Il fallo d'una donna onesta - 06

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ogni tanto il silenzio era rotto dallo strepito di un veicolo che
traversava piazza San Fedele o dai rintocchi di un orologio. La Teresa
contò successivamente l'una, le due, le tre. Oh la tristezza d'una
notte insonne d'albergo ove l'orecchio non coglie un romore domestico
nè l'occhio si riposa sopra un oggetto familiare; oh il senso di
solitudine, d'abbandono, d'angoscia all'idea che tutto quanto ne
circonda ci è estraneo e che noi siamo estranei a tutto; alla camera
che ci accoglie, al letto su cui giacciamo, alla gente che divisa da
una sottile parete, russa accanto a noi, e che è venuta oggi non si sa
di dove e andrà domani non si sa dove! Oh il desiderio affannoso del
sole, del sole mite e benefico, che dissipa l'ombre, che calma i
terrori, che mette un po' di pace nei nervi agitati!
Ma quando, a giorno fatto, la povera donna si alzò, non brillava il
sole. Dal cielo grigio di novembre scendeva un'acquerugiola fina, di
quelle che minacciano di durar per un pezzo. Dalla finestra che dava
sulla piazza di San Fedele la Teresa vedeva i _fiacres_ gocciolanti
immobili sotto la pioggia, coi cocchieri avviluppati nell'_impermeabile_
e i cavalli coperti il dorso da una tela cerata. In mezzo alla piazza la
statua in bronzo di Alessandro Manzoni acquistava in quell'umidità una
lucentezza insolita; i pedoni passavano silenziosi sotto gli ombrelli,
evitando le larghe pozze sparse qua e là.
La Valdengo ordinò la colazione in stanza per le undici e mezzo e un
_fiacre_ per l'una in punto.
--Devo aspettare a far la camera allora?--chiese la donna
dell'albergo.
--No, no--rispose la Teresa.--Fate come s'io non ci fossi... O
piuttosto sbrigate ciò ch'è più necessario, e finirete quando non ci
sarò.
Alla richiesta se si tratteneva la notte ella ebbe un momento di
esitazione; poi rispose di sì. L'era duro il passare un'altra notte
all'albergo, ma non sarebbe potuta partire che alle undici di sera, e
a quell'ora, così sola, non le piaceva.
La fantesca andava, veniva, portava gli asciugamani puliti, rifaceva
il letto, spolverava i mobili, guardando di sottecchi quella signora
dall'aspetto sofferente che sedeva nell'angolo del canapè, tutta
imbacuccata nello scialle per ripararsi dall'aria umida che entrava
per la finestra aperta. Aveva voluto lei che si spalancassero i vetri,
per ventilare la camera, e anzichè scendere nella sala di lettura era
rimasta lì a prendersi il freddo. E sì ch'era una dama. Lo si capiva
dalla fisonomia, dal vestito, dai modi, dal portamento; era una dama e
non doveva essere avvezza ai disagi. Ed era maritata; aveva l'anello
al dito. O perchè non aveva portato seco la cameriera? Perchè schivava
la gente? Aspettava qualcheduno? O doveva lei andare a cercar
qualcheduno con quel _fiacre_ che aveva ordinato pel tocco? Non c'era
verso d'attaccar discorso. La Teresa pareva una statua. Non che fosse
superba o sprezzante; che anzi se diceva qualche parola, la diceva con
una voce dolce, con un tono affabile, come di persona che si
raccomanda: ma era chiaro che aveva di gran pensieri pel capo e che
desiderava esser lasciata tranquilla.
Alla fine la donna richiuse la finestra e piantandosi dinanzi alla
Teresa:--Ha bisogno d'altro?--le domandò.
--No, grazie--rispose l'interrogata.
Appena fu sola, la prese una delle sue nausee violente, ed ella dovè
portarsi il fazzoletto alla bocca... Ahimè, quei sintomi che si
ripetevano ostinatamente, uniti ad altri indizi non dubbi, quasi
rendevano superfluo il consulto. Che male poteva essere il suo, se non
era il male che tante spose invocano come pegno di gioie soavi e
ineffabili?
Comunque sia, se il suo non era che un sospetto, ella voleva mutarlo
in certezza; s'era già una certezza, ella voleva avere una certezza
più grande. L'orologio segnava le dieci e un quarto. Ancora tre ore,
ancora tre ore e mezzo prima di poter recarsi dal dottor Boni. E
s'egli non fosse in città? Se impegni precedenti gli avessero impedito
di riceverla? Che avrebbe ella fatto? A chi si sarebbe rivolta, ella
che non conosceva nessuno?
Pur l'animo della Teresa Valdengo era così pieno d'angoscia che non le
restava posto da accoglier questa nuova ragione d'ansietà, ed ella
cacciò da sè il dubbio che il dottor Boni non si trovasse in paese o
fosse impedito. E intanto, ritta dietro i vetri, ella assisteva
distratta allo sfilar delle carrozze che a tre, a quattro, a cinque,
sboccando da Santa Radegonda, da piazza della Scala, da via
dell'Agnello, portavano al municipio i corteggi nuziali, e si
fermavano sotto la pioggia, davanti al palazzo Marino, di fronte
all'albergo. Scendeva dal primo legno la sposa, per lo più con un
mazzo di fiori in mano; scendeva protetta dall'ombrello del compare,
vigilata teneramente dai parenti; poi con passo ora tardo e
vacillante, ora svelto e sicuro, saliva la piccola scalinata, ed
entrava nel portone del palazzo di cui gli uscieri municipali tenevano
aperti i battenti. Seguiva la seconda vettura con lo sposo e altri
congiunti più stretti, fratelli, sorelle, testimoni; quindi, nei legni
successivi, venivano gli amici e i semplici conoscenti. Le carrozze,
deposto il loro carico, lasciavano il posto ad un altro corteggio e
andavano a schierarsi in un angolo della piazza, o intorno alla statua
del Manzoni, il vecchio arguto e immortale, che dal suo piedistallo di
marmo pareva sorridere all'amore e alle nozze. Di tratto in tratto,
dal portone del Palazzo civico, un usciere faceva un segno. E un
gruppo di vetture si muoveva, tornava a fermarsi davanti alla
scalinata, ove, dopo il _sì_ irrevocabile, s'affacciavano sposi quelli
ch'erano saliti fidanzati. Gli sportelli si aprivano e si
richiudevano, i cocchieri toccavano le redini o agitavano la frusta, e
via tra il fango e la pioggia... Che destino attendeva le nuove
famiglie?... Che gioie, che dolori, che disinganni?


XVI.

--Piazza Beccaria, numero cinque--disse la Teresa al fiaccheraio,
mettendo il piede sul predellino. Ell'era bianca in viso come una
morta, ma risoluta.
Il cameriere dell'albergo, salutando, chiuse lo sportello; la vettura
partì.
Lungo la strada, la Teresa Valdengo pensò a ciò che avrebbe detto al
dottore, a ciò che il dottore le avrebbe chiesto. Il suo nome, nè il
vero nè il finto, ella non aveva bisogno di dirglielo; ma la natura
de' suoi disturbi, ma i suoi dubbi, quelli certo non poteva
nasconderglieli... se andava da lui appunto per questo. E c'erano
tanti particolari ch'egli avrebbe voluto sapere, ch'egli avrebbe avuto
il diritto di sapere. Ella non era obbligata a confessar ch'era
vedova, ma d'altra parte una donna che vive in condizioni normali non
s'avvolge nel mistero per chiarire un fatto così semplice, e se pur
crede di dover sentire l'opinione d'un medico, non va in persona a
casa di lui... lo chiama a casa sua, e se non è del paese, lo fa
venire all'albergo. Onde, senza ch'ella glielo dicesse, egli avrebbe
indovinato ch'ella aveva le sue ragioni per agire così... Pazienza!...
A ogni modo, egli l'avrebbe creduta una forestiera, una francese,
perch'ell'era deliberata di parlargli francese, e confidava che la sua
pronuncia perfetta l'avrebbe tratto in inganno. Ma com'era doloroso
per lei, per lei franca, schietta, leale, questa necessità di
ricorrere a continui sotterfugi!
Il _fiacre_ si fermò, il cocchiere saltò da cassetta.
--Piazza Beccaria?--chiese macchinalmente la Teresa.
--Sissignora, numero cinque--replicò il fiaccheraio. E l'aiutò a
scendere.--Aspetto qui?
Ella fece un segno affermativo col capo ed entrò in un portone che
aveva due grandi cariatidi ai lati.
Passando per la portineria ella domandò:
--Il dottor Boni?
--Seconda scala, a destra, primo piano--rispose dal fondo dei suo
bugigattolo una voce irrugginita.
La scala, in quella giornata buia, era illuminata da una lampada
elettrica. Un tappeto, alquanto logoro, ne copriva gli scalini. Dopo
la prima branca, sul pianerottolo, c'era un sedile di velluto cremisi.
Al sommo della seconda scala una porta s'aperse, forse per un segnale
dato dal basso, e un servitore in livrea accolse rispettosamente la
visitatrice e la introdusse in un'anticamera ove alcune donne
aspettavano sedute. Nessuna si alzò, ma tutte fissarono con curiosità
la nuova arrivata, dal vestito così elegante, dal portamento così
signorile. Anch'ella sedette nell'angolo d'un divano e guardò le sue
compagne di dolore. Erano quattro in tutte; due parevano popolane,
giovani ancora, ma d'una giovinezza sfiorita dalle fatiche e dalle
privazioni; d'una terza, incappucciata dalla testa ai piedi, non si
avrebbe potuto indovinare nè l'età, nè la condizione; la quarta,
all'aspetto, doveva appartenere alla piccola borghesia; mostrava una
trentina d'anni, aveva la fisonomia dolce e malinconica di persona
avvezza e rassegnata a soffrire; vestiva dimessa, ma non senza un
certo decoro.
Si udì, dal di fuori, un rintocco di campanello, e gli occhi di quelle
donne aspettanti si volsero tutti verso un uscio laterale, dissimulato
da una pesante portiera di stoffa.
Di lì a pochi secondi il cameriere in livrea sollevò la portiera, e
tenendosi immobile sulla soglia accennò alla Valdengo. Ella, ch'era
l'ultima arrivata, girò gli occhi intorno dubbiosa; le altre
mormorarono ostili. Ma il cameriere rinnovò il segno, ed ella si fece
innanzi.
--Avanti, avanti--disse l'uomo, senza curarsi delle proteste.
--Perch'è una signora--borbottò stizzosamente la femmina
incappucciata.
--S'intende... ungerà la ruota--soggiunsero le due popolane.
Solo la modesta borghese non aperse bocca, ma una lacrima silenziosa
le inumidì la pupilla.
La portiera si riabbassò; la Teresa, sempre preceduta dal servo,
percorse un andito breve, una delle cui pareti era fatta di cristalli
appannati; un altro uscio si aperse ed ella si trovò al cospetto del
dottor Boni in persona che la invitò cortesemente a sedere.
Ella lo aveva creduto vecchio e non era; poteva avere tutt'al più
cinquant'anni. Aveva statura giusta, fronte spaziosa, barba e capelli
appena brizzolati, occhi da miope, grigi, intelligentissimi... Ah
quegli occhi quante cose dovevano aver visto, quanti segreti dovevano
aver penetrato!
Ritto dinanzi alla sua cliente, egli la interrogava con lo sguardo.
Ella, turbatissima in quell'ora decisiva della sua vita, aveva come
paralizzata la lingua.
--Si ricomponga, signora--egli disse, sedendole accanto.--Desidera
prender qualche cosa? Dell'acqua? Del marsala?
Ella fece segno che non aveva bisogno di nulla. E gli chiese:
--_Vous parlez français_?
Il dottore rispose di sì, pur dubitando, nonostante il correttissimo
accento, ch'ella si servisse d'una lingua non sua.
La Teresa intanto, sempre in francese, cominciò a descrivere i
disturbi di cui soffriva da alcuni giorni.
Il dottor Boni l'ascoltava con attenzione benevola. Non lo imbarazzava
la diagnosi del male di cui gli si esponevano i sintomi. Più difficile
gli riusciva invece di farsi un'idea esatta della signora che
ricorreva al suo consiglio. Non un'avventuriera, egli sarebbe stato
pronto a giurarlo; anzi, secondo tutte le apparenze, una signora molto
per bene che aveva qualche forte ragione per nascondere il vero esser
suo; perch'ella non era francese, il dottor Boni avrebbe giurato anche
questo; era italiana come lui, sebbene non certo milanese, non
lombarda... Del resto, con un po' di furberia, gli sarebbe riuscito di
scavar terreno. Ma egli era troppo pratico dell'arte sua da non sapere
che la discrezione è uno dei requisiti più necessari del medico.
E le prime parole ch'egli le indirizzò quand'ella ebbe finito parvero
più ch'altro intese a schermirsi dall'obbligo di pronunziare un
responso assoluto.
--Niente di grave, niente che debba impensierirla... Fenomeni
transitorî... naturali... Ma, scusi, lei resta assente per un pezzo da
casa sua?
--Nossignore.
--Ebbene... quest'assenza io le consiglierei d'abbreviarla ancora...
La quiete sarebbe il migliore dei rimedi... La quiete ed il tempo...
Il suo medico, che certo la conosce a fondo...
--Mi perdoni--interruppe la Teresa Valdengo, e ormai la sua voce era
ferma--io sono venuta da lei per sapere positivamente la causa del
malessere che mi turba... Vorrei ch'ella me lo dicesse senza frasi
ambigue.
Il dottor Boni chinò il capo rassegnato.
--Allora, mi permetta qualche interrogazione.
--Sono a' suoi ordini.
Chiariti alcuni punti d'indole tecnica, il medico domandò:
--La signora ha già avuto bambini?
Ella ormai sentiva quale sarebbe stato il verdetto, sentiva che tutto
quanto era perduto; nondimeno, irrigiditasi in uno sforzo supremo,
rispose:
--No... ebbi uno sconcerto pochi mesi, dopo sposata... sedici o
diciassett'anni fa...
--Sposata da più di diciassett'anni!--esclamò Boni con sincera
meraviglia. Ma capì che il momento non era propizio alla galanteria, e
soggiunse:--E... da quel tempo in poi... nulla?
--Nulla.
--Dunque c'era un marito--pensò fra sè il dottore.--Sta a vedere se
c'è più.
Indi continuò a voce alta:--In ogni modo son casi che succedono...
anche con intervalli più lunghi.
--Sicch'ella è d'opinione?...--riprese la Teresa dopo un breve
silenzio.
--Per me non c'è il minimo dubbio--replicò il dottore--a meno ch'ella
non mi assicurasse che _non può essere_.
Ella ebbe un gesto che significava: _Può essere_.
--Non ha consultato nessuno prima di me?--chiese il dottor Boni
proseguendo il suo interrogatorio.
--Nessuno.
--Certo i sintomi l'hanno sorpresa durante il viaggio?
--Appunto.
--Ebbene, quand'ella sarà rimpatriata, il suo medico le ripeterà
quello che le ho detto io... Son mali che guariscono da sè... Non c'è
che da aspettare... E, almeno in principio, convien evitare ogni
movimento eccessivo, evitar le emozioni... Ella mi assicurò che la sua
assenza non durerà molto...
--No.
--Nè il ritorno sarà troppo lungo, troppo faticoso?
--No.
Egli non insistette. Disse solamente:
--Se vuole, le ordino un calmante.
--E per quelle insonnie, quelle insonnie terribili?
--Ci va soggetta, mi pare?--chiese il dottore tenendo la penna sospesa
fra le dita.
--Da un pezzo... Prendevo il cloralio.
--Posso ordinarle anche quello... in piccola dose... Io non ho
simpatia per questi veleni.
Completò la ricetta e gliela porse.
--Grazie--ella disse ripiegando la carta e riponendola in un elegante
portamonete. Nello stesso tempo tolse di tasca una busta già preparata
e la consegnò al dottor Boni.
Fece per rialzarsi, ma le forze la tradirono, e ricadde sulla sedia.
Era livida.
Il medico le fece aspirare una boccetta di sali, la indusse a bevere
alcune goccie d'un tonico.
--Non è niente--disse la Teresa passandosi la mano sulla fronte e
levandosi in piedi. Le gambe le tremavano; pur si reggeva da sè. E
soggiunse:--Sono disturbi inerenti al mio stato, non è vero?
Egli accennò di sì.
A lei errava un sorriso enigmatico sulle labbra esangui.
L'altro capiva che non erano soltanto disturbi fisici; che, a ogni
modo, i disturbi fisici erano inaspriti da una grande angoscia morale.
Capiva che la dichiarazione strappatagli da quella povera donna aveva
esercitato sopra di lei un'influenza sinistra, sentiva inevitabile un
dramma di cui forse egli non avrebbe conosciuto mai i particolari, ma
di cui credeva di poter indovinare a un dipresso i personaggi e la
tela: due coniugi separati di fatto; un marito pronto a valersi di
ogni arma contro la compagna infedele; una moglie impreparata all'onta
che le pendeva sul capo; un amante atterrito dalla nuova
responsabilità che lo minacciava e impaziente di scuotere un giogo che
diveniva troppo pesante; dei figli forse, dei figli legittimi che non
avrebbero mai perdonato il fallo materno... Povera, povera donna!...
Del resto, che colpa ne aveva lui, il medico? Un suo responso diverso
avrebbe mutato la condizione delle cose? Avrebbe impedito alla verità
di venire in luce? E, infine, non aveva quella signora voluto saper
tutto a ogni costo?
--Ha la carrozza?--egli chiese con sollecitudine.
--Sì, grazie.
--Perchè... posso farla accompagnare--soggiunse il dottore mentre
suonava il campanello.
--Oh no, no--disse pronta la Teresa, agganciandosi un guanto. Abbassò
la veletta e s'accommiatò con un inchino.
Tenendo sollevata la portiera, il dottor Boni fece un cenno al
domestico. Questi mostrò d'avere inteso e precedette la signora lungo
il corridoio e fin giù per le scale.
--Se non c'ero io--susurrò lo strisciante lacchè--la signora contessa
aspetterebbe ancora nell'anticamera.--Il titolo era buttato lì a caso,
in omaggio alla massima: _Melius abundare quam deficere_.
La Valdengo, turbata com'era, sulle prime non capiva.
L'altro si decise a mettere i punti sugl'_i_.
--Il dottore vuole che si rispetti il turno... La signora contessa era
l'ultima arrivata.
--È vero--balbettò la Teresa, e ormai parlava in italiano.--Non era
giusto ch'io passassi avanti.
E pensò a quelle donne che avevano diritto di esser ricevute prima di
lei e il cui tempo era più prezioso del suo; perchè la loro mancanza
dalla casa voleva dire il disordine nella famiglia, la loro mancanza
dall'officina voleva dire una giornata di salario perduta. Sempre,
sempre le disuguaglianze sociali; persino nella malattia, nella morte,
nella vergogna!
--Ma bisogna saper distinguere le persone--riprese il servo con
un'aria da cui traspariva la serena coscienza dei propri meriti.
E poich'erano sotto il portone che dava sulla strada, soggiunse:--La
signora contessa ha ordinato al suo cocchiere d'attenderla qui? Non
vedo nessun legno.
--Ma sì... Dev'essere quel _fiacre_, dall'altra parte.
--Ah... è un _fiacre_?--disse l'uomo alquanto sconcertato dalla
rivelazione. Egli s'aspettava di veder almeno una carrozza di rimessa.
Intanto il vetturino, ravvisata la Teresa, aveva scosso le briglie sul
collo al cavallo.
Fermo che fu davanti al portone, scese di cassetta con l'ombrello
aperto.
Il servo del dottore rinnovò i suoi salamelecchi, che divennero più
umili e più ossequiosi quando la Valdengo, senza nemmeno guardarlo in
faccia, gli ebbe messo in mano un biglietto da cinque lire.
--All'albergo?--domandò il fiaccheraio.
--No, prima al telegrafo.
Parlava come trasognata, con una voce che non le pareva la sua; agiva
come un automa serbando la chiara coscienza di due cose sole, avendo
chiare nella mente due sole idee: ch'ella era perduta e che doveva
morire col suo segreto.
L'ufficio telegrafico era pieno di gente, ed ella fu costretta ad
aspettar qualche minuto per scrivere e consegnare un dispaccio diretto
alla sua cameriera, con l'annuncio che domani sarebbe arrivata a
Venezia verso le sette pomeridiane e con l'ordine a lei e alla cuoca
di precederla in città e di farle trovare il desinare pronto e la
stufa accesa.
Risalì in vettura e ne discese ancora una volta, davanti a una
farmacia. Voleva consegnar ella stessa la ricetta del dottor Boni.
--Se ci dà il suo indirizzo?--le dissero.
--Ci sarebbe da attendere un pezzo?
--Oh no... ci si spiccia in un momento.
--Attendo.
Il garzone di farmacia le additò una sedia. Un medico giovine la fissò
con l'occhialino.
Entrarono tre o quattro persone: una donna con un bambino che soffriva
d'occhi, un servo gallonato con una chiamata d'urgenza per un dottore,
un artigiano che voleva un pezzo di cerotto per un taglio... Tutti
guardavano curiosamente quella signora velata.
--Ecco--disse il farmacista porgendole due boccette, involte in due
pezzi di carta. E soggiunse:--La ricetta desidera tenerla lei?
--Sì--ella rispose; intascò ogni cosa, pagò, uscì. L'esodo era finito.
Di lì a poco ella si trovava sola nella sua triste camera d'albergo. E
pioveva, pioveva sempre.


XVII.

Non c'era rimedio; ella doveva morire. Ma come? ma quando? Non in
quella triste camera d'albergo, non fuori della sua città, non fuori
della sua casa, non senza aver disposto prima di ciò che possedeva.
Eredi necessari ella non ne aveva; fra i suoi parenti ce ne erano di
ricchi e di meno agiati; non era giusto che la sua successione andasse
distribuita fra tutti in egual misura. E oltre ai parenti non aveva
ella qualche persona amica da ricordare, qualche persona amica da
beneficare? La bontà, ch'era il fondo del suo carattere, le faceva,
nello stato angoscioso del suo animo, trovare un conforto al pensiero
di coloro che per effetto della sua morte avrebbero migliorato
alquanto le proprie condizioni. Questi almeno avrebbero detto:--Povera
Teresa!
E per _lui_, per l'uomo al quale, in una incomprensibile sorpresa dei
sensi, ell'aveva sacrificato il suo pudore e il suo orgoglio, per lui
non avrebbe lasciato una memoria, un saluto, un rimprovero? La notizia
che la Teresa Valdengo era morta doveva giungergli laggiù nei mari
lontani senza una parola di lei, senz'altre spiegazioni, senz'altri
commenti, tranne quelli delle gazzette? Ma, scrivendogli, che avrebbe
potuto dirgli?... Gli avrebbe detto _tutto_?... Anche il segreto
ch'ella voleva portar nella tomba?... A che prò? Per avvelenargli
l'anima con un rimorso più grande? Non era già espiazione maggiore
della colpa ch'egli la credesse morta per cagion sua?... Perchè la
colpa di Guido di Reana era lieve, era pari a quella di cento, di
mille giovani della sua età che cercano il piacere dove lo trovano.
Ella sola non aveva scusa, ella che aveva l'obbligo di sapere e di
prevenire.
E Mario Vergalli, l'amico leale, il vero, l'unico amico, non lo
avrebb'ella aspettato prima di porre ad effetto il suo divisamento?
Poichè gli preparava un così acerbo dolore non gli avrebbe dato il
conforto di dirgli ch'era pentita di non aver, già da tempo, accolta
la sua onesta profferta?... Sì, ma che necessità c'era di dirglielo a
voce? Non era meglio scriverglielo insieme alla piena confessione de'
suoi traviamenti? Perchè mostrarsi a lui così diversa da quella
ch'egli aveva lasciata, così scaduta, almeno le pareva, anche
fisicamente, e forse coi segni sul viso di ciò che a lui pure ella
voleva nascondere?
Ella rammentò l'ultima lettera di Mario. Egli fissava circa pel 20 del
mese la data del suo ritorno. E non era adesso che il 7. Ella non
aveva bisogno di decidersi così presto... Già ella non voleva uscir
dalla vita come un codardo che fugge, ma come un forte che sente vana
la lotta e piega il capo al destino.
Sempre assorta in un pensiero che le si affacciava sotto cento forme
diverse, ella badava appena a quello che succedeva intorno a lei. In
quella cupa giornata di novembre la notte era discesa precipitosa;
poco dopo le cinque la cameriera dell'albergo era entrata ad accendere
il lume, a chiuder le imposte, a domandare alla misteriosa forestiera
che cosa desiderasse da pranzo e a che ora volesse esser servita. E,
senza dubbio, la Teresa aveva detto:--Alle sette--; senza dubbio
ell'aveva ordinato una tazza di brodo ristretto, un'ala di pollo, un
frutto, un dito di vino; perchè alle sette in punto la cameriera era
ricomparsa portando seco sopra un vassoio l'ala di pollo, la frutta,
la tazza di brodo, il quinto di vino.
--Non mangia nulla la signora! Sta poco bene?--Queste parole erano
state sicuramente dirette alla Valdengo, che non si ricordava se
avesse risposto e che avesse risposto...
Alle sette e mezzo della tavola improvvisata non restava traccia
alcuna; però qualche cosa la Teresa doveva aver preso; glielo dicevano
le nausee rivelatrici, sempre più violente dopo ogni boccone mangiato.
Con la testa arrovesciata sul canapè, con gli occhi semichiusi, perchè
così aveva l'illusione di soffrir meno, ella cercava d'ingannare il
tempo, il tempo che non passava mai, cercava di far arrivare un'ora
ragionevole per coricarsi.
In certi momenti le sembrava che tutto dovess'essere un sogno; un
sogno il suo viaggio a Milano, un sogno la sua visita al medico, un
sogno la sua presenza in quella camera d'albergo. La donna abbandonata
lì sul canapè in preda a strazi fisici e morali era un'altra, una
dalle tante martoriate del mondo; era un'altra la donna risoluta a
morire. Ell'aveva bensì commesso un fallo, ma il suo fallo non aveva
conseguenze; con gli anni ell'avrebbe potuto dimenticarlo.
Fugaci allucinazioni dei sensi! Era lei che soffriva, era lei che
espiava!
Andò a letto alle nove. La boccetta del cloralio era sul comodino. Ma
nell'atto di vuotarla nel bicchiere parve alla Teresa che alcuno le
fermasse la mano. Un lampo sinistro aveva attraversato la sua anima.
Se il poco liquido chiuso nella piccola ampolla le assicurava il
riposo d'una notte, non avrebbero potuto più dosi accumulate darle un
ben altro riposo? O come mai l'era sfuggito dalla mente un fatto
accaduto anni addietro a Venezia, d'una signora che aveva voluto
morire così? S'era addormentata per non svegliarsi. Oh il dolce
suicidio, senza spasimi, senza contrazioni, senza dolori!
Fino allora la Teresa aveva detto soltanto:
--Bisogna morire.
Ma restavano i due grandi problemi:--Come? Quando?--Ed ecco che a una
delle due interrogazioni ella trovava risposta. Al pari della signora
di cui non le risovveniva più il nome, avrebbe accumulate le dosi del
cloralio sin da averne raccolto la quantità che sarebbe bastata ad
ucciderla.
Passò una notte insonne, non però troppo agitata. Forse le aveva
giovato il calmante ordinatole dal dottor Boni e preso sul far della
sera; forse della morte, non lontana ma non imminente, ella pregustava
la pace senza provarne ancora i terrori. E anche i suoi vicini di
camera erano meno inquieti quella notte: quando il tintinnio dei primi
campanelli eccheggiò negli anditi era già l'alba.
--Fa bel tempo oggi--disse la cameriera dell'albergo entrando nella
stanza.
E aprì la finestra. Dirimpetto, la facciata del Palazzo Marino era
illuminata dal sole.
La Teresa si alzò, avvertì che sarebbe partita col diretto dell'una,
mandò alla farmacia con la ricetta del cloralio perchè le rinnovassero
la pozione, e poich'ebbe avuta la boccettina la ripose gelosamente
nella sacca da viaggio insieme all'altra ch'era rimasta intatta.
Quella sera stessa, a Venezia, ne avrebbe versato il contenuto in una
bottiglia più grande, e così avrebbe fatto nelle sere successive per
una, per due settimane... Pur l'angustiava un dubbio... Quante dosi le
sarebbero occorse per ottenere l'effetto? Non troppe a ogni modo, se i
medici somministravano il rimedio con una tal quale ripugnanza e solo
in dosi minuscole.--Io non ho simpatia per questi veleni--s'era
lasciato scappar di bocca il dottor Boni, non supponendo di che
pensieri quella frase gittata lì a caso avrebbe deposto il germe nella
sua ascoltatrice.
E anche oggi, come ieri, dopo le dieci del mattino la piazza di San
Fedele cominciò ad animarsi per l'arrivo dei corteggi nuziali che si
recavano al Municipio. Ma ieri quegli sposi, quei parenti, quei
testimoni che scendevano dalle vetture rattrappiti sotto gli ombrelli
e coi piedi nel fango avevano un aspetto grottesco; oggi le nuove
maritate, riaffacciandosi dopo il sì irrevocabile al portone del
palazzo, entravano baldanzose nel sole.--Per qualcheduno la vita è
bella--sospirava la Teresa. Ella doveva morire... Non per il suo fallo
(quanti suicidi ci sarebbero al mondo!), non per la vergogna, non per
lo scandalo, ch'ell'avrebbe accettati se non avessero colpito che lei;
doveva morire per risparmiare il dono fatale dell'esistenza a una
creatura innocente a cui gli ipocriti e i vili avrebbero rinfacciato
l'irregolarità della nascita e che forse un giorno ne avrebbe chiesto
conto a sua madre, che forse, anche amandola, non l'avrebbe stimata,
che certo non avrebbe mai potuto perdonare _a un'altra persona_... se
pur ne avesse sempre ignorato il nome... Ed era presumibile che
l'ignorasse?... No, no; c'era un'unica uscita; la morte.
Verso mezzogiorno il direttore dell'albergo picchiò all'uscio.
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