Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 20

Süzlärneñ gomumi sanı 4341
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1660
27.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
42.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
50.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
Carso sopra Sagrado. Il nemico pare scomparso. Ma all'improvviso
scroscia la fucilata dalla parte di Sdraussina. Gli austriaci tentano,
con un attacco subitaneo sul fianco sinistro, di isolare i nostri.
L'ultima compagnia sbarcata, che costituiva la riserva, si slancia
contro al nemico. Non si trincera, non si difende: assalta. Nella
notte, nell'ignoto, corre addosso al lampeggiamento dei colpi, che si
estingue. Il nemico fugge. È inseguito, e quando i nostri ritornano
verso Sagrado, sospingono una lunga mandria di prigionieri.
All'alba, il ponte sul primo braccio del fiume è quasi finito. Non
mancano che tre campate per toccare l'isola. Si lavora con furia, con
febbre, correndo; è una perpetua processione veloce di tavole e di
assi, oscillanti sulle spalle dei soldati, che va verso la testata
del ponte. Subitamente, un inferno di esplosioni. L'artiglieria nemica
aggiusta il tiro sull'ultima campata, dove il lavoro più ferve. Degli
uomini cadono; delle barche di lamiera, forate dalle schegge, si
riempiono rapidamente d'acqua e affondano trascinando pezzi di ponte
con uno scricchiolìo di legname spezzato, sfasciando travature, facendo
saltare legamenti di ferro. Il lavoro è sospeso. La riva diviene
deserta.

Il danno non appare irrimediabile. I cannoni nemici hanno cessato la
devastazione. Due terzi del ponte sono intatti, e le campate distrutte
alla testa possono essere rifatte. Non c'è tempo da perdere. Il
fuoco austriaco imperversa adesso sull'isola e sulla riva sinistra.
È un uragano di fucilate e di cannonate. Il furore di batterie e di
battaglioni si concentra su quelle piccole zone, che un'oscillazione
lenta di fumo va ricoprendo. Le nostre avanguardie isolate sono là
sotto. L'artiglieria italiana tempesta, ma i cannoni austriaci ben
nascosti continuano. Le nostre truppe fremono, ed i pontieri invocano
l'ordine di riprendere il lavoro.
Il lavoro è ripreso. Immediatamente le granate austriache ritornano
al ponte, e questa volta battono le campate di attacco e quelle del
centro. Non rimangono più che brevi tratti del ponte ancora sull'acqua;
il resto ha il lamentevole aspetto di un avanzo di naufragio.
Ricominciare è impossibile. Del resto il materiale necessario per il
completamento del ponte comincia a fare difetto. Si deve aspettare
la notte per muoversi. È stato possibile traghettare alcuni feriti
dall'isolotto, poi ogni comunicazione attraverso il fiume deve cessare.
La giornata trascorre lenta in un'ansia mordente per la sorte dei due
battaglioni rimasti sulla riva opposta e sull'isola. Che cosa avveniva
laggiù?
Il nemico non ha osato un attacco su quella piccola forza che aveva
passato l'acqua. Non si è mosso; ha creduto meglio agire da lontano. I
nostri si sono ritirati dalle pendici di Sagrado ritornando alla riva.
Là si sono trincerati.
Passato un primo soffio di sgomento inevitabile al sentirsi soli, senza
soccorsi, contro masse di nemici, hanno preso le disposizioni della
difesa. Il greto del fiume formava un angolo morto: vi si interrarono.
I tiri di fucileria e di artiglieria passavano sopra a loro e finivano
nell'acqua. Le perdite dovute al fuoco erano minime. Ma la situazione
appariva delle più disperate, con un esercito di fronte e un fiume
inguadabile alle spalle. Le teste dei soldati rannicchiati erano
rasentate da raffiche di piombo; l'Isonzo s'impennacchiava tutto di
spruzzi. Ogni speranza era nella baionetta; si aspettava l'attacco per
slanciarsi fuori all'assalto.
Alla sera gli austriaci debbono aver supposto che non ci fosse rimasto
un solo uomo vivo laggiù. Cessarono il fuoco e andarono a dormire.
Nella notte calma ed oscura si riudì allora il tonfo lieve dei remi
sul fruscìo gorgogliante delle acque. Ricominciò il traghetto sui
due bracci dell'Isonzo. Mentre si ritiravano gli uomini, i pontieri
lavoravano al ricupero del materiale, immersi nell'acqua, seminudi,
salvando tutto quello che si poteva salvare del ponte distrutto.

Sull'isolotto erano rimasti senza ricovero sotto al fuoco terribile
quattrocento uomini, con il comandante del secondo battaglione di
avanguardia. Pareva dovessero essere annientati. L'isola non ha un
rilievo, non un macigno, non un ciuffo d'erba, è una spianata grigia,
scoperta, sulla quale si distingue un uomo da dieci chilometri. Sotto
al fumo degli _shrapnells_ si vedevano con angoscia, dalla riva destra,
centinaia di corpi distesi e immobili, dei cadaveri certamente, su
tutto l'isolotto. La notizia di un battaglione distrutto era sussurrata
già più lontano. Ma quei cadaveri erano caduti in un modo singolare,
tutti per un verso, allungati di fianco. Non si scorgeva che erano
sdraiati contro a minuscoli parapetti. I soldati avevano scavato la
sabbia umida e granulosa, facendovi delle fosse con le mani, con la
paletta, con la visiera del berretto, e si erano imbucati. Alla sera
avevano soltanto una cinquantina di feriti e una quindicina di morti.
L'ordine era tale, che le truppe reduci dalla audace spedizione
sulla riva sinistra avevano conservato tutti i loro prigionieri, e
traghettavano aumentate del numero dei nemici presi. Ma all'alba, per
i ritardi dovuti al trasporto dei feriti, non tutti i soldati della
eroica avanguardia avevano ripassato il fiume. Bisognò sospendere
l'operazione.
Gli austriaci, usciti alla mattina dalle loro posizioni e arrivati
alla riva, si erano accorti che quei nostri reparti che immaginavano
massacrati erano scomparsi. Andavano per contemplare dei morti, e i
morti se n'erano andati. Divennero furibondi. Si trincerarono sulla
riva, e aprirono un fuoco serrato e cieco contro l'altra sponda.
Arrivata la sera, la loro artiglieria ricominciò a bombardare gli
avanzi del ponte. Dalla nostra parte, silenzio. Si era intenti al
salvataggio degli ultimi superstiti. Appena ritornati i traghetti,
tutta la nostra riva divampò. Per lunghe ore, nelle tenebre di una
notte piovosa, continuò il frastuono del combattimento attraverso
l'Isonzo contestato.
La notte dell'11, la notte del 12, la notte del 13, videro un
affaccendamento silenzioso sulla riva. Si finiva il recupero del
materiale del ponte. Intanto cercavamo un rimedio alla inondazione, che
ci paralizzava sopra sette od otto chilometri di fronte, impedendoci
di sfruttare il passaggio effettuato sul corso più basso dell'Isonzo,
a Pieris, e di portare l'attacco fra Sagrado e Monfalcone. È noto come
gli austriaci avevano ottenuto lo straripamento delle acque sulla
pianura. A Sagrado una grande diga munita di chiuse sbarra l'Isonzo
e raccoglie le acque per immetterle nel capace canale industriale
di Monfalcone. Gli austriaci avevano serrato le chiuse e sfondato
con le mine un argine del canale. L'acqua fermata dallo sbarramento
abbandonava il letto del fiume, imboccava il canale, e per le rotture
dell'argine dilagava sui campi.
Due obici di mezzo calibro con tranquilla audacia furono portati di
fronte alla diga, nei pressi di Sagrado, a trecento metri dalle trincee
austriache, sotto al fuoco della fucileria, e tirarono a granata sullo
sbarramento. La diga fu sfondata in due punti, l'acqua si precipitò
per le brecce scrosciando. L'inondazione cominciò a diminuire, ma
troppo lentamente. Due ufficiali superiori del Comando Supremo, qualche
giorno dopo, si spinsero in ardita ricognizione per studiare da vicino
il problema del deflusso. Arrivarono carponi fino alle rovine del
ponte di Sagrado, nascosti fra i cespugli e le alte erbe della riva.
Una sentinella austriaca vigilava a pochi passi da loro. Si resero
conto che l'apertura creata dal cannone sulla diga massiccia era
insufficiente. Bisognava tentare ad ogni costo di riaprire le chiuse.

Una notte, un reparto del genio uscì dalle posizioni e scomparve nel
buio. La fucileria nemica si destò poco dopo; una mitragliatrice
martellava; il reparto doveva essere stato scoperto. Ma andava
avanti, saliva sulla diga, strisciando, arrivava alle chiuse. Il loro
macchinismo di apertura era spezzato. Le chiuse erano inchiodate. Le
enormi saracinesche non si muovevano più. Nessuna forza umana poteva
sollevarle. Queste difficoltà gravi non sono insormontabili per un
soldato del genio che si è portato sulle spalle uno zaino pieno di
gelatina esplosiva. In mezzo ad uno schioccare di pallottole che
battevano sulle pietre della diga, delle mine furono accuratamente
preparate. E pochi minuti dopo abbaglianti esplosioni aprivano la via
all'irruenza delle acque. L'inondazione era vinta.
Era vinta, ma un allagamento così vasto avrebbe indugiato settimane a
ritrarsi. Non si poteva aspettare. Il passaggio del fiume fu ritentato
nella notte del 15 giugno. Il fuoco del nemico non permise lo sbarco
delle prime avanguardie. Due notti dopo si rinnovò il tentativo, ma
l'operazione dovette essere ancora sospesa. Gli austriaci vigilavano
ora, e nei varchi minacciati concentravano un fuoco spaventoso di
cannoni, di mitragliatrici, di fucili.
Il deflusso dell'inondazione era seguìto ansiosamente. Campi e strade
emergevano a poco a poco, un nuovo terreno di attacco si scopriva
con feroce lentezza. Ogni giorno perduto aumentava la forza e la
preparazione del nemico. Tutta la nostra energia, tutto il nostro
valore, tutta la nostra sagacia non potevano nulla contro l'ostilità
insuperabile e passiva di una distesa di acque. Persisteva ancora
l'allagamento in vaste zone, quando si ordinò l'avanzata contro la
fronte Sagrado-Monfalcone, per accostarsi anche con l'ala destra alle
pendici del Carso e investire le alture da ogni parte. Erano passati
venti giorni da quella fatale piena dell'Isonzo che ci aveva fermati.
Verso la nuova linea d'investimento le truppe, protette dalle
artiglierie, si lanciarono affondando nel fango. Più avanti,
diguazzavano nell'acqua che arrivava loro quasi ai ginocchi. Avanzavano
da ogni parte, imperterrite, sul terreno viscido. Il 21 di giugno la
linea di attacco era arrivata agli argini del canale di Monfalcone.
Il 23 l'aveva sorpassato e toccava la base delle alture. Fogliano era
preso. Redipuglia era preso. Vermegliano era preso. Seltz era preso.
L'offensiva rombava su tutta la fronte. Con l'appoggio potente dell'ala
destra, con quell'ausilio formidabile sul fianco, si ripresero nella
notte del 23 le operazioni del passaggio dell'Isonzo a Sagrado.
Si era scelto un altro punto, un poco più a monte dell'isolotto. La
nostra artiglieria batteva la riva opposta con un fuoco intenso,
e verso le quattro del pomeriggio incominciò il traghetto delle
avanguardie. Lo svantaggio di agire alla luce del giorno era compensato
dalla efficacia del nostro fuoco, che inchiodava il nemico. Non si
poteva più sperare nella sorpresa notturna, e l'oscurità, paralizzando
i nostri cannoni, sarebbe riuscita di maggiore utilità all'avversario
che a noi. Furono sbarcati poco più di un centinaio di uomini. Ma dalle
trincee blindate che ci stavano di fronte, alcune basse verso la riva,
altre inerpicate sul declivio, la fucileria divenne serrata, violenta,
continua. Non fu più possibile avvicinarsi con le barche piene di
soldati. Per due volte, profittando dell'affievolirsi del fuoco, il
traghetto riprende, e per due volte deve interrompersi. Il quarto
tentativo del passaggio del fiume era fallito.

I centocinquanta uomini che avevano traghettato all'altra riva si
ritenevano perduti, ma tardi nella notte si è saputo che erano in
salvo. Guidati da un energico e intelligente ufficiale, quando si
sono accorti che erano abbandonati alla loro iniziativa, si sono
spostati sulla destra, al coperto dei cespugli, lungo la riva, facendo
prigioniere delle vedette, sorprendendo dei corpi di guardia, ed erano
riusciti a raggiungere le truppe che avevano occupato Fogliano, un
chilometro e mezzo a valle di Sagrado.
Il giorno dopo, il 24 giugno, si ricomincia. Non si può immaginare
niente di più grande e di più terribile di questa ostinazione eroica,
nella quale la volontà del comando e lo slancio degli uomini si fondono
e sono come la forza e l'acciaio di un maglio che batta e che spezzi.
Si attese di nuovo l'ora oscura. I primi sbarchi avvennero nel
silenzio. Il nemico non si aspettava un altro tentativo così immediato.
Quando si accorse di un movimento sul fiume, incominciò un fuoco di
artiglieria disordinato, un fuoco di ricerca. Le barche andavano e
venivano sotto al lampo degli _shrapnells_. A poco a poco il tiro
cominciò a farsi accurato. Qualche barca colpita tornava indietro,
metteva a terra gli uomini feriti, ne prendeva altrettanti validi, e
ripartiva col carico completo. Il bombardamento si faceva più intenso
e più esatto. Nuove batterie nemiche entravano in azione. Delle
imbarcazioni non arrivavano più a metà del fiume che dovevano virare
per ricondurre dieci, dodici feriti. Alcune facevano acqua, forate
dalle pallette e dalle schegge. Alle undici della notte il traghetto fu
sospeso. Erano passati circa cinquecento uomini, spariti, laggiù, nelle
tenebre e nel silenzio della riva opposta.
Il bombardamento cessò. Il nemico credette forse fallito anche il
quinto tentativo. Ma nella quiete profonda un nuovo lavoro cominciava.
Si gettava un ponte. Centinaia di uomini portavano il legname,
portavano le barche, e la riva si empiva di un affaccendamento intenso
e cauto, del quale a cinquanta passi nulla si udiva. Qualche lieve
urto di tavole, dei tuffi di àncore gettate, un gorgoglìo di carene, un
sordo calpestìo di piedi nudi sul legno, e nell'ombra il ponte avanzava
sul frusciare sommesso della corrente nera.
All'alba la costruzione era arrivata alla metà del fiume. Non si
aspettò che fosse finita; quel breve tratto di acqua scoperta poteva
essere rapidamente traversato con le barche. Ricominciò il passaggio.
La truppa percorreva il ponte a drappelli, arrivava in fondo,
s'imbarcava. Andava verso il mistero dell'altra sponda con una calma
solenne e fiera. Alle tre, l'artiglieria austriaca aprì il fuoco sul
ponte.
Il passaggio continuò sotto alla tempesta delle cannonate, per qualche
tempo. Il tiro era a granata, e i proiettili cadevano nel fiume
o sulla sabbia. Non tardò molto però ad avvicinarsi al ponte. Una
raffica arrivò sulle barche. Si vide il ponte spezzarsi; tre campate
affondarono. La costruzione e il traghetto furono abbandonati, non un
uomo poteva più passare. Sulla riva sinistra era sbarcato, in tutto, un
battaglione di fanteria.
Questo battaglione, solo, tagliato fuori, senza scampo, allo scoperto,
attaccò. Troppo debole per difendersi, mosse all'assalto. Si gettò
su Sagrado, respinse il nemico, occupò il paese, vi si trincerò, e
aspettò.


SULLE PENDICI DEL CARSO.
_6 ottobre._

Sagrado, per la sua posizione, aveva questo vantaggio: che le
artiglierie nemiche non potevano toccarlo. Era in un angolo morto. Una
delle ragioni per cui l'offensiva nostra puntava con tanta insistenza
sopra Sagrado, era precisamente l'invulnerabilità di Sagrado al
cannone. Sagrado è alla punta dello sperone che il Carso avanza nel
piano; il tiro incrociato delle artiglierie austriache piazzate oltre
il ciglione, lungo i due lati dell'angolo, poteva battere tutti i
declivî ma non arrivava ad una piccola zona al vertice. Prendendo
Sagrado si aveva una strada verso l'altipiano quasi salva dal
bombardamento.
Era necessario rafforzare immediatamente l'occupazione di Sagrado.
Si pensò di servirsi dei rottami del vecchio ponte distrutto dagli
austriaci, di fronte al paese. Questo ponte aveva ai lati due
passerelle per i pedoni. Un solo arco del ponte era precipitato
completamente e le passerelle laterali, sorrette da armature di
acciaio, erano rimaste come sospese, spezzate per una lunghezza di
pochi metri. Era possibile creare un allacciamento di legno per un
passaggio provvisorio di fanterie. Spingendo avanti a loro dei sacchi
di terra, per ammassarli ad uno ad uno sul fianco di una passerella e
crearvi un baluardo contro la fucileria vicina, dei soldati si spinsero
carponi sul ponte.
Il fuoco austriaco li prendeva di fianco, li investiva dalla sinistra;
tutte le pendici erano piene di trincee dominanti, lontane poche
centinaia di metri. Una volta passato il ponte si entrava in una zona
più coperta. Fu possibile sistemare la passerella, ma una traversata di
truppe non poteva effettuarsi senza gravi perdite di uomini o di tempo.
Allora, come a Lucinico, venne avanti un cannone.
Uscì da Gradisca. Inoltrò per un vialone alberato, diritto, che segue
il fiume e finisce al ponte di Sagrado. Entrò di corsa nell'uragano del
fuoco. Andava al sacrificio con una galoppata trionfale. Si piantò di
fronte a quell'anfiteatro di trincee lampeggianti.
Fra lui e il nemico, la larghezza del fiume. Incominciò un tiro diretto
e rapido di _shrapnells_ e di granate, alternando. Non un colpo andava
fuori di posto. Gli scoppi dei suoi proiettili disegnavano le linee dei
trinceramenti. Batteva in basso, poi in alto, poi di nuovo in basso,
a sbalzi, per non permettere al nemico di indovinare di prevedere
il punto che stava per essere colpito. La fucileria nemica rallentò,
divenne ineguale, prese lui solo la mira, dimenticò il ponte. Dove il
fuoco riprendeva a crepitare violento, il cannone si volgeva e intimava
silenzio. Faceva fronte a tutti, comandava a tutti, atterriva.
Poco dopo, l'artiglieria nemica lo assalì. Le granate esplodevano
tutto intorno, il pezzo scompariva nel fumo. Non poteva difendersi. Non
pensava a difendersi. Continuava ad imporsi alle trincee. Costringeva
la fanteria austriaca a ripararsi e aspettare. Era il suo còmpito.
Intanto sul ponte le truppe nostre passavano. I plotoni sfilavano, uno
dopo l'altro, curvi dietro ai sacchi di terra.
Qualche servente cadeva vicino al pezzo; i superstiti scansavano
il ferito e seguivano il lavoro. I cavalli erano morti. Schegge di
granate martellavano l'affusto e le scudature. Il cannone tuonava
sempre. E sul ponte le truppe passavano. In ultimo si videro due soli
artiglieri in piedi. Sparavano gli ultimi colpi. Poi il cannone stesso
fu preso da una granata in pieno. Rimase tutto di traverso, scavalcato.
L'occupazione di Sagrado era definitiva.

Un reggimento aveva varcato il fiume. Il giorno dopo era tutta una
brigata al di là. La nostra fronte si allargava verso Castello Nuovo.
Il nemico veniva sloggiato da un primo lembo del ciglione. Poteva
ancora bombardare il ponte, ma non lo vedeva più. La linea del fiume
sfuggiva in parte al suo sguardo. Eravamo padroni dell'Isonzo. Un altro
ponte era gettato, sotto a cannoneggiamenti furibondi ma vani perchè
ciechi. Si preparava la battaglia di luglio, quella battaglia smisurata
che ci ha portati sull'altipiano attraverso innumerevoli assalti, dopo
i quali si vedevano scendere alla pianura in lunghe colonne reggimenti
e reggimenti austriaci, prigionieri.
Da Gradisca ho potuto avere una visione delle vicine pendici
conquistate, che la cima di San Michele sovrasta. Gradisca offre una
delle più tragiche scene della guerra. Perchè non è completamente
distrutta. È ferita, squarciata, ma poche delle sue case sono crollate,
poche sono morte; quasi tutte conservano una paurosa e inesprimibile
espressione di vita, di sofferenza, di terrore, di agonia. Le macerie
che si vedono qua e là, sono meno sinistre delle abitazioni ancora
in piedi che si allineano lungo le vie deserte, sulle quali, dalle
finestre sfondate dalle esplosioni, da quei loro occhi sbarrati e
vuoti, lasciano cadere uno scintillìo di vetri infranti, come un
luccicare di lacrime.
La maceria è il passato, è la tomba; sorprende ma non commove, e
la solitudine intorno a lei appare lugubre ma naturale, come nei
cimiteri. Fra quelle case senza abitanti, per le strade senza passanti,
nella città dilaniata e fuggita, percossa da un perpetuo grandinare
di piombo, v'è un senso misterioso di angoscia, qualche cosa di
palpitante, un prodigioso alito di spavento, che fa involontariamente
affrettare il nostro passo.
Le vie sono ingombre da uno sparpagliamento minuto di rottami e di
fronde d'albero staccate dai proiettili. L'uragano senza fine della
battaglia strappa dalle case, dalle esistenze, dalle piante, detriti di
ogni genere e li mescola.
Tegole, lembi di tenda, imposte divelte, berretti da soldato, mattoni,
ramoscelli, sembrano gettati intorno dalla furia di un vortice. Cannoni
di tutti i calibri hanno tirato e tirano su Gradisca. Di tanto in
tanto, un boato profondo, un sussultare del suolo, un fremito di muri,
uno scroscio di crolli, un tintinnare di vetri, e il fondo di una
strada si annebbia di polverone denso e di fumo.
Con un sibilare strisciante, delle palle di fucile arrivano,
continuamente, picchiettando su tutti i muri. Sono colpi lunghi degli
austriaci. La fucileria crepita sulla Sella di San Martino e dietro al
bosco del Cappuccio. Basta guardare in terra, per vedere tutto intorno
decine di pallottole cadute, come una rada e strana ghiaia metallica,
alcune ancora luccicanti e fresche. Alla imboccatura di quel vialone
che l'eroico cannone percorse, la terra è aperta da enormi crateri
scavati dalle esplosioni.
Uno più largo, profondo come lo sterro di un lavoro di fognatura, fatto
da una granata da 305, ha nel centro una sedia infangata e sbilenca,
una vecchia sedia da caffè. L'hanno messa lì i soldati, per la
fotografia. Avere il proprio ritratto in nobile posa seduto dentro ad
una buca di granata, è l'aspirazione artistica d'ogni milite che passa.
Il punto è molto esposto al fuoco, ma la tentazione è grande, la sedia
è pronta, macchine fotografiche non mancano mai, e la fotografia si
riproduce con modelli diversi.

Una granata da 305 ha massacrato la cattedrale. Dall'esterno la chiesa
pare intatta. Ma non ha più tetto, e dentro è una confusione immane
di travi cadute, di colonne crollate, di arredi sacri frantumati e
sparpagliati, di macerie irriconoscibili, sulla quale scende la piena
luce del giorno. Le rovine sono più grandi verso il fiume, al quale
si scende rasentando i giardini pubblici devastati, con degli alberi
stroncati dai colpi, e delle scritte che dicono: «La tutela delle
piante e dei fiori è affidata al pubblico».
Dalla riva dell'Isonzo si vedono distintamente le posizioni che tendono
alla vetta del San Michele. Il Carso, che da lontano sembra un gradino
regolare ed eguale, appare allora tormentato e vario. È un'immensa
scogliera, che si corrode, che si sfa qua e là, che raccoglie nelle sue
cavità detriti e terriccio sui quali le vegetazioni si affollano, che
ha boschi e prati formatisi sulle frane dei suoi fianchi appena coperti
da lievi sedimenti coltivabili, ma che lascia emergere per tutto i
rilievi della sua cinerea ossatura di pietra. Sulla sua cima il verde
si raccoglie come l'acqua piovana negli interstizî di un acciottolato.
Intere zone non sono che roccia. Se si scava sul prato, si trova la
roccia al primo colpo di piccone.
Avanzando in linea retta, si è fermati continuamente da macigni,
da scalini inaccessibili, da protuberanze del massiccio calcareo, e
bisogna girare, incanalarsi per le cunette, scendere nelle piccole
cavità erbose, nelle doline, inoltrandosi per passaggi obbligati sui
quali una difesa facilmente si concentra. L'ordine sparso degli assalti
deve per forza finire in aggruppamenti, come un calmo ruscello spezzato
dai sassi si gonfia e irrompe in rivoletti fra un ostacolo e l'altro.
Gli avviamenti, gli sbocchi, sono fatalmente fissati dal terreno.
Contro ognuno di essi il nemico ha preparato una barriera.
Altrove, le trincee si allineano in due, tre, quattro ranghi. Qui sono
spezzate e sono per tutto. Fanno fronte da ogni lato, si fiancheggiano,
si spalleggiano, serpeggiano, formano angoli, formano intrecci.
Non vi è una fronte da varcare, ve ne sono venti. Ogni dolina è un
piccolo campo di battaglia. Per ogni trincea c'è un'azione, un piano,
una tattica. Se si disegnassero sopra una carta topografica tutte
le trincee espugnate sul Carso, si vedrebbe il foglio riempirsi di
brevi tratteggi, con una confusione da scrittura misteriosa, come
un'invasione di caratteri cuneiformi. E le trincee di difesa e di
attacco non sono scavate; la terra manca per nascondervisi. Sono
elevate.

Non ci si affonda, ci si innalza. Non si zappa, si costruisce. Bisogna
andare all'assalto portando sulle spalle sacchi pieni di terra. Appena
ci si ferma, un uomo sorge. Con le munizioni si portano avanti sassi,
sacchi, cemento, travi, e si lavora, si erige, i parapetti si formano
che le blindature vanno poi coronando. Spesso il lavoro è impossibile.
Il combattimento incalza, tutti debbono prendere il fucile, la trincea
appena sbozzata è un minuscolo rilievo di pietrame, vi si arriva
carponi, vi si sta rannicchiati dietro per giorni, per settimane,
aggrampati a quella parvenza di difesa, ostinati, esasperati, decisi.
Dopo ogni avanzata nostra, arrivano i contrattacchi. Due, tre volte
il nemico tenta e ritenta la riconquista delle posizioni perdute. Non
di rado è il contrattacco che ci porta avanti. Il nostro soldato ha
l'istinto dell'offensiva, sente il momento utile allo slancio. Quando
ha fermato il nemico, gli va addosso. L'occasione di trovarsi viso a
viso con gli austriaci non è mai perduta. Un assalto austriaco finisce
quasi sempre con un assalto nostro. Il bollettino ufficiale ha dato
notizia di oltre trenta attacchi nemici sul Carso, e non erano che i
principali. Molte grandi catture di prigionieri le abbiamo fatte quando
eravamo assaliti.
Sul Carso gli austriaci hanno prodigato tutti i sistemi di difesa,
tutti i tranelli della guerra, tutti i tipi di opere di fortificazione
campale antica e moderna; hanno adoperato cemento, acciaio, pietra,
legno; in quantità che sarebbero bastate alla costruzione di intere
città; hanno fatto dei muri di protezione lunghi otto o dieci
chilometri sul fianco degli incamminamenti; hanno usufruito di grotte
e di caverne, scavato cunicoli, piantato reticolati, sepolto mine. E
siamo saliti.
La base delle alture, il primo sorgere del declivio di fronte a
Gradisca, è boscosa. Interrate fra le piante erano centinaia di mine.
Le prime pattuglie in avanscoperta furono sorprese dalle esplosioni.
Bastava urtare dei fili sottilissimi, invisibili come crini di cavallo,
tesi fra l'erba, per provocare uno scoppio. Squadre di volontari
partirono alla ricerca. Strisciavano lentamente, frugando con lo
sguardo la terra, trovavano i fili, li seguivano delicatamente,
scavavano il suolo adagio adagio, disarmavano gli inneschi, e
tornavano portando le scatole esplosive. Tutto questo in mezzo allo
scoppiettìo delle scaramucce, sotto alla protezione di vedette che si
rannicchiavano a sparare dietro ai tronchi degli alberi vicini. Così si
sgombrò la strada al primo passo.
Più in alto la boscaglia s'interrompe, riprende, lascia larghe zone
nude, e forma sulle alture larghe macchie fosche di vegetazione
arborea. È la forma di queste macchie che ha suggerito ai soldati nomi
strani per località che non avevano nome, e alle quali la guerra dava
un'importanza storica. Bisognava distinguerle, e si chiamarono Bosco
Cappuccio, Bosco Triangolare, Bosco a Lancia, Bosco a Ferro di Cavallo.
Quando il bollettino nostro ha annunziato la conquista del Bosco
Cappuccio e del Bosco a Ferro di Cavallo, il comunicato austriaco ha
potuto smentire recisamente la conquista con un argomento perentorio,
inconfutabile e unico: Cappuccio e Ferro di Cavallo, mai esistiti.
E fra poco invece sarà il bosco scomparso e il nome che resterà.
Perchè, come sul Mrzli, come sul Podgora, il cannone sfronda, scalza,
schianta, incendia e abbatte. La spalla del monte appare nuda sotto
ad un magro intreccio di ramosità intristite. La terra è sconvolta e
rossastra, la roccia scheggiata ha biancori di neve, e i pochi alberi
rimasti eretti, bruciacchiati dalle vampe, spezzati e stroncati, hanno
l'apparenza scheletrica delle piante colpite dal fulmine.
Il Bosco Cappuccio, che pareva appunto un cappuccio di verdura sopra un
cocuzzolo verso San Martino, è tutto lacerato ai lembi, lungo i quali
si distendeva un possente trinceramento austriaco. Avanti, il terreno
è nudo. È un pendìo scosceso e scoperto. L'assalto che arrivò alla
Sez İtalian ädäbiyättän 1 tekst ukıdıgız.
Çirattagı - Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 21
  • Büleklär
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4201
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1662
    30.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4289
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1772
    29.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4329
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1834
    29.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4286
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1733
    29.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4432
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    30.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    45.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4401
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1626
    26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4329
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1759
    30.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4393
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1711
    26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    39.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4433
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1728
    27.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1741
    28.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4439
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1650
    28.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4346
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1744
    26.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4354
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1737
    28.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    42.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4406
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    27.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4314
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1708
    27.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4328
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1628
    28.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4400
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1674
    29.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4401
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1657
    31.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    45.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4384
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1729
    28.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4341
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1660
    27.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    42.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 3983
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1568
    30.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.