le stava sempre tra i piedi: ciò perché le donne perbene debbono far
parere gelosi e feroci i mariti anche quando sono com’era messer Tonio.
— Appena potrà, mi manderà a chiamarvi — assicurava la servicina. E un
giorno venne a dire a messer Guido: — Messer Tonio ha paura degli
spiriti, e voi?
— Dove sono? — domandò il Morlaffi.
Rispose l’altra: — In una stanza dove il sere non entra mai e dove
madonna vi farà entrare questa notte a pena che il sere dormirà.
Messer Guido sospettò un inganno e chiese:
— Oh!, e madonna non ha paura lei?
— Non l’avrà con voi.
E il giovane promise che v’andrebbe. Né mancò all’ora convenuta; e
madonna Lisa, che pareva angustiata e timorosa, quasi senza fiatare
l’introdusse nella camera buia degli spiriti; e disse: — Non dorme
ancora e bisogna aspettare.
Cosí messer Guido rimase un pezzo ad aspettare al buio; e la donna non
veniva mai, e neppure gli spiriti. Egli sbuffava e imprecava a tutti i
mariti che non dormono e a tutte le mogli che non sanno addormentarli,
quando finalmente udí dei passi: i passi della servicina che con in mano
una lucerna veniva a dire come messer Tonio non aveva sonno. Onde messer
Guido, stucco e ristucco, fece per andarsene. Ma non andò.
La serva di madonna Lisa era piccoletta e rotondetta; era fresca e
colorita, e a guardarla dava l’idea d’una pera già matura quando è lí
che par che dica coglimi. A messer Guido, che era stucco, bisognava
attendere dell’altro; e nessuna maggior noia che un’attesa prolungata
per chi fra tanto non faccia qualche cosa.
Che cosa fece messer Guido?
Talora accade che un ragazzo nel passare presso un orto scorga una pera
già matura la quale in vista da uno dei rami piú carichi e piú bassi par
che dica coglimi; e il ragazzo s’arresta, guata, si delibera, salta la
siepe ed allunga la mano: allunga la mano, ed ecco che il padrone gli
esce addosso infuriando e tempestando.
Ed ecco aprirsi la porta e comparire madonna Lisa, la quale fermatasi di
botto — Buon pro’, messere —, disse.
La servicina aveva messo un grido e s’era coperto il viso con le mani. E
la padrona aggiunse, piena d’ira:
— Ma dell’ingiuria vi pentirete tutt’e due! — E tornò indietro; e allora
fuggí anche la servicina; di guisa che messer Guido rimase cosí,
senz’aver còlto nulla.
Della serva non gli rincresceva molto; ma molto gli rincresceva di
madonna Lisa, e del bene perduto prima che goduto. A ricuperarlo —
giacché voleva ricuperarlo ad ogni costo e in quella notte stessa —,
egli chiese consiglio alla sua matta testa, la quale gli ricordò che
messer Tonio temeva degli spiriti: indi l’idea. Subito dal letto, che là
era preparato, trasse via un lenzuolo, vi s’avvolse da capo a piedi, e
salite le scale brancicando ed inciampando, piano piano si diresse ove
di sotto un uscio appariva un po’ di luce. L’uscio cedette all’impeto.
— Uh la fantasima! — urlò, balzando, messer Tonio, il quale vegliava in
orazione. A che la Lisa si rivolse, e nello scorgere il Morlaffi in tale
foggia, co ’l viso deforme e gli occhiacci spiritati, quasi scoppiava
per non ridere. Pure disse seria:
— Io non vedo nulla — e richiuse le palpebre.
— È là! È là! — ripeteva messer Tonio, e si faceva di gran croci. Nella
stanza, davanti all’imagine sacra, ardeva la lucerna, ma con lume cosí
tenue e fosco che tra quel lume e il buio dell’altra camera il mostro
bianco, immoto e diritto su la soglia, appariva immateriale e vano al
pari d’una larva.
Messer Tonio guardava con terrore, ma preso dal fascino della visione
sovrumana non poteva distorre gli occhi da quegli occhi mostruosi; e
mentre si segnava con la destra, con la sinistra scoteva madonna Lisa
perché partecipasse al suo terrore.
— Vuol parlare! Parla! — egli gemeva.
Lo spettro infatti allargava la bocca senza dir nulla, quasi attingesse
ed aspettasse la voce di sottoterra; e con una voce che veniva da
sottoterra finalmente ululò: — Ohimè, messer Tonio, ohimè! In purgatorio
si sta male!
A messer Tonio pareva d’essere in purgatorio; e — Odi tu? — egli
gemette.
— Io non odo nulla — rispose la donna —. Voi sognate. Lasciatemi
dormire.
— Non sei in grazia di Dio tu, e non odi nulla! — mormorò il marito; e
lo spettro ululando proseguí: — Non per voi, messer Tonio, vo attorno la
notte; non per voi: cent’anni andrò attorno la notte se la vostra donna
non perdonerà a chi l’offese.
— Perdona, perdona! — scongiurava messer Tonio. E la moglie: — Ma voi
siete ammattito a leggere le storie dei Santi! Che cosa andate dicendo?
— Mala femmina! — gridò l’altro vinto, nell’angoscia, dalla rabbia; e la
fantasima con voce di lamentosa divenuta terribile, e con le braccia
tese, terribile, comandò: — Madonna Lisa, perdonate agli offensori
vostri!
— Perdona, perdona! — ripeté disperato e piangente messer Tonio.
— A chi?
— Agli offensori tuoi!
— Bene — disse madonna Lisa —, io che faccio sempre quello che volete e
quel che non volete, se volete, perdonerò. Siete contento? E pareva che
ella interrogasse la fantasima invece che il marito. Ma la fantasima,
dopo avere aperta e chiusa la bocca senza ringraziare, perché la sua
voce era tornata sottoterra, scosse le braccia come due ali e lenta e
lieve, lenta e lieve sparí nel buio.
Né ricomparve mai piú: madonna Lisa aveva perdonato — anche alla
servicina.

UN’OPERA DI PIETÀ

Sec. XV.
Anastasio Bonesi, uno dei mercanti piú noti a Bologna e in Romagna,
aveva presa in moglie una giovane di nome Valeria, la quale era bella,
di buoni costumi e cosí prudente ed accorta che nelle faccende della
mercatura aiutava e consigliava essa stessa il marito. Cristina invece,
la sorella di Anastasio, era vana e di poca mente, e credendosi non meno
bella che la cognata e sapendosi, al paragone, meno lodata di lei,
avrebbe voluto umiliarla, e per coglierla in fallo ne spiava i passi,
gli atti, i discorsi. Ma Valeria attendeva ai figlioli e agli interessi
della famiglia senz’altro pensiero.
A Bologna viveva in quel tempo messer Anselmo Canetoli, un giovane ricco
e di nobiltà antica, al quale non isconveniva una lusinghiera rinomanza
nelle cose d’amore; e questi mentre con due amici, una sera dopo i
vespri, andava a diporto per una contrada, imbattutosi in madonna
Valeria che insieme con la cognata e con un figlioletto per mano tornava
dalla chiesa vicina, si fermò ad osservarla e disse: — Ecco la piú bella
donna che si possa vedere a Bologna; e io non l’avevo mai vista!
— Ma è una mercantessa — disse uno degli amici con tono beffardo. — Ed è
onesta — aggiunse un altro con tono ad un tempo provocatore e maligno.
Messer Anselmo tacque e, quasi temesse l’accusa d’una voglia troppo
bassa per lui, non parlò piú ad alcuno di quella plebea che aveva due
occhi stellanti e nell’aspetto e nelle forme gli pareva avere la
severità gentile di una matrona. Ma quando la impressione prima della
beltà di Valeria gli si fu approfondita nell’animo e nella fantasia
cominciò a ricercarne e ad accarezzarne la bella imagine, si risovvenne
del sorriso co ’l quale uno degli amici gli aveva detto — è onesta — e
pensò che tal fama gli scuserebbe l’umiltà dell’impresa.
Si mise dunque a vagheggiare la donna e a seguirla per ogni luogo e a
passare sotto le finestre di lei; ma ella non lo guardava, o lo guardava
senz’intenzione. Lieta invece lo vedeva e l’attendeva la cognata
Cristina, la quale convinta d’avere acceso della sua bellezza un tal
gentiluomo non capiva piú in sé dalla gioia. Di che messer Anselmo
s’infastidiva come d’un impedimento al suo scopo e tentava altre strade
che lo guidassero ad esso. Gli bisognavano piú cose per il suo palazzo,
e Anastasio lo condusse a casa sua nel magazzino; ma Valeria non c’era.
Allora messere Anselmo riuscí a dimesticarsi una vecchia in cui, come
parente e donna di gran religione, Valeria poneva molta fiducia, e
l’indusse a chiedere a madonna Valeria perché cosí ripugnasse dal suo
amore e perché, s’egli per via le rivolgeva qualche parola, ella non gli
rispondesse neppure, o, se le mandava lettera alcuna, la rifiutasse. La
parente sedotta dall’oro promise l’opera sua; e con molti preamboli e
con lunghe ambagi cercò avvolgere il capo di madonna, non già affinché
si disponesse a commettere il male, ma affinché non divenisse causa di
guai a sé e al marito con quell’aspra freddezza che offendeva un signore
quale Anselmo Canetoli. Non poteva essa, pur resistendo, mostrare almeno
di compatirne il fervido amore? Furon parole! Madonna Valeria rispose: —
Ditegli che io non gli voglio né bene né male: che io ho da attendere
alla mia famiglia e a nient’altro. Lasciate che m’insidii o cerchi di
farci del danno: la verità è come l’olio; e, grazie a Dio, non abbiamo
bisogno delle sue ricchezze perché io debba perdere il mio buon nome
dietro le sue smanie.
L’impresa diventava difficile, e piú degna di messer Anselmo. Anzi lo
turbarono l’orgoglio ferito e la brama acuita da quel diniego cosí
placido e fermo e lo spinsero, benché esperto e avveduto, all’assalto
piú audace.
Co ’l pretesto di cercare Anastasio Bonesi s’introdusse nella casa di
lui in ora che la moglie era sola. E alle sue preghiere e a’ suoi
lamenti e all’esagerazione stessa della sua passione madonna Valeria non
contrappose lo sdegno; non contrappose nemmeno l’incredulità, oppose un
rifiuto freddo e quieto ma tenace e irremovibile. L’assalto fu
ributtato; e la volontà del giovane baldanzoso urtando per la prima
volta con una volontà piú salda non si sostenne e non insisté: egli si
dissimulò la propria debolezza, rise e volle dimenticare nei sollazzi e
nelle orgie quello stolido capriccio inesaudito. Ma quando piú la
giocondità e i piaceri gli fervevano attorno, gli appariva piú bella la
serena e severa imagine di Valeria, e quasi per i sensi disposti ad
altre gioie gli penetrasse piú vivace e sottile il desiderio di quel
bene perseguito invano, tutte le dolcezze gli tornavano amare, tutti gli
svaghi gli recavano un’intollerabile noia.
Chi ama di perfetto amore cerca con tutte le forze dello spirito e dei
sensi il possesso spirituale e corporale della donna amata, e come se
quel primo possesso gli mancasse non gli gioverebbe l’altro piacere,
cosí quando non possa riposare e ritemprare il fervore dello spirito
nella soddisfazione della carne, anche chi bene ama, soffre. Piú
soffriva, disordinato amante che solo al piacere sensuale limitava
l’intento dell’amore e della vita, il gentiluomo bolognese; e mentre
imaginava e meditava la bellezza di Valeria, guardandola nel suo fisso
pensiero, si diceva con raffinata cupidigia: — Oh! solo una volta, e
poi, allora, o vivrei o morirei contento.
Ma per quanto si rimproverasse d’aver corso troppo e si ripetesse che
non era stato abbastanza astuto e fermo, non ardiva ritentare l’impresa:
comprendeva che madonna Valeria non avrebbe acconsentito mai, per
ostinazione di coscienza o, peggio, per ostinazione di natura. Cosí il
pensiero di lei s’impadroní solo e assoluto della sua mente e diventò
doloroso. Cosí le domande e i sorrisi dei compagni, che gli leggevano in
faccia la cura segreta, a lui sembravano oltraggi; a lui che un tempo
aveva nascoste le proprie fortune (giacché le fortune d’amore uscendo
quasi per sé medesime dal mistero, tanto piú acquistano pregio quanto
piú apparisce lo sforzo di tenerle celate), riusciva ora d’umiliazione e
vergogna dover mentire e lasciar travedere un’acerba sconfitta, quasi la
sconfitta d’un capitano reputato invincibile.
Si sottrasse agli amici; e rinchiuso in casa s’abbandonò del tutto al
suo cupo e inconsolabile affanno. L’insonnia cominciò a consumarlo e la
febbre, una febbre sorda, a limargli le forze: quell’idea fissa gli
struggeva il cuore, la giovinezza, la vita.
Meglio morire. Ma quando sentí che l’approssimava la morte si riscosse,
spaventato, in un impeto di desiderio: — Vivendo, chi sa che per grazia
di fortuna non conseguisse un giorno, una volta sola, il bene per cui
s’era dato alla disperazione?
Ed egli sperava. Sperava e s’era ridotto a tal punto per disperazione!
Delirava.
Delirando, tra le forme confuse e strambe di persone conosciute intorno
a Valeria, una volta sognò anche la vecchia bigotta, la parente del
mercante che egli si era amicata invano; e tornato in sé stesso mandò
per lei affinché ella testimoniasse a Valeria della sua misera
condizione. Quella accorse, e a trovarlo piú morto che vivo capí come
per suo profitto le rimaneva un tentativo solo e innocente. — Messere —
chiese —, volete che madonna Valeria venga a vedervi? — Oh sí! — rispose
l’infermo —. Mi potrebbe guarire!
Poco dopo la vecchia diceva a madonna con aria di severità: — Valeria,
tu sai che messere Anselmo muore per amore di te. Per la sua pazzia Dio
lo castiga cosí; ma noi non dobbiamo godere che abbia del male chi
intendeva farci del male: dobbiamo perdonare e venirgli in aiuto. Io
l’ho visto, l’ho udito, e per l’amore dei tuoi figliuoli e per l’amore
di Dio egli ti chiede d’andare da lui. Vuoi acquistarti del merito
visitando un infermo e perdonando a chi cercava tirarti al peccato? E tu
va. Non vuoi? E tu mettiti in pace con la coscienza e rimani.
Valeria tacque a lungo, riflettendo; poi sospirò e disse: — Voi avete
ragione: bisogna che vada. — E incaricatala di tenere in ciarle Teresa e
di badare ai figlioli, si vestí in fretta e uscí di soppiatto.
Intanto Anselmo attendeva, ma la speranza stessa gli era una fatica e
una pena; e una sonnolenza grave e fantasiosa l’avvolse. In questa egli
vide la morte. La morte, quale con freddo terrore da fanciullo aveva
spesso considerata dipinta, tutta ossa, con uno sguardo nero nelle
orbite cave e profonde e con un infernale sorriso tra le mandibole
lunghe e dentute, s’avanzò scricchiolando con la mano tesa, quasi per
toccarlo su ’l cuore, e pareva che dicesse: basta!
Egli si ritraeva con terrore freddo, gemendo. Ma la mano del mostro
ricadde; dalle orbite cave gli lampeggiò una vivida luce come di due
occhi di donna, e per virtú di tal luce lo scheletro a poco a poco
rivestí umane forme e di donna innamorata ricevette a poco a poco la
sembianza, il colore, il sorriso e una meravigliosa bellezza.
Al portento, l’infermo dié un grido di gioia; e scorse china su lui
madonna Valeria.
— Messere — ella diceva —, voi avete vinto il piú duro assalto del male.
— E gli tergeva la fronte soavemente.
— Dio vi rimuneri il beneficio — mormorò Anselmo, che si sentiva
alleggerire e ristorare da una forza rinnovatrice di tutti gli spiriti.
— Quel giorno foste cattiva...; oggi, no.
La donna arrossí e disse: — Volentieri sono venuta a vedervi; ma che
cosa posso fare di piú?
Alla dimanda il viso di Anselmo tornò sofferente ed egli rispose: — La
mia vita è la vostra —. E aggiunse: — Se mi contentaste solo una volta,
dopo non mi vedreste mai piú, non udreste mai piú cosa alcuna di me.
— Voi non pensate all’anima vostra — ribatté la donna —, all’anima mia!
Anselmo ripeté: — La mia vita è la vostra. Per Cristo morto in croce,
non dovreste ammazzarmi!
Tacquero; indi l’ammalato sospirò: — Lasciatemi dunque morire —; e
abbassò le palpebre rifinito.
Madonna Valeria ebbe paura: cosí, con gli occhi chiusi, nella penombra,
l’infermo pareva un cadavere; e a lei in quei minuti lunghi di angoscia
sembrò di sentire su la coscienza il peso del delitto che ancora non
aveva commesso. Ella si dibatteva perché non voleva fallare, e avrebbe
voluto concedere il bene invocato. E mentre pensava udiva l’affanno di
Anselmo. — «Cedendo il corpo non salvava forse un uomo? E non cedendo
l’anima chi avrebbe potuto incolparla d’infedeltà?» Sopraffatta da
questo pensiero e vinta, disse con voce tremante: — Messere, fra un
mese, se vi sarete rimesso, la sera del sette settembre, che mio marito
deve andare a Firenze, verrete da me: vi prometto che v’aspetterò al
portone dell’orto. Ma giuratemi che non mi cercherete mai piú.
Anselmo Canetoli giurò lieto il patto che gli salvava la vita. — Egli
avrebbe, dopo, abbandonata Bologna per sempre.
Ma appena fuori di quella camera e di quella casa, quasi al lume e al
rumore della strada ricuperasse la conoscenza e la misura della realtà e
s’accorgesse d’essere stata còlta a un inganno, madonna Valeria sentí il
turbamento, l’amarezza, il rimorso del fallo in cui era caduta, e giunta
a casa sua, piena d’ira e smaniosa cominciò a raccontare alla vecchia
ciò che pur troppo aveva fatto e che pur troppo aveva detto. La parente
dissimulava la sua gioia tra le esclamazioni e i sospiri e la
confortava. — In tal caso strano chi si sarebbe comportata altrimenti?
Dio il quale perdona le colpe piú gravi, doveva perdonarle la colpa
leggera che aveva e avrebbe commessa a fine di bene; — e, confortandola,
per curiosità le chiedeva tuttavia particolari del fatto e spiegazioni,
per cui apprese fino il giorno e il modo stabilito al convegno. Anzi
l’appresero in due, giacché Cristina, che aveva vista la cognata uscire
pensosa e tornare con in faccia il segno d’una sventura, fiutando il
mistero s’era messa ad ascoltare dietro una porta, e, come accade sempre
a chi ascolta di nascosto, imparò e indovinò proprio quello che meno
s’attendeva e voleva. Non di lei, ma di Valeria messer Anselmo era stato
ed era preso al punto che Valeria, per compassione di lui, avrebbe tra
un mese disonorato il marito. Arrabbiata pertanto e sconvolta dall’odio,
deliberò vendicarsi; e la sera di quel medesimo giorno rivelò al
fratello tutto quanto aveva appreso.
Anastasio alle parole di lei rimase come a un colpo di mazza nella
testa; ma tosto si riebbe e si contenne; finse di non credere nulla;
minacciò la sorella che guai a lei se ripetesse ad alcuno una tale
istoria, e, cosí gli premeva il suo nome e cosí poca fede aveva nella
segretezza e nella benignità di sua sorella, pochi giorni dopo la mandò
a Pianoro presso un cugino.
Quetato in questo, Anastasio, che della parente non dubitava, poté
cercare il partito piú acconcio per impedire che la moglie gli fallasse
e nel medesimo tempo per sorprenderne l’intenzione maligna di cui voleva
punirla; per scoprire la verità, ma anche evitare uno scandalo e, non
essendo uomo uso a spada o a pugnale, evitare danni piú gravi. E dopo
molti disegni risolvette di travestirsi e di penetrare egli nell’orto
prima dell’amante, la sera del convegno.
Oh come trascorrevano lenti i giorni pe ’l povero uomo, e che fatica
durava a celare il suo travaglio! E madonna Valeria penava al pari di
lui. Ma non è donna cosí onesta che non volga l’animo, sia pure in
fugaci abbandoni, agli stimoli e alle lusinghe della colpa, ed essa
udendo che messer Anselmo aveva ricuperato vigore e salute e già usciva
di casa, non poteva non sentire in sé stessa il merito di averlo guarito
e non pensare che molte belle donne ne sarebbero state orgogliose.
Pensieri cattivi; e per scacciarli ella ricordava Anastasio e l’amore di
lui; e cosí ricordava anche il torto della sua brutta promessa: onde con
la ragione combattuta e la coscienza affannosa, o non dormiva, la notte,
o non dormiva tranquilla.
Venne, come a Dio piacque, la mattina del giorno temuto da madonna
Valeria, sospirato da Anselmo Canetoli e maledetto da Anastasio Bonesi;
e questi, detto addio alla moglie, con tutte le sue robe se n’andò in un
luogo poco lontano ad aspettarvi l’ora di tornare travestito a casa.
Valeria socchiuse il portone dell’orto per tempo. Ma il diavolo, che
spesso si diletta di trascinare con disagio ai suoi fini, mandò proprio
quella sera due mercanti romagnoli in cerca di Anastasio Bonesi; e la
donna, conforme il solito, dovette ospitarli in casa sua. Preparata loro
la cena, ella uscí, e scorta l’ombra che supponeva l’amante, gli si
accostò risoluta dicendo piano: — Messere!
Egli tese le braccia. Ed ella: — Siete guarito?
Anastasio rispose come meglio seppe, ma non cosí piano e non con tale
simulazione e sicurezza che con súbito orrore la donna non scoprisse in
lui il marito. Nondimeno, riponendo la sua salute nella sua sagacia,
essa rifletté un istante e riuscí a contrapporre un inganno all’inganno:
pregò l’altro di pazientare che certi suoi ospiti romagnoli andassero a
letto, sicché senza sospetto lor due potessero restare insieme. E
l’introdusse nel magazzino, che chiuse a chiave; indi corse nell’orto;
aprí il portone, dietro il quale Anselmo Canetoli già imprecava alla
lealtà delle donne, e facendogli segno di tacere e di seguirla, lo
condusse in una stanza vicina, dove l’affrettò a liberarla dell’obbligo
suo.
Ma come chi riarso di sete in un dí canicolare brama un bicchiere di
acqua attinta appena dal pozzo, e se può averla, l’inghiotte avidamente
e ne domanda dell’altra, Anselmo Canetoli avrebbe voluto bere ancora
ancora alla coppa della voluttà; e madonna Valeria, ch’era piena d’ira
perché Anastasio aveva dubitato di lei e aveva tentato di superarla in
astuzia, e, d’altra parte, sentiva di qual gioia aveva confortato il suo
amante, pensava: — Quanto bene mi vuole! Mio marito che ha tal fede in
me, si meriterebbe che non lo lasciassi andare. — Cattivo pensiero, che
ella respinse con molta fatica. Poi disse: — Messere Anselmo, mantenete
la vostra parola: andate, e non pensate piú a me.
Anselmo sospirò, la baciò e, vincendosi, le ripeté ch’ella non l’avrebbe
mai piú riveduto ma che egli l’avrebbe ricordata in ogni luogo e per
sempre. E partí.
A Valeria restava da pacificare il marito, e non solo per salvezza di
sé, ma anche per conforto di lui; né fu certo il desiderio di vendicarsi
che le consigliò uno strattagemma crudele. Non trovò miglior
strattagemma; e tutt’angosciosa corse dove erano i mercanti e disse
loro: — Messeri, ajutatemi! Un giovane, che mi sta attorno da un pezzo,
ora è qui in casa con mala intenzione. Voi gli insegnerete a non
disturbare le donne degli altri.
I due balzarono in piedi ed essa li accompagnò al magazzino dove
entrati, quelli gridarono: — Ah cane! Ah vigliacco! Ti daremo noi
l’andare attorno alle donne degli altri! — e, secondo il costume dei
romagnoli, non avevano finito di minacciare che già tempestavano
Anastasio di pugni e di calci. Per farsi riconoscere, il misero gridava
bestemmiava pregava, e fu riconosciuto dopo che era ben pesto; ma i
mercanti non lo riconobbero con meraviglia minore del vederlo fra le
braccia di madonna Valeria demandando perdono e chiamando sua moglie la
piú virtuosa e piú saggia donna del mondo.
Madonna Valeria si fingeva stordita e chiedeva: — Come siete voi qui? E
quello a cui doveva capitare ciò che purtroppo è capitato a voi?
— Sta sicura — rispose allora Anastasio: — ho chiuso io il portone
dell’orto!
Cosí, finalmente, madonna Valeria poté dormire tutta una notte d’un
sonno tranquillo e pieno e riposare la sua buona coscienza nell’opera di
pietà, la quale aveva compiuta: non quella d’aver convinto in tal guisa
il marito della sua virtú per risparmiargli la gelosia e la certezza del
disonore; — non quella: l’altra.

PASSIONE D’UN GENTILUOMO VENEZIANO

Sec. XVI.

I.

_Lettere di due amanti._
Il magnifico gentiluomo Alvise Pasqualigo, tornato dopo lunga assenza a
Venezia, incominciò con lettere impronti e frequenti ad esagerare a
madonna Vittoria, come ogni amante che s’accinga a una difficile
conquista, la forza e le pene della sua passione: per non darle noia,
sette anni era rimasto lontano da lei; tre anni aveva errato pe ’l mondo
in vana ricerca di svaghi: sperando che ella almeno gli concedesse di
svelarle a voce alcuni segreti, con le fiamme nel cuore era tornato in
patria.
A messer Alvise, buon amico d’infanzia, Vittoria, la quale era moglie ad
un giovane conte, rispose per lamentarsi ch’egli le mandasse delle
ambasciate affidandole a servi: «La mia professione è sempre stata ed è
di donna d’onore, né mai mi sarebbe caduto nell’animo, che voi aveste
usato meco sí fatta discortesia. Basta, pazienza, non resterò per questo
di amarvi quale fratello....»
Ma Alvise meritava scusa, e le scriveva:
«Che cosa posso far io, infelice, per disacerbare il dolore ch’io sento
dell’amarvi senza mercede? E s’io non vi facessi, per qualche vostra
donna di casa, intendere i tormenti che per cagion vostra sostegno, in
che modo potrei io vivere? Deh, anima mia, non vi sdegnate s’io paleso
parte di quell’ardore, il quale non potrei se non con grandissimo
pericolo della mia vita tener nascosto. Ma se m’astringete co ’l
comandarmi, son contento d’obbedirvi.... Ben vi prego a concedermi tanta
comodità ch’io vi possa parlare, o vero a dimostrarmi il modo di darvi
alcuna lettera....»
Or dunque come la contessa scongiurava invano messere Alvise ad esser
prudente, a non mostrare il suo ritratto ad alcuno, a non discorrere con
alcuno di lei, a non mandarle ritratti perché non voleva esser scoperta;
come, non crudele quale egli la chiamava, poteva dirgli in coscienza:
«Io vi amo, il che mi pare che non sia male, nascendo dall’amore ogni
buona operazione», qual fallo mai avrebbe commesso concedendogli di
parlarle, dietro la porta di casa, una sola volta?
Cosí, per quel primo onesto colloquio e per le lettere che Alvise le
inviava ardentissime, doveva penetrare nell’animo di madonna una gran
dolcezza d’amore puro, una gran compassione pe ’l nobile giovane
innamorato: e quando lo seppe infermo in villa, gli scrisse tutta
amorosa che cercasse di venire a Venezia per rimettersi piú facilmente;
e poi, piú tardi, gli si mostrava ammirata «dello splendore che senza
pari ritrovava in lui», e per lui pregava il Signore: anche accettava e
gli mandava e gli chiedea dei piccoli doni.
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