Arrigo il savio - 04

Süzlärneñ gomumi sanı 4472
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1612
41.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
58.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
65.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
ricca, in una culla d'oro, come ha detto l'Aleardi. È già una bella
difesa, esser ricca! Ma ecco, bambina mia, incominciano ad arrivare i
nostri amici; ripigliamo la dignità del nostro ufficio.
— Io ti guardo ed imparo; — disse Gabriella. — Tu ricevi come
un'imperatrice. —


VI.

L'imperatrice sorrise e andò incontro alle nuove venute. Ce n'erano
parecchie, le quali entravano tutte insieme, facendo dire al conte
Pompeo che le belle donne, fedeli al costume della pianta di questo
nome, anche in casa Morati fiorivano a grappoli. La Savelli, la Carini,
la Santoro, la Franchi dal Melle, stupende creature, ognuna delle quali
rappresentava un diverso tipo di bellezza, si vedevano nel mazzo, e,
venuta forse con esse per ragione di contrasto, non mancava la
Gleisenthal. Facevano contorno (e forse sarebbe inutile il dirlo) otto o
dieci cavalieri, via via seguiti, quasi incalzati, da uno sciame di
eleganti compagni e rivali.
Son questi, non lo ignorate, i miracoli dell'orario, a cui deve sempre
corrispondere un orologio ben regolato. Io ho conosciuto dei
gentiluomini, i quali, per giungere in punto, nè un minuto prima, nè un
minuto dopo, ad un geniale ritrovo, si adattavano a far sosta nei
portoni delle case in cui erano invitati. Il bel mondo ha le sue leggi,
e riesce a farle rispettare, senz'altra sanzione, fuor quella del
ridicolo, che si rovescia sul capo ai miseri trasgressori. Si contraffà
spesso e volentieri alle leggi dello Stato, e s'incorre nella multa, e
si va anche in prigione; ma non c'è caso che con animo deliberato si
venga meno alle leggi del mondo elegante. Passare per ignoranti in
materia di consuetudini! Oh no; troppo grave è la pena.
In un quarto d'ora, sempre con l'orologio alla mano, le sale di casa
Morati erano piene di gente. Piene, intendiamoci, non già stipate per
modo da impedire il movimento dei gomiti. Questi pigia pigia si lasciano
volentieri ai balli prefettizi e di Corte, dove bisogna invitare tutto
il mondo ufficiale e titolato, senza pregiudizio di quei sollecitatori
di biglietti d'invito, che non appartengono a nessuna classe
particolarmente indicata. Un anfitrione privato deve cansare sopra tutto
il guaio di una calca soverchia, anche a risico di lasciar fuori qualche
dozzina di amici. Ne ha sempre tanti, colui che dà pasticcini da
mangiare, Pommard, Montrachet, Haut-Brion e Château-Lafite da bere!
Socrate, per verità, alloggiato in una casa ristretta, non si stimava
mai tanto felice, come quando poteva riempirla d'amici. Ma Socrate era
male ispirato, e la signora Santippe non partecipava al suo modo di
vedere; anzi è da credere che fosse questa una delle ragioni per cui
quel matrimonio celebre dell'antichità non riuscì troppo felice. L'altra
ragione si sa, è stata la filosofia. Un marito filosofo, bontà divina! e
che aspetta il suo sessantottesimo anno a ber la cicuta!...
Il conte di Castelbianco, che non era un filosofo, andava aliando di
fiore in fiore con una leggerezza giovanile, che era natura in lui e che
doveva accompagnarlo alla tomba. La Franchi dal Melle, ultimo fiore a
cui era venuto a ronzare dattorno, lo aveva lodato della sua presenza
così sollecita in casa, che non era, come sappiamo, nelle sue
consuetudini.
— E non lo indovinate, baronessa, il perchè? — disse il conte Pompeo,
piegandosi sulla vita e presentando la faccia in tre quarti. — Il cuore
mi diceva che questa sera voi sareste venuta delle prime, ed ho voluto
trovarmi subito al mio posto, per farvi una corte spietata.
— Zitto! — esclamò la baronessa. — Giovanna è vicina, e guai a me, se vi
sente!
— Eh via! Peggio sarebbe se mi sentisse il cavalier Giorgetti, che vedo
là in sentinella, come sempre. Il poveretto non ha occhi che per voi, e
prevedo che a furia di guardare il sole, sarà ben presto costretto a
usare le lenti turchine. —
Il colpo era forte e coglieva in pieno; ma la baronessa non ne fu
sconcertata.
— Come v'ingannate! — diss'ella, dando in una sonora risata. — Quel
povero cavaliere è un amico modesto e prezioso, che mi accompagna
regolarmente, e non parla. Se parlasse....
— Lo mettereste al bando dell'impero? Io non lo credo; — rispose il
conte.
— Avete torto a non crederlo, perchè sarebbe il primo dei miei doveri.
— Quand'è così, non insisto. Concludiamo dunque che il mio amico
Giorgetti, accompagnando e tacendo.... Mi permettete, baronessa di dire
tutto il mio pensiero?
— Bravo! Ne avete detto già tanto, e vi fate scrupolo di continuare?
— Ebbene, continuerò. Il mio amico Giorgetti, accompagnando e tacendo,
non si guasta con voi, e passa per un felice agli occhi del mondo.
— Che gusto ci si trova?
— Più che non pensiate. Si vive di apparenza, quando la sostanza non
c'è. Vedete? Se io potessi parere amato da voi, quasi quasi... non dico
già per sempre, ma per dieci anni almeno, mi consolerei di non esserlo.
— Ecco un ragionamento che mi darà da pensare; — conchiuse la baronessa.
— Vuol dire che congederemo il cavaliere.
— Per prender me, baronessa?
— Ah voi.... siete un bel capo, voi! Ma come fate ad essere così
capriccioso? Avete in casa una bellezza famosa. Ancora stamane,
vedendola, dicevo tra me: che uomo felice è Pompeo!
— Stamane! — esclamò il conte di Castelbianco. — Mia moglie! e dove? —
La baronessa si accorse di aver commesso un errore, e si provò ad
attenuarlo nei particolari, non potendo correggerlo nella sostanza.
— In via Condotti; — rispose.
— Da un'estremità all'altra! — borbottò il conte di Castelbianco, il cui
pensiero era già corso in via Sallustiana.
La contessa Giovanna, che stava ascoltando un discorso della marchesa
Savelli, e che frattanto tendeva l'orecchio alle chiacchiere di suo
marito con la Franchi dal Melle, si era mossa alla esclamazione del
conte, ed era venuta terza nel colloquio, in atto di chi, passando, si
fermi per dire una parola gentile. Aveva il sorriso sulle labbra, la
povera contessa, e, come potete immaginarvi, l'angoscia nel cuore.
— Ah, eccovi in buon punto; — disse il conte, vedendola giungere, e
facendo anche lui bocca da ridere. — Avete veduta stamane la baronessa,
bella e seducente come sempre, e non me ne avete detto nulla. Sapete
pure, Giovanna, che io sono un adoratore della baronessa!
— So questo; — rispose la contessa continuando a sorridere; — e potete
immaginarvi, Pompeo, che, se l'avessi incontrata, non avrei dimenticato
di accennarvelo, e di dirvi anche il colore della sua veste. Ma sono
forse escita stamane? —
Così dicendo la contessa Giovanna volgeva un'occhiata compassionevole
alla baronessa Franchi dal Melle.
— O allora? — disse il conte, guardando anche lui la baronessa. Ma
questa aveva avuto il tempo di pensare al rimedio.
— Allora, ecco qua; — rispose ella prontamente. — Non ho veduto il
volto, e la persona mi ha fatto credere che fosse Giovanna. Sicuro;
escivo da San Carlo e mi ero incamminata per via Condotti, quando vidi
entrare dal Berretta una bellissima persona. Come te, Giovanna! C'era la
tua statura, il tuo giro di vita, l'atteggiamento della tua testa;
insomma, che ti dirò? Anche senza vederti in viso, c'era da scommettere
che eri tu.
— Ed anche con la veste color marrone, probabilmente; — soggiunse il
conte.
— Lasciate che ci pensi; — rispose la baronessa, interrogando Giovanna
con lo sguardo.
— Pensateci pure; ma certamente era color marrone; — ripigliò il conte.
— Ecco una dama che avrà avuto l'onore d'ingannare più d'uno. Neanch'io,
quando l'ho intravveduta in via Sallustiana, ho potuto distinguere il
suo volto; ma il piede... il piede, vedete, era quello di Giovanna, e
anch'io avrei scommesso che la dama di color marrone era proprio mia
moglie.
— Guardate che stranezza! — esclamò la Franchi dal Melle, facendo le
viste di ricordarsi. — La dama che ho veduta io aveva una veste color
verde cupo.
— Ne siete ben certa?
— Certissima; e con una giacca di stoffa inglese ruvida... di colore
amaranto scurissimo.
— Che gusto!
— Eh, non tanto cattivo, conte! Del resto, era in abito di mattina.
— Ecco dunque già tre donne che si rassomigliano; — osservò il conte
Pompeo, mentre Giovanna incominciava a respirare, e mandava alla
baronessa un'occhiata di riconoscenza. — La mia cioè quella di via
Sallustiana, aveva il piede; la vostra di via Condotti aveva il
complesso, il personale. E chi sa quante altre, Giovanna, avranno
qualche cosa di voi. Ma già, ricordo di aver letto che Prassitele,
quando ebbe a fare la sua Venere per i fabbricieri della chiesa di
Gnido....
— Finitela, Pompeo! — disse Giovanna, interrompendolo. — Che discorsi
son questi?
Pompeo rideva di gusto, poichè gli avevano levata quella spina dal
cuore.
— Vedete, baronessa? — diss'egli. — Sempre così, mia moglie; non
gradisce i complimenti maritali. Ed io ho più fortuna dieci volte con le
altre. —
Ciò detto, il nostro Ganimede colse la prima occasione per aliare da
capo, cercando una di quelle altre che gradivano, a sentirlo, le sue
galanterie sessagenarie.
— Grazie! — mormorò Giovanna, rimasta sola con la Franchi dal Melle. —
Vedi che disdetta! Esco senza dir nulla, per andare nei quartieri alti,
a leticare con _Madame Duplessis_, che non vuole a nessun patto mandarmi
una veste, che doveva esser pronta ier l'altro, e bisogna che tutti mi
vedano. Ora, capirai, che una volta detto di no, il puntiglio....
— Non mi dir altro; — interruppe la Franchi dal Melle, donna
spensierata, ma buona. — Tu ora mi fai sentire troppo che ho commesso un
marrone, più marrone della tua veste. Io stessa ho avuto a ricordare più
volte a qualcheduno che non si deve dir mai in società, di aver visto
una persona per via, non solo nella giornata, ma per tutto il corso di
una settimana; ed ecco, io stessa dovevo cascarci, come una provinciale!
Basta, non lo farò più; sei contenta? —
Giovanna sorrise e si strinse amorevolmente al fianco della baronessa,
come se volesse abbracciarla; quindi si volse, per stendere la mano ad
un cavaliere elegantissimo, pallido, dai capegli neri e lucenti, dai
baffi lunghi e dagli occhi profondi, che si era avvicinato in quel punto
per farle riverenza.
— Bravo, Guidi! — gli disse la contessa Giovanna. — Ella è dei fedeli.
— C'è poco merito, signora; — rispose il giovanotto, inchinandosi. — Noi
siamo pianeti e descriviamo costantemente, fatalmente, la nostra orbita
intorno al sole.
— Ah, come è ben detto! — esclamò la Franchi dal Melle.
Il conte Guidi avrebbe potuto ricambiare la lode, soggiungendo che la
vicinanza di un astro chiomato poteva recare qualche perturbazione anche
nel giro d'un pianeta come lui. E sarebbe stata una immagine molto
appropriata, perchè la baronessa aveva una capigliatura stupenda e
notoriamente sua. Ma il conte Guidi oltre che non amava le metafore
continuate, era furbo parecchio, e, al cospetto di due donne, gli
metteva conto di restare qualche volta interdetto.
Egli rivolse perciò una timida occhiata alla baronessa e s'inchinò
modestamente; poi, fatte poche altre parole con la padrona di casa, andò
diritto dove lo chiamava per allora la legge di gravitazione, cioè a
dire verso Gabriella Manfredi. L'aveva veduta sola, non potendo chiamar
compagnia la presenza di un giovane ballerino (sapete che in società ci
sono i ballerini nati, non buoni ad altro ufficio, fuor questo) e
s'inoltrò risoluto. Il ballerino aveva chiesto l'onore di fare con lei
il primo giro di valzer, lo aveva ottenuto, non gli restava altro da
dire. Il conte Guidi incominciò a parlare del teatro Valle, dove la sera
innanzi aveva veduto Gabriella; lodò alcune scene della commedia, ma si
fermò più volentieri a criticare quel genere di composizione,
manifestando le sue predilezioni per il dramma della vecchia scuola,
dove erano nobili i sentimenti, alti i caratteri, e schietta e di gran
vena la poesia. Di lì al teatro dello Schiller non c'era che un passo, e
il conte Guidi trovò facilmente il modo di attaccare una conversazione
non frivola, da non finir così presto, e da permettergli anche di
prender posto accanto alla Manfredi.
I soliti frequentatori di casa Castelbianco erano quasi tutti arrivati,
quando il conte Pompeo si avvicinò alla moglie, accompagnandone tre
nuovi, Arrigo Valenti, Orazio Ceprani e un signore dai baffi grigi,
ch'ella non conosceva ancora.
— Mia cara, — incominciò il conte, — sono felice di presentarvi Cesare
Gonzaga, lo zio del nostro Valenti.
— È una vera fortuna per noi di conoscere un uomo come lei; — disse a
sua volta la contessa. — Si è già tanto parlato, in casa mia, del
marchese Gonzaga!
— E mi accadrà, contessa, — rispose il nuovo venuto, — di non
corrispondere a tanta gentile aspettazione. Così è, signora; — proseguì,
prendendo il posto che la contessa gli aveva cortesemente indicato al
suo fianco; — io sono oramai diventato un barbaro. Non avvezzo da
tant'anni ad altri ricevimenti che i _durbar_ dei principi indiani, mi
troverò molto impacciato nella società elegante di Roma.
— Che dice ella mai? Ci porterà almeno una freschezza di sentimenti, che
è divenuta troppo rara tra noi; — replicò la contessa.
Cesare Gonzaga ammirò quella bellissima testa da imperatrice, come
avrebbe potuto fare qualunque barbaro civilizzato, o qualunque europeo
imbarbarito. E mentre rispondeva alle cortesie della contessa, andava
dicendo tra sè:
— Che donna stupenda! E sarò io che dovrò darle il colpo di grazia, per
compiacere quel fortunato briccone di mio nipote? A proposito, dove va
egli? —
Arrigo Valenti, fatto alla padrona di casa un saluto molto cerimonioso e
freddo altrettanto, l'aveva lasciata con lo zio Gonzaga, per andar
oltre, verso una bella fanciulla dai classici contorni, vestita di
bianco a liste di nero, o di nero a liste di bianco, che veramente non
saprei dirvi con precisione, e che del resto importava poco allo zio
Gonzaga di rilevare, tanto lo avevano colpito i lineamenti di quel viso
verginale.
— La figlia di Lorenza! — mormorò egli dentro di sè, provando un gran
rimescolo nel sangue. — Per una volta tanto, ha torto la legge di
natura, e quella fanciulla è il ritratto parlante di sua madre. Ah, mio
povero cuore, i nostri venticinque anni son lungi, e noi siamo sempre
quelli d'allora! —
Gabriella Manfredi, dal momento che quel signore alto dai baffi grigi
era entrato nel salotto, annunziato col nome di Cesare Gonzaga, non
aveva più dato retta ai discorsi del conte Guidi. Il povero Schiller era
tradito, dimenticato là, come è pur troppo dimenticato o tradito sulle
scene. Il conte Guidi notò l'aria distratta di Gabriella, e a tutta
prima non ne indovinò la cagione. Infatti, non poteva essere che la
signorina Manfredi fosse rimasta incantata per la venuta di Arrigo
Valenti, cioè di un giovanotto che le faceva la corte anche lui, ma che
non pareva egualmente gradito. Ora, che altro poteva essere, perchè la
fanciulla guardasse tanto nel crocchio della contessa Giovanna? Anche
lui, giovane dai capegli neri e lucenti, dai baffi lunghi, sottili e
nerissimi, che spiccavano sul pallore fresco delle guance, contemplò
quel signore, alto e forte, dai baffi grigi, e dagli occhi scintillanti,
cui dava anche un risalto più vivo la sua carnagione abbronzata dai soli
indiani. Vestito in falda nera, col grande sparato bianco sul torace,
Cesare Gonzaga aveva ripigliata l'aria del gran signore, ma di un gran
signore che avesse fatto lungamente il soldato. Bell'aria marziale, che
col crescere degli anni acquista in serenità tutto quello che perde in
baldanza, e vi dà, florido ancora entro i confini della maturità, quel
nobile tipo soldatesco, il cui solo aspetto dice un mondo di cose, la
dignità della vita, la gagliardia virile dei propositi, le aspre fatiche
e i rischi memorandi! Ha grigi i capegli, ma li ha salutati il cannone e
incoronati la vittoria; ha gli occhi stanchi, ma in quelle bianche
pupille venate di rosso si sono specchiati i colli seminati di strage, e
il lampo delle batterie fulminatrici, e l'ondeggiar delle brigate al
sole delle battaglie, e l'impeto divino delle cariche e il mobile
luccichio delle cuspidi dorate sulle bandiere dei reggimenti, su quei
poveri brandelli dai colori sperduti, che nessuna pittura può rendere
più vivi allo sguardo, nessuna pompa cittadina sventolare più gloriosi
al pensiero, più efficaci sul sentimento delle moltitudini. Allora,
anche un viso brutto par bello; e il bello non conosce rivali. Vecchio
guerriero, che una forte virilità illumina e scalda de' suoi ultimi
raggi, il trionfo non è più cosa dei nostri giorni; non si passa più
sulla bianca quadriga attraverso la via Sacra; non si ascende più in
Campidoglio, e per molte ragioni, tristissime tutte! Ma c'è ancora un
lampo generoso negli occhi, ancora un sorriso amorevole sul labbro di
una donna; e quel lampo, quel sorriso della età nuova all'antica, è il
trionfo della dignità, del valore, della grandezza a cui l'uomo può
giungere, combattendo per l'onore della patria, o per la vittoria d'ogni
nobile idea. Effimero, sì, come tutti i trionfi! Eppure, per la gloria
di un giorno viviamo e combattiamo tante aspre battaglie; qualche volta
per la gioia di un'ora, per la ebbrezza di un attimo; e raccolti nella
soave memoria di quel giorno, di quell'ora, di quell'attimo celeste, ci
spegniamo in silenzio, povere stelle cadenti, ci sprofondiamo nella
immensità dello spazio sconosciuto.
Arrigo era venuto coi suoi complimenti, freddamente accolti, a
distogliere la signorina Manfredi dalla contemplazione del vecchio. Con
lui si era avvicinato anche il Ceprani, che il conte Guidi tirò presto
in disparte, per chiedergli:
— Chi è quel vecchio signore con cui siete entrati voi altri?
— Quello là? È Cesare Gonzaga, lo zio del Valenti; — rispose Orazio
Ceprani; — un marchese che non vuol essere chiamato marchese, e che ha
passato trent'anni della sua vita nel Bengala, facendo la guerra agli
Indiani e guadagnando molti _laks_ di rupìe.
— Non mi piace niente affatto; — sentenziò il giovinotto.
— Ah, bravo! Ecco un presentimento; — replicò Orazio Ceprani.
— Un presentimento! perchè?
— Vieni in qua, e te lo spiegherò. Bada che è un segreto, colto al volo
da me.
— Tu cogli tutto al volo!
— Dio buono! È l'arte di vivere in società. Guardare, udire,
raffrontare, trarre la conseguenza e regolarsi; tutto ciò è diritto e
facile come un sillogismo. Sappi dunque che Arrigo Valenti è innamorato
di Gabriella Manfredi.
— Che scoperta! — esclamò il conte Guidi, aggrottando le sopracciglia e
torcendosi i baffi.
— Non lo sarà; — rispose il Ceprani; — e forse non sarà neanche vero che
egli sia innamorato. Certo è che vorrebbe sposarla. È ricco, capisci, è
ricco, e può benissimo aspirare a questo matrimonio, che avrebbe per lui
il vantaggio inestimabile di collocarlo tra i pezzi grossi, tra i
Burgravi del ceto bancario.
— La sposi; — disse il Guidi, seguitando a tormentare i suoi baffi. — Se
Gabriella si contenta.... Ma questo mi par più difficile. Qualche volta
le ricchezze non bastano, a strappare quel benedetto sì.
— Eccoci dunque al nodo dell'azione; — rispose il Ceprani. — Il marchese
Gonzaga è stato un grande amico di gioventù del senatore Manfredi.
Capisci ora perchè è venuto a Roma, lasciando il suo castello sul
Reggiano, dove stava godendosi i frutti dei suoi _laks_ di rupìe? Lo zio
Pilade parla in nome dell'antica amicizia ad Oreste; oppure, se ti piace
meglio un altro paragone, viene, vede e vince, da quel Cesare ch'egli è.
Questo ho scovato io, osservando, raffrontando, e traendo la
conseguenza. Ma bada, io non ti ho detto nulla.
— Non dubitare; — rispose il Guidi. — Ma che ne penserà la contessa? —
Orazio Ceprani si strinse nelle spalle e allungò il muso.
— Questo non l'ho indovinato; è uno dei tanti arcani che dovrò ancora
scoprire. Stamane, per esempio, uscendo di casa, per andare nei
quartieri alti, chi vedo! Lei, proprio lei, male nascosta dietro i
cristalli di una vettura da nolo, che andava... lassù. Dovevo vedere il
Valenti, per certe faccende di Borsa, e ho ritardato un'ora buona a
salire da lui; ma non l'ho veduta uscire, nè prima, nè poi. Di sicuro,
c'è un passaggio segreto, un'altra scala, e che so io.
— Come? Sei tanto intrinseco del cavaliere, e non hai pratica della
casa?
— Che cosa vuoi che ti dica? Il cavaliere ha il cuore chiuso come la
mano; è avaro dei suoi segreti, come dei suoi quattrini.
— Glie ne hai chiesti, per caso?
— Una volta, sì, per mettere la sua amicizia alla prova. Ed è
un'amicizia salda, la sua, a prova di bomba! Oh, ma aspetti, verrà anche
il mio giro e faremo a buon rendere. Infine, vedi che capricci di
fortuna! Si lavora tutti e due in Borsa, e il più delle volte con le
stesse notizie. Orbene, egli guadagna ed io perdo. Stamane ci ho
lasciato centomila lire, e sorrido; a denti stretti, ma sorrido. Lui,
intanto, ne ha guadagnate trecentomila; e guardalo là, ride a piena
bocca, il felice! —
Mentre questi bei ragionamenti si facevano tra il conte Guidi e
quell'esemplare di gratitudine del signor Orazio Ceprani, il re della
festa, accompagnato dalla contessa Giovanna, faceva il suo giro
trionfale nel salotto e giungeva davanti a Gabriella Manfredi.
Fu allora tra il vecchio soldato e la fanciulla una scena bellissima, un
dialogo commovente. Gabriella era diventata rossa, vedendolo venire
verso di lei, e si era perfino alzata dal divano, con gran meraviglia
del Guidi, che stava ad osservarla da lunge.
— Io non avevo più, questa sera, che da conoscere il suo nome; — disse
Gabriella, poichè la presentazione fu fatta. — Conosco da molti anni
Cesare Gonzaga; potrei anzi aggiungere che è la mia prima conoscenza.
— Che dice, signorina? — esclamò il Gonzaga, commosso alla voce della
fanciulla, che gli richiamava al pensiero i suoni e le inflessioni di
un'altra a lui cara. — Una fata benigna l'avrebbe condotta laggiù, nel
cuore dell'India?
— Una fata benigna e un buon genio, che l'amavano ambedue; — rispose la
fanciulla. — Ora, solo il mio genio è rimasto ad amarla. —
Cesare Gonzaga trasse un profondo sospiro, al malinconico accento di
Gabriella Manfredi.
— Incomincio a capire; — diss'egli.
— Sì, — proseguì la fanciulla, — mio padre parla sempre, con affetto e
con ammirazione, del suo migliore, del suo unico amico. Se oggi, quando
ella è venuta a casa nostra, avesse chiesto di me, sarei stata felice di
riceverla io, contro tutte le norme del cerimoniale. Ella è di casa
nostra, signor Cesare; appartiene alla nostra famiglia. Mia madre,
quando aveva da citare un tipo di cavalleria, ricordava sempre lei. Vuol
sapere quando fu che udii per la prima volta il suo nome? Mamma e babbo,
a tavola, parlavano di un caso che non ricordo più bene, ma in cui,
dicevano loro, sarebbe bisognato un uomo di cuore e di virtù singolare;
e mamma, allora, soggiunse una frase che non ho più dimenticata: “Senti,
Andrea, per far questo che tu dimandi, ci sarebbe voluto un uomo come
Cesare Gonzaga.„ —
Il vecchio soldato si recò una mano alla fronte, come per chetare un
dolore, o discacciare un molesto pensiero, ma nel fatto per rasciugare
con le ultime dita una lagrima.
— Ella vede adunque, — proseguì la fanciulla, provando una gioia
schietta e profonda a ragionare con quell'uomo, a dirgli tutti i
pensieri che fiorivano nella sua mente; — ella vede adunque che io la
conosco intimamente, come conosco l'anima e il cuore di mio padre. Per
una ragazza, che incomincia appena ora a vivere, sono abbastanza
fortunata; non le pare? —
Il vecchio sorrise malinconicamente, a qual vanto giovanile, e rispose,
tentennando la testa:
— Ah, signorina! La vita è piena d'ingrate novità. Gli uomini, creda a
me, non si rassomigliano tutti.
— Lo credo facilmente; — replicò Gabriella. — Anzi, veda fin dove
giungo, i due che conosco mi hanno resa molto difficile con gli altri.
Quando ne incontro uno, che vuol comparire un miracolo di uomo (e
l'hanno tutti, questa bella pretesa!) io dico subito tra me: sarà egli
un uomo di cuore, un nobile carattere, un cavaliere antico, come il
babbo, e come Cesare Gonzaga? —
La fanciulla parlava con una grazia ingenua, con un'anima, con una
effusione di cuore, che l'avreste abbracciata, divorata dai baci, se
fosse stata una bambina di sette anni. Davanti alla sua età, vi sarebbe
mancato il coraggio di far tanto (non la voglia, perbacco!) e vi sareste
inginocchiati. Cesare Gonzaga non fece nè l'una cosa nè l'altra; ma i
suoi occhi ebbero lampi di tenerezza infinita, che valevano i baci e le
genuflessioni.
— È bello, — diss'egli, — sentirsi parlare così; bellissimo sarebbe
meritarlo. Ma io ricorderò in buon punto, signorina, che nessuna età
dispensa l'uomo dalla modestia. Vedrei tanto volentieri suo padre! È
forse uscito?
— Non credo. Sarà forse di là, impegnato in qualche grave discorso.
Vuole che andiamo a cercarlo? —
Così dicendo, Gabriella si alzò e fece l'atto di prendere il braccio del
Gonzaga.
— Con questa guida, in capo al mondo! — diss'egli.
— Ed io con lei, anche più in là; — rispose ella, appoggiandosi
confidente a quel braccio che il Gonzaga le aveva finalmente profferto.
Proprio in quel punto, nella sala vicina, si attaccava sul pianoforte
uno dei soliti valzer dello Strauss, e sulla soglia del salotto appariva
il ballerino che sapete.
— Signorina, — diss'egli, — venivo per l'appunto a chiedere....
— Non chieda nulla, per ora; debbo far prima una presentazione; —
rispose Gabriella. — Non vorrà mica dolersene?
— Oh, le pare? S'immagini: rimango a' suoi ordini; — replicò il
ballerino, inchinandosi.
Gabriella, appoggiata al braccio del Gonzaga, proseguì la sua via. Il
ballerino seguitava a due passi di distanza, tutto mogio e contrito. Il
conte Guidi, piantato in un angolo, aveva notato ogni cosa, le tenerezze
maravigliose di Gabriella per quell'indiano baldanzoso, i discorsi
infiammati, gli atti vivaci, e finalmente quel loro andar via a
braccetto, come se ella si fosse legata per tutta la sera a quell'uomo.
E si morse le labbra, il conte Guidi, e si torse ancora i baffi,
masticando qualche cosa, che non doveva esser zucchero.


VII.

Andrea Manfredi stava rincantucciato, e non per sua elezione, credetelo,
nel fondo di una galleria, tutta messa a piante di stufa, e che sarebbe
parsa davvero una stufa, se non ci fossero state cinque o sei grandi
lastre di specchi, poste in fila e incorniciate da liste sottili, quasi
da nervature di bronzo dorato, dietro agli ombrelli diffusi delle felci
arboree e delle latanie borboniche. In quell'angolo di galleria, poco
lunge da una delle porte spalancate, donde veniva la luce viva e il
lieto rumore della sala da ballo, il senatore Manfredi era stato
sequestrato da un suo collega, chiamato non indegnamente il primo
seccatore del Regno; uno di quei molesti personaggi, così frequenti in
società, che hanno sempre qualche cosa da dirvi, e non vi lasciano,
nella terribile continuità del discorso, neanche il tempo di dire:
permettete, ho qualche cosa da fare. I dotti vogliono che sia una
malattia; gl'indotti si contentano di dire che è una seccatura enorme.
Certo è, lettori miei, che se tra i precetti cristiani v'ha quello di
assistere gl'infermi, non ci troverete la raccomandazione di ascoltare i
noiosi, mentre la scappatoia di farne un'offerta a Dio misericordioso
non sarebbe punto conforme a quel sentimento di gratitudine che lega la
creatura al suo creatore.
Il Manfredi stava là, come vi ho detto, dimenandosi invano fra le
strette di un ragionamento pazzo, che in venti minuti aveva toccato un
centinaio di punti, dalla legge per il riordinamento del Genio Civile,
che il ministro Baccarini aveva presentata quel giorno in Senato, fino
alla fabbricazione del solfato di chinina, e alle proprietà
fosforescenti di questo sale, quando sia scaldato a cento, e poscia
sfregato nel buio. Ma egli vide apparire la sua Gabriella, in compagnia
d'un signore alto, dai baffi grigi, e diede una rifiatata di
Sez İtalian ädäbiyättän 1 tekst ukıdıgız.
Çirattagı - Arrigo il savio - 05
  • Büleklär
  • Arrigo il savio - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4359
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1597
    42.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    66.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4530
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1514
    40.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    64.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4533
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1734
    36.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4472
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1612
    41.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4538
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1643
    38.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4457
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1558
    42.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4431
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1450
    42.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    66.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4504
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1436
    41.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4467
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1498
    42.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    68.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4510
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1569
    41.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Arrigo il savio - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 3310
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1429
    36.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.