La volpe di Sparta - 2

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perchè la domestica se ne andava subito dopo pranzo.... E i due
ragazzi sospendevano il lavoro e prendevano il tè, a centellini,
guardandosi.
Folco sentiva sorgere dal cavo delle mani, dall'onda dei capelli
semplicemente divisi nel mezzo con una nitida scriminatura, dalle
pieghe dell'abito, da tutta la persona di Gioconda, un profumo
discreto, e pur penetrante, che mai non aveva prima avvertito.... Si
perdeva a fissarla, riprendendo il lavoro di soprassalto, quando la
fanciulla ve lo richiamava.
Una sera, leggendo la _Ballade des menus propos_, la fanciulla disse
con piacere: «Com'è moderno questo poeta del quattrocento!» Folco ne
fu tutto commosso e felice. Giudicò straordinaria l'intelligenza di
lei: sentiva dunque le bellezze dell'antica lirica, la nostalgia delle
belle cose lontane? Nessuna donna poteva arrivare a tanta percezione
senza avere un'anima letteraria.... E si sarebbe chinato a baciarle la
mano, la mano agile e povera che non aveva anelli, se in un canto non
fossero stati il padre Piero e la madre Delfina a giuocar con un
bisunto mazzo di carte, ridacchiando d'ora in ora.
Folco si aperse con Gioconda: Francesco Villon era pel momento il suo
poeta prediletto, e intorno alla vita e alle opere, ma sopratutto
intorno alla fine di lui, voleva ricercar nuovi documenti: per ciò
doveva andare a Parigi.... Perchè di Francesco Villon nulla si sapeva
con certezza; nemmeno il vero nome: quel poco che si sapeva era
terribile.... Sì, terribile! E Folco atteggiava il volto a una
smorfia, come si fa coi bambini per impaurirli, vedendo che la
fanciulla aveva spalancato gli occhi e inarcato le sopracciglia....
Che sopracciglia delicate! due archi d'un finissimo pennello....
Si sapeva ch'egli aveva ucciso, rubato, era stato capo d'una banda di
malfattori; aveva commesso altre cose disoneste, onde l'avevan
condannato al capestro; ma salvatosi per prodigio, grazie ad alte
protezioni, era partito, scomparso per sempre e la leggenda aveva
creato per gli ultimi suoi giorni le ultime sue gesta, di cui la
storia dubitava.
Ladro e assassino?... Gioconda allontanò un poco le cartelle
dattilografate.... Quant'era carina in quell'atto, come avesse temuto
che la parola del malvivente la contaminasse!... Ma no, il poeta era
altro che l'uomo; e quel contrasto fra l'anima e la vita, fra il
sentimento e l'azione, non faceva più ambigua, più ermetica, più degna
di studio la figura del grande primo lirico di Francia?
Come mai in quel guasto cuore di ribaldo germinavano i versi del
_Rondeau_: «Deux étions et n'avions qu'un coeur»?
Folco guardò dentro gli occhi la fanciulla, che sembrò smarrita, fuor
del mondo, sorpresa. Ella si levò per affacciarsi alla finestra a
respirare. Nel triste salotto, sotto la luce d'una lampada a petrolio
poco pulita s'erano stese le ali gigantesche della lirica che traversa
i secoli, e fatto schermo della mano al volto, Folco Filippeschi si
vide illuminato da un raggio di sole.
Ma la signora Delfina, con cautela e trepidanza, dovette far capire
poche sere di poi al conte Folco Filippeschi che sarebbe stato
opportuno per tutti diradare un poco le visite. Un tal Carlo Albèri,
che possedeva, giù a sinistra, voltato il canto della strada, quel bel
negozio di pelliccerie, ed era giovane per bene, aveva chiesto di
frequentare la famiglia, col proposito di domandar poi la mano di
Gioconda. Il padre, uomo prudente, non aveva risposto nè sì nè no; ma
per giudicare se i due giovani, Gioconda e Carlo, potevano accordarsi,
conveniva ammettere quest'ultimo in casa, vedere come si comportava,
come Gioconda lo accoglieva.... E il conte--finì la signora Delfina
con un sospiro--si sarebbe trovato forse a disagio....
Folco ebbe un istante le vertigini.
Gioconda moglie di un pellicciaio; la compagna dei suoi studii
prediletti, il tesoro inestimabile inviatogli dalla sorte, la
purissima, bellissima fanciulla.... con quella squisita anima
letteraria che comprendeva Francesco Villon: «Prince, je connais tout
en somme.--Je connais tout, hors que moi-même....»!
Folco ne rimase esterrefatto.
Aveva dimenticato il carattere particolare della sua famiglia. Un
padre e una madre che credevano all'origine divina della nobiltà e de'
suoi privilegi, e custodivano severamente le tradizioni della casata;
una sorella, che nè credeva, nè dubitava, perchè allevata lungi dal
moderno sudiciume democratico, viveva, pensava, sentiva secondo il
modello rigido e perfetto impostole da sua madre; e a diciassette anni
era andata sposa a un uomo di trentotto, il solo che soddisfacendo
alle esigenze morali e sociali del padre, vantasse nome e censo
adeguati alla nascita della giovinetta.
Interrogato a proposito di Gioconda, il padre non avrebbe ordinato a
Folco che questo: dimenticarla. Non era lecito, se pure fosse stato
possibile, farsene un'amante; sposarla, darle il nome dei Filippeschi,
equivaleva a commettere un vero crimine.... D'altra parte non aveva,
quella.... come si chiamava?... quella Gioconda, come tutte le buone
ragazze, un bravo fidanzato, conveniente alla sua piccola sorte, nella
persona di quel.... di quel negoziantucolo.... di quel Pianteri,
Albèri; Albèri Carlo?... O perchè Folco voleva portargliela via?...
Perchè era bella?... Ah, là, là, il mondo è così grande, e a ventidue
anni non ci si ferma alla prima osteria!... Folco doveva ancora
apprendere la vita invece che rompersi il collo con una ragazza del
popolo, dirò meglio della plebe.... La quale ragazza pretendeva dunque
entrare nella famiglia, essere accolta come figlia dal conte e dalla
contessa, dar del tu a Giselda, la sorella di Folco, e a Corradino
Àutari marchese di San Fiorano, suo cognato?
Ah, là, là, Folco scherzava!
Ben certo che non metteva conto nemmeno di parlarne in casa, Folco si
sentì morire: ma nonostante l'avviso della signora Delfina, seguitò ad
andar tutte le sere dai Dobelli, senza mai incontrar quel Carlo
Albèri; e si bruciò al fuoco degli occhi dalle pagliuzze d'oro, nei
quali scorgeva una disperata malinconia, una silenziosa rinunzia,
qualche cosa tragica venuta certo dall'orrore di quel prossimo
fidanzamento.
Andò anche, un giorno, a spiar dalla vetrina dentro la bottega del
pellicciaio, giù a sinistra, voltato il canto della via. E scorse il
giovane per bene; ma che giovane!... Era uno di quei pupazzi che si
vedono nei figurini di mode; roseo in volto, con un sorriso insipido
venuto dall'abitudine di servire; i capelli abbondantemente impomatati
eran lucidi e grassi; due baffi arricciati col ferro caldo gli
ornavano il labbro superiore. Teneva con la sinistra alta una stola di
martora, che con la destra accarezzava lievemente, soffiandovi dentro
e fiutando.
Folco si perdette a fissarlo, impietrito da un rabbioso disgusto.
Quell'uomo voleva possedere per sempre e dominare Gioconda?... bevere
ingordamente la giovinezza venusta di lei?...
Si muoveva, usciva da dietro il banco per aprire una scansia. Dietro
il banco doveva esservi un rialzo di legno, perchè nel mezzo del
negozio Carlo Albèri si presentava improvvisamente piccolo,
mingherlino, le spalle strette, i calzoni troppo ampi per le gambe
secche. Egli dovette sentire l'occhiata intensamente cruda di Folco:
si volse quasi infastidito, fissando il giovane con faccia di
maraviglia; poi tornò alle pelliccie e alle stole, e riprese a
curarle, soffiandovi dentro. Folco si allontanò.
Oltre tutto, poi, quanto poteva guadagnare quell'Albèri Carlo con la
botteguccia di pelli da gatto? D'estate le pelliccie non si
vendono.... E come, con quali cure, avrebbe egli espresso la sua
efficace protezione, in quale ambiente avrebbe fatto vivere la
fanciulla, degna veramente per la inquietante bellezza del nome di
Gioconda?
A grandi passi Folco si recò dalla bottega del pellicciaio al negozio
del suo gioielliere. Chiese se la sua commissione era stata eseguita;
guardò, prese un astuccio, pagò, uscì.
Aveva ormai irrevocabilmente deciso; per sè, pel suo amore; per
Gioconda, per la sua salvezza.
La sera, fece la scena solenne, con la cecità impetuosa di chi si
chiude dietro le spalle tutte le porte che possono condurlo a
salvazione. Presenti il signor Piero e la signora Delfina, pregò la
fanciulla di stendergli la destra; poi con grave lentezza, quasi
compiesse un rito, levò dall'astuccio uno stupendo anello, un unico
grosso rubino, e lo infilò all'anulare di Gioconda, la quale come
trasognata sorrideva, corrugava la fronte, riprendeva a sorridere.
L'anello non aveva alcun significato, spiegò Folco, volgendosi
all'uomo e alle due donne; voleva dire soltanto la gratitudine per la
dolce intelligentissima collaboratrice.
Che se i signori Dobelli,--e la voce di Folco Filippeschi si fece
timida, mentre gli si scoloriva il volto pel batticuore,--avessero
voluto vedere in quel dono una speranza, una promessa, un vincolo,
egli ne sarebbe stato felice; e allora avrebbe pregato Gioconda di
leggere ciò che l'anello diceva nella faccia interna. La fanciulla
trasse precipitosamente l'anello dal dito, e quasi con un grido di
gioia lesse forte:
«Deux étions et n'avions qu'un coeur».
Il volto del signor Piero si era fatto paonazzo; la signora Delfina
pur non comprendendo parola di quel motto, comprendeva il resto; e
istupidita dalla sorpresa, pensava se non fosse conveniente
abbracciare il conte Filippeschi; Gioconda aveva bianche le labbra;
sentiva sui capelli il peso di un diadema di brillanti.... Folco si
riebbe più presto degli altri e disse calmo:
--Allora possiamo riprendere il nostro lavoro?... Non verrà più il
pellicciaio a cacciarmi?
Il signor Piero si decise a far tre passi, pesanti, e ad afferrare la
mano di Folco:
--Dio vi darà la sua benedizione!--dichiarò con sicurezza.
La signora Delfina attrasse fra le braccia sua figlia e singhiozzò
leggermente....
Toccò a Folco di nuovo ristabilir la calma e dissipar l'emozione
smisurata.
--Gioconda,--disse alla fanciulla, prendendola per mano.--Andremo
insieme a Parigi, a cercare il nostro Francesco Villon....


III.
Le due coppie.

Era una signora o una signorina?
Addossata a una delle colonne che sostengono l'arco nel peristilio del
grande albergo di Stresa, Vittorina Ornavati rivolgeva a sè stessa
quella domanda a proposito d'una giovanissima donna, chiusa in un
ampio mantello azzurro, la quale guardava insistentemente dalla
vetrata nella strada.
Vittorina si chinò verso il marito, che, sorseggiando una tazza di tè,
leggeva un libro di filosofia bergsoniana, e rifletteva sulla facilità
con cui si può diventar capo di una sètta filosofica.
--Peccato,--disse ad alta voce,--che io non ci abbia pensato prima.
--Celso,--domandò Vittorina,--che ti pare: è maritata o è nubile?
--Nubile!--rispose Celso, senz'alzar gli occhi dal libro.
--Ma se non l'hai nemmeno veduta!
--Chi?... Ah, il mantello azzurro?... Nubile, nubile, che diavolo!...
Si capisce subito....
La giovanissima pareva nervosa. Si allontanava fumando una sigaretta,
con gli occhi fissi al tappeto roseo e cilestre, che le segnava il
cammino dalla porta ai piedi della scala; poi tornava a spiar dai
cristalli sulla strada, lavata dalla pioggia dirotta e fatta
gialliccia.
Soffiava il vento, agitando le chiome delle acacie, scombuiando le
acque del lago; correvano pel cielo innumerevoli nubi biancastre
gonfie d'acqua, mentre da ponente si dilatavano sprazzi repentini di
luce rossa, verdognola, dorata, accompagnando il brontolìo del tuono.
--Non so da che cosa si capisca!--obiettò Vittorina. Io direi anzi che
è maritata: fuma la sigaretta.
--Ciò non significa,--rispose Celso.--Io ho un amico, la cui figlia di
diciotto anni fuma la pipa....
--E poi quella disinvoltura, quel portamento,--seguitò
Vittorina.--Certo, è maritata.... Bella: i suoi occhi.... Non ne ho
mai visti di simili....
Tacque, seguendo con lo sguardo la sconosciuta che dai piedi della
scala si rivolgeva, ripercorreva la striscia di tappeto, andava
nuovamente a guardar fuori.
La pioggia riprendeva a cadere a scroscio. Fermo innanzi al pontile,
un piroscafo battuto dall'acqua rabbiosa dava idea d'una nave deserta
abbandonata sotto la pioggia.
--Celso,--riprese Vittorina,--chi sarà?...
--Mi sembra che il tempo vada di male in peggio,--borbottò Celso con
un'occhiata malinconica al soffitto. Non potremo tornare a casa che
per l'ora di pranzo....
--Chi sarà quella signora?--insistette Vittorina.
--È una signorina, ti dico,--s'ostinò Celso.--Come vuoi ch'io sappia?
Domandalo al portiere.
Vittorina per seguire il consiglio di suo marito s'accingeva a
chiamare un ragazzo dalla giubba rossa, quando la giovanissima si
fermò al passo d'un signore che le teneva dietro; e Vittorina stette a
osservarli.
Era il nuovo venuto un giovane sui trentacinque, precocemente segnato
da un'esistenza troppo irregolare o dalle stimmate delle razze che si
estinguono. Camminava incerto, e, quasi per ostentare la sua
debolezza, s'appoggiava con gesto esagerato a un bastoncino d'ebano
inghirlandato di pampini d'oro, che impugnava con la sinistra e che
certamente era troppo esile per sostenere la persona piuttosto alta
dell'uomo. Le fattezze di lui eran tese, come tirate da uno spasimo o
da uno sforzo, la cui frequenza gli avesse ormai formato una maschera
immutabile. Non si poteva giudicar l'età ancor fresca di lui se non
dai baffi, dai capelli nerissimi, dalla vivacità dello sguardo, dalla
mancanza di rughe alle tempie e intorno agli occhi.
--Ah, siete voi!--disse la giovane con un buon sorriso.--Guardate che
tempo!... Sono molto inquieta; doveva esser qui da almeno tre quarti
d'ora....
--Non c'è alcun pericolo,--assicurò l'uomo, chinandosi a baciar la
mano inanellata della giovane.--Un modesto uragano che va
allontanandosi.
--Io sto sempre col cuore sospeso, quand'egli parte coll'automobile. È
difficile trovar due anime dannate come lui e il suo meccanico; fanno
a chi più commette audacie....
--Volete che sediamo?--disse l'altro, gettando un'occhiata alle
poltrone intorno.--Sapete che io ho l'onore di non poter reggermi in
piedi più di dieci minuti.
--Come state oggi?--domandò la signora, prendendo posto in una
poltrona, a due passi da Vittorina, della cui presenza non si era
accorta o non si curava.
L'uomo trasse con la sinistra dalla tasca posteriore dei calzoni un
astuccio d'oro, e offerse una sigaretta alla sua interlocutrice.
--Non ne parliamo!--esclamò poi.--Dormo malissimo; non ho appetito,
non posso leggere senza che i moscerini mi ballino innanzi agli occhi;
non posso camminare; ho un dolore acuto nel braccio destro,
l'emicrania sta per riprendermi.
--Benissimo: un vero ospedale!--rilevò la giovane freddamente.--Non so
perchè insistiate tanto a far l'ammalato; è una civetteria di cui non
capisco lo spirito.
L'altro rise, mettendo il bastoncino sotto il braccio per accendere la
sigaretta.
--Spero d'ottenere un giorno la vostra pietà!--dichiarò poscia.
--Vi dimenticate della parte,--rilevò di nuovo la giovane.--Avete
l'onore di non poter reggervi in piedi, e non pensate menomamente a
sedere; poi quel vostro bastoncino da teatro non servirebbe a
sostenere un topo e vedo che ne fate senza benissimo.... Quanto alla
mia pietà, vi assicuro che non l'otterrete mai. Non ho tempo per gli
avanzi di antichi monumenti....
--Se volete,--rispose l'uomo, soffiando il fumo dalle nari,---io
getterò lontano da me questo bastone, camminerò come il paralitico
risanato dal calore della vostra parola. Voi potete tutto su di me....
--Sì, fatemi il favore, cominciate da oggi!--ribattè la
signora.--Sarete meno rattristante.
--Daniele?--disse l'uomo al domestico in livrea che, sopraggiunto, si
era posto a qualche distanza.--Prendi questo bastoncino, e ch'io non
lo veda più!...
Daniele obbedì, e si allontanò portando il bastoncino sulle due palme
stese, come i paggi recano nel corteo il cuscino col serto regale.
--Perfetto, non è vero?--rilevò il signore, osservando il suo
domestico impettito.--Sembra che porti il Tabernacolo.... Tutto,
intorno a me, deve avere uno stile....
--Anche, dovreste spianare un poco la faccia,--riprese la giovane,
scotendo col mignolo le ceneri della sigaretta.--Voi non avete
un'espressione naturale; vi siete formato un volto da matto ragionante
o da.... che so io? da morfinomane, che non ispira la menoma fiducia.
--Vediamo,--fece l'altro, recandosi innanzi a uno specchio.--Quale
faccia potrei presentarvi? Questa: il sorriso ingenuo, lo sguardo
limpido, la fronte immacolata?... oppure questa: ecco, il sorriso
diventa un po' meno insulso, mentre lo sguardo si fa umile e il solco
del pensiero nobilita la fronte?... Non avete che a chiedere: la
nostra Casa è lieta di poter rispondere ai gusti raffinati della sua
numerosa clientela.
E piantato innanzi allo specchio, andava facendo sberleffi,
accompagnati da gesti veloci, come avesse incarnato un personaggio
carnevalesco.
--Su, su,--esclamò la giovane ridendo,--smettete di fare l'arlecchino!
Non vedete che vi osservano?
--Aspettate: ho quello che vi occorre. Vi prego di guardarmi: Romeo è,
al mio confronto, un utente caldaie a vapore....
Ma la giovane balzò in piedi, e, senza badargli, corse a passi
leggieri verso la soglia. Aveva visto fermarsi innanzi all'albergo,
con uno stridìo prolungato sulla ghiaia, un'automobile rossa, da cui
scendeva svelto un signore alto e biondo, il viso del quale era
incorniciato dal cappuccio dell'impermeabile.
--Amico mio,--disse la giovane con intonazione di lieve
rimprovero;--mi hai tenuta in ansia per tre quarti d'ora.
Il signore la baciò in fronte, sorridendo, poi recò le due mani di lei
alle labbra, e rispose:
--Una piccola panna al motore. Niente di grave, come vedi.... Dov'è
Lillia?
E abbassò il cappuccio, togliendosi rapidamente l'impermeabile, che
consegnò al meccanico, il quale lo seguiva.
--Lillia è su; aspetta anche lei il suo babbo,--rispose la
signora.--Ora la faccio portare,
--O Celso,--esclamò Vittorina Ornavati, che fino a quel punto non
aveva perduto nè un gesto nè una parola della scena.--Lascia il tuo
stupido libro!... Guarda se non riconosci quel signore?
--Quale?--domandò Celso alzandosi.--Ah, il biondo?... Non l'ho mai
veduto....
Vittorina fece un gesto di impazienza.
--Ma sì, ma sì,--disse poi.--Lo hai veduto e gli hai anche parlato.
Non rammenti, due anni or sono, nel negozio di maglieria? quel conte
che ti ha venduto le calze o le maglie? Il conte Filippeschi, mi
sembra.... Tu dicevi che faceva il commesso dovendo lottare con la
famiglia e darsi poi all'arte: io dicevo che c'era sotto una donna?...
Poi non lo abbiamo visto più: aveva lasciato l'impiego, ci disse il
direttore, perchè era entrato in possesso della sua sostanza.... Ed
ora, eccolo qui.... Ed ecco la donna che io aveva presentito....
--Vedo, vedo, vedo,--confermò Celso.--È una bella donna; è una
bellissima signora.
In quel momento ripassò innanzi a Vittorina Ornavati il ragazzo dalla
giubba rossa.
--Giacomo,--chiamò Vittorina.--Chi è quel signore biondo laggiù?
Il ragazzo diede un'occhiata alla coppia che si avviava verso la
scala, accompagnata dall'uomo che aveva fatto gli sberleffi innanzi
allo specchio.
--Il conte Filippeschi,--rispose poi.
--E la signora?
--La contessa Filippeschi sua moglie.
--Ah, sua moglie!--ripetè Vittorina.--E l'altro?
--Il marchese Ariberto Puppi....
--È loro parente?
--No, signora. È un amico.
--E hanno anche un bambino?
--Una bambina: Lillia! Ha poco più d'un anno: ecco, la governante la
conduce giù....
--O Celso,--disse Vittorina a suo marito, mentre con un cenno del capo
metteva in libertà il ragazzo,--è sua moglie, quella bellissima
giovane!
--Me ne rallegro,--rispose Celso, andando a guardar dalla soglia nella
strada.
La pioggia era cessata; tra le nuvole bianche e dense si aprivano
larghi squarci turchini: il profilo dei monti spiccava netto, duro, su
quel fondo di smalto lucido.
--Io direi che è tempo di tornare a casa,--osservò Celso a Vittorina
che lo aveva seguito.--Approfittiamo di questo istante, perchè tra
un'ora la pioggia potrebbe ricominciare....
Vittorina gli si mise al fianco senza rispondere. Il suo pensiero era
occupato dall'incontro con Folco Filippeschi e sua moglie.
--Non avevo ragione io?--riprese d'un tratto incamminandosi da Stresa
verso la villa di Belgirate.--Ecco la donna per la quale lavorava;
mentre non si capisce affatto che egli pensi alla letteratura e
all'arte, come supponevi tu....
--Hai sempre ragione!--acconsentì Celso distrattamente.--Del resto,
chi sa?...
Quell'altro,--seguilo Vittorina,--è il marchese Puppi, un amico.
Credevo fosse loro parente....
Celso non potè nascondere un sorriso.
--L'amico non manca mai vicino alla coppia di giovani sposi,--osservò
poscia.--Gli amici hanno la missione di tentare la virtù delle
mogli.... Questa è un'idea che si potrebbe sviluppare.... Anche noi,
quando eravamo sposati da poco, avevamo molti amici per casa....
Vittorina arrossì lievemente.
--Poi se ne andarono,--seguitò Celso,--e non restarono che i sinceri.
I mariti lo sanno: vigilano e si difendono....
--Lo sanno anche le mogli,--ribattè Vittorina.
--Gli amici insomma hanno da compiere un ufficio ben preciso e
utilissimo,--continuò Celso.--Quando una donna ha superato la crisi
della, diremo così, amicizia intima di casa, il marito può dormire tra
due guanciali....
--Uhm!--fece Vittorina sbadatamente.
Ma subito soggiunse:
--Adesso, però, io vorrei conoscere per bene il conte e la contessa
Filippeschi: mi paiono molto ammodo. Andremo tutti i giorni a prendere
il tè al grande albergo, e così ci sarà facile avvicinarli.
Tacque, chinando il capo a guardare una pozza d'acqua che suo marito
studiava di evitare camminando in punta di piedi.
--Celso,--riprese quindi,--non gli dirai che lo hai conosciuto quando
vendeva le calze?
--Ti pare?---esclamò Celso sbalordito.
--Tu sei così distratto!
E si acquetò. Il disegno di far la conoscenza personale del conte
Filippeschi e di sua moglie la rallegrava; voleva sapere, prima di
tutto, dove e da chi la contessa ordinava i suoi abbigliamenti,
ch'erano di gusto squisito, non solo, ma con un certo carattere, il
quale faceva supporre che la contessa non si acconciasse interamente e
ciecamente a tutte le minuzie della moda, e sapesse scegliere.
Il disegno di Vittorina Ornavati non era difficile ad attuare.
Pochi giorni di poi, mentre Celso e Vittorina prendono il tè, la
piccola Lillia Filippeschi inciampa nel tappeto e cade. La signora
Ornavati, la quale sta in agguato, si lancia, rialza la bambina e la
riconsegna alla governante. Poi alla contessa accorsa spiega come
Lillia non si sia fatta male e come la governante non abbia colpa nel
piccolo incidente.
Gioconda scambia alcune parole freddamente cortesi, e tenendosi Lillia
stretta Era le braccia, si allontana, dopo un cenno di saluto alla
signora premurosa.
Questa ritorna l'indomani per il tè, e chiede a Gioconda il permesso
di offrire a Lillia una graziosa bambola, che ha nel didietro un
deposito di cioccolatini. A fianco della contessa, è il conte Folco,
meno sostenuto di sua moglie, il quale ringrazia; e Celso Ornavati
coglie l'occasione per esprimere alcune idee generali sui bambini,
mentre Vittorina contempla la novità del cappello che orna la chioma
tra bruna e dorata di Gioconda.
La contessa sorride; l'altra incoraggiata, incalza: la stola
d'ermellino gettata negligentemente sull'omero sinistro di Gioconda e
ricadente sul fianco destro; l'abito d'un color grigio argentato; gli
stivaletti alti, sottili, con un infinito numero di bottoncini, son
tutti argomenti di cui si vale la signora Ornavati per piacere alla
contessa Filippeschi; e non è a dirsi la soddisfazione della prima
allorchè scopre ch'ella si serve dello stesso calzolaio, il quale
eseguisce le ordinazioni della seconda.
Gioconda, ciò non ostante, non è affatto espansiva. Teme di esser
copiata; nulla più la indispettisce che veder riprodotti, imitati e
indossati da altri gli abbigliamenti che ella combina per sè con la
sua sarta. È gentile e pronta, ma fredda; non dice parola, che non sia
voluta dalla cortesia, ma non dice altro.
La conversazione tra il conte Folco e Celso Ornavati va meglio.
Parlano di letteratura, di libri, di autori antichi e moderni. Celso
innanzi al giovane è sinceramente ammirato: la sua coltura letteraria
solida, piena, lo avvince.
--Non se ne meravigli!---dice Folco a un'esclamazione di Celso.--Mi
sono dilettato a frugar nelle biblioteche, principiando da quella di
casa mia, che è abbastanza ricca; poi ho avuto per un tempo l'idea di
scrivere qualche saggio critico e biografico; uno studio, per esempio,
sulla vita e le opere, specialmente sulla vita romanzesca, di François
Villon.... Per ciò mi recai a Parigi con Gioconda, mia moglie.... Ma
eravamo, si figuri, in viaggio di nozze!... Sono stato a Parigi
quattro mesi e ancora oggi non so dove sia la Biblioteca Nazionale.
Celso ammutolisce al nome di François Villon; non ne sa nulla; non ne
ha mai udito parlare; ignora assolutamente quando, dove, come, sia
vissuto, che abbia fatto, che abbia scritto; la sua ammirazione per
Folco Filippeschi cresce a dismisura; per ciò non si accorge che il
giovane ride, ma ride amaro, quasi ironico, e che subito si riprende,
dopo un'occhiata alla contessa.
Questa non se n'è avveduta. Ha la destra imprigionata nella destra di
Vittorina, che guarda ad uno ad uno tutti gli anelli, da un grosso
unico rubino a una lunga turchese circondata di brillanti.
E Gioconda si chiede se dovrà condursi in camera la signora, e
spalancarle innanzi tiretti e bauli, armadi e valige, perchè li
ispezioni fino al fondo.


IV.
Il pellicciaio.

Per Parigi non erano partiti lo stesso giorno del matrimonio.
Folco aveva desiderato restare in città, affinchè l'appartamento da
lui scelto e addobbato in un quartiere quieto, lontano da genitori e
parenti della sposa, parlasse poi, al ritorno dal viaggio di nozze, le
parole dolcemente segrete di quei primi giorni d'intimità.
Tutti i congiunti di Gioconda abitavano un quartiere formato da una
lunga distesa di case bigiognole o nere, bucate da finestre fitte,
l'una accosto all'altra, sventrate da una ininterrotta fila di
botteghe, botteguccie, taverne, ciascuna delle quali esalava il tanfo
del suo traffico vecchio, di carname, di cuoio, di polleria, di vino,
di dolciumi agri, di profumi economici.
Folco lo conosceva bene per quella gita quotidiana ch'egli faceva a
visitar la fanciulla e la famiglia, e bene conoscevano Folco gli
abitanti dell'una e dell'altra ala di strada, avendolo visto passar
tutte le sere. N'era così sazio, vi si sentiva così straniero, che per
sè e la moglie aveva preso in affitto un appartamento all'altro capo
della città, in una via che essendo tra due di gran movimento, non
aveva l'incomodo di troppo frastuono.
Le camere da letto guardavan sopra un folto giardino, avvivando per la
quiete, la mitezza del verde autunnale, la maggiore ampiezza di cielo,
l'illusione nell'animo di Folco d'essere lungi dal resto della città,
e quasi, nei primi giorni, dal resto del mondo.
Folco non s'era ingannato. Sarebbe stato impossibile trovare una più
cara amica, una più tenera amante di sua moglie. Ella era riuscita a
togliergli dall'animo o almeno a calmare l'amarezza per l'inesorabile
contegno della famiglia di lui.
La quale, prima ancora ch'egli confessasse, aveva saputo le sue
intenzioni di matrimonio, perchè il signor Piero Dobelli aveva chiesto
precisi ragguagli sullo stato finanziario di Folco, e Folco s'era
dovuto provvedere dei documenti che gli occorrevano. Aveva saputo così
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