Il ponte del paradiso: racconto - 07

Süzlärneñ gomumi sanı 4432
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1563
38.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
54.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
qualche anno, mi pare.
— Oh, dica da parecchi; mio marito lo vede tanto volentieri! —
La signorina Margherita era rimasta alquanto più in là, davanti al
disegno del conte Aldini, che voleva mettere per precauzione tra due
fogli di carta.
— Margherita! — le disse sua madre. — Vuoi tu farmi il piacere.... La
signora Zuliani permetterà. Vuoi tu farmi il piacere di finire per me la
lettera al babbo? Io sono troppo lenta nello scrivere, avendo anche
bisogno di occhiali; — soggiunse, volgendosi alla signora Zuliani. —
Volevo aggiunger io una pagina; ma Anselmo ci guadagnerà di aver tutta
la lettera di pugno della sua figliuola. A te, dunque, mia cara; e si
potrà mandare per la posta delle quattro.
— Sì, vado, mamma; — rispose Margherita. — La signora mi scusi.
— Oh cara! a patto che ritorni presto; — gridò la signora Zuliani.
Appena la bella creatura fu uscita dal salotto, richiudendo
discretamente dietro a sè l’uscio della camera attigua, la signora
Eleonora si strinse al fianco della sua visitatrice.
— Perdoni, mia buona signora; — le disse; — avevo bisogno di parlarle da
sola a sola. Non vorrei abusare della sua gentilezza; ma certe parole
sue, quando io ho fatto un piccolo elogio del conte Aldini, mi hanno
messa in pensiero. Ella ha senno e uso di mondo; conosce la città, e
coloro che ci vivono; il conte Aldini, poi, viene in casa loro; Ella che
è donna, e delicatissima su certi punti a cui gli uomini non badano
sempre, può darmene un’idea più precisa. Non merita egli tutta la stima
che io facevo di lui?
— Intendiamoci; — notò la signora Zuliani. — Ho detto di non saper fare
alcuna differenza tra lui e tutti gli altri. Sarò troppo severa, o
troppo poco esperta in materia; ma infine non volevo andare più in là.
Si sa bene, del resto; giovinotti eleganti....
— Ma dissipati, vorrebbe aggiungere.
— Non questo, propriamente; ma oziosi, pur troppo. E l’ozio, mi
concederà, può condurre molto lontano.
— Il conte Aldini non fa nulla, per l’appunto.
— Nulla di nulla; — rincalzò la signora Livia. — Ha tanto da vivere;
scarsamente, perchè i suoi non gli hanno lasciato di più; ma non avendo
famiglia, diciamo pure che ha tanto da vivere. Certo, gli bisognerebbe
rifarsi con un ricco partito. Qui non ce ne sono; almeno, non ce ne sono
di quelli che potrebbero fare al caso suo. Egli, dopo tutto, non se ne
dà pensiero; mio marito piuttosto. Ma io l’annoio con queste
scioccherie....
— No, no, continui; tutto ciò m’interessa moltissimo.
— Del resto, si capisce; — ripigliò la signora Livia, ridendo. — Mio
marito è un gran partigiano del matrimonio. Contento di quello che ha
fatto lui, della qual cosa io non vorrò dargli torto, darebbe moglie a
tutti,, e prima di tutti al suo conte Aldini. Conte! ecco il titolo che
secondo i calcoli di mio marito può valere una dote vistosa. Il signor
conte, diciamolo pure, non ne ha mai voluto sapere. Già, le ripeto,
giovinotti eleganti.... e galanti, hanno altro da pensare che a prender
moglie.
— Qualche pratica.... — balbettò la signora Eleonora.
— Eh, che debbo dirle? Son materie gelose. Ma infine, Venezia non è
Parigi, nè Londra: si finisce presto col sapere ogni cosa. Il conte
Aldini, nei primi tempi del suo soggiorno a Venezia, si era veramente un
po’ sparpagliato, cantando come si suol dire a tutti gli usci, e aveva
fatto parlar molto di sè; poi a poco a poco si è raccolto, si è fatto
più serio, vorrei dire perfino misterioso, vero tipo del _beau
ténébreux_ dei vecchi romanzi francesi. Ad ogni modo, son cose che non
mi riguardano. Viene spesso da noi, e ciò, me lo lasci dire in
confidenza ad una signora assennata come lei, potrebbe anche essere
pericoloso; tanto che alle volte, approfittando per l’appunto della
occasione, vorrei fargli una ramanzina coi fiocchi. Ma non ho ancora
l’età, da assumere una parte simile, nè con lui, nè con altri. Me ne
rincresce, perchè il mistero c’è, e un mistero non senza pericoli....
— Ella, da quanto pare, conosce anche la persona; — osservò la signora
Eleonora. —
Un cenno malinconico di assenso le disse che si era apposta.
— E.... la condizione? — riprese. — Il nome, se Ella si fida di me?
— Non è il mio segreto; — mormorò la signora Livia con anima e voce
contrita.
— È giusto, perdoni; — conchiuse la signora Eleonora. — Capisco intanto
che il conte Aldini dev’essere in uno stato d’animo assai dispiacevole.
Queste pratiche hanno sempre la loro punizione con sè. S’incomincia
senza pensarci troppo; la via del precipizio è sparsa di fiori; ma
poi.... cara signora, ne ho vedute nella mia vita, di queste belle
passioni, ne ho vedute, parecchie e finite presto in tragedie. Ah,
uomini pazzi! e donne pazze! perchè son esse le maggiori colpevoli.
— Lo crede? — disse la signora Zuliani.
— Ne son certa. Gli uomini, infine, sono spensierati e temerarii; spesso
non hanno idea di giustizia, nè di morale, due buone e belle cose
facilmente dimenticate, perdute nell’uso e nell’abuso dell’esistenza.
Mio marito dice qualche volta che l’uomo è nato cacciatore; poveretto!
egli che non ha mai preso in mano un fucile da caccia! Ma la donna, che
s’adatta a fare da selvaggina a questi cacciatori, che orrore! essa,
poi, che avrebbe tante ragioni per esser forte, per custodirsi, per
arrestarsi, se non altro, sulla via del precipizio! L’educazione, per
esempio, una certa delicatezza di sentire, che nell’uomo è così presto
cancellata dalle volgarità della vita, il pensiero della propria
dignità, e finalmente la ragione più forte, quella che le val tutte....
— E quale?
— La religione, non le pare? E non già quel tanto di religione che
consiste nel pregare a certe ore, biascicando frasi che spesso non
s’intendono, e si ripetono macchinalmente, senza pensarci più che tanto;
ma la religione piena, intiera, meditata, che c’insegna i nostri doveri,
facendoci intendere la bellezza e gustare la felicità d’una coscienza
tranquilla. —
La signora Eleonora si era un po’ riscaldata, cosa che le accadeva di
rado; e ci diventava perfino eloquente, di quella eloquenza che viene
qualche volta alle madri. La signora Livia, che non se l’aspettava
davvero, n’era rimasta maravigliata, e quasi sopraffatta, tanto che per
un istante, pensando alle ragioni enumerate dalla sua interlocutrice,
dimenticò quelle che avevano determinata la sua visita e la sua piccola
alzata d’ingegno. Ma certamente senza volerlo gliele fece tornare in
mente la signora Cantelli, discendendo dalle altezze della tesi morale,
per rifarsi al caso particolare ond’era stato mosso il discorso.
— Quello che più mi rincresce, — ripigliava la buona signora, — è di
pensare a quel povero giovinotto, che non è, poi, e non meriterebbe di
essere come tanti spensierati. Egli almeno sente che la sua condizione
non è bella. È spesso malinconico, e si capisce che un triste pensiero
lo turba. Gli si domanda, per isviare le sue malinconie, gli si domanda,
qualche volta di punto in bianco: ed ora, che cos’ha? Si scuote allora,
si sforza di sorridere, e risponde: nulla, sa, non ho nulla; difetto del
mio spirito, che s’incanta volentieri, e va qualche volta nelle
nuvole. —
La signora Livia tentennò ripetutamente il capo, atteggiando le labbra
ad un risolino d’incredulità.
— Eh! — soggiunse poi. — Che cosa le dicevo io? Altro che nuvole! Il
conte Aldini ha quell’altra in mente; e non può non avercela spesso,
anche contro sua voglia. Ma bisognava pensarci in tempo, come ha detto
lei così bene, signora Eleonora, nella sua rettitudine; bisognava
pensarci in tempo, quando si era ancora sulla via piana e sparsa di
fiori. Perchè, dopo tutto, siamo giusti, anche quell’altra avrà ragione
a dolersi, non lo crede? e meriterà un pochino di compassione. —
Il ragionamento, che non faceva una grinza, poteva durare dell’altro. Ma
fu interrotto da un grido soffocato, che veniva dalla camera attigua,
accompagnato da un rumor sordo, come di una caduta. La signora Eleonora
ne fu sbigottita.
— Margherita! figliuola mia! — gridò ella, balzando in piedi e correndo
ad aprir l’uscio.
Per un istante aveva creduto di trovarla più vicina alla soglia, e già
si pentiva di aver condotto il discorso su quell’argomento delicato,
senza badare che qualche frase proferita a voce meno bassa poteva essere
udita di là, e destar l’attenzione di Margherita. Ma la fanciulla si
vedeva più oltre, colla persona abbandonata sopra un divano, a piedi del
letto di sua madre.
— Signorina, che è stato? che cosa si sente? — gridava a sua volta la
signora Zuliani, accorrendo anche lei.
— Niente, signora; niente, mamma; — rispondeva Margherita. — Un leggero
stordimento improvviso, mentre venivo a domandarti d’una cosa da dire al
babbo. Mi ero alzata dalla sedia, e tutto ad un tratto non ho potuto più
reggermi.... Ma sarà una cosa passeggera, speriamo.
— Se apriremo la finestra, sicuro; — riprese la signora Zuliani. — C’è
troppo caldo, qua dentro. Ah, i caloriferi! — soggiunse, andando appunto
a girare la spagnoletta delle imposte, e facendo entrare nella camera
un’ondata d’aria fredda. — Ah, i caloriferi! invenzione diabolica!
— Sì, difatti, era troppo caldo; — disse Margherita. — E quest’aria
fredda mi ha fatto bene. Non ho più nulla; sorridi, mamma, non ho più
nulla, davvero. —
La signora Eleonora non era molto persuasa; ma finse di crederlo, anche
per dar modo alla signora Zuliani di congedarsi più presto. La signora
Zuliani non era meno desiderosa di andarsene che quell’altra di vederla
andare; perciò, fatti ancora due vezzi alla cara Margherita, prese
lestamente commiato.
Ma la bionda signora non era forse guarita de’ suoi nervi, o de’ suoi
vapori, come da principio pareva. Il tragitto dalla Riva degli Schiavoni
al palazzo Orseolo le parve maledettamente lungo. Appena giunta a casa
si mise a letto; e a letto la trovò Raimondo, quando capitò a casa per
l’ora di pranzo. Effetti del caldo, diceva lei; troppo caldo in
quell’albergo, dove era andata a visitare le signore Cantelli. Ma
Venezia non aveva bisogno di tanto caldo, per bacco; non ne aveva
bisogno con quel suo clima sempre uguale, temperato dai venti tiepidi
della Laguna, specie negli appartamenti esposti a mezzogiorno.


VIII.

Tra due ammalate.

Raimondo a tutta prima si sgomentò, e senza por tempo in mezzo mandò per
il medico, sebbene prevedesse di sentirsi dire che erano cose da nulla,
sperando, anzi desiderando, che fosse tale il responso. È sempre bene
averlo favorevole, da uomini di dottrina e d’esperienza, se anche ve lo
incartoccino di astruserie, o ve lo confettino di vocaboli greci.
Il dottore Teodoro Dal Vago non era poi così ottimista come pareva,
sentendolo discorrere al letto dei suoi ammalati. Era un medico esperto
e consumato, che conosceva l’arte di non turbare lo spirito
degl’infermi, nè delle loro famiglie; quelli sempre disposti ad aver
nelle ossa tutti i malanni di cui si faccia il menomo cenno, queste
sempre facili a spericolarsi per eccesso di tenerezza, e magari a
lasciarsi sfuggire dagli occhi un segreto che l’ignoranza e la paura più
facilmente ingrandiscono.
Venne, osservò, tastò il polso, che in verità era poco regolare, sebbene
non forte, nè teso, ma che egli ebbe la buona grazia di trovare
eccellente; poi venne all’interrogatorio, che fu lungo, minuto,
amorevole. L’ammalata accusava dolori qua e là, al capo, al petto, alle
spalle. Forse reumatici? Ma sì, reumatici per l’appunto: non aveva ella
finito di raccontargli come le fosse accaduto di restare un’ora buona a
conversazione in un salotto troppo riscaldato, e di uscir poi all’aria
pungente della Riva degli Schiavoni? Si trattava dunque di una
infreddatura; e bisognava star riguardati, riposare, riposare e ber
caldo. Del resto, passando dal caso particolare, che in sè non aveva
nessuna gravità, alle condizioni generali del vivere signorile, specie
nella stagione fredda, o troppo variabile, il buon dottore aggiungeva le
sue riflessioni tra il serio e il faceto.
— Se lo lasciano dire, mie belle signore? Sacrificano troppo alla moda,
troppo agli usi del bel mondo; non pensano che la salute è un dono del
cielo, e un dono a noi fatto, come quello della vita, per una volta
sola; donde la grande necessità di tenerselo caro.
— Oh brutto dottore! — mormorò la signora Livia, con quell’accento di
bambina scorrucciata, che soleva adoperare col suo Esculapio. — Che cosa
faccio, finalmente? Non dovrò andare più neanche a teatro?
— Non dico questo; ma andandoci.... si lasci dire anche questo, meno
scollato, e più bavero.
— Ah, per questo, — saltò su a dire Raimondo, che il primo responso sul
caso particolare aveva levato d’ansietà, — ti dirò anch’io come mia
moglie: brutto dottore! ed anzi aggiungerò: “sior Tòdaro brontolon!„
Passi pel bàvero, per la pelliccia, per la mantellina ovattata, per
quell’altro che tu vorrai, e che raccomando sempre all’uscita. Ma un po’
di scollato, Dio buono, quando si è dentro, un po’ di scollato!... È
così bella, mia moglie!
— Raimondo! — esclamò la signora, con una languida intonazione di
rimprovero.
— Ebbene? — ribatteva egli, animandosi. — È ciò, che dicono tutti. Quel
po’ di scollato ti va così bene! Non si sente infatti ripetere che la
tua linea, dal collo alla spalla, ricorda appunto la Venere
Capitolina? —
Il buon dottore sorrideva, avendo l’aria di partecipare a quei maritali
entusiasmi.
— Sì, sì, — riprese egli, — è l’opinione generale. Ma appunto per ciò mi
raccomando. Pensate, ragazzi miei, che la Venere Capitolina ha ricco il
platisma micoide.
— Platisma? — ripetè Raimondo, interrogando.
— Micoide; — ribadì il dottore Dal Vago. — Ma già tu vuoi la moneta in
ispiccioli: diciamo dunque pannicolo carnoso, quello che scende da qui
fin qua, dal mento al petto, e vi si sovrappone e segue amabilmente il
pannicolo adiposo; cioè a dire quel buon tessuto cellulare sottocutaneo,
che conferisce grazia alla persona, proteggendo anche gli organi
respiratorii. La Venere Capitolina, se ben ricordo, ne ha quanto
occorre. Il troppo stroppia; ma per mantenersi in quelle giuste
proporzioni, bisogna aversi riguardo, e nel caso nostro non esporsi a
perdere, cercare anzi di guadagnare. Dunque, dico io, preservativi, e
ricostituenti. Ella è di complessione sana, ma delicata, signora mia
bella; voglia guardarsi adunque dai troppo forti cambiamenti di
temperatura, ed anche assoggettarsi ad una piccola cura che la
rinvigorisca. Tutto ciò che riguarda la salute va fatto; tutto ciò che
riguarda la bellezza non va trascurato. Dico bene? —
Così, tra raccomandando e celiando, il dottore Dal Vago lasciò la camera
della bella inferma, per andare nello studio di Raimondo a scrivere
quelle due righe di recipe, senza cui non pare che il medico abbia
adempito a tutti gli obblighi suoi.
Rimasto solo con Raimondo Zuliani, il buon dottore parlò in un modo
alquanto diverso da quello di prima.
— Fenomeni isterici, mio caro; e qui prima di tutto, vogliono esser
rimedii calmanti.
— Isterici! — esclamò Raimondo. — Tu mi spaventi, dottore.
— Perchè? Leggeri, anzi tutto. Non creder poi che questo sia soltanto il
caso di tua moglie. Son tutte isteriche, più o meno, le signore dei
nostri giorni. Ed anche gli uomini, infine....
— Anche gli uomini? Ho sempre creduto che l’isterismo....
— Eh sì, — interruppe il dottore, — che cos’è l’isterismo, se non una
sovreccitazione del sistema nervoso, e una forma della nevrosi, che è il
gran male del secolo? Ora, vedi, più si è deboli, e più facilmente si
soggiace alle conseguenze di queste sovreccitazioni; onde i cardiopalmi,
i fenomeni stenocardici, le dispepsie.... Ah, dimenticavo che tu non
vuoi parole greche; diciamo dunque palpitazioni, stringimenti di cuore,
digestioni difficili.
— Ed ora non mi spaventi più, mi atterrisci.
— Calma; siamo appena ai principii, e tutte queste brutte cose sono
ancora in proporzioni ristrette. Ma poi, chi non provvede in tempo, va
soggetto a convulsioni, alle contratture muscolari, ai trismi.... voglio
dire alle contrazioni persistenti dei muscoli elevatori della mascella
inferiore. Seguono o precedono, secondo i casi, le allucinazioni, le
insonnie, le anestesìe sensorie.... voglio dire i mancamenti temporanei,
le diminuzioni di sensibilità; nella vista, per limitazione del campo
visivo, essendo resa insensibile una porzione periferica della retina;
nella voce, nell’udito, e via discorrendo. Alle anestesìe, poi, si
alternano le iperestesìe .... cioè, diciamo pure gli eccessi di
sensibilità, come accade per l’appunto nelle allucinazioni, quando
l’isterico, in uno stato di mezza incoscienza, vede ripresentarsi alla
sua mente più scene della vita passata, e ti mostra di riviverle, negli
atteggiamenti diversi del viso, o nei fenomeni ipnotici, nel
sonnambulismo, ad esempio, quando egli risponde macchinalmente alle tue
domande imperiose. Bada, — soggiunse il buon dottore, vedendo la cera
contraffatta di Raimondo, — io ti parlo così, contro l’uso mio, perchè
siamo lontani da questi pericoli, e vogliamo e dobbiam prendere in tempo
le nostre precauzioni. _Principiis obsta_.... E questo lo intendi
benissimo.
— So anche il resto: _sero medicina paratur_; — disse Raimondo. — Ma i
rimedii?
— In farmacia non ne mancano; — rispose il dottore; — ma sono pei casi
urgenti e in fondo in fondo son palliativi e non altro; calmanti,
tonici, narcotici, ipnotici, non valgono certamente la cura diretta
dello spirito, sussidiata dalla dietetica e dalla climatica. Distrarre
la mente, nutrire e corroborare l’organismo, ecco il punto. Lo stomaco
si adatta mal volentieri ad una nutrizione ricostituente, lo so; ma
appunto per questo il cambiamento d’aria è raccomandato. Potrai tu
lasciare per un po’ di tempo i tuoi affari?
— Per lei, figùrati, farò questo ed altro.
— Alla buon’ora. Stazioni climatiche invernali non mancano; in Liguria,
per esempio, da Nervi a San Remo, e più in là, se ti piace. Si fa doppia
cura, dello spirito e del corpo; ed anche è doppia quella dello spirito,
perchè alle distrazioni moderate e sempre piacevoli della vita nuova, si
aggiunge il benefizio dello avere abbandonata la vecchia, con tutti i
suoi turbamenti.
— Qui, per altro, — osservò Raimondo, — la mia Livia fa una vita
abbastanza quieta.
— Sì, va bene; ma le visite, i teatri, i balli, le conversazioni; son
tutte cagioni di esaurimento nervoso, per una costituzione così
delicata.
— Come si fa, buon Dio? — esclamò Raimondo. — Come si fa a romperla con
tutte le consuetudini sociali?
— Eh, lo so bene; restando, non si può; ma andando?... Del resto, hai
tempo a pensarci, poichè i disturbi della tua signora sono nello stadio
iniziale. Forma leggera di una malattia molto seccante, si possono, si
devono domare in tempo, per non aver noie più tardi. —
Fatto questo po’ di chiacchiere, coll’amico Zuliani, il dottor Teodoro
Dal Vago lasciò il palazzo Orseolo, e fuori di là il dialogo si
restrinse in monologo. Sempre così, il buon dottore; un discorso al
malato, un altro alla gente di casa, e il terzo a sè.
— “Donne, donne! eterni Dei!„ — incominciò, canticchiando tra i denti,
sull’aria conosciuta del _Barbiere_. — Eccone una che non me la dice
giusta, colla impressione del freddo all’aperto, dopo essere stata in un
salotto troppo riscaldato. Dio sa che altro sarà stato, per metterle i
nervi in combustione. Ed è più malata che non sembri. Quella tosse
spasmodica! quella respirazione accelerata! Già incominciamo dal dire
che questa storia è vecchia; e di forma ereditaria, ci scommetterei la
testa. La madre, a quel modo nevrotica, come è finita! Quanto a lei, è
stravagante, a dirne poco. Capricciosa è sempre stata, dacchè la
conosco, ed è ancora una bambina, a trent’anni, se non li ha passati
d’un bel poco. Età climaterica, direbbero gli astrologi. Basta, se
l’amico Zuliani si decide a tirarla via da Venezia, e lei si lascia
condurre, che mi pare il più difficile, possiamo rimediarla ancora. Ma
occhio alla penna! —
Così conchiuso il suo ragionamento, se ne andò il buon dottore Dal Vago
a visitare altri ammalati, a fare altri dialoghi, per finire con altri
monologhi. I medici l’hanno ancora, la consolazione di questi piccoli
sfoghi, dopo essere stati costretti a dir le cose per metà, ed anche a
non dirle affatto.
Raimondo Zuliani aveva bene inteso che tutta la serie dei mali
minacciati alla sua Livia risguardava il futuro, e un futuro abbastanza
remoto da lasciar tempo a provvedere e fondata speranza di scongiurarli.
Perciò era presto uscito d’apprensione, non restandogli altra cura
nell’animo se non quella di obbedire ai consigli del medico. Una cosa
era ben risoluta, che sul finir di gennaio, o sui primi di febbraio,
alla più lunga, avrebbe condotta la moglie in un clima più confacente
alla sua salute. La gita in Liguria gli sorrideva: quanto agli affari
del banco poteva fidarsi del signor Brizzi, uomo pratico, accorto, ed
onesto a tutta prova. Del resto, pei casi ordinarii avrebbe provveduto
il carteggio, e per gli straordinarii il telegrafo. In questi pensieri,
aveva finito di calmarsi. Ed anche si calmava la signora, che la mattina
seguente non aveva più nulla, nè dolori vaganti, nè tosse, nè
agitazioni, nè ardori alla pelle. Certo, per quella volta, i fenomeni
isterici non c’entravano affatto; il guaio era tutto venuto dal gran
caldo nel salotto delle signore Cantelli. Anche i medici, poveracci,
qualche volta la sbagliano.
Oh, a proposito, una visitina alle signore Cantelli non era mica da
tralasciare. Gli premeva la felicità dell’amico, e prima di muoversi da
Venezia voleva anche per quel rispetto aver messe le cose a buon
termine. Per intanto occorreva sapere se la signora Eleonora avesse
ricevuto lettere dal marito, e notizia del giorno ch’egli sarebbe
capitato a Venezia, come prometteva di fare.
Andò dunque al Danieli, e di mattina, per esser sicuro di ritrovare le
signore in casa; se no, ad aspettare dopo colazione, c’era rischio che
col “felice mortale„ fossero andate a fare qualche artistica
passeggiata. Salito all’appartamento delle signore Cantelli, trovò in
salotto la signora Eleonora sola, accigliata e più taciturna del solito.
— E la nostra bella Margherita? — chiese egli, guardando attorno, dopo
aver fatto i suoi convenevoli.
La signora Eleonora scosse la testa, e battè un pochettino le labbra.
— Incomodata; — rispose poi asciuttamente.
— Oh, senti! E da quando? —
— Da ieri.
— Strano! E mia moglie, che è stata qui, non me ne ha detto nulla!
— Era appunto da noi, — replicò la signora Eleonora, — quando la mia
figliuola si sentì venir male.
— E la cagione? — domandò Raimondo. — Forse il troppo calore dei
camini....
— Diciamo il troppo calore; — mormorò la signora Eleonora, assentendo a
mezza bocca.
— Dico questo, — riprese Raimondo, un po’ sconcertato, — perchè mia
moglie, appena ritornata a casa, si è messa a letto con dolori per tutta
la persona, accennando al freddo della strada dopo il gran caldo che
aveva sentito qui. Ma il riposo assoluto e i pronti rimedii del medico
le hanno fatto bene, tanto che ora ha potuto alzarsi un pochino.
— Non così la mia Margherita; — disse la signora Eleonora, sospirando. —
È ancora molto debole.
— Che pena! — esclamò Raimondo. — Ella non può immaginare come io ne
soffra. —
Voleva chiedere se avessero chiamato un medico, e che cosa avesse egli
trovato, che cosa ordinato. Ma vedeva la signora Eleonora così seria,
così poco disposta ad accogliere le sue effusioni di cuore, che non ardì
aggiunger altro su quel tema, e stimò opportuno di cangiar discorso.
— Dal signor Anselmo ha lettere? — domandò egli, dopo un istante di
pausa. — Le scrive che verrà presto? —
La signora stette alquanto sopra di sè, battendo ancora le labbra; poi
di schianto, non potendo più contenersi, proruppe in queste parole:
— Senta, son quasi tentata di scrivere a lui che non venga affatto. —
A quell’uscita inattesa Raimondo aveva dato un balzo sulla scranna.
— E perchè? — domandò con voce trepidante, mezzo soffocata dallo
stupore.
— Perchè.... perchè.... — balbettò la signora Eleonora, pentita di
essere andata troppo oltre, senza aver meditato le conseguenze
dell’impegno in cui si metteva. — Ella ha ragione a volerlo sapere, il
perchè. Ed è giusto che io glielo dica. Perchè il suo conte Aldini non è
l’uomo per mia figlia.
— Signora!... — riprese Raimondo, più stupito che mai. — Non intendo la
cagione di questo suo mutamento improvviso; ed anche, mi consenta di
dirglielo, irragionevole. Della parola, forse troppo vivace, Le chiederò
scusa poi, quando avrò giustificato il concetto. Per sua norma, e sul
mio onore, Le attesto che il conte Filippo Aldini è il fiore dei
gentiluomini, e dei galantuomini, degno in tutto e per tutto di
quell’angelo della sua cara figliuola. Lo innalzo troppo, mettendolo al
paragone con la signorina Margherita? E sia; ma se nessuno può starle
alla pari, nessuno potrà avvicinarsi tanto a quell’altezza, quanto
Filippo Aldini; e questo glielo dico in coscienza dell’anima mia.
— Non è l’opinione di tutti, — notò la signora Eleonora.
— Ed io, — ribattè Raimondo, — non so di tutti, nè di pochi; so questo
soltanto, che nessuno, intenda bene, nessuno al mondo, può pensare di
Filippo Aldini diversamente da me. Chi ha potuto calunniarlo presso di
lei, mentendo e sapendo di mentire?
— Si calmi, signor Zuliani, la prego. Abbiamo bisogno davvero di tutta
la calma possibile, — disse la signora Eleonora. — In ogni altra
circostanza, mi creda pure, tacerei, non amando io un certo genere di
ciarle, che possono degenerare in pettegolate di donnicciuole. Ma si
tratta di mia figlia, ed ho l’obbligo di parlare ad ogni costo. Ella mi
ragiona dell’amico suo con tanto ardore di convinzione, che debbo
credere alla sua sincerità; ma posso anche credere che ella viva in un
inganno continuo. L’amicizia, si sa, porta una benda sugli occhi come
l’amore. Altri, a cui non fa velo l’amicizia, può aver veduto più chiaro
di lei.
— Voglio sapere.... la prego, la supplico di dirmi chi le ha parlato
male di lui.
— Male.... intendiamoci. È male per me, che son madre, e su certi
argomenti delicati debbo essere scrupolosa; ma può non essere male
egualmente per gli altri. Infine, e pregandolo ancora di esser calmo,
faccia delle mie parole un uso discreto, da buon cavaliere e da
onest’uomo. La sua signora, ieri, seduta lì, dov’è Lei in questo
momento, mi ha fatto una pittura del conte Aldini, del suo passato e del
suo presente, che senza esser troppo nera, badi, senza esser troppo nera
agli occhi del mondo, sarebbe sempre nerissima agli occhi di una madre.
Insisto su questo nome, — soggiunse nobilmente la signora Eleonora, —
perchè in esso è la mia forza, e la giustificazione del mio operare. —
Raimondo era rimasto attonito, come stordito da una percossa sul capo; e
stette lì per alcuni istanti, senza proferir parola, guardando la
signora Eleonora.
— Mia moglie! — diss’egli finalmente. — Ma che cosa ha potuto
raccontarle mia moglie, contro la verità sacrosanta? —
Qui la signora Cantelli, che oramai non poteva più dissimulare nè
attenuare, riferì tutto intiero il suo colloquio del giorno innanzi
colla signora Zuliani, tra gli atti di stupore e i dinieghi di Raimondo,
che non sapeva stare alle mosse. E narrò ancora dello svenimento di
Margherita, che dalla camera attigua aveva potuto udire ogni cosa, o
tanto che bastasse a farla cadere, povera innocente, dall’alto delle sue
illusioni verginali.
— Fu un grande errore, il mio; — conchiudeva la buona signora; — grande
errore di non avere aspettato suo padre, lasciandoci intanto venir
troppo attorno il conte Aldini. Ma che vuole? Conoscendo il modo di
pensare del mio Anselmo, sapendo che in questi casi si è sempre rimesso
al parere di sua figlia, non potendo infine dubitare di Lei, che mi
stava garante del carattere di quell’uomo....
— E ne sto garante ancora; — interruppe Raimondo.
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Çirattagı - Il ponte del paradiso: racconto - 08
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  • Il ponte del paradiso: racconto - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4489
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1662
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  • Il ponte del paradiso: racconto - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4487
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4439
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  • Il ponte del paradiso: racconto - 08
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  • Il ponte del paradiso: racconto - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4391
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  • Il ponte del paradiso: racconto - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 2996
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