Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 06

Süzlärneñ gomumi sanı 4401
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1626
26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
40.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
48.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
Stelvio e sul Tonale il combattimento di posizioni si è stabilito
regolarmente, e sulle fanterie, trincerate fino ai nevai, passano i
proiettili di artiglierie issate ad altezze favolose.
È avvicinandosi a Bormio che si ode la prima voce della guerra. Scende
dallo Stelvio, echeggiando lungamente per le gole dirupate e nude, un
rombo di cannoni.
Il paesaggio si è fatto a poco a poco di una maestà sinistra. La
Valtellina, che si risale lungo il corso limpido e veloce dell'Adda, si
è andata restringendo e oscurandosi fra balze ripide, che rovesciano di
quando in quando fino alla strada lunghe frane di macigni attraverso
le boscaglie di abeti. Sboccando sulla prateria in fondo alla quale
Bormio si adagia, pare che non vi siano più vie di uscita. Il verde
delle vegetazioni risale tutto intorno, poi cessa bruscamente, e la
immane corona delle rocce nude si erge impetuosa, a picco, irrompendo
vertiginosamente dalle terre viventi, nuda, sterile, grigia, fino alle
diafanità azzurrastre di altitudini prodigiose, striata sulle vette
da uno splendore di nevi. Le imboccature delle gole superiori non si
scorgono a prima vista; la strada che sale allo Stelvio sembra perdersi
in una fenditura inaccessibile del monte.
Da questa fenditura, prolungato da mille echi, scende il tuono delle
artiglierie.
Non abbiamo potuto avvicinare le posizioni oltre Bormio, ma le notizie
affluiscono nella piccola città montanara.
Allo Stelvio si appoggia la nostra estrema sinistra. La lotta ferve
intorno al passo, il cui possesso si contende. La battaglia si svolge
a tremila metri di altezza. Come quasi per tutto, gli austriaci
posseggono posizioni dominanti, dalle quali dobbiamo scacciarli. Le
loro trincee più avanzate sono su creste rocciose al di sopra della
molle e immacolata distesa di un ghiacciaio. Essi tengono un ciglio del
monte; i nostri alpini sono riusciti ad occupare e a consolidarsi sopra
un altro ciglio, e avanzano.
Tutto in giro è un caos di nere vette precipitose, una moltitudine di
picchi, un panorama fantastico di punte, di cuspidi, di pinnacoli,
che emergono da chiazze di neve. Sono le aspre giogaie che coronano
l'angusta gola del Bràulio, in fondo alla quale si snoda in mille
volute la strada dello Stelvio. Le granate austriache piombano
spesso nel baratro, che rugge alle esplosioni. La solitudine sembra
assoluta. Truppe e cannoni sono invisibili. Pare che le rocce stesse si
fulminino.
L'artiglieria austriaca è postata al valico, presso l'albergo
Ferdinandshöhe. È salita per la strada rotabile, e si è fermata lì. Ma
la nostra artiglieria non aveva strade, ed è comparsa come per magia
su vette all'apparenza inaccessibili. Dei pezzi sono in agguato fra le
scogliere più eccelse. I loro colpi possono arrivare all'albergo, che
serve di base al nemico, e del quale ora soltanto scopriamo il vero
scopo. Questo hôtel Ferdinandshöhe non era che una caserma, e adesso si
spiega perchè alla sua costruzione contribuisse largamente il Governo
austriaco.
Una singolarità della lotta sullo Stelvio è la presenza degli svizzeri.
Il valico segna il vertice delle tre frontiere, italiana, austriaca
e svizzera. Fra i due belligeranti s'insinua il neutrale. Le truppe
svizzere, accampate anche loro oltre i 2500 metri, vigilano sui
loro valichi in difesa della neutralità. Quando le nostre batterie
cominciano il fuoco, le creste della Forcola si coronano di svizzeri
che corrono a vedere. I profili più accessibili della montagna si
granulano di spettatori. La Svizzera è allo Stelvio come un padrino fra
i duellanti.
Dalla parte italiana gli svizzeri controllano i colpi austriaci e
dalla parte austriaca controllano i colpi italiani. Perchè se una palla
toccasse le rocce svizzere la neutralità ne sarebbe offesa. Ma finora
un solo colpo è stato accusato di aver sconfinato, di cento metri,
causando molte dicerie e nessun danno.
Le forze austriache impiegate sullo Stelvio non superano forse il
reggimento, ma la posizione loro è formidabile, come del resto è
formidabile la nostra. La montagna contribuisce alla guerra con risorse
incommensurabili. Essa moltiplica l'efficacia delle forze in lotta,
fornisce delle difese che dànno talvolta ad un pugno d'uomini il valore
di un esercito. Tre quarti della guerra in montagna è fatta dalla
montagna; essa ha un'ostilità sua che gli avversarî sfruttano, sulle
sue vie sta di guardia la morte. Il freddo, i crepacci, gli abissi, le
tormente sono le sue armi terribili. La montagna si difende, si oppone,
minaccia, ammazza per suo conto.
Il combattimento sullo Stelvio, che per la quantità di truppe impegnate
avrebbe un valore di episodio, acquista un non so quale carattere
di lotta titanica lassù, in quella sommità del mondo, dove le vette
corrusche si ergono come combattenti, avendo i ghiacciai per spalto e
le valli per fossato.
Dal giogo dello Stelvio fin verso il passo del Tonale è tutta una
distesa di ghiacciai, un mare candido e sinuoso dalle onde immani ed
immobili, che innalzano fino alle nubi lo splendore delle loro creste,
un paesaggio polare levato nelle profondità del cielo sull'imponente e
immane piedistallo dei dirupi. È il gruppo dell'Ortler e del Cevedale
sul cui spartiacque la frontiera corre. Non vi sono valichi; bisogna
attraversare i ghiacciai nelle insellature praticabili. Italiani e
austriaci sono separati dall'ampia distesa del gelo. Qualche pattuglia
s'inoltra alla notte sui ghiacci, esplora, attacca un piccolo
posto, ritorna all'alba. Quando il giorno sorge non c'è più nessuno
sul candore delle nevi. I posti avanzati si annidano al bordo dei
ghiacciai, sulle creste nude e grigie.
Risalendo da Bormio la Valfurva si può avere un'idea di questa zona
meravigliosa e orrida. Si arriva al villaggio di Santa Caterina, tutto
pieno di alberghi, chiuso in una conca verde di boschi, circondato
da pendici che lontano, in alto, si culminano in un panorama di nevi.
Fra le vette, la più alta, regolare come una piramide, tutta bianca, è
quella del Palon della Mare, dai declivi molli, soffici, pieni di ombre
azzurre, come fianchi di nubi. Fra questa vetta e la cima del Monte
Vioz, più lontana, invisibile, oltre la frontiera, vi è un'avvallatura
valicabile che conduce al ghiacciaio del Forno, più basso sul versante
italiano, e da lì all'alta Valfurva. È la strada preferita dalle
incursioni austriache, piccole incursioni che tentano delle sorprese.

L'ultima incursione è avvenuta una settimana fa, nella notte del 9.
Una cinquantina di cacciatori tirolesi attraversarono i ghiacciai
per attaccare l'Albergo del Forno. È un rude e grande albergo da
villeggianti eretto sopra un verde pianoro in una regione di baite, di
fronte al ghiacciaio del Forno — ma dal quale lo separa un profondo
torrente. Nell'albergo era un nostro posto avanzato. L'attacco e la
difesa costituiscono un infimo episodio di guerra, ma infinitamente
pittoresco.
Gli austriaci hanno in queste regioni una facilità di movimenti
favorita dall'esistenza di alberghi e di numerosi rifugi, ampî,
costruiti da società pangermaniste, da una quantità di _vereinen_
bavaresi e tirolesi. Quello che prendevamo per un furore sportivo
era una preparazione di guerra. Ogni rifugio è eretto in posizione
utile per facilitare un valico; esso è una vera stazione di tappa o un
posto di vigilanza. Il pittoresco non ha niente a vedere con queste
costruzioni disposte con criterî militari. Gli alberghi servono di
base, i rifugi permettono l'avanzata. Negli ultimi anni, alberghi e
rifugi sono stati frequentati da un numero incredibile di austriaci.
Anche i registri degli alberghi italiani sono pieni di firme tedesche.
I villaggi nostri della frontiera erano infestati da una quantità di
tirolesi, e pastori, guide, operai, tagliaboschi tirolesi invadevano
l'estate le nostre valli. Il risultato è che esistono sentieri che il
nemico conosceva molto meglio di noi.
È per uno di questi sentieri che gli austriaci hanno potuto raggiungere
l'Albergo del Forno da un lato quasi indifeso, verso il torrente.
All'una di notte, le nostre sentinelle udirono un rumore di passi cauti
fra le rocce, e ripiegarono sull'albergo dopo aver fatto fuoco. La
notte era oscura. Gli austriaci si erano divisi in tre gruppi, che con
abile tattica si presentarono uno per volta. Si rivelarono alle vampe
dei colpi. Il primo attacco venne dal pianoro, il secondo da un pendìo
che sovrasta l'albergo: ma una barriera di reticolati proteggeva i lati
accessibili e il nemico, che certamente lo sapeva, non si avvicinava.
Improvvisamente il terzo gruppo comparve dalla parte del burrone,
fra delle scogliere vicinissime al caseggiato, quasi alla porta
dell'albergo.
Molte, troppe cose gli austriaci sapevano. Conoscevano le posizioni
della difesa, sapevano che quel giorno la massima parte della minuscola
guarnigione era stata temporaneamente diminuita, conoscevano un
passaggio, ignoto anche agli abitanti, per attraversare il burrone,
e sapevano infine in quale ambiente i nostri, per aver più caldo, si
riunivano alla notte. Infatti il terzo gruppo nemico piombò subito
sopra una piccola cappelletta, una rustica chiesuola, vicinissima
all'albergo, mentre tutt'intorno era un inferno di fucilate.
Gli alpini erano pochissimi. Contro l'attacco principale, due soli
facevano fuoco. Per raggiungere la porta della chiesa gli austriaci
dovevano inoltrare fra i due edifici e lo stretto passaggio era
spazzato dalle pallottole dei nostri. Coricati a terra, i due difensori
sparavano di sbieco per lo spiraglio d'un uscio appena dischiuso. Le
canne dei loro fucili scottavano. Quando non potevano più toccare il
caricatoio, stendevano la mano nel buio, dietro a loro, e afferravano
un fucile fresco che un compagno porgeva.
Non una voce; nemmeno nel momento dell'allarme gli alpini hanno
parlato. Al buio, senza fuoco, nelle tenebre fredde, non scorgendosi
nemmeno l'uno con l'altro, essi si sono trovati d'accordo per
intuizione, per istinto. Gli austriaci vociavano: Arrendetevi! —
Rispondevano i colpi, il cui lampeggiamento illuminava i rozzi muri
dell'andito. Aspettandosi l'assalto, i nostri avevano tacitamente
inastato le baionette.
Un movimento di assalto si è iniziato; decisamente gli austriaci
hanno imboccato l'angusto passaggio. Un atletico sergente è arrivato
alla porta gridando: Arrendetevi o vi bruciamo vivi! Non aveva finito
di pronunziare queste parole che una palla lo colpiva alla gola e
lo rovesciava morto. Gli assalitori si sono fermati, hanno avuto un
istante di esitazione, si sono visti i loro profili neri oscillare
sullo sfondo stellato del cielo e poi scomparire. Fuggivano lasciando
i loro caduti. Il rumore dei passi precipitosi svanì, e la pattuglia
alpina si ritrovò sola nel deserto dell'alta montagna, di fronte al
chiarore sidereo delle nevi.

È qui spesso una guerra di silenzi, di attesa, d'immobilità.
Impossibile scorgere sulle vette i nostri posti avanzati. Nessuno vi
si muove. Nemmeno gli ufficiali riescono a vederli. Uomini e roccia
pare che formino una cosa sola. Sdraiati nelle anfrattuosità, sull'orlo
degli abissi, per intere giornate e per lunghe notti, gli alpini in
vedetta rimangono fermi e desti, come cacciatori alla posta.
Taciturni e serî, partono in fila indiana dai loro attendamenti,
e salgono, salgono, col loro passo eguale, lento, misurato da
montanari, verso le cime, qualunque sia il tempo. Ogni ricognizione
è una lotta contro gli elementi. Per bruciare un rifugio austriaco
s'inerpicano tutta una notte, legati a cordate marciano sulle nevi
con una temperatura di dieci, di quattordici gradi sotto zero,
valicano crepacci tenebrosi, sfidano cento volte la morte, e tornano
raggianti di una contentezza raccolta e silenziosa, carichi di bottino.
L'austriaco è per loro il nemico meno temibile dopo aver vinto la
montagna.
Quando lasciano in basso le ultime zone verdi, si fanno gravi.
Risalgono spesso gole e passi che hanno una fama paurosa, come la valle
Gavia disseminata di croci, che i soldati passando salutano. Ogni croce
ricorda una vittima. Santa Caterina sembra l'ultimo limite del mondo
abitabile. Al di là tutto si fa truce e smorto, non vi sono più colori,
e la zona di operazione, il nostro fronte, è un _caos_ bianco e grigio
che sfuma in alto in un pallore d'irrealtà.
Verso il Tonale la favolosa barriera dei ghiacciai s'interrompe,
la linea seghettata delle vette degrada, si abbassa, lascia
un'insellatura, poi, più al sud, riprende, si risolleva, e si imbianca
di nuovo delle nevi eterne dell'Adamello. Per l'insellatura la strada
rotabile della Valcamonica balza tortuosa con lunghi giri, guizzando
come una sterminata e sottile serpe bianca, con grovigli da nastro
caduto, e passato il valico ridiscende a volute oltre la frontiera
nella Val di Sole.
La via del Tonale è più libera e più facile della via dello Stelvio,
perciò la lotta vi insiste con maggiore violenza. I bollettini
ufficiali hanno parlato spesso delle operazioni sul Tonale, ed essi
soli bastano ampiamente a dare un'idea dello svolgimento dell'azione.
Si combatte non tanto per passare quanto per il possesso di una soglia.
Anche questo valico è dominato da vette, da creste, da picchi. Per
conquistare in basso bisogna cominciare col salire in alto. Si tende
al valico ma si combatte altrove, e vediamo nei resoconti dello Stato
Maggiore come l'attacco nostro colpisca ora al nord e ora al sud, verso
le altezze.
Il primo giorno stesso della guerra, il 24 maggio, passata la frontiera
i nostri alpini prendono la Forcella di Montozzo, a 2625 metri, a nord
del passo del Tonale. Gli austriaci si fortificano sul Monticello, al
sud del passo, a 2550 metri di altezza. Si contendono le vette. Chi
ha le vette ha le valli. Il 30 giugno l'artiglieria entra in azione;
i nostri cannoni aprono il fuoco sulle posizioni del Monticello. Il
nemico allora tenta un colpo sulle nostre retrovie, e il 15 luglio,
dopo un'ardita traversata dei ghiacciai del Mandrone, al sud del passo
del Tonale, attacca in forze il rifugio Garibaldi. È respinto e noi
occupiamo il ghiacciaio stesso, nei punti traversabili, al di sopra dei
3000 metri. La battaglia sale ancora, le trincee sono ora nel ghiaccio.
Il 30 luglio gli austriaci, nella notte, ritornano all'attacco. Si
combatte nelle nevi. Il nemico è respinto dai posti avanzati.

Intanto noi, con migliore fortuna, facciamo al nord del Tonale quello
che il nemico non è riuscito a fare al sud. Il 7 agosto, gli alpini
risalgono ancora più al nord e più in alto della forcella Montozzo,
e avanzando per una cresta rocciosa e difficile, sorprendono e
disperdono gli austriaci trincerati presso la punta di Ercavallo. Pare
che la lotta devii dalle località alle quali realmente tende, essa si
allontana e s'innalza. Le artiglierie sono issate a tremila metri sulle
rocce di Ercavallo e rendono intenibili al nemico le posizioni di Malga
Palude. Piccole forze e battaglie di giganti.
Ora anche pezzi di medio e di grosso calibro tuonano intorno al valico.
Alle fortificazioni permanenti si sono aggiunte fortificazioni campali,
tutte le valli rimbombano di colpi, e alla notte il lampeggiare vivido
delle vampe rivela immensi profili di balze dirupate.
È di notte che sono giunto alla vista di questo inverosimile,
prodigioso campo di battaglia. Sono salito per una lunga via che è
sorta come per incantesimo. I tedeschi vantano le loro nuove strade
che seguono gli eserciti nelle pianure polacche, ma che cosa sono
quelle facili arterie di fronte alla viabilità che le nostre truppe
creano, con una energia e una possanza romane, sulle Alpi, tagliando le
rocce, aprendo fino alle vette il varco al transito della guerra con
una rapidità meravigliosa, come il pioniere si apre il sentiero nella
boscaglia? Vi sono nevai ai quali ora l'automobile sale.
Sale per strade vertiginose che si attorcono su falde di monti, e
corrono sul bordo di abissi. Da una parte la parete a picco, dall'altra
la sterminata profondità della valle. L'automobile passa sopra una
cornice, e va lentamente lanciando il suo lamentoso segnale di tromba.
Non è senza un vago sgomento che lo sguardo piomba nella vallata,
dove le città e i villaggi appaiono come visti dalla navicella di un
pallone, sempre più lontani, una granulazione di tetti minuscoli presso
un filo azzurro che è un torrente, e un filo bianco che è una strada.
Si è a ottocento, poi mille, poi mille e cinquecento metri più in alto.
Tutto appare schiacciato, annebbiato, immerso in un'ombra violastra, e
nessun rumore sale da laggiù, se non uno scrosciare lontano ed eguale
di acque.
Il passo del Tonale era quasi invisibile, ma sotto al cielo limpido e
costellato s'indovinava la massa immane dei monti. Un chiarore vago,
forse quello della luna sottile che stava per sorgere, si stemperava in
un biancore di nubi e di nevi. Non si capiva bene quali erano le nubi
e quali erano le nevi. Era un caos di vapori e di cime. Delle fascie di
nebbia si distendevano sul nero delle pendici. Improvvisamente un getto
candido di luce ha tagliato la notte: il proiettore di un forte.
Esso cercava lentamente intorno, e quella gran striscia illuminava
di un confuso e lieve balenìo i punti che toccava. Poi, il raggio che
si stendeva orizzontale ha cominciato a sollevarsi. Guardava in alto.
Adagio adagio si è disposto quasi verticalmente, come se frugasse nel
cielo. Le nubi e le nebbie si sono rischiarate, e prodigiosamente, al
di sopra di tutto, dove a noi pareva che la terra fosse finita, dove
credevamo di vedere uno scintillare velato di stelle, si è accesa la
neve, e un minuscolo lembo di ghiacciaio è apparso come librato nel
firmamento.
Poco dopo un baleno ha disegnato di vivida luce i contorni delle nubi:
un colpo di cannone. Dopo molti secondi è arrivato il rombo, cupo e
lungo.
Tutta la notte l'artiglieria ha tuonato, a larghi intervalli, come se
un temporale lontano imperversasse sulle più alte regioni della guerra.
Gelava, e nella oscurità la terra intorno a noi biancheggiava di brina.


DAI GHIACCIAI DELL'ADAMELLO AGLI ULIVETI DEL GARDA.
_22 agosto._

Nella nostra prima escursione abbiamo avuto un'idea dell'estrema
sinistra del nostro vastissimo fronte di battaglia, il quale si
attacca allo Stelvio e scende al sud, lungo i ghiacciai dell'Ortler,
del Cevedale e dell'Adamello, formanti come un immane, favoloso
trinceramento bianco creato per una guerra di titani.
Più oltre, la tempesta delle vette abbassa il livello delle sue
prodigiose onde di granito, e in essa, come un diritto e profondo
solco, si apre da sud a nord la valle Giudicaria, la prima delle grandi
vie di invasione che l'Austria, imponendoci la sua iniqua frontiera,
si era riserbata. Fu sempre un'arteria di traffici e di guerre questa
strada ampia, pianeggiante, capace, che dalle molli e ubertose vallate
italiane, dopo aver contornato lo specchio del piccolo lago d'Idro
tutto pieno del verde riflesso di montagne boscose, sale direttamente
per la Giudicaria, e poi per la Rendena e per la Sarnthal, fino ad
allacciarsi alle prime, ben lontane vallate della vera terra straniera,
dove i nomi geografici cominciano a prendere un suono barbaro.
I bollettini ufficiali hanno parlato spesso della valle Giudicaria.
La frontiera ci inchiodava in faccia a posizioni dominanti. Bisognava
balzare avanti, irrompere nella valle dopo avere occupato le vette
laterali, ed andare a stabilire il nostro fronte sopra una linea solida
di difesa.
Per ben comprendere questa operazione, il cui teatro è stato la mèta
della nostra seconda escursione, basta aver presente che la valle
Giudicaria, diritta e mediana, ha i fianchi tagliati da valloni
laterali che si distendono con quell'apparenza quasi regolare che
hanno le nervature di una foglia. La Giudicaria è il nervo centrale.
Inoltrandosi si ha a destra la valle di Ledro, che finisce al Garda;
a sinistra la valle Daona che risale con una grande voluta fino ai
ghiacciai dell'Adamello. Ebbene, l'occupazione nostra è arrivata ad
affacciarci a questi valloni; il massiccio montuoso, aspro che li
sovrasta costituisce la nostra fortezza: il torrente nel fondo delle
gole è il nostro fossato. L'altro versante è nemico.
Al di sopra delle valli, a duemila metri di altezza, le vette di tanto
in tanto si fulminano.
Si attraversa in riva al lago d'Idro l'antica fortezza di Anfo,
massiccia, complicata, pittoresca, con le sue enormi muraglie che si
sovrappongono fra le rocce fino alle costruzioni più alte sulle balze,
con i suoi ponti levatoi, i suoi androni risuonanti di traffico, e
gli spalti che si sporgono a immergere nell'acqua del lago le loro
speronate robuste e grigie. Poco dopo si varca l'antica frontiera.
«Regno d'Italia — Comune di Lodrone» si legge all'imboccatura del primo
paesello riconquistato, al posto della scritta austriaca.
Del resto di austriaco non aveva che una scritta. Essa era
indispensabile per avvertire che lì cominciava l'Austria. Null'altro lo
dimostrava. Bianco, quieto, imbandierato, il paese ha l'aria ridente
e soddisfatta di un villaggio brianzuolo. Più oltre, passato Darzo,
s'imbocca la valle e la vita normale cessa. Non vive più che la guerra.
Un grande, prodigioso silenzio. Solo un mormorìo cupo ed eguale di
acque echeggia sommesso fra le scoscese falde delle montagne: è il
Chiese, veloce e limpido, nato dalle nevi eterne, tinto di un azzurro
da aria liquida, come se sulle cime dell'Adamello, così vicine al
cielo, si fosse imbevuto di serenità. Più ci si inoltra verso il
fronte, e più la calma appare profonda.
I due eserciti si sono fissati sulle loro posizioni, e aspettano. Si
osservano, si studiano, vigilano, lavorano. Le linee più solide delle
reciproche difese sono lontane fra loro. Vi sono certamente delle
trincee, ma non è una guerra di trincee. Fra un fronte e l'altro
si stende una zona neutra, campo d'azione di pattuglie, di piccoli
reparti, disseminato di vedette, percorso da esplorazioni, nel quale
risuona improvvisamente lo scoppiettìo della scaramuccia.
È un territorio solcato da burroni, coperto spesso da oscure boscaglie
che assaltano i declivi precipitosi e si fermano stanche sotto alle
vette nude, è tutta una moltitudine di montagne che si affolla come in
gara per sorpassarsi, irta di rocce dall'apparenza inaccessibile, che
levano nel cielo, fin oltre i duemila metri, le sagome più bizzarre
dell'architettura del mondo, i più inverosimili castelli della
creazione.
L'avanzata è stata una corsa alle sommità. Per essere padroni della
valle bisognava essere padroni dei monti. Quando il 24 maggio, con la
contemporaneità e la coordinazione meravigliose che caratterizzano
tutto lo sviluppo delle nostre operazioni, fu portato l'attacco
sull'intero fronte, dallo Stelvio al mare, il bollettino ufficiale
annunziò al paese anche l'occupazione di una parte della valle
Giudicaria. Ma nessun soldato aveva ancora posto piede sulla strada
maestra, la vera valle era deserta: però la tenevamo già. Era
sotto ai nostri sguardi e ai nostri tiri. Gli avamposti italiani la
contemplavano affacciandosi ai dirupi.
Per sentieri da camosci, le nostre pattuglie sbucavano su dai boschi,
scalavano le cime e si mandavano l'una all'altra voci di segnale e di
saluto attraverso la sonora purità delle altitudini. Quattro giorni
dopo l'inizio delle ostilità occupavamo la Cima Spessa, che domina
la gola laterale d'Ampola, così piena di ricordi garibaldini. Ancora
tre giorni, e l'Ampola era passata, Storo era occupata, Condino era
occupata: la conquista avanzava così anche nel fondo delle vallate
nostre.
Intanto, valicando difficili passi, per le ripide e orride balze
della valle Caffaro e della Valcamonica, reparti di alpini scendevano
nella valle Daona, ad occidente della Giudicaria. Dopo un breve
combattimento, le truppe che avevano occupato Condino, risaliti
gli speroni sulla bassa valle Daona, si collegavano a quei reparti
alpini, e si stabiliva una stupenda continuità di fronte, dal Tonale
al Garda, dai ghiacciai dell'Adamello agli uliveti del lago. La
grande, formidabile linea di posizioni sulle quali ora ci teniamo era
tracciata.
Gli austriaci hanno tentato più volte di spezzare la catena dei posti
avanzati italiani, di tornare in possesso di picchi e di valichi da
cui sentivano più forte gravare la minaccia. I loro attacchi si sono
diretti specialmente verso l'alta valle Daona, dove più radi erano i
nuclei di occupazione, più facili le sorprese, e dove speravano forse
di potersi aprire un varco verso la Valcamonica e disturbare nelle
retrovie le nostre operazioni del Tonale.
I loro sforzi, inutili sempre, sono stati però coraggiosi e intensi.
Respinti, tornavano cercando altri passi, altri approcci. Durante
quasi tutto il mese di luglio sui bollettini dello Stato Maggiore il
nome della valle Daona si ripete. Il 6 luglio gli austriaci attaccano
il passo di Campo, fra i contrafforti dell'Adamello. Non riescono, e
provano più in basso, più al sud. Tre giorni dopo attaccano il valico
di Malga Leno. Vi è nella loro azione come la ricerca affannosa di una
apertura, o di una debolezza. Contro Malga Leno operano in forze, con
artiglierie da montagna, dopo aver tentato di distogliere la nostra
attenzione con un attacco minore, un poco più al sud, contro la cima
Boazzolo, una lunga cresta rocciosa che sovrasta torreggiando il corso
del Chiese. Il giorno dopo i combattimenti riprendono, ma le nostre
punte avanzate hanno la solidità dei dirupi ai quali si aggrampano.
Niente le smuove.
Il 28 luglio ci spingiamo all'occupazione del Lavanech, che domina
la bassa valle Daona. Dall'altra parte della vallata, dal versante
austriaco, le artiglierie tempestano la cima conquistata, e nella
notte, dopo una lunga preparazione di medî calibri, la fanteria
austriaca appoggiata da numerose mitragliatrici tenta l'assalto. È
respinta. Tutto il ciglio della valle è definitivamente nostro.
Da allora è cominciata questa tranquillità che ci sorprende. Il
nemico ha rinunciato ad ogni iniziativa. Si rafforza e aspetta. Sembra
persuaso della inutilità dei suoi attacchi e rassegnato ad un còmpito
di vigilanza. Noi ci siamo incrollabilmente insediati sulle posizioni
che ci eravamo scelte.
Ma anche nel periodo più attivo della lotta, la quiete alpestre della
Giudicaria non doveva apparire troppo turbata. La montagna spezza
l'azione in minuscole battaglie isolate, importanti per il risultato
e infime per l'ampiezza, faticose, aspre, violente, brevi. La notte,
improvvisamente, sopra una balza, la fucileria scintilla e scoppietta,
e pochi chilometri più in là, al primo svolto della valle, non si
sente nulla. La guerra ritorna lassù a proporzioni antiche ed a forme
primitive. L'individuo diventa un'unità importante. Una pattuglia può
costituire tutta l'ala di un fronte di combattimento. Il comando non
arriva e l'iniziativa personale supplisce.
È risorto nei nostri soldati un istinto guerriero, fatto di scaltrezza
e di ardimento; hanno ritrovato un'anima primordiale da cacciatori
d'uomini: sono divenuti come se sempre fossero vissuti nella selvaggia
solitudine dei boschi; hanno la sensibilità di percezione dell'indiano
nella jungla; conoscono tutti i rumori, tutti i mormorii, tutti i
fruscii, tutti gli echi delle valli; sentono la vicinanza del nemico
con un orecchio selvaggio. La razza conservava insospettate armi di
guerra, delle facoltà combattive discese a noi da remote e gagliarde
generazioni conquistatrici. E con esse, la gioia naturale e piena di
battersi e di battere.
Le pattuglie partono lietamente, contente; hanno sempre in serbo
qualche cosa di nuovo per il nemico. Studiando le abitudini degli
avversari, esse inventano tranelli, organizzano sorprese, con il buon
umore col quale si prepara una burla. Ne sanno più loro della mentalità
austriaca che non tutti i psicologi del mondo. La zona aspra che separa
i due fronti è un terreno di agguati, di sorprese, nel quale i nostri
soldati hanno scoperto tutta una viabilità invisibile.
Un giorno verso l'imboccatura della valle Daona, un tenente dei
Sez İtalian ädäbiyättän 1 tekst ukıdıgız.
Çirattagı - Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07
  • Büleklär
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4201
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1662
    30.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4289
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1772
    29.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4329
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1834
    29.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4286
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1733
    29.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4432
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    30.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    45.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4401
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1626
    26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4329
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1759
    30.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4393
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1711
    26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    39.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4433
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1728
    27.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1741
    28.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4439
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1650
    28.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4346
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1744
    26.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4354
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1737
    28.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    42.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4406
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    27.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4314
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1708
    27.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4328
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1628
    28.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4400
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1674
    29.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4401
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1657
    31.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    45.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4384
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1729
    28.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4341
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1660
    27.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    42.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 3983
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1568
    30.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.