Il ponte del paradiso: racconto - 18

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Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
E giunto nell’anticamera, si faceva spalancare l’uscio delle stanze
interne, dove entrando veloce andò a deporre la infelice padrona sul
letto del signor Zuliani. Perchè là, e non due camere più oltre, sul
letto della signora? Il perchè era presto detto; la camera del signor
Raimondo era più vicina all’anticamera: premeva al buon servitore di non
isballottare più a lungo quella povera carne semiviva.
Ciò fatto, e lasciando il dottore al suo pietoso uffizio, come il signor
Zuliani alla sua desolazione, Giovanni prese in disparte uno dei
volenterosi aiutatori che si erano introdotti in casa. Era una sua
conoscenza, e se ne poteva fidare.
— Bortolo, — gli disse, — fa un’ottima cosa, anzi due. Va in Calle larga
San Marco, e cerca il dottor Teodoro Del Vago: o alla farmacia
Mantovani, o in casa sua, che è a due passi dalla farmacia. Poi passa al
_Cappello Nero_ e chiedi del signor Antonio Brizzi, segretario del banco
Zuliani. Se non c’è, ti diranno dov’è andato. E l’uno e l’altro vengano
al palazzo Orseolo. —
Una moneta da due lire, tolta generosamente dal peculio privato di
“Paron Nane,„ scivolava intanto nelle mani di quell’altro, che promise
di fare le due commissioni a puntino, e per intanto fu lesto a infilare
la scala.
“Paron Nane„ non aveva ancora finito di darsi attorno. Fatto un giro a
destra, come per andare a chiudere usci e finestre nelle stanze vicine,
entrò in quella della padrona. Non c’era nessuno, e la candela accesa
seguitava a consumarsi sul cassettone, sotto lo sventolìo della fiamma
al riscontro dell’aria. Egli spense prudentemente la bugia traditora, e
nel buio della stanza si affacciò al terrazzino. Sporse il capo infuori,
come dianzi aveva fatto il padrone. Non c’era nessuno, là sotto, tra il
muro del palazzo e i pali del Canale; la ressa delle barche era tutta al
traghetto, un cinquanta passi lontano; quella dei curiosi era divisa fra
la riva del traghetto e le strade a tergo del palazzo. Si vociava,
laggiù, e il rumor delle voci piacque a “Paron Nane„ che per suo gusto
lo avrebbe voluto anche più forte. Ed egli, allora, allargando le palme
poderose sul davanzale del terrazzino, fece in buon punto, e in tre
tempi, da vecchio soldato, quello che gli era passato per la mente di
fare.
Nella camera di Raimondo, frattanto, dopo aver liberata la povera
signora dalle sue vesti inzuppate, il medico faceva le sue esplorazioni.
La ferita del capo non pareva che dovesse essere gravissima; la
capigliatura abbondante aveva ammorzata la violenza del colpo; forse
anche era da credere che, cadendo col capo all’ingiù, la vetta del
cranio fosse scivolata per sua fortuna sulla testa tondeggiante d’un
palo. La giacente, per altro, non era rinvenuta ancora; poteva temersi
d’una commozione cerebrale, come anche d’una commozione viscerale; onde
il medico prudente non si arrischiava di dare un responso. Ma a poco a
poco, frizioni ed aspersioni recarono frutto; l’inferma incominciava a
riaversi, dandone segno con un rammarichio sommesso, e poscia con
gemiti. Sopraggiunse indi a poco il medico di casa, e si unì tosto colla
esperienza dell’arte sua alla operosità del primo venuto, approvando,
anzi, tutto ciò che aveva incominciato a fare il collega. E non adulava
per convenienza professionale, il dottore Del Vago; quel collega trovato
per caso era veramente dei buoni.
Eccellenti ambedue; ma il povero Raimondo era disperato, vedendoli
ambedue così pieni di ansietà e così reluttanti a dargli speranze, a
dirgli almeno ciò che pensavano. E fece un gesto di rabbiosa impazienza,
quando vennero a dirgli che un signore, capitato allora, chiedeva di
parlare con lui.
— Chi è! che cosa vuole?
— Uno della questura; — rispose il servo. — E pare, a giudicarlo
dall’aspetto, un pezzo grosso.
— Ditegli che non sono in istato di ricevere. Abbia compassione; ripassi
domani.
— Se mi permette.... — entrò a dire Giovanni. — Lo faccia passare. Sarà
venuto per sapere come è avvenuta la disgrazia. Gliela spiego io.
— Ma.... che cosa vorresti spiegare?... — disse Raimondo, turbato.
— Mi lasci fare, signor padrone; si fidi di me. — Raimondo lo lasciò
fare, e lo seguì in anticamera, dove riconobbe il visitatore. Pel
bisogno di prendere informazioni bastava un delegato; trattandosi della
famiglia Zuliani era venuto il signor questore in persona. Raimondo lo
accolse come meglio potè; ma non sapeva che dirgli, tanto era sconvolto.
Venne uno dei dottori, e sommariamente descrisse all’egregio ufficiale
lo stato dell’inferma; la quale era ritornata in sè, finalmente,
lasciando loro aprir l’animo ad un fil di speranza; filo leggero, per
altro, ancor troppo leggero.
Il signor questore si profuse in condoglianze, com’era il caso davvero.
Ma come era andato il fatto doloroso? La domanda era naturalissima; nè
egli, nè altri in quell’ora e in quella condizione poteva astenersi dal
farla.
Gli spiegò il buon servo Giovanni ogni cosa, conducendo il degno
personaggio, insieme col signor Raimondo, nella camera della signora, e
di là fino alla soglia del terrazzino.
— Badi, illustrissimo; — gli disse, trattenendolo a quel punto; — non si
affacci, per carità. Vede che cos’è stato? —
Il terrazzino reggeva ancora dal piede e dai fianchi; ma il parapetto
era andato.
— Vedo, vedo; — disse il signor questore, ritraendosi. — La povera
signora s’è appoggiata al davanzale; il parapetto ha ceduto....
— Proprio così, com’Ella saviamente osserva; — soggiunse quell’altro. —
La signora aveva l’uso ogni sera di affacciarsi di lì, guardando sul
Canale, mentre faceva prender aria alla camera. Maledette anticaglie!
L’ho sempre detto, io, che un giorno o l’altro questi parapetti
avrebbero fatto qualche brutto scherzo. Dio sa da quanto tempo le staffe
di ferro si erano corrose, e i pezzi di marmo stavano ritti per
miracolo. —
Il parapetto parlava chiaro: diceva nella sua medesima assenza come
fosse andata la cosa. E il signor questore, rinnovate le sue
condoglianze, si accomiatò dal signor Zuliani, esortandolo ad esser
forte, a sperare.
Prima di seguitare il dottore, che già si era mosso per ritornare presso
l’inferma, Raimondo andò verso il suo servitore che stava chiudendo le
imposte della finestra malaugurata.
— Che è ciò? — gli chiese, accennando il terrazzino. —
Giovanni diede anzitutto una guardata sospettosa intorno, poi ammiccò al
padrone, mostrandogli le sue braccia nerborute, e facendo l’atto di
scrollare davanti a sè qualche cosa.
— La gente non avrà da malignare; — disse egli poscia, a mo’ di
commento.
Il signor Zuliani capì, e gli strinse la mano. In tutt’altra occasione
gli avrebbe battuta la palma sulla spalla chiamandolo “Paron Nane„. Ma
non era quello il momento.
Capitò in quel mezzo il signor Brizzi, ed ebbe, insieme con le altre, la
notizia del parapetto caduto. Ci credette egli, che sapeva già tante
cose di quelle due tristi giornate? Sì e no; ma pensando da uomo accorto
che non fosse savio nè utile scandagliare il fondo delle cose.
Egli, prima di accorrere presso il suo principale, aveva avvertiti i
signori Cantelli, che gli erano più vicini, e che certamente,
trattandosi d’una sventura come quella, così grave per il signor
Zuliani, non dovevano essere lasciati in disparte.
Quando il signor Anselmo e Margherita giunsero al palazzo Orseolo, i due
dottori erano ancora presso l’inferma; sicuri oramai che la commozione
cerebrale si dovesse escludere; non altrettanto sicuri quanto alla
commozione viscerale. E l’uno e l’altro, ad ogni modo, avrebbero passata
la notte in casa Zuliani.
Raimondo vide i due ultimi visitatori, a lui tanto cari. Gittò le
braccia al collo del signor Anselmo e diede in un pianto dirotto.
— Coraggio! — gli disse Margherita, anche essa più morta che viva!
Coraggio! Il povero Zuliani non sapeva più che cosa fosse oramai.
— Ah! — mormorò egli, oppresso, sfinito dall’angoscia. — Il mio cuore è
spezzato. —


XX.

Lontano, lontano!

No, non era spezzato; era colmo, rigurgitante di amore; di un amore
sepolto, compresso, che risorgeva più violento di prima. Ebbro di amore
e di dolore, Raimondo Zuliani stette per molti giorni sospeso tra morte
e vita, perchè tra morte e vita si dibatteva quella povera carne
sofferente. Quando ella incominciò a riaversi, a riprender conoscenza
del mondo circostante, vide Raimondo al suo capezzale. Stette cogli
occhi lungamente immoti, involgendolo d’uno sguardo intenso; poi
richiuse le palpebre mentre le guance si tingevano d’un lieve rossore.
— Perchè non lasciarmi morire? — diss’ella, con un filo di voce.
— No, no, non voglio che tu parli così; — proruppe Raimondo, con accento
di tenerezza, chinando il volto su lei, fino o toccarle con le labbra la
fronte. — È necessario che tu viva, m’intendi? è necessario. La mamma se
tu la vedessi, com’è rimasta abbattuta!... La mamma.... ti perdonerà. —
Raimondo non parlava di sè; egli aveva già perdonato fin dalla sera
fatale; o, per dire più veramente, un’altra esistenza era incominciata
in lui, come in lei, rinnovandoli entrambi. La signora Adriana, lontana
in quell’ora dal letto dell’inferma, aveva ben veduto il mutamento del
suo Raimondo: lo aveva veduto, e compativa e taceva. Un po’ debole
d’animo, il suo caro figliuolo! Così poteva giudicarlo altri, non lei. E
forse era tale; ma per contro era forte la passione riaccesa nel suo
cuore dall’ultimo addio e dall’atto disperato di Livia.
Di vincere la signora Adriana si prese cura la signorina Margherita, che
da più giorni incalzava Raimondo con sempre nuovi argomenti, vedendo
omai la probabilità di far breccia. E come trepidò egli, aspettando da
Margherita la risposta di sua madre! E come si sentì sollevato, quando
Margherita venne a dirgli che la signora Adriana intendeva tutto, e di
gran cuore avrebbe perdonato alla nuora!
— La mamma perdona? — gridò egli, raggiante di allegrezza. — A questo
patto soltanto io potevo accettare di vivere. —
Margherita abbracciò quell’uomo, che mai come allora si sarebbe potuto
chiamare il buon genio di lei, l’arbitro del suo destino, l’autore della
sua felicità.
— Ella rende la vita anche a me; — diceva ella al signor Zuliani; — e la
rende ad un poveretto, che non le sarebbe sopravvissuto davvero!
— Lo crede?
— Ne sono certissima. Glielo dimostri la mia gratitudine. —
Raimondo stette un istante pensoso.
— Mi resta un dubbio; — diss’egli. — E non lo esprimo già per chiedere a
Lei una parola che consoli il mio amor proprio. Non ne ho più, di
questo, nè d’altri sentimenti egualmente miseri e sciocchi. Ma penso che
avevamo giuocate le nostre vite, e che se fosse stato egli il perdente,
si sarebbe ucciso senza fallo.
— Sì, per l’intenzione non c’è dubbio; — rispose prontamente Margherita;
— ma nel fatto, egli non avrebbe potuto.
— Perchè?
— Perchè Lei, generoso, non glielo avrebbe permesso.
— Vero; — concesse Raimondo. — Ma si sarebbe egli arreso?
— Sicuramente; e per due ragioni. Guardi come son ricca, al suo
paragone! — replicò Margherita, ridendo. — La prima è questa, ch’egli si
sarebbe arreso.... per me. La seconda è quest’altra, che egli sentiva di
esserle schiavo e non avrebbe potuto ricusarsi alla sua volontà. Le
paiono convincenti? Credo di sì. Vuole assicurarsi che son sue, e non
mie? Lo mandi a chiamare; io tacerò ed Ella le udrà ripetere punto per
punto da lui.
— No, no, non occorre; debbo credere a Lei; — rispose Raimondo. — E
faccia ognuno la sua strada; — soggiunse, precorrendo colla difesa un
altro assalto, di cui sentiva già la minaccia in aria; — e gli dica,
quando lo vedrà.... che gli ho perdonato. —
Ma la vita di Raimondo Zuliani, rinnovata per l’amore, era finita per le
consuetudini antiche.
Risanata la sua Livia, il signor Zuliani rimase a Venezia un mese
ancora; il tempo necessario per fare con lei qualche apparizione agli
usati ritrovi, seccandosi alle condoglianze, seccandosi alle
congratulazioni, non vedendo l’ora di sottrarsi alle une ed alle altre.
Non meno di lui n’era seccata la signora; ma forse, per quelle medesime
ragioni di prudenza che avevano mosso Raimondo in tutto il corso di quel
dramma domestico, non poteva dispiacerle troppo di farsi vedere alla
gente, rifiorita di salute e di bellezza, lieta e sorridente, tra un
marito sempre devoto ed una suocera apertamente amorevole. Per quelle
stesse ragioni fece buon viso alla contessa Galier, troppo tenera amica,
che omai vedeva volentieri come il fumo negli occhi; e senza uno sforzo
così grande che per verità non era il caso, trattandosi di gentili
cavalieri, accolse per due o tre mercoledì alla fila i Lunardi, i
Gregoretti, i Ruggeri, i Telemachi, i maestri di musica, tutta la sua
piccola corte, a cui fece perfino la grazia di mostrarsi una sera a
teatro tutta sfavillante di gioia e di gioie, con quel suo diadema della
farfalla adamantina che sfuggiva alle fauci del serpe insidioso, tutto
smeraldi, crisòliti e rubini.
Pochi giorni dopo quella comparsa trionfale, la bella signora Zuliani
spariva. Moglie e marito partivano da Venezia, per fare un viaggetto a
Parigi, a Londra, e fors’anco altrove, se non si fossero seccati. Ma non
si erano seccati di certo, perchè il viaggetto durò mesi parecchi, e le
garrule Procuratie ebbero tempo a dimenticarsi dei due viaggiatori. I
quali posarono finalmente, ma per istabilirsi lontano, chi disse in
Isvizzera, chi sul lago di Como, chi in Liguria, chi perfino a Madera, e
naturalmente per consiglio dei medici; savio consiglio, giustificato
abbastanza da una complessione troppo delicata, e dalla scossa troppo
violenta di un caso disgraziato, che tutti dovevano ricordar per un
pezzo.
Caso disgraziato, davvero, e non effetto di un disperato proposito. Così
fu creduto da tutti, poichè con la sua stessa rovina parlava il
parapetto di un terrazzino sul Canal Grande. Una trovata veramente
felice era stata quella di “Paron Nane„. Ed era stata anche una buona
azione; perciò rimase ignorata. Se si fosse risaputa, di sicuro gli
archeologi l’avrebbero dichiarata cattiva. Che si canzona? Mandare in
pezzi quel gentil parapetto dai tre pilastrini istoriati, dai due rosoni
traforati con tanta maestria di scalpello elegante! Quel terrazzino era
un capolavoro di scultura quattrocentesca, innestato sopra
un’architettura di tre secoli più antica. Per verità, restavano ancora i
suoi gemelli delle altre finestre; e non sarebbero mancati, alla più
trista, i suoi somiglianti sulla facciata di un altro edifizio, che era
il palazzo Contarini Fasan, manifestamente adornato dall’ingegno di un
medesimo artefice. Ma non era quella una buona ragione per consolarsi
della rovina di quel prezioso cimelio. Casca oggi, casca domani, il
bello, il vero bello, che è solamente l’antico, se ne va a pezzettini, e
ci siam visti.
Un’altra rovina, mezza, se non intiera, fu quella del banco Zuliani,
che, per l’assenza prolungata del suo titolare, fu costretto a
restringere di molto la cerchia delle sue operazioni.
Era rimasto alle mani dell’ottimo signor Brizzi; finalmente prese nome
da lui, e vive ancora di vita modesta ma sicura, se non gloriosa, non
abbandonato del tutto dai capitali del signor Raimondo Zuliani, nè dalla
benevolenza del banco Cantelli.
Anche la signorina Margherita aveva lasciato presto Venezia, poichè il
governo, predestinato a non indovinarne mai una, non aveva esauditi i
fervidissimi voti della signora Eleonora, e la corvetta, armata di tutto
punto, era partita proprio sul finir di gennaio, portandosi via lo sposo
Federigo e il suo vistoso corredo per ogni clima e per ogni temperatura
del globo. Filippo Aldini aveva naturalmente seguiti i signori Cantelli
a Milano; un mese dopo. Margherita Cantelli diventava la contessa
Margherita Aldini.
È felice, ora, interamente felice col suo Filippo, e passa la maggior
parte dell’anno nella quiete desiderata di Parma. Babbo e mamma non
tralasciano occasioni per andare da lei e far visite lunghe; ed ella e
Filippo fanno spesso le loro corse a Milano, segnatamente d’inverno,
quando è più intensa la vita dei teatri, e le prime rappresentazioni
della Scala attraggono l’artistica curiosità della giovine e bella
contessa. Ma essa ai teatri non vuole andare senza Filippo; Filippo ha
da esserle sempre al fianco. Ne è forse gelosa? No, tanto è sicura di
lui; ma trova piacevole al sommo tenerselo vicino, averlo così _digne et
in æternum_ marito ed amante; e se la cosa fa scandalo, perchè fuori di
moda, a lei non importa. La moda, in questa materia delicata, se la fa
lei; non la impone a nessuno, e non si lascia imporre quella degli
altri. Ma ne è così lieto il suo Filippo! il suo Filippo, che è perfino
arrivato al punto di amar la musica teatrale, l’assordante, l’indigesta,
la noiosa, e quant’altre varietà se ne spacciano sul mercato dei suoni.
La contessa aspetta ora il fratello, che in tre anni di assenza dovrebbe
aver finito il suo giro del globo. Lo aspetta a Parma, naturalmente, e
nell’antico palazzo degli Aldini, che Filippo ha ricomprato e rinnovato.
Così potesse lei comprar Torrechiara, per farci una serie di restauri,
degni di Pier Maria De’ Bossi, e di Bianca Pellegrini d’Arluno! Ma già
più volte è andata lassù, oltre Langhirano, a visitare la ròcca,
intrattenendosi lungamente nella camera d’oro, davanti a quelle file di
cuori fiammanti accoppiati, cerchiati di tre corone d’oro per coppia, e
accostati dalle due chiare leggende latine dei due nobili amanti del
Quattrocento.
Ed anche più volte, risalendo il corso della Parma, la cara donna ha
visitato il bosco di Corniglio, tutto castagni secolari, che con le
lunghe braccia distese danno benedizione di ombra e di pace ad una
tacita casa d’antichi; poi quella conca di smeraldo che è la fresca
valletta dei Lagadelli, degno soggiorno a poeti, forse più degno a
filosofi; donde, per un sentiero sassoso tra i faggi lucenti, s’è
inerpicata alla dolce solitudine del Lago Santo, custodita da vigili
scolte di abeti; e più su, con breve e facile ascesa tra cespi di
baccole, fino alla vetta prominente dell’Orsaro.
— Bel nome, quello! Fiero quest’altro, e mi piace egualmente! —
diss’ella un giorno lassù. Da questa pace sublime luccica a noi qualche
cenno di umano consorzio; ma lontano, per buona sorte, lontano, lontano;
e qui le anime si ritemprano, e i cuori amano meglio. Ci hai pensato
mai, Lippo? Si è scesi un po’ tutti, a prima o dopo, dai monti, per
dirozzarci al piano, per educarci, e, se Dio vuole, per intendere il
bello. Ma poi, chi più intende il bello e il brutto, e soprattutto il
mediocre della vita di laggiù, si ritira passo passo, ritorna alle
origini, si rifugia sui monti.
— Hai ragione; e ci vive; — rispose Filippo. — Ma per viverci, e
sentirsi vivere, ci vuol Margherita.... l’intelligenza, la bontà, la
bellezza e la grazia. —

_Fine_.
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  • Il ponte del paradiso: racconto - 01
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    58.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il ponte del paradiso: racconto - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4408
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1588
    39.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il ponte del paradiso: racconto - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4371
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1641
    38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il ponte del paradiso: racconto - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4480
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1540
    39.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il ponte del paradiso: racconto - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4443
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1530
    40.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il ponte del paradiso: racconto - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4391
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1669
    38.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il ponte del paradiso: racconto - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 2996
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1246
    41.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.