Il fallo d'una donna onesta - 05

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Infatti il dì appresso brillava il sole, tanto più gradito inquantochè
ricorreva la festa d'Ognissanti e molta gente era arrivata dalla
città. Alle undici c'era folla alla stazione per aspettarvi la corsa;
alle undici e un quarto un gran movimento nel piazzale davanti alla
chiesa. Era l'ora della _messa dei signori_, e le famiglie dei
villeggianti andavano a far le loro divozioni _in pompa magna_,
portate dagli equipaggi di lusso, coi cavalli riccamente bardati, il
cocchiere in livrea, e sullo sportello della carrozza una corona
nobiliare o un monogramma dorato che visto da lontano poteva parere
uno stemma.
La Teresa Valdengo non comparve nè alla stazione, nè in chiesa; ma ci
guadagnò poco, perchè i curiosi sentirono il dovere di venir di
persona a porgerle i loro omaggi, e si riversarono nella villa. Erano
sedicenti amici, erano semplici conoscenti, erano estranei che i
conoscenti si tiravano dietro, affidati dalla gentilezza della signora
e dalla libertà campestre. Così, agli altri gusti, si aggiungeva
quello di subir la presentazione d'uomini e donne che non si sarebbero
forse incontrati più e con cui non si sapeva di che cosa discorrere.
Soltanto alle cinque i cancelli della villa si chiusero dietro gli
ultimi visitatori, e la Teresa esausta, sfinita, potè ritirarsi nella
sua camera, ordinando alla servitù di dir quella sera ch'ell'era
indisposta e che non riceveva nessuno... Ah, proprio aveva fatto una
grande sciocchezza a muoversi da Venezia... Era proprio caduta in
bocca al lupo. Figuriamoci se quella gente stupida non era capitata da
lei con un secondo fine, come si va spesso a scrutare il viso e a
contare i sospiri e le lacrime d'uno che abbia avuto una gran
disgrazia. Era, per gli uni, il bisogno di vedere s'ella conservasse,
anche dopo lo scappuccio, la sua aria sicura e disinvolta di donna
onesta non mai insozzata dalla calunnia; era, per gli altri, quelli
che non la conoscevano prima, il desiderio d'esaminare davvicino
questa matura bellezza che aveva innamorato di sè un giovine di
ventidue anni. E fra gli uomini ce n'erano senza dubbio di quelli che
avevano la segreta speranza di raccoglier l'eredità del giovinetto e
di consolar la bellezza matura.
Con la solita lucidità della sua mente, la Teresa Valdengo leggeva in
quelle anime volgari, ne penetrava le curiosità basse e indiscrete, ne
indovinava i calcoli abbietti. E le saliva una nausea a pensarvi.
Senonchè, per un fenomeno singolare, quella che sarebbe dovuta esser
soltanto una nausea morale, una ripugnanza dell'animo, assunse in lei,
la sera medesima, i caratteri d'un malessere fisico. A tavola potè
prendere appena qualche cucchiaiata di minestra; e fu costretta ad
alzarsi per lo schifo ch'ella provava alla vista delle vivande, pei
fortissimi crampi di stomaco ond'era assalita.
--Se vedesse com'è pallida--disse la Luisa, la cameriera.
--Oh, passerà.
--Desidera che si mandi a chiamare il dottore?
Ella protestò.
--Sei pazza? È cosa da nulla... Oggi ho avuto tutta quella gente, mi
son stancata a discorrere, m'è venuto il mal di capo, e il mal di capo
porta con sè i disturbi di stomaco.
Prese alcune goccie di laudano e si coricò presto. Nella notte non
ebbe sofferenze gravi; pur non si sentiva bene; aveva la bocca
cattiva, la salivazione abbondante, a due riprese si destò in sussulto
dall'assopimento prodotto dall'oppio, e si mise a sedere sul letto per
liberarsi dall'acqua che le montava alla gola. Ma che cos'aveva, Dio
buono? che cos'aveva? Sul far del giorno le parve di star meglio e
sperò di cedere a un sonno riparatore. Ma non dormiva da un quarto
d'ora che già nella sua fisonomia stravolta apparivano i segni d'uno
spasimo interno e tutta la sua persona rivelava lo sforzo di chi tenta
scuoter di dosso un incubo affannoso.
--No, non è vero--ella diceva agitando le braccia--non è possibile.
No... no.
Alla fine aperse gli occhi, si rizzò con mezza la persona
puntellandosi sui gomiti, e si guardò attorno, bianca in viso più del
suo lenzuolo, con un sudor freddo che le gocciolava giù per la fronte.
Era nella camera, sola, nessun medico era accanto a lei, nessuna voce
aveva pronunziato la sentenza ch'ell'aveva creduto d'udire...
Ell'aveva sognato... Ma l'impressione del sogno non svaniva per
questo... se di tutti i particolari, di tutte le circostanze esteriori
che i sensi allucinati avevano finto a sè stessi non restava più
nulla, restava il fatto persistente della sua inquietudine fisica di
cui la Teresa non sapeva trovare una spiegazione plausibile... poichè
non voleva accettar quella che il sogno le aveva suggerita.--No,
no--ella ripeteva fra sè in preda a uno spavento senza nome--non è,
non dev'essere.--Il suo labbro non osava dire:--_Non può essere_.--Pur
troppo _poteva essere_... E se fosse?... Le si drizzavano i capelli in
testa a pensarvi... Se fosse?... Sarebbe stata la sua condanna di
morte, perch'ella non avrebbe sopravvissuto all'onta, allo scandalo.
Quando le parve di poter fermarsi senza terrore all'idea della morte
(ella non s'indugiava a considerare nè il come nè il quando) la Teresa
ebbe un po' di requie. Si alzò, rivide i conti della cuoca, uscì in
giardino, diede da mangiare alle sue galline, si chinò a carezzar Moro
venuto a stropicciarsele intorno al vestito, rispose amichevolmente ai
saluti di Piero, di Andrea e del cocchiere, che in ozio tutti e tre,
se la contavano al sole.
I sui dipendenti l'adoravano, ma non convien pretendere una gran
discrezione dalla servitù, e prima ancora che la Teresa fosse a
Mogliano il giardiniere, ch'era in buoni termini con la Luisa, aveva
saputo che la padrona perdeva la testa dietro un ufficialetto di
marina e ne aveva discorso alla villa. Non era dunque un argomento
nuovo quello di cui s'intrattenevano adesso i tre oziosi.
--È stata poco bene iersera.
--Si vede.
--È molto patita.
--Il primo giorno pareva tutt'altra, ma da ieri in poi ha fatto un tal
cambiamento!...
--È la passione... Si capisce, poverina!
--Chi se lo sarebbe immaginato? Lei ch'era la casta Susanna?
--Eh, vien l'ora topica per tutte quante:--notò il cocchiere da uomo
d'esperienza.
--Sì, ma poteva sceglier meglio.
--Oh, per questo, è un gran bel pezzo di ragazzo.
--Uno che non tornerà più e che quando tornasse avrebbe ben altro pel
capo...
--Si sa che non può sposarla... Ma neanche lei vuol saperne del
matrimonio!... Se avesse voluto!
--C'è il conte Vergalli che sospira da tanti anni...
--Quello è un vecchio, e con un vecchio c'è poco gusto.
--Per me--disse il giardiniere che aveva una morale di manica
larga--se fossi stato nei panni della signora, intanto sposavo il
vecchio che ha un bel nome, ch'è ricco, ch'è innamorato cotto, e poi,
se mi saltava l'estro, mi divertivo coi giovani.
Gli altri si misero a ridere.
La Teresa aveva percorso il viale dei tigli ove le foglie secche
scricchiolavano sotto i suoi piedi, e prendendo un sentiero coperto di
ghiaia minuta s'era spinta fino al piccolo lago ingrossato dalla
pioggia recente. Voltò a destra, salì una viottola serpeggiante
intorno a una collinetta, ridiscese dal lato opposto, e giunse ad un
punto ove le due sponde del laghetto si restringevano e l'acqua
frenata da una doppia fila di sassi si frangeva rumorosamente e
rimbalzava dall'altra parte fuggendo via in sottile rigagnolo e
lambendo i rami di un gruppo di salici. Lì presso, in un'insenatura
della riva, a due o tre metri sul livello dell'acqua era un rustico
sedile di legno, e dietro al sedile, sopra un piedestallo, una
statuina di Diana alla quale da tempo immemorabile mancava un braccio.
Quante volte la Teresa aveva cercato questo tranquillo recesso! Quante
volte, a metà del giro del giardino, vi aveva fatto una breve sosta in
compagnia dei suoi ospiti! Anche oggi il romito asilo le piacque. Ella
sedette e pensò. Pensò alla sua vita onesta di cui tanta parte s'era
svolta in quei luoghi. Da bambina veniva ogni autunno con la madre a
passare un mesetto nella villa non sua ma dei genitori di colui che
doveva diventar suo marito e che allora, maggiore di lei di ben
quindic'anni, le badava appena. Ella faceva il chiasso con altri
fanciulli della sua età, ormai dispersi pel mondo, saliva
sull'altalena, s'arrampicava sugli alberi, ruzzolava giù per le
collinette, scendeva nel canotto e tragittava il lago minuscolo. Più
tardi, uscita d'infanzia, appassionata della lettura e dello studio
ella preferiva la solitudine, e a passi taciti e quasi furtivi
s'avviava alla statuina di Diana, portando seco qualche suo libro
favorito. Però, accadeva assai di rado che non la disturbassero. E il
disturbatore perenne era Tullio Valdengo, un uomo maturo al paragone
di lei, che da un po' di tempo non si sapeva che gusto potesse trovare
a discorrere con una ragazzina. Eppure egli ne trovava tanto che un
bel giorno, proprio sotto gli occhi di Diana, egli le domandò a
bruciapelo se voleva esser sua moglie.
--Le nostre due famiglie--egli le disse--sarebbero così contente di
questo matrimonio!--Côlta alla sprovveduta, ella si sbigottì e fuggì
via senza rispondere, correndo in traccia della sua mamma. E la sua
mamma e il suo babbo, che si era recato apposta a Mogliano, e il babbo
e la mamma di Tullio Valdengo l'assediarono con tante sollecitazioni,
le magnificarono con sì vivi colori la felicità che l'aspettava,
ch'ella, sebbene non innamorata di Tullio, si lasciò strappare il sì
desiderato. E del resto, perchè avrebbe detto di no? Se non era
innamorata di Tullio, non era innamorata di nessun altro. Nessuno fra
i giovani ch'ella aveva visto, neanche tra quelli che le avevano dati
segni manifesti di simpatia, era riuscito a guadagnarsi il suo cuore.
Tullio Valdengo almeno ella lo conosceva (le famiglie erano legate da
una lontana parentela e da una strettissima intimità), lo sapeva
buono, intelligente, leale, e s'egli aveva trentaquattr'anni
quand'ella non ne aveva che diciannove, l'era forza convenire che non
era lecito chiamarlo un vecchio. Le ragioni economiche che avevano
avuto tanta parte nell'assenso entusiastico dei suoi genitori, avevano
minor valore per lei. Tuttavia, cresciuta fra gli agi, benchè non
avesse che una piccolissima dote, ella capiva che, senza un grande
amore, non si sarebbe acconciata volentieri a nozze troppo modeste.
Sposò dunque Tullio Valdengo e gli fu moglie savia e fedele, com'egli
le fu affettuoso e fedele marito. Con lui ella ignorò l'ebbrezze della
passione, ignorò le gioie soavissime dell'assoluto consentimento di
due anime; troppo gli era superiore per forza d'ingegno, per vivacità
di fantasia, per raffinatezza di gusti. Pur non era e non si credeva
infelice. Era convinta che ad altre donne la vita desse di più di quel
che non dava a lei, ma le pareva che, tranne forse per poche
privilegiate dalla fortuna, quel di più dovesse portar seco il rischio
di amari disinganni e di crudeli inquietudini. Difesa dal rispetto di
sè, dal rispetto del nome di suo marito, ell'era passata vincitrice
attraverso alle insidie. Nè si vantava di aver superato grandi
pericoli. Ell'aveva ben compreso che appena una volta su mille le
dichiarazioni galanti esprimono un sentimento vero e profondo, e
provava un disprezzo incommensurabile pei libertini, pei seduttori di
professione. Ella fulminava con la sua ironia tutti questi don
Giovanni proteiformi; gli audaci e i timidi, i piagnucolosi e i
gioviali; li fulminava e se li levava d'attorno in un batter d'occhio,
con grande meraviglia di qualche conoscente sua altrettanto virtuosa
ma meno risoluta, che non riusciva a liberarsi dagl'importuni. In un
solo caso, e non si trattava d'un don Giovanni, la Teresa s'accorse
d'aver destato in un uomo un affetto degno di lei; nel caso del conte
Mario Vergalli. Ah, quello sì che le voleva bene; quello sì che
meritava d'essere amato. Ma era anche più innanzi negli anni di Tullio
Valdengo; gli mancava il fascino, l'impeto della gioventù, e a lei non
fu difficile di moderarne i trasporti, pur conservandoselo amico. Solo
alle donne illibatamente oneste è dato operar il miracolo di
trasformare in amicizia l'amore che inspirano. E un'amicizia nata in
tal modo ha una poesia, una fragranza che le solite amicizie non
hanno. Certo si è che quella di Mario Vergalli aveva finito di
riconciliare la Teresa Valdengo con la propria sorte; l'intimità con
un cuore così nobile, con uno spirito così elevato la compensava a
dovizia della scarsa idealità del marito... E talora ella diceva a sè
stessa che se il cielo le avesse accordato le dolcezze della maternità
ella non avrebbe avuto più nulla a desiderare... Invece ell'era
rimasta vedova, giovine ancora... e non era passata a seconde nozze.
Perchè? Era un mistero anche per lei. Sebbene ell'avesse assistito con
mirabile abnegazione il suo fedele compagno di oltre quindici anni,
ell'era troppo schietta da dire che Tullio Valdengo, morendo, aveva
aperto nel suo cuore una di quelle ferite che non si rimarginano. O
perchè dunque non aveva ella voluto ricominciar la vita con l'uomo
che, nell'intimo suo, ella preferiva a ogni altro, perchè non aveva
voluto premiare un così raro disinteresse, una costanza sì rara? Era
lì, nel giardino, era presso al lago ch'egli l'aveva pregata di
accettare il suo nome; era lì che, stendendogli la destra, ella gli
aveva risposto:--Perdonatemi, amico mio, non intendo rimaritarmi. Ove
mutassi idea, sarei orgogliosa d'appartenervi... Ma ricordatevi che
non dovete incatenare la vostra libertà, sacrificare il vostro
avvenire a me... che lo merito così poco... Se un'altra...
Egli l'aveva interrotta.--Non parlatemi _d'un'altra_... Qualunque cosa
vi piaccia essere, sposa od amica--(amante non disse perchè troppo la
rispettava)--ci siete voi sola per me.
La Teresa sentiva ancora negli orecchi il suono di quelle dolci
parole, aveva ancora davanti agli occhi l'atto cavalleresco con cui il
conte Mario le accompagnava, chinandosi alquanto verso di lei e
baciandole rispettosamente la mano.
Ah sciocca, sciocca, che avrebbe potuto posar la fronte su quel petto
leale e trovare un asilo sicuro fra quelle braccia di soldato e di
gentiluomo!
Non più ora, non più... Quand'anche egli le avesse perdonato il suo
fallo, ella non sarebbe stata mai la contessa Vergalli... Un momento
d'oblio aveva distrutto tutta l'opera laboriosa del suo passato, aveva
distrutto ogni speranza dell'avvenire.
Nè in questo completo naufragio della sua vita la Teresa pensava che
un soccorso qualsiasi potesse venirle da Guido di Reana. In nessun
caso sarebbe ricorsa a lui, in nessuno... nemmeno se l'orribile dubbio
che l'angosciava si fosse tramutato in realtà. Aveva creduto d'amarlo;
glielo aveva detto, glielo aveva provato con quel dono di sè che gli
uomini, a torto o a ragione, reputano la sola valida prova d'amore; e
adesso, tre giorni dopo ch'egli era partito, adesso, col terrore d'una
catastrofe ond'egli sarebbe stato la causa, adesso il suo cuore era
già insensibile e muto per lui. Non lo amava e non l'odiava. Solo non
era spento nel suo animo quel senso di pietà femminile, quasi materna,
ch'egli aveva inspirato sin dal primo vederlo. Lo considerava come un
fanciullo cieco ed irresponsabile al quale non si può domandar conto
del male che ha fatto.


XIV.

--Disturbo?
Era Sauri, il dottore, che s'era fermato, col cappello in mano, a
pochi passi dalla Teresa.
Ella dissimulò a fatica la sua noia. Pur troppo ell'avrebbe dovuto
interrogare un medico. Non avrebbe però interrogato nè Sauri, nè altri
ch'ella conoscesse... Sauri, a ogni modo, meno di tutti.
--Avanti pure--ella rispose.--E si copra, chè non fa mica caldo.
--Ho sentito--ripigliò il dottore--ch'ell'era in giardino e mi son
immaginato che sarebbe stata qui nel suo posto prediletto... Ma badi
ch'è un posto umido, e se non istà perfettamente...
--O perchè vuole ch'io non stia perfettamente?--replicò la Teresa
colorandosi in viso.
--Non so... Or ora era pallida... E qualche parola della cameriera...
--Pettegola!... O dica la verità... È stata lei a farlo venire?
--No, da galantuomo... Era una visita che le facevo io
spontaneamente... E dal momento che son qui...
La Teresa capì che non sarebbe stato opportuno il voler nasconder
tutto, e soggiunse:--Ho avuto iersera un disturbo di stomaco... Questa
è la gran malattia.
--Mi vuol mostrar la lingua?
--Non ho più nulla!
--Via--insistè Sauri,--lasci vedere.
--Oh che noioso... Ecco la lingua... È contento?
--È bianca... sporca...
--Tornerà pulita.
--Non c'è dubbio... Ma prenda due polverine di Seidlitz.
--Domani... se ne avrò bisogno... le prenderò.
--E il polso?... Mi dia il polso.
--O Sauri... non la finiamo?
--Il polso poi... Che cos'è un medico che non tasta il polso?
La Teresa dovette rassegnarsi.
--Un po' frequente... un po' agitato--disse Sauri,--Ma non c'è
febbre... Credo che una purgatina basterà... Però io la consiglierei
di aversi qualche riguardo... O che bisogno ha di venir qui in riva al
lago?
--Non son mica le paludi pontine... E se crede ch'io sia disposta a
rimaner tappata in casa...
--No... Ma per un paio di giorni potrebbe contentarsi di star sul
davanti ove c'è più sole...
--Ce n'è anche qui del sole...
--Ce n'è meno... E poi c'è l'acqua e ci son troppi alberi... Non
convien dimenticarsi che siamo al 2 di novembre.
--Il giorno dei morti.
--Già, quest'anno è caduto di domenica.
--È vero, è domenica... Essendo stata festa ieri mi confondevo...
credevo fosse lunedì.
Il dottore parlò alquanto delle corse di Treviso, dello spettacolo
d'opera al Teatro Sociale. Ella non ci andava?
--Se sono un'invalida!--disse la Teresa sorridendo.
--Oh per sabato prossimo che c'è la corsa grande sarà perfettamente
guarita... Intanto, badi a me, venga via di qua...
E per darle il buon esempio si alzò.
La Teresa si strinse nelle spalle. Tuttavia ella consentì ad avviarsi
verso casa in compagnia del dottore, chiacchierando di cose
indifferenti.
--Passerò domattina--disse Sauri accommiatandosi.
Ella si chinò su un cespo di rose.--Arrivederci.
Oh come gli sarebbe stata riconoscente s'egli le avesse scoperto il
principio d'una grave infermità; d'una buona tifoidea, d'una polmonite
doppia, d'una congestione cerebrale o di qualche cosa di simile! Come
si sarebbe messa a letto docile e rassegnata, rassegnata a morire se
la Provvidenza voleva così, rassegnata a guarire se, guarendo, ella
non avesse più sentito la spina acutissima che ora le trafiggeva le
carni. Per un istante ell'ebbe l'idea di tornarsene laggiù, appunto
perchè Sauri le aveva detto che non era senza pericolo il rimanervi.
Sì, ma era poi certa di pigliarsi una malattia mortale? E che ci
avrebbe guadagnato a esser côlta da una febbre che la tenesse
prigioniera in camera per due o tre settimane? Forse che il nuovo
germe morboso da lei assorbito avrebbe distrutto la causa preesistente
del suo malessere? O non l'avrebbe invece svelata più presto? Ma
intanto come saper la verità, temuta e pur necessaria? Sicuro;
aspettando ella l'avrebbe saputa... nello stesso tempo degli altri...
e questo no, ella non voleva a niun patto, decisa com'era a portar
nella tomba l'umiliante segreto.
Fu per qualche ora inquieta, irascibile; sgridò la cameriera
ostinandosi a credere che fosse stata lei ad avvertire il dottore
Sauri e a farla passar per malata, e dicendo che non permetteva alla
sua servitù di tenerla sotto tutela. Era lei la padrona di casa, se lo
ricordassero bene. E per cominciare, rinnovava, nel modo più
categorico, l'ordine di non ricever nessuno.
Poi, sola nel suo salotto terreno, sprofondata in una poltrona, ella
cadde in un assopimento doloroso. Si scosse ch'era già vicina la
notte, balzò in piedi, sonò il campanello. La Luisa le portò il lume,
le portò due o tre carte da visita ch'eran state lasciate per lei e un
paio di giornali giunti per la posta.
--Comanda altro?
--Sì... allontana quelle rose. Mandano un odore troppo acuto.
--Devo riaccendere il foco in salotto da pranzo?
--Riaccendi... Non fa freddo, ma è umido...
La Luisa s'indugiava; pareva aver un'interrogazione sulla punta della
lingua.
--Va, va--le disse la signora.
--Le rose le metto in sala?--chiese la cameriera.
--Sì, sì, dove vuoi--replicò la Teresa,--Spicciati.
Ella amava tanto le rose una volta. Perchè le ripugnavano adesso? Era
un sintomo anche questo?
Guardò appena le carte da visita. Che le importava de' suoi
visitatori? Che le importava di alcuna cosa al mondo, se ciò ch'ella
temeva era vero?
Dei due giornali che la posta le aveva recati ella ne aperse
distrattamente uno a cui era abbuonata da un pezzo, il _Corriere della
Sera_ di Milano. Lo spiegò, e scorrendone la terza pagina, l'occhio le
cadde sopra un annunzio che certo doveva esservi comparso altre volte,
ma che l'era sempre sfuggito o sul quale ella non aveva fermato mai
l'attenzione. L'annunzio, stampato in caratteri piccoli, era il
seguente: _Il dottore Ermete Boni, chirurgo ostetrico, riceve ogni
giorno dall'una alle tre. Piazza Beccaria, n. 5_.
Strana combinazione! Il nome di questo dottor Boni, menzionato nella
lettera recente della sua sarta con l'appellativo di _celebre
ostetrico_, le ricompariva dinanzi a così breve intervallo e proprio
nel momento in cui ella aveva il bisogno di consultare un medico, uno
specialista che dimorasse in altra città e che non la conoscesse. La
Teresa Valdengo non era superstiziosa, non credeva agli avvertimenti
soprannaturali; pur quella coincidenza non poteva a meno di colpirla,
di suggerirle un'idea molto semplice ed ovvia. O perchè non sarebbe
andata a Milano, perchè non avrebbe consultato il dottor Boni? Ora,
dai fondi oscuri della memoria, sorgeva in lei la vaga reminiscenza di
un discorso udito tempo addietro in un crocchio di signore, non
ricordava bene nè il dove, nè il quando, un discorso nel quale alcuno
aveva accennato a questo dottor Boni, milanese, come a un ginecologo
insigne, uno dei migliori d'Italia. Forse non era, forse si trattava
di un altro. Ma invero, nel caso di lei, non occorreva affatto un
medico insigne. Bastava uno al quale ella potesse aprirsi con minore
vergogna.
Quando l'animo è agitato dalle tempeste, ogni risoluzione, anche
d'indole secondaria, dà pur qualche istante di calma. Così la Teresa
Valdengo, di mano in mano ch'ella si raffermava nel proponimento di
ricorrere al dottor Boni, si sentiva più tranquilla, più forte, più
padrona di sè. E nel resto di quel giorno e nei due dì successivi ella
seppe adattarsi al viso la maschera dell'impassibilità, seppe celar ai
familiari e agli estranei la cura assidua, affannosa ond'ella studiava
sè stessa, intenta a cogliere ogni segno, ogni indizio che avvalorasse
o affievolisse i suoi crudeli sospetti. Al medico ella dichiarò ch'era
perfettamente guarita.
--Guarita senza bisogno delle due polveri di Seidlitz--ella disse. E
poich'egli stentava a persuadersene e la trovava giù di cera,--Oh, la
cera--ella ribattè--non significa nulla. Non sono stata mai color di
rosa, e adesso sarò in un cattivo momento. S'invecchia, caro Sauri, e
le donne che hanno resistito più a lungo danno un crollo più rapido...
Convien rassegnarsi.


XV.

Ma la sera del terzo giorno, sentendosi più inquieta del solito, la
Teresa decise di romper gl'indugi e disse alla Luisa:--Preparerai
subito la mia sacca da viaggio, quella piccola, mettendovi lo stretto
necessario per un'assenza brevissima.
La cameriera la guardò attonita.
--Parte?
--Sì, domattina presto... Verrai a chiamarmi alle sei e mezzo... E che
per le otto ci sia il _brougham_.
--Va a Venezia?
--No, faccio una corsa a Milano... Voglio intendermi con la mia sarta
che non può venir lei... Sarò di ritorno per la fine della settimana.
--E... parte sola?
La domanda, fatta senz'ombra di malizia, parve indiscreta alla Teresa
che aggrottò le ciglia e disse brevemente:
--Sì. Perchè?
--Perchè... non essendo stata bene...
--Sto bene ora... Dunque, bada d'esser esatta... Alle sei e mezzo. E
la sacchetta, mi raccomando.
La Luisa chinò il capo e non soggiunse altro.
Alle sette della mattina la Teresa era già nel salotto terreno ad
attender la carrozza.
--È poi abbastanza coperta?--chiese la cameriera mentre le infilava
l'_impermeabile_.
--Sì, sì, oltre al bisogno... Non vado mica in Siberia...
--È un aria umida, fredda...
--Siamo ai cinque di novembre, ragazza mia--notò la Teresa
accostandosi alla portiera e guardando in alto.
Il cielo era grigio; pareva quasi notte. Infatti sulla tavola del
salotto ardeva ancora una candela.
Incoraggiata dai modi affabili della signora, la Luisa disse:
--Come l'avrei accompagnata volentieri a Milano!
--Grazie. Sarà per la prossima volta.
Il _brougham_ venne a fermarsi davanti alla scalinata. La cuoca e
l'ortolano erano lì a salutar la padrona. Andrea, il giardiniere, salì
a cassetta.
--Buon viaggio, buon viaggio.
--Scriverò o telegraferò per avvertir dell'ora del mio ritorno--disse
la Teresa ricambiando i saluti.
Il treno giunse alla stazione in orario. Ella entrò in uno
scompartimento di prima classe ove non c'era che un signore vecchio,
sonnecchiante in un angolo.
A Mestre salì sul diretto Venezia-Milano. Ella tremava all'idea di
trovar qualche conoscente che percorresse la medesima linea e la
importunasse con la sua conversazione o con le sue offerte di servigi;
per fortuna non ebbe a compagni dal principio alla fine che due
Inglesi, marito e moglie, immersi nel loro Baedeker: _Northern Italy_.
Solo una volta, verso Peschiera, la signora si rivolse dalla parte
della Valdengo e mostrando col dito una striscia azzurra di là dal
finestrino disse in tuono interrogativo:--Garda?
La Teresa accennò di sì col capo. Parlava correntemente l'inglese, ma
non era in vena di attaccar dialogo nè in quella lingua, nè in altra,
e preferì lasciar credere ch'ella non sapesse neanche dir _yes_. E non
si mosse mai dal suo posto, non lesse un libro; stette per lo più col
velo calato, con gli occhi socchiusi, cercando di dormire, lottando
col malessere che la riprendeva di quando in quando e che aveva sempre
gli stessi caratteri.
A Brescia sentì il giornalaio che gridava: _La Perseveranza, Il
Secolo, Il Corriere_. Affacciatasi al finestrino, si fece dar _Il
Corriere_, lo aperse, guardò nelle inserzioni a pagamento. L'avviso in
terza pagina, che da due giorni mancava, oggi c'era: _Il dottore
Ermete Boni, chirurgo ostetrico, riceve_, ecc.
La Teresa Valdengo scese a Milano in un albergo ch'ella sapeva goder
buona riputazione, _La bella Venezia_. Richiesta del nome, trasalì, e
poichè, contro ogni sua abitudine, ella era entrata nella via delle
finzioni scrisse sul libro, anzichè il proprio, il nome di una zia
materna, vedova di un Francese, morta anni addietro senza lasciar
discendenti, madame Gilbert. Si fece portar in camera una tazza di
brodo ristretto con un rosso d'ovo e dicendosi lievemente indisposta
non uscì in tutto il restante della giornata e si coricò prestissimo.
Dormì forse un paio d'ore di un sonno agitato, e svegliatasi in
sussulto credendo che fosse quasi il mattino accese il lume e con
sgomento si accorse che non era ancor mezzanotte. Tentò di
riaddormentarsi e fu vano; aperse un libro e non le venne fatto di
leggere due righe di seguito. Rimase lì immobile, supina, con gli
occhi sbarrati, con la mente fissa in un pensiero. Nell'andito, nelle
stanze vicine si udivano suoni e bisbigli; stropiccio di piedi e
fruscio di vesti; voci sommesse di forestieri discreti e voci tonanti
di forestieri maleducati che senza riguardo dell'ora chiamavano
dall'alto al basso della scala; usci che si aprivano e si chiudevano;
campanelli elettrici che tintinnavano. O era finito allora qualche
teatro, o era arrivata una corsa. Alla lunga i romori cessarono; solo
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