Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 13

Süzlärneñ gomumi sanı 4552
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1581
41.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
56.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
63.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
maledisse al destino; finalmente gli vennero meno le forze, e il
disgraziato cadde in così profondo abbattimento, che poco più sarebbe
stato per lui di smarrir la ragione senz'altro.
Caffaro restava per tal modo l'arbitro della sorte. Ed esitava, come si
può argomentar di leggieri, a prendere una risoluzione.
Allora si fece innanzi Gandolfo del Moro per dare il suo parere al
compagno.
— Non mi dite nulla! — gridò Caffaro, perdendo ogni ritegno ad un
tratto. — Io non ho fede in voi. —
Gandolfo diede un sobbalzo, a quelle acerbe parole.
— I vostri dubbi ritornano! — esclamò egli, con accento di rimprovero.
— Sì, — rispose il signore di Caschifellone, — e così non mi fossero
mai usciti di mente! Lasciate che io m'appigli ad un partito. Qualunque
esso sia, io debbo starne mallevadore all'amico. Ora, qualunque
risoluzione io prendessi, basterebbe che mi fosse consigliata
da voi, messere Gandolfo, perchè io dubitassi della mia medesima
ispirazione. —
Gandolfo del Moro si accese subitamente di sdegno e la sua mano
corse all'impugnatura della spada. L'ingiuria era sanguinosa, e un
combattimento senza indugio, dovesse pure costargli la vita, era a gran
pezza più sopportabile dell'offesa.
— Badate! — gli disse Caffaro, senza punto scomporsi. — Io troppe volte
ho fatto l'obbligo mio di cavaliere, e non sento necessità di misurarmi
con voi. Qui comando io, ricordatelo. Se ardite di alzare il braccio,
ve lo giuro per la croce di Dio, vi fo legare colle corde dei miei
arcadori alla porta del castello, e configgere nei battenti a colpi di
frecce, come si usa a casa nostra colle civette e coi gufi. —
Gandolfo del Moro aveva la schiuma alla bocca, e già era sul punto
di avventarsi contro il signore di Caschifellone. Ma poichè egli era
anzi tutto un uomo prudente, anche nei suoi impeti più feroci, messer
Gandolfo diede una rapida occhiata in giro, e vide gli arcadori di
Caffaro, che si erano fatti avanti con piglio minaccioso.
Perciò si trattenne, e, sbuffando come un toro, ricacciò la spada nella
guaina.
— Sono il più debole; — diss'egli, dopo un istante di pausa, — e avete
ragione ad accusar me di un tradimento che avreste potuto....
— Suvvia, dite! — rispose Caffaro, infastidito da quella reticenza. —
Che avrei potuto.... Che cosa avrei potuto far io? In che cosa, e in
che modo, posso io andare appaiato con voi?
— Oh, non siate tanto superbo, messer Caffaro di Caschifellone! Non
sono stato io solo ad invaghirmi della figliuola di Guglielmo Embriaco;
e perchè dovrei essere sospettato io solo? Vi contenterò, dunque, e
lo ripeterò. Sono il più debole, e avete ragione ad accusar me di un
tradimento, che bene aveste potuto ordire anche voi.
— Io! Ah, tu l'hai confessato in queste parole; — tuonò Caffaro allora;
— tu sei il ribaldo. Ardisci guardarmi in viso, e prender giudici tra
noi questi valorosi. Quale è tra noi faccia di traditore?
— Certo, io non ho volto di femmina; — notò amaramente Gandolfo. — E
poi, quali giudici son questi? I vostri soldati, messere.
— I tuoi concittadini, furfante! Ma va, tu non hai patria; tu non
meriti che i figli di Genova riconoscano in te un loro fratello.
Laggiù, — soggiunse Caffaro con accento solenne, — sulla via donde
è partito Abu Wefa, il Gran Priore degli Assassini, laggiù è la
tua patria. Infedele ai tuoi compagni, lo sarai anche al tuo Dio.
Va, traditore, e ti accolga il nemico, e ti paghi il prezzo del tuo
tradimento.
— È giusto! — gridarono gli arcadori. — Vada cogli Assassini, che ci
hanno colti a tradimento nelle strette di Cades. Il suo posto è laggiù,
se voi, signore, non ci consentite di far giustizia su lui.
— Questo non sarà mai; — disse Caffaro. — La spada del soldato di
Cristo non si macchierà di un sangue così vile. Ed ora, andiamo a Gaza.
I nostri compagni da troppi giorni ci attendono. —
La piccola carovana si rimise in cammino. Per un ultimo tratto di
compassione, il bandito ebbe la sua parte di provvigioni, che finse di
non vedere, mentre gli Arabi della scorta le deponevano a terra. Anche
il suo cavallo gli fu lasciato; ma i suoi scudieri, invitati a rimanere
con lui, non vollero saperne a nessun patto.
— Lo avete chiamato un infedele; — dicevano a Caffaro. — Non c'è
vincolo di vassallaggio che possa trattenerci con lui. —
Arrigo da Carmandino non intendeva nulla, non si era avveduto di nulla.
Lo ricondussero a Gaza, obbediente ed ignaro, come sarebbe stato un
fanciullo.
La galea di Caffaro li accolse, e, sciolto il provese, si mise tosto
alla via. Il vento spirava propizio alla loro navigazione, e otto
giorni dopo raggiungevano l'armata, che stava sulle áncore davanti a
Tortosa.
I due fratelli Embriaci ebbero una stretta dolorosissima al cuore,
nell'udire la perdita della sorella. Messer Nicolao si pentì della
fede riposta in Gandolfo del Moro. Ma era tardi, e il pentimento non
rimediava a nulla. Per altro, egli stesso consigliò che si spiccasse
dall'armata un naviglio, che recasse al console suo padre la triste
novella, con un racconto minuto della spedizione di Gaza.
La tristezza era in tutta l'armata. I Genovesi avevano ritrovato Arrigo
da Carmandino, ma aveano perduto Diana, la bella figliuola di Guglielmo
Embriaco, del glorioso Testa di Maglio.


CAPITOLO XVI.
La perla d'Occidente.

Perchè era partito Bahr Ibn così improvvisamente dal castello di Kanat,
dove Caffaro ed Arrigo avevano sperato di ritrovarlo ancora?
La cosa merita di esser chiarita ai lettori. Torniamo dunque un passo
indietro, il famoso passo dei romanzieri, che non possono mandar di
fronte tutti i loro personaggi, come si fa dei soldati in linea di
battaglia.
Bahr Ibn, nella notte dopo l'arrivo di Caffaro e di Gandolfo del
Moro al campo di Tell el Kanat, aveva udito uno strepito niente
affatto naturale in quell'ora di tranquillità. Lo _Sciarif_, non
lo dimenticate, era un Arabo, e, come tutti gli Arabi, da Arun el
Rascid, califfo di Bagdad, fino al povero Abd el Rhaman, condottiero
di carovane, non dormiva che da un occhio. Aggiungete che aveva e
sapeva di avere un cattivo vicino, il quale si era pur dianzi rifiutato
a stringere alleanza, e troverete giustissimo che Bahr Ibn, da buon
capitano, dovesse stare continuamente in sospetto.
Ora, come dicevamo, lo _Sciarif_ aveva udito un insolito rumore nel
campo. Perciò era balzato dal letto, e, uscito chetamente dalle sue
stanze, era andato ad appostarsi in luogo opportuno, donde non visto
dare un'occhiata all'intorno.
Una ventina d'uomini salivano in quel punto a cavallo. Al raggio
dell'amica luna, Bahr Ibn ravviso le bianche tuniche e le fascie rosse
dei Fedàvi, poco prima che essi vi gettassero sopra certi mantelli di
grama apparenza, che dovevano nascondere altrui il grado dei cavalieri
e la finezza delle vesti, e si mettessero al galoppo verso ponente.
Quella partenza di venti uomini, in quella forma, a quell'ora, e
in quella direzione, mentre già il Gran Priore aveva annunziato di
voler partire nel giorno seguente per tutt'altra via, era fatta per
insospettire il nostro amico Bahr Ibn, e per destargli in cuore il
desiderio di volerne l'intiero.
Il suo conto fu presto fatto. Chiamò uno dei suoi fidati e gli
bisbigliò alcune parole, a cui quell'altro rispose con un inchino,
che voleva dire: ho capito, lasciate fare a me. Poco dopo la partenza
dei Fedàvi, un uomo solo usciva dal campo. Vi parrà poco per una
esplorazione, lo capisco: ma Bahr Ibn sapeva il fatto suo. Non voleva
svegliare i sospetti del suo degnissimo sozio Abu Wefa e si contentava
di mandar fuori un uomo solo. Ma tutte le sue vedette, che stavano ad
una certa distanza dal campo, avvertite da quell'uomo, dovevano mutarsi
in esploratori.
Allo spuntar del sole, lo _Sciarif_ mandò altri cavalieri verso
ponente, nella direzione di Cades; in apparenza per rilevare la
guardia, nel fatto per occupare un posto vuoto, poichè gli altri erano
già andati, e, a mezz'ora di distanza, spartiti in varii drappelli,
correvano il deserto sulle orme dei Fedàvi.
Abu Wefa non ebbe fumo di nulla, e partì da Tell el Kanat col grosso
della sua gente, prima che le vedette dello _Sciarif_ ritornassero al
campo. Del resto, quello del cambio delle vedette era un particolare
così poco notevole della vita soldatesca, che una novità nella forma,
anco avvertita, non doveva far senso.
Bahr Ibn, in quella vece, insospettito da quella spedizione notturna,
doveva raddoppiare di attenzione e por mente ad ogni più piccola cosa.
Or dunque, accompagnando un tratto, per debito di cortesia, il suo
compagno di accampamento, lo _Sciarif_ si avvide che il Gran Priore,
scambio di muover subito a levante, verso la valle di Siddin, che era
il punto più vicino per riuscire sulla riva sinistra del lago Asfalto,
piegava a settentrione, verso il pianoro di Aroer.
Lo _Sciarif_ conosceva quei luoghi, per essersi aggirato colà lunga
pezza, mentre si studiava di tirar dalla sua le tribù nomadi del
deserto, che si stende alle falde dei monti di Giuda.
— Vai verso Hebron? — gli disse. — Darai di cozzo nella cavalleria dei
Crociati.
— Sì, se avessi in animo di proseguire a quella volta; — rispose Abu
Wefa. — Ma io vado soltanto a Bèrseba, dov'è una parte dei miei. Come
vedi, _Sciarif_, la diversione non è grande, ed anche di là potrò
piegare, senza troppo ritardo, alla valle di Siddim. —
Bahr Ibn fece le viste di crederlo, quantunque non avesse udito mai di
quella guardia che Abu Wefa teneva nei dintorni di Bèrseba. E fermato
il cavallo, strinse la mano ai Gran Priore, per accomiatarsi da lui.
— Dunque, hai deciso? — disse Abu Wefa. — Rimani qui, a spiare
inutilmente il nemico?
— No; — rispose Bahr Ibn; — ho perduto ogni speranza.
— E vieni con noi?
— Non per ora, ma ci penso. Quello che tu mi hai detto ieri mi sta
sempre nell'animo. Il posto di un discendente del Profeta è dove si
combatte per la difesa dell'Islam. E poichè non posso sperare di
vincere Afdhal, — soggiunse Bahr Ibn sospirando, — bisognerà pure
che io mi risolva un giorno o l'altro di lasciar questi luoghi. Come
vivrebbe il re del deserto, se non andasse dove è certezza di preda?
— Dunque?
— Dunque, — rispose Bahr Ibn, — aspetto un cenno. Ho anch'io qualche
speranza di far gente; e presto seguirò il tuo consiglio.
— La fortuna ti assista. Andrai dunque a Tortosa?
— A Tortosa, a Tripoli, a Tolemaide, e dovunque ci sarà da combattere.
— Così va bene; — disse il Gran Priore. — Manderò la lieta notizia ai
credenti. —
E inchinatosi sulla staffa, abbracciò lo _Sciarif_. Quindi si allontanò
sulla via di Aroer, seguito dal suo piccolo esercito.
Bahr Ibn se ne tornò pensieroso al castello di Kanat, e vi rimase tutto
quel giorno e un altro ancora, aspettando.
Alla fine del terzo, giunsero al campo due degli uomini che aveva
mandato sulle tracce dei Fedàvi. Erano i cavalieri meglio provveduti
della spedizione, e tuttavia i loro cavalli erano sfiniti dalla corsa.
— Orbene? — domandò Bahr Ibn, che nella sua impazienza era andato
incontro ai due uomini.
— Abbiamo tenuto dietro agli Assassini, come tu ci hai comandato.
— Si sono essi avveduti di nulla?
— Prima, no; uno di essi più tardi. Ma ce ne siamo impadroniti in tempo.
— In tempo! per che cosa?
— Per saper tutto di loro, mentre essi non sapran nulla di noi.
Andavano verso le strette di Gades e noi li seguivamo da lunge.
Tramontava il sole, quando li perdemmo di vista dietro una macchia di
lentischi. Aspettammo le tenebre per seguitarli fin là, ed avemmo la
fortuna di coglierne uno, lasciato in sentinella, prima che potesse dar
l'avviso ai compagni.
— Lo avete costretto a parlare?
— Sì, mio signore. Sapemmo da lui che essi andavano verso il pozzo di
Rehobot, per piombare sopra una carovana e impadronirsi di un giovane
cristiano, lasciato in custodia ai cammellieri e a pochi arcadori della
sua patria. Ma nello avvicinarsi alle strette di Gades avevano veduto
che la carovana si era dal canto suo inoltrata fino a quel passo,
e perciò, appiattati nella macchia, aspettavano la notte, per dar
l'assalto col favor delle tenebre. Infatti, poco dopo udimmo le grida
degli assaliti e lo strepito delle armi. Eravamo in pochi; del resto,
tu non ci avevi mandato alcun cenno di romper guerra a costoro....
— No, e avete fatto bene a non entrar nella mischia. E sono venuti a
capo del loro disegno?
— Sì, e tornarono ai cavalli, trasportando con sè i loro feriti. Per
altro, ne dimenticarono uno, che si trascinò nella macchia dopo la loro
partenza. Accorremmo ai suoi lamenti, e da lui, coll'aiuto del nostro
prigioniero, abbiamo raccolto i particolari dell'impresa. Il giovane
cristiano, che hanno rapito, non era altrimenti un uomo, bensì una
fanciulla. —
Bahr Ibn era rimasto sbalordito. Già aveva indovinato che quella era
la carovana lasciata indietro da Caffaro, ma era ben lungi dal pensare
che una donna si trovasse con loro. Nè il signor di Caschifellone, nè
Arrigo da Carmandino, gli avevano fatto parola di ciò. Per altro, lo
_Sciarif_ non durò fatica ad intendere che in quel colpo di Abu Wefa
si nascondeva una vendetta, un tradimento di qualcheduno. Ma di chi?
Quale dei nuovi arrivati al suo campo aveva potuto entrar tanto in
dimestichezza col Gran Priore, per tirarlo dalla sua in quella orribile
trama?
Lo _Sciarif_ si ricordò allora di quei compagno di Caffaro, di quel
Gandolfo del Moro, la cui faccia gli era a tutta prima spiaciuta. E
interrogati i suoi familiari, seppe che, durante la notte passata nel
castello di Kanat, il compagno di Caffaro era stato veduto, mentre
usciva dalle stanze del Gran Priore.
La risoluzione di Bahr Ibn fu pronta come la folgore.
— Dove sono andati i rapitori? — chiese egli.
— Avevano avuto ordine di accorrere alla volta di Aroer, dove il Gran
Priore sarebbe andato ad incontrarli.
— Ah! — pensò lo _Sciarif_. — Era questo l'intento della marcia di Abu
Wefa verso settentrione. Ma Eblis non ordisce così bene le sue trame,
che Allà non sappia sventarle. —
E ad alta voce proseguì:
— Chiamatemi Zeid Ebn Assan. E date intanto l'avviso a tutti i nostri
uomini. Si parte quest'oggi. — Il vecchio Zeid fu pronto ad accorrere.
Era egli il più fido dei servitori di Bar Ibn, e quegli che aveva colle
sue cure campato Arrigo da morte.
— Che vuoi, mio signore? Si parte?
— Sì, per la valle di Siddim. Ma la via non è da dirsi ora; io stesso
sarò guida alla nostra gente. Fa che si radunino tutte le provvigioni
d'acqua e di cibo e che i cammelli siano pronti a partire tra due
ore. —
Lo _Sciarif_ pensava che andando dritto a Siddim avrebbe potuto
raggiungere Abu Wefa non troppo lunge da quel passo. Il Gran Priore,
andato alla volta di Aroer, doveva infatti piegare di là verso la valle
di Siddim, perdendo in tal guisa il vantaggio di tre giorni che poteva
avere su lui.
Bahr Ibn non si apponeva che a mezzo. Nei dintorni di Siddim trovò
bensì gli Assassini, ma non tutti. C'erano le salmerie con una numerosa
scorta di cavalieri, ma Abu Wefa era già andato più oltre, e la schiera
dei Fedàvi con lui.
L'arrivo dello _Sciarif_ fu salutato con grida di giubilo. Nessuno si
aspettava di veder così presto quei compagni di accampamento.
— Ebbi un messaggio appena eravate partiti; — disse Bahr Ibn, per
colorire in qualche modo la sua mossa improvvisa; — e sono oramai
libero di andare dove il cuore mi chiama. Per qualche giorno saremo
compagni di viaggio. —
Quella promessa riguardava il grosso della sua gente, non lui. Difatti,
andato avanti con essi tutto quel giorno, proseguì il cammino anche
di notte, col nerbo de' suoi cavalieri. E il giorno dopo, anche i
rimasti indietro, consigliati da Zeid Ebn Assan, credettero necessario
di affrettarsi sulle sue tracce, lasciando indietro le salmerie di Abu
Wefa.
Uscito dalla valle, o, per dire più veramente, dagli stagni di Siddim,
lo _Sciarif_ si addentrò speditamente nelle terre di Moab, muovendo per
Damnaba, Ar, Dibon e Madèba. E tuttavia, quella sua corsa arrangolata
non gli portava alcun frutto. Di paese in paese prendeva lingua, sapeva
che i cavalieri di Abu Wefa erano passati, ma sempre con due giorni di
vantaggio su lui.
— Quest'uomo ha un tesoro da custodire, — pensò lo _Sciarif_, — e
viaggia di giorno e di notte. Facciamo uno sforzo anche noi. —
Abu Wefa, giusta il conto fatto da Bahr Ibn, non poteva avere
più di cento cavalieri con sè. Per correre più spedito, Bahr Ibn
deliberò di lasciare indietro un'altra parte de' suoi, con ordine di
proseguire come più sollecitamente potevano; ed egli con cento de'
suoi migliori si rimise in cammino, risoluto di guadagnare nelle prime
ventiquattr'ore una marcia.
La fortuna gli arrise. A Chirb el Sâr, l'antica Abel Cheramin della
tribù di Gad, ebbe ancora notizie di Abu Wefa, che era passato
il giorno avanti di là. Con un altro sforzo egli era sicuro di
raggiungerlo al guado dello Jabok Serca, affluente del Giordano,
che scorre alle falde della storica montagna di Galaad. Ma temeva a
ragione di stancar troppo i cavalli, e si contentò per quella volta di
guadagnare soltanto poche ore.
La seconda marcia fu condotta anch'essa in tal guisa, per risparmiare
le forze dei cavalli. E fu bene, perchè, guadagnando poche ore ogni
dì, alla mattina del quarto si giunse al poggio di Tell Asterè, che era
stato abbandonato nella notte dalla cavalcata di Abu Wefa.
Fu quella per Bahr Ibn il caso di meditare sulle ragioni del Gran
Priore, nello intento di cavarne una norma per sè.
Anzi tutto, perchè Abu Wefa si era dato a correre in quel modo, che
meglio poteva chiamarsi fuggire? Temeva forse di Bahr Ibn? Pensando
che Abu Wefa sapeva esser questi amico di Arrigo e che poteva essere
avvertito da lui del rapimento della sua fidanzata, il sospetto non
era mica fuori di luogo. Ma il Gran Priore poteva temere eziandio
d'un altro pericolo, cioè a dire d'una corsa dei giovani Crociati ad
Hebron, donde la notizia del colpo, facilmente trasmessa a Gerusalemme,
avrebbe potuto dare appiglio ad una spedizione di Franchi. Varcato il
Giordano poco sotto a Tiberiade, un capitano ardito, come ad esempio
Tancredi di Taranto, non avrebbe trovato molto difficile il còmpito
di attraversarsi sulla strada per cui risaliva Abu Wefa. E questo era
infatti il timore più forte del Gran Priore; il quale in ogni altra
occasione non avrebbe creduto che tutte le forze d'un regno potessero
uscire in battaglia per riconquistare una donna; ma, dopo aver visto la
sua preda, doveva essere di contraria opinione.
Gandolfo del Moro non lo aveva ingannato. Quella che il traditore
aveva additato alle sue brame era davvero la perla d'Occidente. E Abu
Wefa pensava a ragione, che, se le perle d'Oriente erano difficili
a prendere, quelle d'Occidente dovevano essere anche più difficili a
conservare.
Non molto dissimile dalla sua era l'opinione del biondo scudiero, che
andava in mezzo alla cavalcata, chiuso in una lettiga, insieme colle
donne del Gran Priore.
Diana era triste, ma nella sua medesima afflizione aveva attinto la
forza di resistere agli eventi. Custodiva gelosamente, nascosto nella
cintura, un pugnaletto dalla impugnatura d'acciaio ageminato, dono
della favorita di Abu Wefa.
— Io ti amo e ti odio; — gli aveva detto costei. — Ti amo perchè sei
infelice; ti odio perchè sei bella.
— Non mi odiare, compiangimi! — rispose Diana. — La bellezza è un
triste dono.
— Che ti fa cara al mio signore; — notò la schiava di Abu Wefa, con
accento di profonda amarezza.
— Io non amo il tuo signore, la mia fede è giurata ad un altr'uomo.
O sarò sua, o morrò. Vedi, anzi, — soggiunse Diana, che per farsi
intendere da quella donna doveva aiutarsi molto coi gesti, — se
tu vuoi darmi quel pugnaletto che pende dalla tua cintura, esso sarà la
mia salvaguardia. —
E fece l'atto di piantarselo nel petto.
— Da senno? — chiese quell'altra.
— Lo giuro pel mio Dio. —
Un lampo di gioia balenò dagli occhi della schiava.
Quella disgraziata amava Abu Wefa. Ella stessa da poco tempo era
succeduta ad un'altra nelle grazie del suo signore, e tremava di
vedersi posposta a quella nuova bellezza.
Il pugnaletto di Kadigìa, che tale era il nome della favorita, passò
tosto nelle mani della povera Diana, che allora, soltanto allora, si
sentì più tranquilla.
Altri pensieri incominciavano a raffidarla. Notava anzitutto che il
capo degli Assassini, assorto nelle cure del viaggio, non le aveva
ancora detto una parola che accennasse ad un disegno fatto su lei.
L'avea data in custodia alle sue donne, che viaggiavano entro lettighe
gelosamente coperte e guardate continuamente da uno stuolo d'eunuchi; e
tutta la famiglia muliebre era separata rigorosamente dalla schiera dei
Fedàvi, i quali marciavano sempre all'antiguardo.
Inoltre, quel correre affannoso del Gran Priore verso le terre di Moab,
se per avventura la conduceva lunge da Arrigo, dinotava altresì che
Abu Wefa temeva di essere inseguito. Caffaro non si era egli riunito ad
Arrigo? E Arrigo non era egli l'ospite e l'amico di Bahr Ibn? Da lui,
da lui certamente, fuggiva Abu Wefa con tanta sollecitudine.
E un barlume di speranza rompeva le tenebre di quell'anima afflitta.
Era impossibile che la misericordia di Dio si fosse così allontanata
da lei, dalla figlia e dalla fidanzata di due valorosi campioni della
fede. Ma infine, perchè avrebbe temuto? Non dispera mai di salvarsi,
chi sa di poter trovare, ove occorra, il suo rifugio nella morte. E
Diana era risoluta di morire.
Intanto proseguiva il viaggio nella solitudine di quelle sterminate
pianure di sabbia, su cui si stendeva nel giorno la volta infuocata
del cielo, nella notte un padiglione di zaffiro, in mezzo al quale la
splendida luna appariva regina tra un esercito scintillante di stelle.
In alcuni punti si mutava la scena, e lo sguardo salutava ameni colli
coronati di querce e d'allori, o valli romite, in cui l'arancio, la
palma e il melagrano, si vedevano coperti di fiori e di frutti.
Si costeggiava infatti la gran valle del Giordano e il suolo sentiva la
vicinanza delle acque.
Torniamo a Bar Ibn. Egli non è lontano. Dalla eminenza di Tell
Asterè, un poggio famoso su cui gli antichi Ebrei offrivano sacrifizi
ad Astaroth Karnaim, l'Astarte bicorne di Siria, egli aveva veduto
all'orizzonte il polverìo sollevato dalla cavalcata di Abu Wefa. E
riposati alquanto i suoi, disegnò di tenergli dietro senza aspettare la
notte.
Il Gran Priore incominciava appena allora a respirare più liberamente.
Era giunto all'altezza del lago di Tiberiade, o di Genezaret, se vi
torna meglio, e si dileguava il pericolo di veder capitare qualche
legione di Crociati che gli sbarrasse la strada. Ma appunto in quel
giorno doveva cascargli addosso il peggio, e tanto più molesto quanto
meno aspettato.
Di poco era passato il meriggio, quando uno dei suoi _refilìs_, che
comandava la retroguardia, lo avverti d'una grossa cavalcata, che
veniva dietro a loro, muovendo anch'essa da Tell Asterè.
Il pensiero di Abu Wefa corse incontanente ai Franchi del regno di
Gerusalemme. Ma come avevano potuto essere così presto avvisati del
suo passaggio? E come mai gli sbucavano alle spalle, senza pensare che
egli aveva la via libera davanti a sè per fuggire? Ma l'aveva libera
davvero? E non era piuttosto da temere che ogni cosa fosse disposta per
coglierlo in mezzo?
Questo timore lo fece rimanere alquanto perplesso.
— Se volgessi senz'altro a levante? — pensò. — Ma per un semplice
dubbio... per un sospetto..... avventurarmi in un paese così scarso
d'acque, e di viveri, mentre il restante dell'esercito mi segue a tre o
quattro giornate di marcia? —
Il Gran Priore era lontano le mille miglia dal pensare a Bahr Ibn. Sui
primi giorni lo aveva temuto; ma lassù, oltre i monti di Galaad, di
Serca e di Agelun, che aveva superati con tanta celerità, ogni paura
d'inseguimento da quella parte gli era uscita intieramente dall'animo.
Quella esitanza gli aveva già fatto perdere una mezz'ora di tempo.
Aggrottò le ciglia, vedendo che quegli altri si avanzavano sempre più,
e comandò alla sua gente di prendere il galoppo. Ma anche i nemici,
poichè tali bisognava considerarli oramai, anche i nemici lo imitarono,
e la distanza fra le due schiere non si accrebbe, come egli aveva
sperato.
Si fermò allora, pieno di mal talento, e deliberò di vederci chiaro.
— Vadano avanti i cammelli e i lettighieri; — diss'egli; — noi
torneremo indietro, per farla finita con queste incertezze. —
E voltato il cavallo, mosse alla volta di coloro che lo inseguivano.
— Ci hanno veduto, — diceva intanto Bahr Ibn. — A noi dunque! E tu,
Zeid, ricorda le mie istruzioni.
— Non temere, sarai obbedito. —
Lo _Sciarif_ spronò allora il suo corridore, ordinando a' suoi
cavalieri di seguirlo, ma senza troppo ardore, per non insospettire
maggiormente Abu Wefa.
Fu grande la meraviglia di quest'ultimo, quando riconobbe colui che
meno s'aspettava di vedere.
— Tu qui? — gli disse. — Io ti credeva ancora a Tell el Kanat.
— Se tu ci rimanevi ancora una mezza giornata, — rispose lo _Sciarif_
con aria tranquilla, — avrei potuto partire con te. —
Abu Wefa lo guatò con occhio sospettoso.
— Che cos'è avvenuto, — riprese, — perchè tu avessi a mutar consiglio
così presto?
— Niente che io già non m'aspettassi, pur troppo! — rispose lo
_Sciarif_, con un candore, che non riusciva tuttavia a disarmare
Abu Wefa. — Un messaggio dell'Egitto, che mi ha tolto ogni speranza.
Che cosa avrei fatto nel deserto, se non c'era più modo di tentar la
fortuna contro l'usurpatore? Ho trovato buono il tuo consiglio; vado a
Tortosa.
— Ah, sì? — mormorò il Gran Priore, a cui la risoluzione parea troppo
repentina, come troppo sollecito il viaggio.
— Per l'appunto — replicò Bar Ibn; — e voglia il cielo che io non
giunga troppo tardi!
— Infatti, — disse Abu Wefa, — a quest'ora i Cristiani possono aver
fatto molto cammino.... assai più che tu non ne abbia fatto in così
pochi giorni, dacchè ci siamo lasciati. —
Bahr Ibn sentì il colpo, ma fece le viste di non averlo inteso.
— Dunque, se non ti spiace, — ripigliò, — ci faremo compagnia per un
tratto di strada.
— Perchè non m'hai raggiunto prima? — esclamò il Gran Priore. Ecco qua,
siamo proprio all'ultima stazione in cui potessimo trovarci insieme.
— Come? — domandò lo _Sciarif_, che non si aspettava quella sparizione
improvvisa dello schermidore astuto. — Non andavi tu verso le montagne
di Tripoli?
— Questo era il primo disegno; — rispose Abu Wefa. — Ma anch'io ho
ricevuto un messaggio per via. E vado invece a Damasco, per la strada
di Salomè, laddove tu devi proseguire per la pianura di Medan.
— Ah sì? — mormorò Bar Ibn, imitando senza volerlo il suo avversario.
E vide così a tutta prima che la fortuna, se tardava più oltre, gli
sarebbe sfuggita di mano. L'occasione era propizia. Abu Wefa non aveva
in quel punto che otto o dieci cavalieri con sè, mentre il grosso della
sua schiera stava lunge un cinquecento passi, in attesa del suo capo.
A lui, invece, a lui, Bahr Ibn, tutti i suoi cavalieri facevano corona
oramai. Abu Wefa, così scaltro com'era, non aveva preveduto quel caso.
E Bar Ibn risolse di approfittarne senz'altro.
Diede una rapida occhiata a Zeid Ebn Assan, che parve intenderlo a
volo. Indi, spronato il cavallo, si serrò addosso al Gran Priore e lo
afferrò per un braccio, tentando di levarlo d'arcione.
Questi, a sua volta, benchè sorpreso, strinse le ginocchia nei fianchi
dei suo corridore, pensando che questo, con una violenta strappata, lo
avrebbe tolto dalle unghie del suo avversario, meglio che non potesse
fare egli stesso con un colpo di mazza, quand'anche fosse riuscito
ad abbrancare la sua arme ferrata. Ma quantunque il generoso animale
obbedisse prontamente all'impulso del suo signore, egli non fu più
in tempo di svincolarsi. Zeid Ebn Assan afferrava il cavallo per le
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Çirattagı - Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 14
  • Büleklär
  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4536
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1717
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    56.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4588
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1708
    41.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4519
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1817
    34.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    38.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4480
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1703
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4492
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1628
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 07
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4479
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4475
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4550
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  • Diana degli Embriaci: Storia del XII secolo - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4475
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