Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 17

Süzlärneñ gomumi sanı 4400
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1674
29.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
43.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
51.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
ritrovare in essa le molli e tepide altitudini normali della nostra
vita. Non più fosche e rigide moltitudini di abeti e di pini alpestri
sui declivî dei colli, non più rocce, burroni, abissi, non più canaloni
nei quali la neve si rannicchia e si nasconde l'estate, aspettando il
ritorno dei geli per uscir fuori e invadere tutto; percorrevamo prati
costellati di delicati e pallidi asfodeli, ci riposavamo nell'ombra di
quercie e di castani, ed allargavamo con le mani il fogliame di roseti
selvaggi carichi di bacche rosse per guardare in giù nella vallata,
piena di sole e di silenzio.
Ci eravamo spinti sopra una delle balze estreme del Colovrat
meridionale — la catena di alture che sta fra lo Judrio e l'Isonzo —
e vedevamo sotto a noi, a poche migliaia di metri, la cittadina di
Tolmino con le sue grandi caserme austriache dalle corti quadrate,
vaste come piazze d'armi, con i suoi capaci magazzini militari, e le
larghe strade bianche, fatte per il transito degli eserciti, distese
a rete tutto intorno. Assai più vicino, alla nostra destra, a due
chilometri appena, sollevavano il loro dorso le famose alture di Santa
Maria e di Santa Lucia, due gruppi di colline boscose, pittoresche,
al di là delle quali, verso levante, l'Isonzo gira. Alte, lontane,
dietro a Tolmino, sbiadite nella profondità del sereno, torreggiavano
le creste rocciose del monte Cuk, le vette del massiccio che divide la
valle dell'Isonzo dalla valle della Sava, le pietre naturali del nostro
vero confine.

Sono le colline di Santa Maria e Santa Lucia che hanno fatto di
Tolmino una piazzaforte austriaca. Da Caporetto in giù, per tutto,
la nostra riconquista ha potuto affacciarsi sull'Isonzo, ma in due
punti il fiume si discosta subitamente, si nasconde dietro ad alture
isolate, fa un gomito per mettere fra noi ed un tratto del suo corso
la barriera di quei piccoli nodi montuosi, una barriera che cela e
protegge ponti e strade. Presso Tolmino sono le colline di Santa Maria
e Santa Lucia; presso Gorizia sono le colline di Podgora, di Oslavia
e il monte Sabotino. Il nemico ha fortificato formidabilmente questi
due aggruppamenti di alture al di qua dell'Isonzo, che gli dànno il
possesso di paesaggi sul fiume, che sono centri poderosi di difesa e
basi possibili di offesa.
Perchè è all'offesa che il nemico pensava prima di trovarsi costretto a
difendersi. Basta vedere Tolmino per riconoscervi una di quelle forti
basi d'avanzata che l'Austria aveva preparato un po' per tutto sulle
nostre frontiere, con una larghezza di mezzi, con una profusione di
milioni, con un'attività, che dimostrano un piano preciso e una volontà
senza indugi. Noi non avevamo niente al di qua; Tolmino fronteggiava
delle valli aperte, che convergono verso Cividale, scendendo alla
indifendibile pianura friulana.
Non si costruiscono tre grandi ponti per un paesello, non si erige
una vera città di caserme e di depositi, con panifici ed ospedali da
metropoli, non si fanno centinaia di chilometri di strade militari,
non si trasformano montagne in fortezze, sopra tutto quando dall'altra
parte della vicina frontiera nulla si fa, neppure una strada, se non
c'è il definito progetto di servirsi e presto di tutte queste opere.
Nel nostro giro sul fronte, quello che ci ha più fatto pensare, oltre
alla guerra che si combatte, è la guerra ben più terribile, la guerra
spaventosa, atroce, sproporzionata, disperata che si sarebbe combattuta
se gli eventi non avessero dato a noi la scelta del momento, se non
fossimo stati noi a gettare il guanto e varcare le frontiere, se lo
sconvolgimento dell'Europa non fosse venuto a destarci. Bisogna vedere
per comprendere. Per difficile che sia la guerra d'oggi, noi dobbiamo
benedirla perchè ci salva dai disastri immensi la cui preparazione,
che è ora tutta sotto ai nostri occhi, ci cingeva a poco a poco mentre
noi dormivamo sognando la pace perenne. La guerra era inevitabile, era
decisa: dovevamo farla o subirla.
Non conoscevamo esattamente il valore combattivo di Tolmino. Iniziate
le ostilità, le nostre truppe occuparono le alture fra lo Judrio e
l'Isonzo e dalla cresta videro, come noi l'abbiamo visto, Tolmino
in basso, con la sua pesante avanguardia di edifici governativi,
e la folla gaia delle sue case, raccolte fra recinti d'orti, in un
verdeggiare di frutteti. Subito, le colline di Santa Maria e di Santa
Lucia tuonarono; incominciò un fuoco di medî calibri invisibili,
introvabili, che battevano le nostre alture. Continuano ancora, a
intervalli.
Udivamo infatti di tanto in tanto il rantolo di qualche grossa granata
austriaca, che veniva a scoppiare alle falde dello sperone sul quale
eravamo. Dei colpi rispondevano; noi potevamo seguire da vicino
la manovra pacata di alcuni artiglieri nostri, intorno ad un pezzo
imboscato in un intreccio di cespugli. Facevano fuoco ogni cinque, ogni
sei minuti, per non permettere al nemico di scoprire la vampa, e fra un
colpo e l'altro si sedevano intorno, conversavano, leggevano un vecchio
giornale che passava da mano a mano, compitato e commentato. Nelle
vicinanze il terreno era squarciato dai proiettili. Una granata da 305,
caduta recentemente, vi aveva aperto una cavità larga, irregolare,
profonda, nella quale dei soldati raccoglievano pesanti schegge di
acciaio.
Il primo bombardamento austriaco cominciò il 26 maggio. Non fece
danni e non fermò le nostre truppe. Si iniziava l'investimento della
piazzaforte. L'operazione non pareva estremamente difficile; le colline
di Santa Maria e di Santa Lucia non lasciavano scorgere ancora le loro
difese imboscate. Gravi ostacoli già ci sbarravano il passo di fronte
a Gorizia, e sembravano più facili forse quelle alture di Tolmino, che
non avevano l'aspetto possente e ostile del Sabotino e del Podgora.
Nei primi giorni di giugno Tolmino parve seriamente minacciata da noi,
e si poteva credere allora che su Tolmino potesse portarsi l'attacco
fortunato che, penetrando fortemente in quel punto, scuotesse le
posizioni nemiche di Gorizia.
L'attacco fu dato. Le nostre truppe erano arrivate a contatto di
numerose linee successive di trinceramenti in cemento, mascherati dal
bosco, protetti da numerose batterie incavernate, riuniti da cunicoli,
tutto un sistema di fortificazioni interrate, nascoste, in agguato.
Fu allora forse che si pensò di portare il colpo offensivo su Plava,
cioè ad un altro raccordo di strade che un ponte congiungeva attraverso
l'Isonzo, in un settore più vicino a Gorizia, e che poteva supporsi
meno preparato alla difesa. Era l'unico punto di quella zona sul
quale potesse tentarsi il passaggio del fiume. Non si può combattere
in qualsiasi luogo; l'offesa e la difesa seguono vie e direzioni
prevedibili; le battaglie hanno campi predestinati; la viabilità
fissa fatalmente i terreni d'azione. Dove il traffico ha già da secoli
scelto i suoi passaggi, la guerra si getta. Una rete di strade dalla
riva destra del fiume andava a innervarsi al ponte di Plava, distrutto
dagli austriaci. Altrove l'Isonzo scorre fra due ripe altissime, senza
guadi e senza allacciamenti. Volendo crearci un'altra testa di ponte,
non potevamo scegliere che Plava. Ma la difesa nemica a Plava pure ci
aspettava. Noi la spezzammo.
Per oltre due mesi dall'inizio della guerra, di Tolmino non si parla
più. Non vi è inazione; vi si combatte, vi si cannoneggia, le fanterie
mantengono il contatto, le nostre trincee a poco a poco avanzano,
portano i loro scavi sempre più vicino alle posizioni nemiche, le
incalzano con la lentezza del piccone. Si prepara l'attacco. È il
16 agosto che l'offensiva nostra violentemente si slancia in avanti.
Comincia allora un periodo di furore.

La collina di Santa Lucia è oblunga, regolare, boscosa; ma a tratti
il bosco cessa al bordo rettilineo di grandi prati in declivio,
ombreggiati qua e là da qualche ciuffo d'alberi, rigati da un folto
distendersi di siepi; anche la vetta è erbosa e scoperta. Adesso i
prati sono qua e là sterrati dai colpi di cannone, scorticati, del
colore dei campi arati, e la vetta, bucata dai crateri scavati dalle
granate, uno vicino all'altro, ha quell'aspetto strano dei paesaggi
lunari, pieni di cavità rotonde e di bordi circolari. La nostra
artiglieria rovesciò su Santa Lucia e su Santa Maria un diluvio di
proiettili per preparare l'attacco.
Coperte da quel fuoco, le nostre fanterie spezzarono i reticolati e si
slanciarono alla baionetta. Una linea di trinceramenti austriaci fu
conquistata. Poi un'altra. L'assalto saliva il declivio da ponente.
L'urlo dei combattenti si udiva, alto, tremendo, dalle posizioni di
artiglierie sulle alture vicine. Nelle trincee prese, delle compagnie
intere di austriaci si arrendevano. Durante la giornata del 16 agosto
furono presi prigionieri 17 ufficiali e 517 soldati. Mitragliatrici,
fucili, munizioni, formarono un rilevante bottino. Un reparto arrivò
finalmente ad espugnare le estreme trincee, quelle della vetta di Santa
Lucia, che girano intorno a due cucuzzoli simili alle due larghe gobbe
di un cammello gigantesco.
Allora cominciò la tempesta delle artiglierie austriache. Non meno di
quaranta cannoni concentravano un fuoco spaventoso sulle sommità del
colle. Non vi era tempo per costruirsi dei ripari; bisognava ritrarsi
dal costone più esposto. Ma ci tenemmo saldamente sui fianchi delle
alture, dove ora si vedono serpeggiare i solchi profondi dei nostri
trinceramenti, ai quali salgono strani viottoli di approccio. Gli
austriaci rioccuparono le vette. Le loro trincee sono ad un centinaio
di metri dalle nostre.
La vera forza di resistenza del nemico è nel cannone. La sua fanteria
non si mantiene che nei punti sui quali la sua artiglieria può battere.
Gli austriaci hanno dovuto abbandonare sempre i declivî per reggersi
sulle creste. Dove le loro granate non arrivano, la loro difesa
sparisce.
La battaglia continuò il giorno 17. Qualche nuova trincea fu presa.
Altri duecento prigionieri vennero catturati. Ma la lotta più che
di attacco era di consolidamento, di sistemazione, di preparazione.
Violente avanzate nemiche scendevano alla notte. Erano respinte.
Si combatteva e si lavorava ai bagliori dei razzi illuminanti.
Per lunghi giorni è continuata l'azione in episodi, sotto al fuoco
dell'artiglieria nemica, che frugava il rovescio delle colline per
impedire i rafforzamenti.
Il 9 settembre, nella notte, il combattimento ha avuto una ripresa
furibonda. Con un assalto improvviso, un reparto nostro, sulla
collinetta di Santa Maria, si è impadronito di un'altra linea di
trincee, si è avvicinato alla vetta, sulla quale sorge una chiesuola,
ora diroccata. Ma avanti agli assalitori, improvvisamente, balenarono
fiamme azzurre, fantastiche, di liquidi infiammabili, l'ultima atrocità
scientifica della Germania. Lanciato a lunghi getti, il liquido spento,
che non arrivò fino ai nostri, scendeva per il declivio a lunghi
rivoletti invisibili e silenziosi, poi al contatto di una capsula
incendiaria divampavano di colpo. Ed erano serpeggiamenti inverosimili
di luce oscillante e pallida, era un fiammeggiare tortuoso e diafano
lungo il pendìo, un saettamento di vampe spettrali, presto estinte
perchè la terra assorbiva il liquido, e le fiamme si abbassavano
subito. Morivano in un palpito scoppiettante, lasciando tutto intorno
uno sfavillare minuscolo di brage, un pagliettìo ardente di fili d'erba
accesi. Intanto da esplosioni violente di granate a mano si sprigionava
l'acre odore di gas soffocanti, una nebbia che persisteva nella
calma della notte. I nostri si fermarono, urlando insulti e sfide:
«Vigliacchi! Venite!»

Due giorni dopo si scorgevano nel vallone di Tominski dei reparti
austriaci in marcia verso Tolmino. Il nemico non si sentiva più sicuro
nemmeno dietro le sue fontane di benzol. Ma la calma per il momento
pare tornata nel settore. Qualche duello di artiglierie, alla sera,
un crepitìo di fucilate, di tanto in tanto, e lunghe ore di silenzio
profondo.
Sulla collinetta conica e verde di Santa Maria, la chiesuola ha
perduto il suo campanile. Serviva da posto di osservazione al nemico,
i nostri cannoni l'hanno mozzato. Era un campanile rotondo che i nostri
ufficiali esitavano a colpire per il dubbio che potesse avere un valore
d'arte. Non farebbero del male ad un monumento a costo della vita. Ora
il campanile rotondo è un rudero strano, squarciato da una parte, che
mostra un interno cavo, annerito dall'incendio delle scale di legno.
Un villaggio vicino, Kozarsce, che è stato un punto di appoggio della
difesa austriaca, è in rovina. Ma Tolmino è intatta.
Noi lasciamo al nemico l'abominevole prerogativa della distruzione
inutile. La città pare deserta, la popolazione, infatti, l'ha fuggita,
per le strade nessuno passa, ma alla notte quella solitudine si popola.
Tolmino è sempre un grande centro militare, e il rispetto che noi
abbiamo per l'abitato finchè la battaglia non ci forza a colpirlo rende
ancora agli austriaci abbastanza tranquilla quella residenza, che è
sotto le bocche dei nostri cannoni e che potremmo annientare in un'ora.
Il combattimento è tutto intorno.
Si vede di qua, verso il fiume, un recinto di muro sfondato, un gran
recinto quadrato battuto in breccia dalle granate: è il cimitero. Una
trincea di difesa lo traversa, passa fra le tombe, discosta i morti,
rovescia croci e cippi, ammucchiandovi sopra i suoi sterri, e fa
pensare ad una sepoltura gigantesca preparata. Più indietro, verso il
sud, una seconda linea più forte, in cemento, allinea le sue feritoie
larghe da mitragliatrice, rasente il suolo. I reticolati stendono per
tutto il loro grigiore. Si seguono e si seguono, per la pianura, per
i declivî, per le vette, attraverso i campi abbandonati sui quali i
raccolti intristiscono; sono miglia e miglia di quel tetro viluppo di
fili e di pali che dànno un'impressione di vigneti sterili.
Noi attacchiamo le colline di Santa Maria e di Santa Lucia da ponente,
e la città da settentrione. La nostra fronte scende dal Mrzli alle
pendici del Vodil e attraversa la valle. Il ponte di San Daniele, di
fronte all'abitato, è nostro. È un magnifico ponte nuovo, di cemento
armato. Gli austriaci speravano forse di difenderlo, e non lo hanno
distrutto. Ma su tutta la lunghezza del ponte avevano ammassato
ostacoli di ogni sorta, _chevaux de Frise_, reticolati, sbarre di
ferro, un intreccio fitto al di là del quale si appostavano delle
mitragliatrici. Durante il giorno, per qualche tempo, la nostra
artiglieria da campagna tirava sulle difese del ponte per spezzarle,
e alla notte, sotto a raffiche di piombo, dei pionieri eroici
strisciavano fra i due parapetti per far saltare i rottami e sgombrare
la strada.
Li conduceva un ufficiale del genio, professore di Università prima
della guerra. Partiva calmo, sereno, come quando s'incamminava verso la
lezione con dei libri sotto al braccio. Dove nessuno osava andare, dove
la morte pareva certa, andava lui solo. Alla notte lui era sul ponte,
strisciando, avanzando centimetro per centimetro, sospingendo avanti
a sè un tubo di esplosivo. L'ultima volta, quando la strada era quasi
tutta aperta, non è tornato indietro. Una palla lo aveva fulminato.

Ora sul ponte si vedono oscuri barricamenti di sacchi che proteggono
il passaggio, e in fondo, al di là, una breve trincea si profila. È
l'attacco che sbocca, ancora piccolo, ancora incerto, una testa di
ponte minuscola e ardita che si affaccia.
Al nord della città, vicino quasi alle ultime case, si solleva
in vedetta, isolata, una strana montagna, alta, regolare come una
montagnola da giardino pubblico, aguzza, coperta tutta da un bosco,
un immane cono di verdura, e che non ha un nome. La chiamano con la
cifra della sua altitudine: Quota 428. Gli austriaci hanno costruito
in cemento, sulla sua vetta, una torre osservatorio, fatta a colonne
per lo stesso principio che ha consigliato di dare alle moderne
navi da guerra un albero a tripode. Se fosse una torre piena sarebbe
demolita, ma i colpi di cannone passano nel vano fra una colonna e
l'altra. È una specie di campanile a giorno, una gigantesca armatura,
insolentemente bianca, sulla quale la nostra artiglieria ha infuriato
per giornate intere. Gli scoppî avvolgevano la bizzarra costruzione di
un fumo denso; si credeva spesso di averla abbattuta, ma quando il fumo
si dissipava, l'ostile torre ricompariva intatta. Essa spinge il suo
sguardo su tutta la vallata, sorveglia gli approcci da Caporetto, vede
i nostri movimenti lungo il fiume.
La Quota 428 è anche una posizione di combattimento, nasconde trincee,
e i suoi reticolati scendono fino alla pianura, in mezzo a campi di
granturco. Osservando meglio, intorno, ci si accorge di tutta una
viabilità sotterranea. Certe siepi lunghe chilometri non sono altro che
ingannevoli ripari per nasconderci movimenti d'uomini entro sterminate
trincee di incamminamento. I villaggi sono uniti da profondi fossati,
che seguono il disegno di un fregio a greca per essere protetti
dai colpi d'infilata. Mentre le strade sono deserte e nessun essere
vivente si muove nella vallata, entro quei canali delle truppe forse si
spostano. Poco più a sinistra sono i nostri incamminamenti, sulla riva
del fiume, immensi zig-zag dai bordi bianchi di sabbia appena scavata,
i quali conducono lo sguardo verso un grandioso intreccio di trincee
sui valloni del Vodil, all'altra riva.
Sui bordi d'ogni balza, le posizioni della difesa; poco sotto, a
qualche decina di metri, le nostre, che assaltano, che s'insinuano,
che spingono avanti i loro parapetti, con quel sovvolgimento di terra
dei formicai calpestati, quando gl'insetti scavano furiosamente la
loro strada. Da là veniva più serrato e più sovente lo scoppiettare
della fucilata. Tendevamo lo sguardo verso la lotta invisibile,
instintivamente, ossessionati dalla paurosa apparenza di deserto del
campo di battaglia.
Cercavamo un uomo, lungo gli approcci, sulle trincee, nei villaggi
che cadono in rovina, presso ai cascinali senza tetto, anneriti dalle
fiamme, cercavamo un uomo la cui vista disperdesse in noi il senso di
quella solitudine soprannaturale che diveniva a poco a poco angosciosa
come un incubo.


L'EROICA CONQUISTA DI PLAVA.
_29 settembre._

L'aspetto di solitudine che assume la guerra, quando l'assalto non si
slancia, si addice alle zone selvagge. Abbiamo visto la selva di Plava
non molto diversa da come la vedevano i cacciatori di Gorizia, quando
la attraversavano in questa stessa stagione cercando nel suo folto il
fagiano e il gallo di bosco.
Plava è un piccolo villaggio, ora distrutto dal cannoneggiamento
austriaco, che allineava le sue casette ai due fianchi della strada,
sulla sinistra dell'Isonzo. Delle abitazioni rimangono quattro mura
scoronate, dalle cui finestre pendono rottami di imposte. Per uno di
quei capricci che il cannone ha, come il fulmine, una sola casetta è
rimasta intatta, bianca, col tetto nuovo. Avanti a Plava era il ponte.
Alle spalle del villaggio cominciavano subito il bosco e la montagna.
Intorno, nessun altro centro abitato in vista, non campi, non vigneti.
L'Isonzo scorre in quel punto incassato in una gola profonda e
melanconica. Su Plava viene a finire un'ultima balza di una catena di
alture boscose, il cui dorso, salendo a centina, va quasi fin sopra
Gorizia e si culmina nel Monte Santo.
Vista dall'altra riva, la montagna di Plava, ha la forma di una
piramide perfetta. Quando però si giunge alla sommità, a 383 metri, ci
si accorge che non si è sopra una punta ma al principio di una cresta,
la quale declina, poi risale. E intorno si levano tumultuosamente le
ondulazioni del massiccio di Bainsizza. Non vi sono che sentieri nella
oscurità del bosco; le buone strade corrono soltanto in fondo alla
valle dell'Isonzo, ma al Monte Santo si allacciano le reti stradali del
Goriziano.
Decisa la formazione di una testa di ponte a Plava, il primo obbiettivo
fu la conquista della Quota 383. Il giorno 8 di giugno arrivò l'ordine
d'avanzata. Alla sera, per la strada di Vercoglia scesero da San
Martino i battaglioni destinati all'operazione, che si nascosero
nella boscaglia, presso al fiume. Quando l'oscurità fu profonda, si
intravvide un convoglio di cavalli e di carri, silenziosi come ombre,
che andavano verso la riva. Erano i carriaggi del parco da ponti. Le
ruote e gli zoccoli dei cavalli erano fasciati di stracci; gli uomini
calzavano scarpe di corda. Lentamente, il convoglio si portò fino dove
la strada fiancheggia il fiume.

Si cominciò la costruzione del ponte. Le barche dovevano essere portate
a spalla giù per la ripa precipitosa e attraverso il letto di ghiaia.
Non un rumore, non un urto, il ponte si componeva in silenzio. L'altra
riva era tutta buia, nera, addormentata. Il lavoro procedeva febbrile
e cauto, nelle tenebre, con l'ansia angosciosa del tempo che fuggiva,
dell'alba estiva troppo vicina.
L'aurora disegnava già i profili dei monti, e il lavoro continuava.
Poco più della metà del ponte era compiuta. Alle tre del mattino,
quasi i tre quarti del ponte erano finiti. Ancora un poco, ancora
un poco e le truppe sarebbero passate. La costruzione proseguiva ora
furiosamente, nella piena luce dell'alba. All'improvviso fu un rimbombo
di esplosioni nel greto e i pontieri si trovarono avvolti nel fumo.
Il nemico aveva visto. Bombardava da posizioni imprecisabili. Il ponte,
colpito, si sfasciava; le barche di lamiera, sfondate dalle schegge,
affondavano. Non v'era un minuto di sosta nel fuoco. Le truppe furono
ritirate al coperto, nessuno rimase sulla riva cosparsa di rottami,
tempestata dai colpi.
Tutto il giorno durò intenso il cannoneggiamento. Così trascorse il 9
giugno. Venuta la notte, dei drappelli ridiscesero verso la riva.
Si era pensato di traghettare poche forze per formare al di là un
primo velo di difesa. Si misero i remi ad una barca e si cominciò
la traversata. Passavano venti uomini per volta. Scendevano a poche
centinaia di metri dal villaggio. Quando furono sbarcati in una
cinquantina, i nostri cominciarono ad avanzare e prendere posizione. Il
traghetto continuava. Un sergente, che comandava il primo nucleo, prese
con sè un plotone e si avvicinò al villaggio, dove sapeva che doveva
trovarsi un posto di vedetta austriaco.
Evitando la strada, camminando a passi da cacciatore, quel piccolo
gruppo arrivò alle prime case di Plava. Le circondarono, vi entrarono
senza passare per l'uscio. Scavalcarono dei muricciuoli, scalarono
finestre, e arrivarono così nelle case vicine; strisciavano,
penetravano da un'abitazione all'altra per le vie più imprevedute, in
modo che una sentinella piazzata sulla via non potesse accorgersi del
loro avvicinarsi. Arrivati sotto ad una finestruola chiusa da sportelli
di legno, udirono delle voci d'uomo, all'interno. Parlavano in tedesco.
Era lì.
Un colpo violento all'uscio che si spalancò, un'irruzione di baionette
basse. Dieci soldati austriaci, con un ufficiale, sorpresi e allibiti,
alzavano le mani. Erano in una cameretta a pian terreno raccolti
intorno alla luce di una candela. La barca, in uno dei suoi ritorni,
portò alla nostra riva il carico dei prigionieri.
Questa cattura ha avuto una grande importanza per le operazioni, perchè
ha impedito un primo allarme che avrebbe turbato lo svolgersi dei
nostri piani. Il Re ha voluto di _motu proprio_ decorare della medaglia
al valore l'ardito sergente, che nel combattimento successivo doveva
cadere gravemente ferito. E ferito, egli continuava ad esortare i suoi
uomini alla battaglia: «Andate avanti, avanti! Non badate a me!...»
Nella notte del 9 traghettarono circa duecento uomini, per la cui
sorte si era preoccupati. Durante tutta la giornata del 10, si stette
in ascolto dalla nostra riva, si cercava di penetrare con lo sguardo
l'intreccio degli alberi, di vedere qualcuno dei nostri, si aspettava
un segnale. Niente. Erano tutti presi? No, erano tutti in ricognizione.
Rampavano audacemente, strisciavano sulla montagna, perlustravano
ogni passo, arrivavano presso alla vetta, scoprivano i reticolati, le
trincee, raccoglievano dati preziosi. Perchè gli austriaci avevano
fatto a Plava preparativi assai più completi di quanto fosse logico
aspettarsi.
I nemici non sospettavano la vicinanza di quello sciame di esploratori;
andavano, venivano intorno alle trincee, disarmati, sicuri. Le vedette
di Plava tacevano, dunque gl'italiani non s'erano mossi. Più volte
alcuni dei nostri dovettero girare intorno al tronco d'un albero
all'avvicinarsi di soldati austriaci che passavano inconsapevoli pochi
metri lontano.

Nella notte stessa del 10 si era tentato un nuovo sistema per gettare
sulla riva sinistra un forte reparto di truppe. Non era possibile
sostituire subito il materiale da ponte distrutto; ma vi era legname
sufficiente per costruire sulla riva una passerella che, appena
finita, avrebbe potuto essere varata e assicurata solidamente ai
resti in muratura delle testate del ponte distrutto. Il Genio lavorò
attivamente, con quell'entusiasmo alacre e grave dei nostri artieri
militari, che sono così spesso in prima linea, sotto al fuoco più
intenso, a creare valichi ed aprire varchi.
È un eroismo difficile quello del lavoro, perchè deve rimanere freddo,
riflessivo. Il combattente può lasciarsi spesso trasportare dalla foga
disordinata del suo sentimento, può gridare, può sparare. L'artiere
del Genio deve pensare. Ogni suo gesto ha bisogno di precisione e di
puntualità. Nel pericolo più grave egli deve agire impassibile come
l'operaio nel sicuro laboratorio di un'officina. Il nostro Genio ha
gettato quasi tutti i suoi ponti nel pieno del combattimento, alla
prima linea, avanti alla prima linea. Dei pontieri cadevano feriti,
uccisi, erano sostituiti e il lavoro continuava. Le granate sfondavano
le barche di sostegno, sfasciavano il travame, distruggevano l'opera
intera, e si ricominciava.
Una passerella sull'Isonzo richiedeva più tempo di quello che le
circostanze concedevano. L'alba sorse, e il ponte di fortuna non era
finito. Gli osservatorî dell'artiglieria nemica, già in guardia, si
accorsero della costruzione e fecero aprire il fuoco. Come al giorno
prima, il bombardamento fu violento e preciso. Regolato con esattezza
sulla posizione del vecchio ponte, esso colpiva in pieno. La passerella
rimase spezzata. Un'altra giornata trascorse nell'inazione forzata,
senza nessuna notizia degli uomini traghettati alla sera, e con la
certezza di trovare il nemico sempre più rafforzato. Per la forza
dell'inevitabile la sorpresa, l'elemento primo di un successo facile e
pieno, era mancata. Non so fino a quanto si facesse assegnamento sulla
sorpresa, ma è evidente che se fosse stato nelle possibilità umane
il compimento del ponte nella prima notte, l'attacco di Plava avrebbe
potuto avere nella guerra una influenza profonda, penetrando ben oltre
i limiti di una testa di ponte.
Si ricorse, nella notte successiva, ad un altro mezzo. Si fece il
così detto «ponte girevole». Il ponte girevole non è altro che una
piattaforma sostenuta da due barche, assicurata alla riva con una
lunghissima corda e lasciata alla deriva. Con il movimento di un remo
messo a timone, per effetto della corrente, la grande zattera, come un
pendolo orizzontale, se si può dire così, può andare e venire da una
riva all'altra. La piattaforma portava una cinquantina di uomini alla
volta. In quella notte, finalmente, due battaglioni passarono.
Ritrovarono sulla sponda sinistra la piccola forza sbarcata la notte
prima. Si era trincerata aspettando, e teneva già un lembo di altura.
Le informazioni che portò furono di enorme utilità. Venne deciso di
attaccare il monte sui due fianchi, lungo due valloni quasi simmetrici
che sono uno a destra e uno a sinistra di Plava. L'azione cominciò a
giorno chiaro.

La difesa fu violenta ma breve. Si avanzò tra difficoltà gravi ma
non insormontabili. Di slancio, le linee di trincee erano prese,
successivamente. Si fecero duecento prigionieri. I cannoni austriaci,
con un fuoco violento, battevano sopra tutto la spalla del monte, e
più giù il paese, il fiume, la riva destra. Sarebbe stato impossibile
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Çirattagı - Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 18
  • Büleklär
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4201
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1662
    30.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4289
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1772
    29.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4329
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1834
    29.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4286
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1733
    29.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4432
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    30.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    45.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4401
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1626
    26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4329
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1759
    30.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4393
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1711
    26.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    39.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4433
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1728
    27.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1741
    28.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4439
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1650
    28.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4346
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1744
    26.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4354
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1737
    28.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    42.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4406
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    27.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    47.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4314
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1708
    27.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4328
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1628
    28.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    40.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4400
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1674
    29.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    43.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4401
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1657
    31.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    45.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4384
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1729
    28.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    41.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4341
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1660
    27.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    42.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Al fronte (maggio-ottobre 1915) - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 3983
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1568
    30.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    44.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.